CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN
INGEGNERIA ENERGETICA
Tecniche di gestione per la riduzione dei consumi di
energia elettrica per la climatizzazione di un Data Center
Relatore Candidato
Prof. Romano Giglioli Marco Marsico
Sommario
1- INTRODUZIONE ... 1
2- DATA CENTER: STATO DELL’ARTE ... 2
2.1- Voci di consumo di un Data Center ... 3
2.2- Indici di prestazione energetica ... 4
2.3-ASSORBIMENTI DI ENERGIA ELETTRICA DEI COMPONENTI ... 6
2.3.1-PROCESSORE (CPU) ... 8
2.3.2-MEMORIA RAM ... 9
2.3.3-BLADE SERVER ... 10
3- IMPORTANZA DELLA CLIMATIZZAZIONE IN UN DATA CENTER ... 11
3.1-GESTIONE DELLA TEMPERATURA INTERNA E DELLE CONDIZIONI TERMOIGROMETRICHE ... 12
4- TECNICHE DI RAFFREDDAMENTO ... 14
4.1-CLIMATIZZAZIONE PER FORMAZIONE DI CORRIDOI CALDI E FREDDI ... 15
4.1.1-ACCORGIMENTI PRATICI DI GESTIONE DEL FLUSSO D’ARIA ... 17
4.1.2-ACCORGIMENTI SULLA SCELTA DELL’EDIFICIO ... 18
4.1.3-ACCORGIMENTI SULLA SCELTA DEL LAYOUT INTERNO ... 18
4.2- Raffreddamento integrato nei Rack e raffreddamento per file ... 20
4.3-RAFFREDDAMENTO DI PRECISIONE A LIQUIDO ... 23
4.4-FREE COOLING ... 24
5- CASO STUDIO ... 26
5.1-POMPA DI CALORE: GENERALITÀ ... 27
5.2-SORGENTE GEOTERMICA... 33
5.3-SONDE GEOTERMICHE ORIZZONTALI ... 36
5.4-SONDE GEOTERMICHE VERTICALI IN POZZI ... 37
5.5-ASPETTI REALIZZATIVI DEGLI SCAMBIATORI DI CALORE VERTICALI ... 40
6- RISPOSTA TERMICA DEL TERRENO ... 41
7- MODELLAZIONE DEL TERRENO ... 47
7.1-MODELLAZIONE ESEGUITA ... 49
7.2-MODELLO ILS–“INFINITE LINE SOURCE” ... 50
7.3-DUHAMEL’S THEOREM ... 53
8- SOLUZIONE PROPOSTA ... 58
8.1-INFLUENZA DELLA TEMPERATURA ESTERNA SULLE PRESTAZIONI DI UNA POMPA DI CALORE AD ARIA ... 59
8.2-MONITORAGGIO DELLE TEMPERATURE ESTERNE ... 61
8.3-VALUTAZIONE EER ... 62
8.4-SOLUZIONE DI GESTIONE ... 70
8,5-ANALISI DEI CONSUMI COMPLESSIVI ... 74
9- CONSIDERAZIONI ECONOMICHE ... 75
9.1-VALUTAZIONI ECONOMICHE SULL’IMPIANTO ANALIZZATO ... 76
9.2-TECNICHE DI INCENTIVAZIONE PREVISTE ... 76
9.2.1-DETRAZIONE FISCALE AL 65% ... 77
9.2.2-ASSEGNAZIONE DI CERTIFICATI BIANCHI (TEE) ... 77
9.2.3-ETS-EMISSION TRADING SCHEME... 79
ELENCO DELLE FIGURE
- Figura 1,1: Schematizzazione a blocchi dell’architettura di un Data Center
- Figura 1,2: Schema generale di un centro di calcolo
- Figura 2,1: ripartizione percentuale dei consumi all’interno di un Data Center
- Figura 2,2: Schema del percorso della potenza totale all’interno di un Data Center
- Figura 2,3: Esempio di Data Center con Server organizzati in Rack
- Figura 2,4: Consumi di picco dei principali componenti
- Figura 2,5: Esempio di CPU
- Figura 2,6: Esempio di Memoria RAM
- Figura 2,7: Esempio di Blade Server
- Figura 3,1 : Aree di fuzionamento degli apparati
- Figura 3,2: Range di temperatura e umidità relativa consentiti
- Figura 3,3: Andamento di temperatura in un server nel caso di malfunzionamenti del sistema di raffrescamento
- Figura 4,1: Tipico flusso di aria in una sala calcolo
- Figura 4,2: Tipiche configurazioni del flusso d'aria in una sala CED
- Figura 4,3: Importanza dei pannelli di chiusura degli spazi vuoti per evitare ricircoli di aria caldo
- Figura 4,4: Inserimento di barriere e prese di aria calda su controsoffitto per evitare miscelazioni
- Figura 4,5: Esempio di unità con raffreddamento integrato
- Figura 4,6: Legge che regola l’andamento della potenza richiesta al variare del numero di giri del ventilatore sul singolo componente
- Figura 4,7: Esempio di raffreddamento per file
- Figura 4,8: Esempio di raffreddamento di precisione
- Figura 4,9: Esempio di tecnologia Free Cooling
- Figura 4,10: Stima delle ore di funzionamento annue con sistema Free Cooling in Europa
- Figura 5,1: Schema ciclo inverso
- Figura 5,2: Schema di impianto e rappresentazione del ciclo termodinamico sul piano T-S
- Figura 5,3 (a): Schema di funzionamento invernale
- Figura 5,3 (b): Schema di funzionamento estivo
- Figura 5,4: Andamento del COP in funzione della Temperatura della Sorgente e della Temperatura di mandata dell’utenza
- Figura 5,5: Possibili combinazione delle sorgenti interne/esterne
- Figura 5,6: Andamento della Temperatura in funzione della profondità
- Figura 5,7: Diverse configurazioni impiantistiche
- Figura 5,8: Scambiatori orizzontali. A) A tubo singolo; B) A tubi multipli sovrapposti; C) A tubi multipli affiancati; D) A spirale
- Fig. 5,9: Scambiatore verticale ad U
- Fig. 5,10: disposizioni degli scambiatori geotermici - 3a) In serie; 3b) In parallelo a ritorno inverso
- Fig. 5,11: Vantaggi e Svantaggi delle diverse disposizioni degli scambiatori
- Figura 6,1: andamento della Temperatura del terreno in condizioni di sbilanciamento del carico
- Figura 6,2: Tecniche di accumulo BTE
- Figura 6,3: Effetti dell’accumulo sulla Temperatura della sorgente
- Figura 6,4: Proprietà termofisiche relative alla diversa natura del terreno
- Figura 7,1: Schematizzazione della sorgente mediante analogia elettrica
- Figura 7,2: Esempio dell’aumento nel tempo della temperatura della sorgente a diverse posizioni
radiali
- Figura 7,3: Approssimazione della sonda ad un filo idealmente infinito (ILS)
- Figura 7,4: Innalzamento di temperatura calcolato nel tempo alle diverse posizioni radiali
- Figura 7,5: Andamento a gradino della discontinuità al contorno
- Figura 7,6: Modalità di funzionamento On-Off secondo un andamento a gradino imposto della GSHP
- Figura 7,7 (a): Andamento della Temperatura a r=2m
- Figura 7,7 (b): Andamento della Temperatura a r=3,5m
- Figura 7,8: Configurazione impiantistica proposta
- Figura 7,9: Andamento fabbisogno, potenza fornita e determinazione del punto d bilanciamento
- Figura 7,10: Esempio metodo dei BIN
- Figura 8,1: Metodo dei BIN per le temperature di Pisa (anno 2017)
- Figura 8,2: Chiller condensato ad aria scelto
- Figura 8,3: Andamento potenza frigorifera gratuita in modalità Free Cooling
- Figura 8,4: Andamento della potenza fornita della macchina ai carichi parziali in modalità Free Cooling
- Figura 8,5: Fattori correttivi previsti dal CTI in condizioni di funzionamento diverse da quelle da catalogo per tecnologia aria-acqua
- Figura 8,6: Andamento EER al variare della Temperatura esterna a pieno carico
- Figura 8,7: Andamento dell’EER al variare della Temperatura Esterna in tutte le condizioni di carico
- Figura 8,8: Andamento della Potenza Assorbita in funzione della Temperatura Esterna in tutte le condizioni di carico
- Figura 8,9: Istogramma per rilevare in numero delle ore in cui la macchina lavora con un certo EER in base alle Temperature Esterne rilevate
- Figura 8,10: Andamento dei kWh Assorbiti in base alle Temperatura Esterne rilevate
- Figura 8,11: Foglio di calcolo utilizzato per il calcolo dell’energia elettrica necessaria alla climatizzazione del Data Center
- Figura 8,12: Unità pompa di calore geotermica scelta
- Figura 8,13: Fattori correttivi previsti dal CTI in condizioni di funzionamento diverse da quelle da catalogo per tecnologia acqua-acqua
ABSTRACT
I moderni centri di calcolo, analogamente ad edifici industriali o commerciali, fanno ad oggi registrare consumi di energia elettrica piuttosto rilevanti a causa del funzionamento continuativo delle apparecchiature in essi contenute. Il loro esercizio rende indispensabile l’asportazione del calore prodotto ed è pertanto richiesto un raffrescamento continuo a carichi praticamente costanti nel corso di tutto l’anno. Si tratta di strutture in cui il raffrescamento rappresenta una voce di consumo rilevante (il 30% dei consumi totali) a causa della necessità di asportare il calore sviluppato dai server in modo continuativo al fine di garantire il regolare svolgimento delle attività di elaborazione.
Una delle soluzioni ad oggi più ricorrente consiste nell’adozione della pompa di calore. Obiettivo dello studio è l’analisi tecnico-economica dell’uso di una pompa di calore geotermica e di valutare la convenienza rispetto alla corrispondente soluzione ad aria.
Poiché la deriva termica del terreno non permette l’uso esclusivo di una pompa di calore a riferimento geologico, è stata analizzata una soluzione con entrambe le tipologie di pompa di calore utilizzate in maniera esclusiva in periodi diversi dell’anno in modo da sfruttare le rispettive sorgenti ambientali (terreno e aria ambiente) quando le loro temperature permettano l’utilizzo delle pompe di calore alla massima efficienza energetica.
Le soluzioni analizzate hanno mostrato una possibile riduzione dei consumi energetici per il raffrescamento dei Data Center. Queste soluzioni tecniche, energeticamente efficaci, non sono risultate convenienti sul piano economico anche tenendo conto di possibili premialità economiche relative ai possibili risparmi energetici e alla possibile riduzione di emissioni di CO2.
1- INTRODUZIONE
Anche noto come sala CED (Centro di Elaborazione Dati), un Data Center consiste sostanzialmente in una sala macchine che consente di gestire i processi, le comunicazioni e l’elaborazione elettronica dei dati che interessano ad oggi qualsiasi sistema informativo. La loro importanza è legata alla continua diffusione di servizi web, software di calcolo previsionali di tutti i tipi, sistemi di assistenza computerizzata e molte altre applicazioni a livello industriale e civile al servizio soprattutto di internet provider, banche, industrie, istituti di ricerca ed università.
L’aspetto più importante di un Data Center è la capacità di movimentare un numero di processi e di dati sempre più grande a causa della progressiva digitalizzazione in ambito pubblico e privato. Per questo motivo è stato previsto negli anni un potenziamento del parco installato all’interno dei Data Center e le sale macchine quindi, si sono letteralmente popolate di server di diversa capienza e di diversa configurazione a seconda delle attività presidiate.
Vista la continuità del servizio che una struttura di questo tipo deve garantire e la complessità degli innumerevoli componenti contemporaneamente in esercizio, i consumi di energia elettrica sono ad oggi piuttosto preoccupanti. Secondo i dati statistici dell’Unione Europea, il consumo totale di energia elettrica dai Data Center continentali ammonta ad oggi a 60 TWh e raggiungerà valori intorno a 104 TWh entro il 2020; pertanto senza un elevato livello di efficienza energetica l’intero settore mondiale potrebbe consumare da solo il 20% dell’energia elettrica su scala globale.
Tali voci di consumo non sono però imputabili alle sole attività informatiche. Infatti, per garantire il regolare funzionamento delle varie apparecchiature elettroniche, oltre ad un opportuno sistema di alimentazione è strettamente necessaria l’asportazione dalle sale CED del calore sviluppato dai server, al fine di evitare pericolosi surriscaldamenti delle apparecchiature e il conseguente blocco delle attività. Sotto questo punto di vista è importante anche la scelta di dispositivi elettronici efficienti in quanto una riduzione degli assorbimenti di energia elettrica comporta una minore produzione di calore e di conseguenza minori spese per la climatizzazione del Data Center. A tale scopo è quindi strettamente necessaria una migliore gestione dell’energia e l’adozione di impianti di climatizzazione ad alta efficienza energetica in grado di garantire la continua asportazione del calore prodotto con il minore dispendio di energia elettrica possibile.
2- DATA CENTER: STATO DELL’ARTE
Un centro di calcolo presenta svariate apparecchiature, ognuna delle quali costituita dai corrispondenti componenti, dotati di una efficienza propria che si rifletterà su quella totale del sistema.
Da un punto di vista componentistico si può dunque dividere un centro di calcolo in tre parti fondamentali:
- IT Equipment, che comprende server, desktop, monitor, stampanti etc. per l’elaborazione e il trattamento dei dati (IT= Information Technology);
- Sistemi di alimentazione o power che garantiscono continuità e qualità elettriche alle apparecchiature IT nei quali troviamo principalmente unità UPS (Uninterruptible Power Supply o gruppi di continuità), PDU (Power Distribution Unit o unità di distribuzione dell’alimentazione) e PSU (Power Supply Unit o alimentatori);
- Sistemi Ausiliari che comprendono gli impianti di raffreddamento o cooling della sala, l’illuminazione, sistemi di sicurezza come quelli antincendio e quelli a garanzia della continuità elettrica (gruppi elettrogeni).
Figura 1,1: Schematizzazione a blocchi dell’architettura di un Data Center
2.1- Voci di consumo di un Data Center
Il consumo di energia proveniente dalle apparecchiature elettroniche, responsabili finali del lavoro utile del centro di calcolo, rappresentano il 50% circa degli assorbimenti totali. Il restante è diviso soprattutto tra sistema di raffreddamento, che rappresenta il 30% dei consumi, e alimentazione elettrica. Poiché l’attività principale è rappresentata dagli apparati elettronici di calcolo, è dunque fondamentale minimizzare i consumi legati all’alimentazione e alla climatizzazione.
Il sistema di climatizzazione, in particolare, rappresenta una fetta importante in quanto con l’aumento delle dimensioni dei moderni centri di calcolo, è richiesta un’ asportazione del calore generato sempre maggiore. L'energia consumata dalle macchine elettriche e dalle apparecchiature elettroniche infatti si trasforma in buona parte in calore e deve essere opportunamente dissipato.
Figura 2,1: ripartizione percentuale dei consumi all’interno di un Data Center
Una delle operazioni fondamentali per ottenere una migliore gestione dei consumi all’interno dei centri di calcolo è la misurazione o la stima degli assorbimenti richiesi dalle apparecchiature che lo compongono. Si tenga presente che strutture di questo tipo prevedono un funzionamento continuativo nell’arco dell’intera giornata, spesso con carico costante tra le ore diurne e le ore notturne: pertanto analizzare ogni macchina mettendo in relazione il consumo con il lavoro svolto può comportare nel tempo notevoli vantaggi anche dal punto di vista economico. Oltre al consumo totale è importante anche controllare come si distribuisce l'energia nelle apparecchiature al suo interno. In questo modo, oltre ad individuare le apparecchiature più energivore, è anche possibile identificare macchine le cui funzioni sono inutili e che possono essere spente o messe in stand-by. L’istallazione di strumenti di misura porterebbe ad evidenziare quali sono gli apparati più energivori, aiutando così a scegliere dove intervenire. Una volta ottenute le misure è fondamentale gestire le risorse, ottimizzarle e registrare il tutto per verificare i risultati ottenuti.
2.2-INDICI DI PRESTAZIONE ENERGETICA
Valutare l'efficienza energetica di un centro di calcolo è un’operazione complessa. In teoria, come accade per la maggior parte dei sistemi, il rendimento dovrebbe essere calcolato in base al lavoro utile svolto, ma è difficile individuare un lavoro utile comune per tutti i Data Center. L’obiettivo è quindi quello di individuare un indice comune per definire l’efficienza energetica. A livello internazionale si è scelta la valutazione dell'indice PUE (Power Usage Effectiveness) e del suo inverso DCIE (Data Center Infrastructure Efficiency).
- 𝐏𝐔𝐄 =
𝐏𝐎𝐓𝐄𝐍𝐙𝐀 𝐓𝐎𝐓𝐀𝐋𝐄𝐏𝐎𝐓𝐄𝐍𝐙𝐀 𝐈𝐓
- 𝐃𝐂𝐈𝐄 =
𝐏𝐔𝐄𝟏=
𝐏𝐎𝐓𝐄𝐍𝐙𝐀 𝐈𝐓𝐏𝐎𝐓𝐄𝐍𝐙𝐀 𝐓𝐎𝐓𝐀𝐋𝐄
∗ 𝟏𝟎𝟎
Dove:
- POTENZA IT = somma delle potenze assorbite dagli IT Equipment (server, PC, stampanti monitor, etc);
- POTENZA TOTALE = Potenza Totale comprendente sistemi ausiliari, alimentazione, raffrescamento e apparecchiature IT.
Il PUE e DCiE forniscono dunque un modo per determinare: - le possibilità di miglioramento dell’efficienza di un Data Center;
- la possibilità di confrontare le prestazioni di due o più strutture dello stesso tipo.
Un PUE pari a 3 indica che la potenza richiesta dagli strumenti IT è circa un terzo di quella in ingresso. Il valore ideale di PUE è evidentemente pari a 1, che corrisponderebbe ad un’efficienza energetica del 100% al fronte dell’abbattimento di tutti i consumi non strettamente legati ai calcoli di elaborazione. Secondo alcuni studi, il valore del PUE medio si aggira oggi intorno a 2,5 ÷ 3 .
Per avere una buona efficienza energetica dovrebbe arrivare all’incirca a valori di 1,2÷1,5, valori attualmente raggiunti da server farm come quella di Google, in cui è stato ottenuto un PUE=1,3. La tendenza in atto è dunque quella di avvicinarsi al valore di 1 per ridurre ai minimi termini anche le emissioni di CO2 e di conseguenza gli impatti sull’ambiente: un obiettivo raggiungibile
solo diminuendo sensibilmente il consumo energetico delle macchine e utilizzando fonti rinnovabili e nuove tecnologie per alimentare le stesse e i sistemi di raffreddamento.
Tuttavia il valore del PUE ha dei limiti con riferimento alla confrontabilità, che è uno dei requisiti primari degli indicatori. Ad esempio nel caso di uso del sistema di free cooling per il raffrescamento, la potenza assorbita dai sistemi di condizionamento scenderà di molto quando la sede del centro si trova in luoghi con temperatura molto basse. In questo modo a parità di sistemi di funzionamento power e cooling, un centro realizzato in una località dal clima più caldo avrà un PUE maggiore rispetto ad un altro istallato in un clima freddo.
L’indice DCiE invece, essendo il reciproco del PUE, sarà sempre minore di uno e fornirà valori simili a quelli tipicamente associati al concetto di rendimento.
Figura 2,2: Schema del percorso della potenza totale all’interno di un Data Center
2.3- Assorbimenti di energia elettrica dei componenti
All’interno degli IT Equipment si includono oltre al server, anche sistemi di storage, networking, stampanti, fax e tutte le apparecchiature elettroniche da ufficio necessarie all’elaborazione dei dati. Ognuna di queste componenti è caratterizzata da un consumo energetico che andrà a contribuire a quello dell’intero sistema.
I server rappresentano il cuore di un centro di calcolo e sono pertanto gli elementi più energivori. In commercio sono presenti vari tipi di unità suddivise in base alle loro dimensioni, ai lori usi e alle caratteristiche informatiche che garantiscono.
Al suo interno ogni server racchiude praticamente tutte le componenti di un normale PC. In un sistema di rete aziendale di piccole dimensioni questo è spesso rappresentato da una normale workstation, ma quando sono richieste caratteristiche di elaborazione dati molto elevate, il numero di server necessari diventa importante e pertanto vengono uniti e raccolti in armadi detti “Rack”. Questo termine indica un sistema standard di istallazione informatica di componenti hardware, costituito da una struttura modulare (sostanzialmente un armadio) che può ospitare diverse unità. In questo modo le apparecchiature informatiche risultano ordinate e facilmente accessibili, facilitando le operazioni di gestione e manutenzione.
Figura 2,3: Esempio di Data Center con Server organizzati in Rack
L’abbassamento dei consumi anche di un solo Watt all’interno del server è molto importante dato l’effetto “a cascata” che questo comporta. In questo modo si otterrebbe infatti il duplice vantaggio di un minor consumo di energia elettrica e un minore sviluppo di energia termica da smaltire con conseguente risparmio in termini di raffrescamento.
L’importanza di quanto detto è testimoniato dall’analisi degli assorbimenti di picco dei diversi componenti che caratterizzano ogni singola unità, soprattutto se si pensa che un Rack può contenere anche più di 42 unità.
Figura 2,4: Consumi di picco dei principali componenti
La potenza assorbita dal singolo componente, moltiplicata infatti per il numero di unità in cui esso è presente, porta a potenze che superano la decina di kW per Rack. Considerando inoltre i numerosi Rack che possono essere contemporaneamente in esercizio all’interno della sala CED, si ottengono per ogni Data Center consumi paragonabili a quelli di piccole città.
2.3.2- Processore (CPU)
La CPU, o processore in un server, in quanto responsabile delle maggiori azioni di calcolo, è anche l’elemento di maggiore assorbimento elettrico, variabile in base al numero di operazioni che sta effettuando e alla temperatura operativa. Le dimensioni di tali componenti sono molto limitate e, rapportando la potenza assorbita alla superficie occupata, si hanno valori fino a 40 W/cm2, densità energetica da non sottovalutare. La potenza assorbita da un processore è proporzionale alla frequenza di lavoro ed al quadrato della frequenza di alimentazione. Quindi, riducendo tali grandezze, la quantità di energia richiesta per una certa operazione può essere
ridotta. È ovvio che le prestazioni sono direttamente relazionate alla frequenza e diminuendo questa ci
sarà una diminuzione della velocità di esecuzione della CPU. Per esempio, se per eseguire un calcolo per cui è richiesto il 100% dell’utilizzazione delle potenzialità si impiega un secondo ad una frequenza di 2 GHz, ci vorranno due secondi se si lavora ad 1 GHz. Nel caso di un funzionamento molto discontinuo della CPU, in cui si alternano picchi di richiesta massima di potenza a stati di idle, se si diminuisce la frequenza, il tempo di utilizzazione della CPU aumenterà e si ridurrà la percentuale di tempo allo stato di idle. In questo modo oltre alla riduzione della richiesta di energia data dalla diminuzione della potenza di picco, si avrà anche una riduzione dei carichi di riscaldamento
Figura 2,5: Esempio di CPU
2.3.2- Memoria RAM
La memoria RAM (Random Access Memory) è il secondo più grande consumatore di energia dopo la CPU, con consumi dell’ordine di decine di Watt. È chiaro che la velocità di tale componente influisce sulle prestazioni dell’intero sistema di calcolo, rendendo disponibili dati più o meno velocemente alla CPU per le operazioni richieste. Tramite un sottile ma complicato cambiamento nell’architettura dei semiconduttori si è riusciti oggi ad arrivare ad abbassare le tensioni da 1,5 - 1,8V fino a 1,35V. Tale riduzione si traduce in una notevole diminuzione della potenza assorbita e in una riduzione di calore prodotto. Infatti, l’alimentazione della memoria RAM è sempre costante e non dipende dall’utilizzazione del server, sia in fase di elaborazione, sia in stato di idle. Varia bensì la tensione durante le operazioni di scrittura a lettura della memoria, ma in misura minore rispetto a quella minima assorbita se paragonata con le variazioni legate all’uso della CPU. Pertanto data la tendenza al continuo aumento di RAM per ogni server, la scelta di unità a basso voltaggio può contribuire a conseguire vantaggi dal punto
di vista energetico ed economico.
Figura 2,6: Esempio di Memoria RAM
2.3.3- Blade Server
Ad oggi si sono ormai sviluppati in commercio i cosiddetti “Blade Server”, che hanno dimensioni molto ridotte pur presentando un aumento delle prestazioni e del carico di lavoro. Sono particolari unità server in cui sono montati componenti specifici quali, CPU, Memoria, Hard Disk e sistemi di Input/Output in maniera verticale con sistema di alimentazione e raffreddamento condivisi da più elementi. Secondo alcuni studi i server Blade consumano circa il 10% in meno dei normali server a parità di unità istallate garantendo quindi maggiore efficienza. Date le dimensioni ridotte e l’alta densità dei componenti concentrati nei Blade Server, questi occuperanno meno spazio rispetto a quelli tradizionali di vecchia generazione, ma il sistema di raffreddamento dovrà essere dimensionato in maniera ottimale per non avere problemi di alta temperatura, visto che questo aumento di prestazioni per unità di volume si traduce in un corrispondente incremento dell’energia termica da asportare. In un armadio Rack tradizionale possono essere montati fino a 42 unità di server standard, mentre con gli attuali Blade si possono raggiungere 84 unità. Ipotizzando una potenza media istallata per ogni server di 250 W si arriva ad una potenza di circa 21 kW per armadio Rack.
Figura 2,7: Esempio di Blade Server
3- IMPORTANZA DELLA CLIMATIZZAZIONE IN UN DATA CENTER
Si focalizza a questo punto l’attenzione sull’importanza di asportare il calore sviluppato dalle varie apparecchiature in quanto la funzione dei dispositivi IT, ovvero quella dell’utilizzatore finale che svolge il lavoro del Data Center, può essere garantita solo dalla presenza di un adeguato sistema di climatizzazione. Questo deve essere in grado di smaltire il calore prodotto dagli altri componenti, evitando surriscaldamenti che porterebbero al fermo dei sistemi con i relativi danni per il blocco delle attività, o anche a guasti permanenti.
Per calcolare il carico termico necessario da dissipare all’interno della sala CED si devono tenere in considerazione tutti gli apporti termici presenti: UPS, Server, illuminazione ed eventuale affluenza di persone. Rispetto ad altri locali, quest’ultima voce è molto più marginale. La sala CED è infatti spesso separata dagli uffici, pertanto non sarà soggetta ad una affluenza continua di persone se non per particolari operazioni di monitoraggio, controllo e interventi manutentivi. La potenza termica da dissipare dalle apparecchiature IT è legata alla potenza elettrica assorbita, negli UPS ad esempio varia tra un minimo e un massimo al variare del carico di lavoro mentre per l’illuminazione e le persone, generalmente si ricorre a valori standard di riferimento.
L’impianto di climatizzazione deve dunque essere in grado di smaltire una aliquota praticamente fissa di calore dalla sala e al fine di mantenere sempre temperature operative adeguate al corretto funzionamento dei vari componenti IT. E’ importante dunque l’analisi di sistemi ad alta efficienza che consentano di raffrescare il Data Center minimizzando i consumi energetici. A tale scopo, come già anticipato, è importante anche la scelta di apparecchiature elettroniche in funzione delle operazioni al secondo garantire in rapporto ai Watt assorbiti (Operations per Second/W). Valori elevati di questo parametro testimoniano una maggiore efficienza dell’apparecchio che si intende considerare e comportano dei vantaggi indiretti: una minore produzione di calore che dovrà essere smaltito e una minore necessità di potenza elettrica di cui garantire qualità e continuità.
3.1- Gestione della Temperatura interna e delle condizioni Termoigrometriche
I due parametri da considerare all’interno di un data center sono la temperatura interna della sala CED e la temperatura degli apparecchi che la compongono. L’Ente europeo ETSI (European Telecomunications Standards Institute) con la norma ETSI EN 300 019-1-3 definisce i parametri di temperatura e umidità di lavoro degli apparati di telecomunicazione e la estende anche agli ambienti tipo data center. Si riportano di seguito le tre zone di funzionamento delle macchine definite dalla norma; la zona verde di funzionamento normale, la zona rossa in cui i dispositivi possono operare solo per il 10% della loro vita e quella celeste in cui può operare solo per l’1% del tempo senza degradare le prestazioni funzionali e l’affidabilità del sistema.
Figura 3,1 : Aree di fuzionamento degli apparati
I range di temperatura accettabili all’interno degli ambienti, sono stati invece regolamentati dall’ ASHRAE (American Society of Heating, Refrigerating and Air Conditioning). Questi intervalli di temperatura sono stati presi come riferimento anche all’interno delle linee guida emesse dall’Unione Europea nella forma di un Codice di Condotta per i Data Center (Code of Conduct on Data Center). I livelli di temperatura indicati sono quelli dell’aria in ingresso all’apparato da raffreddare in considerazione. Perciò, nel caso in cui si immettesse aria all’interno della sala a questa temperatura, è di fondamentale importanza che questa non si misceli con quella già calda in uscita dalle macchine. Anche l’umidità della sala CED deve essere tenuta sotto controllo, soprattutto nel caso in cui si sfrutta un sistema free cooling diretto con aria. Spesso, infatti, l’aria esterna molto fredda ha valori di umidità bassi e deve essere umidificata. Per far questo dovremo avere sensori di umidità dell’aria esterna in ingresso. Il controllo dell’umidità nell’aria in ingresso è abbastanza rigido per prevenire eventuali scariche elettriche date da un’umidità troppo bassa e fenomeni di condensazione su superfici fredde.
Figura 3,2: Range di temperatura e umidità relativa consentiti
4- TECNICHE DI RAFFREDDAMENTO
Come anticipato, l’affidabilità del sistema di raffreddamento è una delle caratteristiche fondamentali all’interno di un Data Center dato anche il continuo aumento della potenza elettrica istallata per ogni singolo Rack. All’aumentare della densità di potenza elettrica perciò diminuirà il tempo di intervento nel caso di rottura, prima che si raggiungano temperature critiche. È per questo che a volte si preferisce addirittura abbassare la temperatura della sala di qualche grado, a scapito dei consumi energetici ma a favore di una maggiore affidabilità.
Figura 3,3: Andamento di temperatura in un server nel caso di malfunzionamenti del sistema di raffrescamento
I sistemi di server ad alta densità producono sempre più calore arrivando a dover dissipare anche molti kW per metro quadro di superficie. Questa è la tipica configurazione che oggi è presente nella maggior parte delle sale CED per cui il affreddamento tramite aria che fluisce su un pavimento flottante, spesso utilizzata in questi contesti, a volte non è sufficiente. Nel caso in cui all'interno della sala si presentassero carichi termici per unità di superficie (kW/m2 ) o per unità di armadio Rack (kW/Rack) con differenze rilevanti, è possibile anche utilizzare sistemi di raffreddamento differenti in funzione delle esigenze delle singole aree. Per avere un’istallazione che sia il più possibile efficiente sarebbe consigliabile eseguire un’analisi dei fabbisogni termici del sistema nelle varie situazioni, studiare i flussi di aria del circolo di aria calda e, se possibile, fare anche simulazioni con software fluidodinamici (CFD). In linea di massima si considerano a bassa densità le zone in cui si ha una potenza elettrica istallata per ogni armadio di circa 5 kW, mentre ad alta densità quando si ha una potenza maggiore di 18 kW. Valori di alta densità, come citato, sono facilmente raggiungibili con server Blade.
In base alle esigenze di raffreddamento possiamo avere diversi sistemi di refrigerazione delle apparecchiature:
- Sistemi di climatizzazione tradizionali della sala CED basati sulla formazione di corridoi caldi e freddi;
- Sistema di raffreddamento per file o per unità (armadio rack); - Sistemi di raffreddamento a liquido di precisione dei componenti.
4.1- Climatizzazione per formazione di corridoi caldi e freddi
Secondo questa configurazione il flusso di aria è distribuito in maniera da creare corridoi caldi e freddi tra le file di armadi. Questo sistema è quello più diffuso e può essere realizzato in diversi modi a seconda, per esempio, della presenza di un controsoffitto o di un pavimento flottante nel quale è possibile far fluire aria fredda di mandata o calda di ritorno. In questo caso l’aria fredda esce dalle griglie sul pavimento, viene aspirata all’interno dei server dalle ventole che sono presenti su di essi, raffredda i componenti ed esce dalla parte opposta dell’armadio ad una temperatura più alta. Cosi nella parte di ingresso aria si avrà la formazione di un corridoio freddo mentre in quella di uscita di uno caldo. L’aria calda poi dovrà tornare verso opportune unità interne note sotto l’acronimo di HVAC (Heating Ventilation and Air Conditioning) normalmente disposte ai lati della stanza. Questa, raffreddata a contatto con il circuito ad acqua a pavimento, è reimmessa nei corridoi freddi. Per una buona gestione del flusso di aria il pavimento e il soffitto flottanti dovranno essere dimensionati in base alla presunta quantità di aria che dovrà fluire e perciò in base alle caratteristiche richieste dai singoli armadi. Dato che il pavimento flottante è normalmente utilizzato anche per il passaggio cavi, si dovrà fare attenzione che questi non ostruiscano il passaggio dell’aria fredda. Inoltre si dovrà valutare anche la tipologia di diffusore dell’aria che andrà messo in uscita che influenza la direzionalità e le caratteristiche del flusso.
Figura 4,1: Tipico flusso di aria in una sala calcolo
Rimuovere il calore da ogni singolo armadio può sembrare semplice ma una volta sistemati l’uno vicino all’altro e disposti per file questo risulta più difficile. Uno dei maggiori problemi da evitare è che si inneschi un ricircolo di aria calda all’interno degli apparati elettronici che farà salire eccessivamente le temperature interne. Anche il posizionamento all’interno della sala delle macchine di trattamento aria HVAC e CRAC (Computer Room Air Conditioner) avrà un effetto sulla gestione del flusso di aria. Nella maggior parte dei casi sono posizionate agli angoli della sala ma nel caso si volesse favorire un particolare flusso di aria fredda o ripresa di aria calda, la loro collocazione può variare. Queste scelte però devono essere fatte in fase di progettazione in quanto un successivo spostamento risulterebbe difficile e problematico. È fondamentale perciò fare, in fase di progettazione uno studio di massima su come si potrebbe sviluppare il flusso di aria all’interno della sala per evitare problemi di “hot spot”. Sono possibili molte configurazioni per la gestione del flusso di aria in base alle caratteristiche della stanza in cui si trovano le macchine, alla potenza da dissipare per ogni armadio, e alla scelta del sistema di raffreddamento ottimale per ogni caso specifico.Le griglie in basso da cui esce aria fredda normalmente sono posizionate di fronte agli armadi ma in alcuni casi è possibile anche far fluire l’aria direttamente dalla parte inferiore del rack .
Figura 4,2: Tipiche configurazioni del flusso d'aria in una sala CED
In commercio si trovano anche sistemi che aumentano l’estrazione dell’aria calda nella parte posteriore del rack per evitare la formazione di punti caldi. Questi sistemi possono essere anche istallasti su armadi già esistenti nei quali si volesse aumentare la velocità di efflusso dell’aria.
4.1.1- Accorgimenti pratici di gestione del flusso d’aria
Per gestire in maniera ottimale il flusso di aria ed evitare fenomeni di miscelazione e ricircolo di aria calda si possono utilizzare diversi accorgimenti semplici e poco costosi. Negli armadi in cui non tutti i ripiani dei server sono pieni, le file vuote andranno chiuse con degli appositi panelli per evitare il possibile ricircolo di aria calda.
Figura 4,3: Importanza dei pannelli di chiusura degli spazi vuoti per evitare ricircoli di aria calda
Un altro parametro importante da tenere in considerazione è la portata di aria che esce da ogni singola griglia sul pavimento. Non è detto che aumentando la portata di aria si abbia un effetto benefico, anzi a volte si ottiene come risultato solo uno spreco ulteriore con un mancato raffreddamento. Questo problema per esempio potrebbe essere risolto chiudendo con dei semplici pannelli lo spazio in alto tra un armadio e l’altro, ovvero delimitando il corridoio freddo in modo tale che il flusso di aria fredda non superi l’armadio e bloccando così il deflusso di aria calda dall’altra parte. Una soluzione migliore per evitare miscelazioni di flussi, potrebbe essere anche quella di prevedere delle bocchette di aspirazione in corrispondenza della parte alta della stanza (ovvero la parte calda) in modo tale da ridurre anche la velocità di rotazione dei ventilatori ottenendo un ulteriore risparmio energetico.
Figura 4,4: Inserimento di barriere e prese di aria calda su controsoffitto per evitare miscelazioni
Tuttavia, i parametri principali che influiscono in maniera rilevante sul sistema di climatizzazione e sull’efficienza di un data center, sono la scelta del luogo di costruzione e la sua architettura. Oggi la progettazione architettonica dell’edificio viene fatta intorno alle specifiche delle apparecchiature elettroniche; non è più il centro di calcolo che deve adattarsi alle caratteristiche della sala, bensì è l’edificio che può essere costruito in base alle esigenze dell’ IT.
4.1.2- Accorgimenti sulla scelta dell’edificio
Nella fase di progettazione è fondamentale tenere presenti tutte le buone norme della termotecnica, valutando il fabbisogno energetico della sala senza sovradimensionamenti che potrebbero portare ad un inutile spreco di risorse. È rilevante anche la posizione della sala CED all’interno dell’edificio ed il suo orientamento in relazione ai punti cardinali. Il Data Center è di solito una fonte di calore che deve essere dissipato, quindi si dovranno minimizzare gli apporti solari, scegliendo opportunamente l’orientamento e/o con schermature, etc..
Queste considerazioni ovviamente dipenderanno molto dalle condizioni ambientali specifiche del luogo in cui il centro di calcolo è ubicato. Oltre ai fattori che influenzano la climatizzazione sono molto importanti quelli relativi alla facilità di connessione elettrica e di passaggio dei cavi. Gli stessi cablaggi dovranno essere facilmente raggiungibili per le operazioni di manutenzione e riparazione in caso di guasti e malfunzionamenti.
4.1.3- Accorgimenti sulla scelta del layout interno
La disposizione e la collocazione delle apparecchiature IT all’interno della sala CED può avere forti ripercussioni sui consumi energetici del sistema di raffreddamento poiché una configurazione inadeguata obbliga a movimentare una quantità di aria molto maggiore rispetto a quella effettivamente richiesta dall’apparecchiatura IT.
La classica configurazione a corridoi caldi e freddi, infatti a volte, spinge il sistema di raffreddamento a produrre aria più fredda di quella effettivamente necessaria per l’apparecchiatura IT. La configurazione fisica può persino produrre situazioni in cui le diverse unità di raffreddamento operano in contrasto tra loro. Un caso tipico, in grado di ridurre significativamente il livello di efficienza, è quello in cui un’unità deumidifica l’aria mentre un’altra la umidifica. L’attuale tendenza ad aumentare la densità di alimentazione nelle sale CED, sia nuove che esistenti, amplifica simili inefficienze. La disposizione delle unità Rack è molto importante nel caso si usi un sistema di raffreddamento tradizionale con l’immissione di aria fredda da bocchette sul pavimento flottante. In questo caso infatti è fondamentale ottimizzare i flussi di aria in relazione alle unità presenti ed alle potenze installate.
Se nella sala solo una parte degli armadi Rack sono ad alta densità, si dovrà cercare di distribuirli in modo omogeneo sull’intera superficie in modo da formare evitare la formazione di punti caldi. Per ovviare a questi problemi si può ricorrere alla canalizzazione dell’aria in modo da assicurare che nelle zone più calde arrivi la quantità di aria fredda necessaria a scongiurare pericoli di surriscaldamento.
Nei sistemi tradizionali in cui l’aria di raffreddamento viene distribuita dal basso da dei diffusori sul pavimento flottante la disposizione dei Rack è un fattore molto importante per l’ottimizzazione del sistema di raffreddamento.
Un corretto posizionamento delle mattonelle dalle quali fuoriesce aria fredda può evitare che si abbiano fenomeni di miscelazione tra aria calda in uscita dalle macchine e quella fredda proveniente dal pavimento. Uno scorretto posizionamento dei diffusori potrebbe anche rendere inutile la separazione tra corridoio caldo e freddo con i relativi vantaggi. I diffusori di mandata devono essere posizionati il più vicino possibile alle prese d'aria delle apparecchiature mantenendo l'aria fredda nei corridoi freddi. Nel caso di distribuzione dell'aria sotto il pavimento, bisogna sistemare le mattonelle forate solo nei corridoi freddi. Nel caso in cui invece si avesse una distribuzione dell’aria dall’alto questa potrà risultare altrettanto efficace quanto quella tipica con pavimenti rialzati, ma anche in questo caso i diffusori devono essere collocati solo sopra i corridoi freddi, assicurandosi che il flusso sia diretto verso il basso, nel corridoio freddo. I diffusori in prossimità degli armadi spenti devono essere chiusi, per evitare inutili sprechi. La ripresa dell’aria calda in uscita dalle macchine deve avvenire in maniera molto precisa in modo tale da non dare la possibilità di miscelazione con quella fredda in ingresso. In alcuni casi la ripresa può avvenire tramite una controsoffittatura attraverso bocche di ripresa sopra il corridoio caldo. In alternativa al controsoffitto è possibile usare un sistema di canalizzazione dell’aria che la riporti alla macchina di condizionamento.
Nel caso però non sia possibile l’applicazione né del pavimento flottante, né della controsoffittatura data la particolare conformazione della sala in cui è presente il centro di calcolo, sicuramente si avrà una miscelazione tra aria calda e fredda con la conseguenza di dover raffreddare l’intera aria all’interno della sala con una richiesta di energia sicuramente maggiore. Gli accorgimenti che possono essere presi in questi casi possono essere l’ottimizzazione della disposizione degli armadi Rack per cercare di creare comunque lo svilupparsi di un movimento separato di aria calda rispetto a quella fredda.
Una corretta disposizione delle grate di immissione, delle bocche di ripresa e delle unità di condizionamento dell’aria è uno dei punti più importanti per l’efficienza energetica di un centro di calcolo. Nelle istallazioni esistenti spesso le inefficienze del sistema di distribuzione e ripresa dell’aria possono essere superate attraverso piccoli interventi di canalizzazione dell’aria calda o fredda per evitare miscelazioni. Canalizzazioni che sono economiche e semplici da realizzare senza stravolgere l’intero sistema. Nel caso in cui siano presenti molti armadi con elevata densità di potenza, è possibile anche avvicinarli e creare un’isola calda a più alta temperatura a cui dedicare dei sistemi di raffreddamento ad hoc. Sistemi che potrebbero essere unità di raffreddamento per file da integrare tra due armadi o armadi con all’interno uno scambiatore di calore, che potrebbero integrarsi o sostituire il sistema di raffreddamento già esistente.
4.2- Raffreddamento integrato nei Rack e raffreddamento per file
In sistemi a densità di potenza elevata, superiori anche a 18 kW per Rack sono stati studiati nuovi sistemi di raffreddamento integrati ed indipendenti nell’armadio stesso in cui sono integrati tutti i componenti necessari: raffreddamento, alimentazione, sistemi di sicurezza e antincendio. Il sistema di raffreddamento potrebbe essere costituito da un circuito frigorifero ad espansione diretta totalmente indipendente. Possono perciò essere montati singolarmente senza preoccuparsi di ulteriori sistemi di assistenza. Ci sono sistemi integrati sia per un singolo armadio che per file di armadi collegati insieme, dove si trovano tutti i componenti compresi cavi di alimentazione, cavi di dati che collegano gli uni agli altri, etc..
Gli armadi integrati vengono applicati nei casi in cui non si ha un locale adibito a centro di calcolo o non è possibile istallare sistemi di raffreddamento ad hoc. Il calore asportato dall’interno dell’armadio rack può essere sia liberato nell’ambiente esterno o scambiato con l’impianto di raffreddamento. Sono armadi chiusi ermeticamente all’interno dei quali si crea un continuo flusso di aria opportunamente raffreddata da far circolare nei server, riuscendo a dissipare potenze frigorifere di circa 20kW. Oltre a sistemi integrati nell’armadio, ci sono anche sistemi che possono essere istallarsi come box aggiuntivi sul tetto di ogni singolo rack nel caso il sistema tradizionale non sia sufficiente.
Figura 4,5: Esempio di unità con raffreddamento integrato
Secondo questa configurazione, ogni server al suo interno avrà dunque un proprio sistema di ventilazione per il raffreddamento interno, il quale avrà una sua temperatura impostata da mantenere costante.
Normalmente il sistema di raffreddamento è caratterizzato da dei ventilatori che aspirano aria della sala e la fanno fluire sul dissipatore del processore. Andando a movimentare aria a temperatura più alta per avere lo stesso scambio termico per convezione dovrà aumentare la sua velocità; nei ventilatori però il rapporto della potenza richiesta segue una legge cubica rispetto al rapporto delle velocità di rotazione e perciò si avrà una maggiore richiesta di alimentazione anche per variazioni piccole.
Non sempre però si hanno sistemi di ventilazione a velocità variabile ma ci si può imbattere anche in sistemi a velocità costante ed in questo caso si dovrà stare molto attenti che non si arrivi a temperature troppo elevate.
Figura 4,6: Legge che regola l’andamento della potenza richiesta al variare del numero di giri del ventilatore sul singolo componente
Dalla formula si vede come aumentando anche solo di pochi punti il rapporto tra il numero di giri di ventilazione n [rpm] aumenterà al cubo la potenza richiesta.
Il raffreddamento basato su file di Rack invece consiste nel collocare le unità di condizionamento dell’aria tra le file delle apparecchiature IT piuttosto che lungo il perimetro della sala. Riducendo lo spazio percorso dai flussi d’aria, si diminuisce la miscelazione delle correnti di aria calda e aria fredda, migliorando la prevedibilità dello smistamento. Con l’aggiunta delle ventole a velocità variabile non si spreca energia, dato che la velocità di rotazione, sarà direttamente proporzionale alla quantità di calore da dissipare. Combinando velocità variabile delle ventole e trattamento dell’aria sul posto, si incrementa l’efficienza del sistema di condizionamento rispetto a quello dell’intera sala, inoltre on la disposizione dei sistemi di raffreddamento basati su file, viene mantenuta la formazione di un corridoio caldo ed uno freddo e le unità di trattamento aria sono completamente integrate nella fila.
Figura 4,7: Esempio di raffreddamento per file
4.3- Raffreddamento di precisione a liquido
Il raffreddamento a liquido è un raffreddamento di precisione, in cui non si raffredda l’aria della sala, bensì direttamente il componete elettronico o indirettamente l’armadio rack. La definizione copre vari sistemi di raffreddamento, tutti con la caratteristica in comune di dissipare il calore tramite il passaggio di un fluido molto vicino a dove il calore viene generato. Ci sono sistemi in cui il liquido, normalmente acqua, viene fatto circolare in uno scambiatore all’interno dell’armadio rack che raffredderà così l’aria al suo interno; l’armadio dovrà essere chiuso ermeticamente per non scambiare con l’ambiente esterno. Il sistema di raffreddamento a liquido poi potrà essere integrato ad un sistema free cooling indiretto con ulteriore risparmio. Raffreddare direttamente i componenti permette di non tenere in considerazione la temperatura dell’aria all’interno della sala, fattore che in alcuni casi richiede un notevole dispendio inutile di energia. Rimuovere i ventilatori dall’interno di ogni singolo significa avere a disposizione maggiore spazio eventualmente utilizzabile per l’istallazione di componenti aggiuntivi. La tecnologia che oggi sta avendo maggiore successo, è quella in cui all’interno del rack è presente uno scambiatore di calore dove circola acqua fredda e delle ventole che innescano un flusso di aria che passerà all’interno dei server e poi ritornerà allo scambiatore.
Figura 4,8: Esempio di raffreddamento di precisione
Questa tecnologia potrà essere integrata sia alle unità locali di condizionamento CRAC o essere indipendente. Il costo iniziale è maggiore dei sistemi tradizionali ma i vantaggi dal punto di vista dei costi operativi sono notevoli come dimostra il fatto che questi sistemi sono presenti in molti Data Center. Sotto questo punto di vista una tecnologia di precisione ancora più efficiente che si sta diffondendo in molti centri di calcolo, prevede Il raffreddamento diretto dei componenti tramite piccolissimi canali in cui viene fatto scorrere il liquido per l’asportazione di calore a livello puntuale.
4.4- Free Cooling
Si tratta di una tecnica di raffreddamento che può consentire un rilevante abbattimento dei costi in quanto consente di sfruttare temperature esterne inferiori rispetto alla temperatura richiesta all’interno del locale. Come dice il termine stesso tale tecnica consiste nella produzione di un raffreddamento gratuito, permettendo, quando si hanno temperature esterne basse, lo spegnimento dell’impianto di climatizzazione (o un funzionamento parziale) e quindi un notevole abbassamento dei consumi del sistema. La temperatura dell’acqua refrigerata solitamente negli impianti può variare tra i 7 e i 12 °C quindi soprattutto nel caso di esercizio con una pompa di calore attualmente in commercio, come quella a cui si farà riferimento più avanti, si potrà operare in modalità free-cooling totale o parziale in base a quanto la temperatura esterna sta al di sotto rispetto a quella della mandata all’impianto di climatizzazione interno. Il risparmio energetico sarà quindi tanto più elevato quanto più a lungo durante l’anno la temperatura esterna rimarrà al di sotto della temperatura richiesta per il raffreddamento dell’ambiente. Per questo in molti casi si impone una temperatura di set-point interna più alta di qualche grado, al fine di un maggiore sfruttamento degli apporti gratuiti riducendo le ore di esercizio dell’impianto. L’innalzamento della temperatura interna nella sala CED, per esempio potrebbe portare a due vantaggi dal punto di vista energetico; il primo sarà la riduzione del fabbisogno frigorigeno e di conseguenza il consumo dell’impianto di condizionamento mentre il secondo sarà l’aumento dell’EER del sistema di condizionamento con pompa di calore dato da una temperatura maggiore all’evaporatore.
Come è noto il free cooling si distingue in indiretto e in diretto. Il primo consiste sostanzialmente nel raffreddare in parte o completamente con aria esterna, l’acqua refrigerata dell’impianto di raffreddamento esistente. Il free cooling diretto con aria prevede invece la diretta immissione nella sala CED dell’aria esterna se si trova ad una temperatura minore dell’aria interna. In questo caso la sala CED dovrà essere dotato di un impianto per il trattamento dell’aria (tubature e ventilatori di aspirazione e mandata) che a volte potrebbe essere integrata con quella già esistente con immissione dell’aria dal pavimento flottante. Questo sistema è normalmente integrato con un sistema di ricircolo dell’aria calda interna che viene raffreddata e miscelata con quella proveniente dall’esterno.
Figura 4,9: Esempio di tecnologia Free Cooling
Per avere un numero maggiore di ore di funzionamento in modalità free cooling, la temperatura della sala deve essere il più alta possibile, compatibilmente con l’intervallo di funzionamento degli apparati. In Italia nelle sale di centri di calcolo di sistemi di telecomunicazioni si è arrivati anche ad una temperatura interna di 26 o 29 °C. Il Free Cooling sarà quindi tanto più conveniente quanto più bassa è la temperatura media dell’aria esterna. Tale sistema essendo affiancato al sistema di funzionamento normale nei periodi in cui può essere sfruttato introduce un ulteriore livello di ridondanza. Per sfruttare al massimo questi sistemi è molto importante la gestione. È fondamentale avere un sistema di controllo delle condizioni di temperatura e umidità esterne e interne con un attivazione automatica del sistema quando possibile. Per valutare le ore di funzionamento del sistema free cooling ,è necessario uno studio delle temperature medie delle varie località durante il corso dell’anno e della giornata. È chiaro che il luogo di costruzione del Data Center influisce in maniera rilevante sulle ore di utilizzo di questa modalità. Con questa configurazione, il compressore della pompa di calore può rimanere spento o lavorare parzialmente e la potenza assorbita dai sistemi di raffreddamento può essere notevolmente ridotta; tali fattori contribuiscono ad aumentare l’indice di efficienza energetica PUE.
Talvolta, per la valutazione delle potenziali ore di funzionamento in modalità Free Cooling si potrebbe ricorrere anche a software. A tal proposito, sul sito web del Green Grid, è presente un tool di calcolo (http://cooling.thegreengrid.org/europe/WEB_APP/calc_index_EU.html) grazie al quale, inserendo il luogo in cui è situato il centro di calcolo, la potenza elettrica istallata, le temperature dell’aria all’interno della sala CED ed altri dati relativi al sistema di raffreddamento è possibile fare una stima delle ore di funzionamento annue in modalità free-cooling sia diretto che indiretto ed il relativo risparmio economico.
Figura 4,10: Stima delle ore di funzionamento annue con sistema free cooling in Europa
5- CASO STUDIO
Delineati i consumi che possono interessare l’utenza oggetto di analisi e i vari piccoli accorgimenti per una riduzione degli stessi, si focalizza l’attenzione in modo particolare sullo studio di sistemi di climatizzazione più efficienti e della loro applicabilità a servizio di un Data Center.
Per l’analisi che si intende effettuare si prende in considerazione soprattutto una climatizzazione tradizionale basata sulla formazione di corridoi caldi e freddi. Si parte dunque dal presupposto che le citate unità interne, interfacciandosi con il generico impianto di climatizzazione a servizio dell’utenza, consentiranno un’adeguata movimentazione dei flussi d’aria all’interno della sala CED permettendo dunque l’asportazione della potenza termica generata durante l’esercizio dei vari componenti. Si vuole dunque esaminare l’installazione di una pompa di calore a cui affidare la climatizzazione della sala CED. In modo particolare si vuole analizzare il tentativo di installare una pompa di calore geotermica che, confrontata con la corrispondente soluzione ad aria, potrebbe portare a maggiori efficienze e ad un minore assorbimento di energia elettrica per la climatizzazione di un Data Center.
Per quanto riguarda il fabbisogno energetico, ci si pone l’obiettivo di asportare una potenza termica generata dai server pari ad 1MW in modo continuativo e costante nel corso di tutto l’anno. Considerando che ad oggi esistono impianti di climatizzazione per l’asportazione di decine di MW termici dalle sale CED, si farà riferimento ad un generico Data Center di taglia medio piccola.
5.1- Pompa di Calore: generalità
Le pompe di calore per definizione sono dispositivi che consento il trasferimento di energia termica da una sorgente a temperatura più bassa verso un’altra a temperatura più alta. Questo non contrasta il primo principio della termodinamica dal momento che la quantità di calore che arriva al sistema a più alta temperatura è fornita a spese del sistema a più bassa temperatura. In generale è vero che il calore tende a trasferirsi spontaneamente da un corpo più caldo ad uno più freddo, così come è un liquido scorre dall’alto vero il basso in un campo gravitazionale, è però possibile, fornendo lavoro, invertire il senso del trasferimento del calore, dal più freddo verso il più caldo. Il trasferimento di calore non avviene quindi in modo spontaneo, ma richiede l’introduzione nel ciclo di una certa quantità di lavoro che per queste macchine coincide con l’energia elettrica assorbita da un compressore.
Figura 5,1: Schema ciclo inverso
Si tratta di dispositivi sempre più utilizzati nell’ambito della climatizzazione degli edifici sia in fase di riscaldamento che di raffrescamento, anche in funzione delle varie normative ed incentivazioni in favore del risparmio energetico e dell’efficienza energetica.
Le pompe di calore si classificano in base a vari aspetti che le contraddistinguono. Una prima importante differenza sta nel principio alla base del loro funzionamento, per cui si parla di pompe di calore a compressione di vapore di un fluido frigorifero opportuno, basate sostanzialmente su un ciclo frigorifero usuale, e di pompe di calore ad assorbimento o ad adsorbimento. Le prime, a cui si farà riferimento, rappresentano anche la tecnologia più semplice e più diffusa. In fase di raffrescamento, un refrigerante evapora nella parte fredda del ciclo, assorbendo una quantità di calore d’evaporazione più grande possibile. Dopo la compressione in un compressore, mediante la cessione di calore di condensazione nella parte calda del ciclo, il fluido ritorna nuovamente allo stato liquido e tramite una valvola d’espansione infine il fluido laminato viene portato di nuovo alla pressione d’evaporazione. In caso di riscaldamento il ciclo viene invertito.
Dall’ambiente a temperatura più fredda verrà sottratto calore necessario a far evaporare il fluido refrigerante, il quale in seguito alla successiva compressione verrà portato a temperature tali da poter scambiare con la sorgente da riscaldare. Pertanto il fluido refrigerante, a contatto con le temperature più basse del locale verrà condensato e successivamente laminato per poter poi ripristinare il ciclo.
Figura 5,2: Schema di impianto e rappresentazione del ciclo termodinamico sul piano T-S
Nella configurazione più comune e più generica di macchina reversibile si distinguono dunque due unità principali:
una esterna, in cui sono contenuti il compressore con il relativo motore ed uno scambiatore che funge da evaporatore durante la stagione invernale e da condensatore durante quella estiva, ed una interna contenente l’altro scambiatore funzionate in modo complementare al precedente.
Figura 5,3 (a): Schema di funzionamento invernale Figura 5,3 (b): Schema di funzionamento estivo
Come si nota dalle figure, il fluido esterno nel primo caso scambia calore col fluido refrigerante nell’evaporatore, mentre nel secondo caso lo scambio avviene nel condensatore. E ugualmente avviene per l’acqua dell’abitazione.
Le pompe di calore in cui vi è la possibilità di funzionare sia in estate che in inverno, quindi, devono essere provviste di un circuito ausiliare e di valvole che guidino i due fluidi al giusto scambiatore.
Il fluido refrigerante viene scelto con un campo di temperatura e pressione particolare, in modo da evitare infiltrazioni di aria nel circuito. Tralasciando gli altamente inquinanti clorofluorocarburi, il cui utilizzo è stato bandito in quanto l’alto contenuto di cloro danneggiava l’ozono atmosferico, i fluidi più comunemente utilizzati nell’industria frigorifera e delle pompe di calore erano i freon, o R22, derivati alogeni degli idrocarburi (HCFC), che sono stati però abbandonati anch’essi, nel 2005, perché dichiarati responsabili dell’allargamento del buco dell’ozono e sostituiti da miscele di HFC (fluoro-carburi idrogenati), meno nocive. Per il funzionamento della pompa di calore, è sicuramente da ricordare la miscela R407C, composta da R32, R125 e R134a, nella misura del 23,25 e 52% in peso; Non contenendo cloro, l'R407C non danneggia l'ozono atmosferico, inoltre presenta un potenziale di effetto serra inferiore all'R22. Un’ulteriore alternativa è rappresentata dal ritorno all’utilizzo dei refrigeranti naturali, a impatto limitatissimo sull’ambiente, in quanto privi di cloro e di fluoro, come: l’ammoniaca (R717), gli idrocarburi propano (R290), propilene (R1270) e isobutano (R600), l’acqua (R718) e l’anidride carbonica (R744). In particolare, per le pompe di calore, è in corso di studio la possibilità di utilizzare il propano R290, il quale però presenta problemi di infiammabilità che, in caso di non adeguata messa in sicurezza, impediscono il suo utilizzo a norma di legge. Tutti questi fluidi sono stati e vengono utilizzati in quanto presentano un buon effetto frigorifero, cioè hanno a disposizione una quantità di calore necessaria all’evaporazione dell’unità di massa di sostanza nell’evaporatore.
Le performance energetiche di macchine di questo tipo vengono valutate mediante la definizione di un coefficiente di prestazione COP , definito come il rapporto fra l’effetto utile (potenza ceduta ai locali in inverno e sottratta ad essi d’estate) e la potenza meccanica spesa. Si tratta di un coefficiente sempre maggiore dell’unità che può essere definito a seconda della funzione di riscaldamento o di raffrescamento.
In generale in fase di riscaldamento si parla di COP mentre in fase di raffrescamento si parla di EER, coefficienti che indicano sempre il rapporto tra l’effetto utile e l’energia spesa per ottenerlo e definiti come:
𝐶𝑂𝑃 =𝑄𝑐 𝐿
𝐸𝐸𝑅 =𝑄𝑓 𝐿
In base agli standard attuali, in particolare la normativa EN 14511:2013, i costruttori di pompe di calore definiscono i loro coefficienti di prestazione in funzione delle temperature dei fluidi in uscita, lato utenza e lato sorgente.
𝐶𝑂𝑃𝑖𝑑 = 𝑇𝑐𝑜𝑛𝑑,𝑜𝑢𝑡
𝑇𝑐𝑜𝑛𝑑, 𝑜𝑢𝑡 − 𝑇𝑒𝑣𝑎, 𝑜𝑢𝑡
𝐸𝐸𝑅𝑖𝑑 =
𝑇𝑒𝑣𝑎,𝑜𝑢𝑡
𝑇𝑐𝑜𝑛𝑑, 𝑜𝑢𝑡 − 𝑇𝑒𝑣𝑎, 𝑜𝑢𝑡
Figura 5,4: Andamento del COP in funzione della Temperatura della Sorgente e della Temperatura di mandata dell’utenza
Dal punto di vista energetico la generazione termica con PDC geotermica è generalmente più efficiente dei sistemi tradizionali. Tuttavia il confronto non si deve basare soltanto sui parametri prestazionali sopra definiti perché l’energia elettrica utilizzata dal compressore non è una fonte energetica primaria come lo è ad esempio il gas naturale utilizzato da una caldaia.
Per ricondursi alla fonte primaria utilizzata sono stati utilizzati nelle valutazioni finali i parametri utilizzo di energia primaria (UEP) e risparmio di energia primaria (PES) definiti, per un certo periodo di riferimento (una stagione o un anno), come segue:
𝑼𝑬𝑷 = 𝑬𝒑𝒅𝒄 €𝒑𝒅𝒄∗ 𝛈𝒑𝒆 + 𝑬𝒂𝒖𝒙 𝛈𝒂𝒖𝒙 𝑷𝑬𝑺 =𝑬𝒂𝒖𝒙,𝒐𝒍𝒅 𝛈𝒐𝒍𝒅 − ( 𝑬𝒑𝒅𝒄 𝛈𝒂𝒖𝒙∗ €𝒑𝒅𝒄 + 𝑬𝒂𝒖𝒙 𝛈𝒂𝒖𝒙)
Dove 𝐸𝑝𝑑𝑐è l’energia fornita dalla pompa di calore di nuova installazione, €𝑝𝑑𝑐è il coefficiente
di prestazione medio della PDC, ovvero il COP per l’inverno ed il EER per l’estate; η𝑝𝑒 è il
rendimento medio europeo del parco di produzione dell’energia elettrica, calcolato secondo i dati EUROSTAT (pari a 43,7% nell’anno 2014); 𝐸𝑎𝑢𝑥 è l’energia fornita dai sistemi ausiliari (caldaia/chiller); η𝑎𝑢𝑥è il rendimento di generazione termica dell’impianto ausiliario (pari a 0,9
per la caldaia e 𝐶𝑂𝑃 ∙η𝑝𝑒 per il chiller (PDC aria-acqua (air-source heat pump, ASHP)); 𝐸𝑎𝑢𝑥,𝑜𝑙𝑑 è
l’energia fornita dal sistema ausiliario prima dell’installazione del nuovo sistema.
Gli scambiatori delle pompe di calore possono interagire con vari tipi di sorgente sia esterna che interna. Come mostrato in figura le sorgenti esterne possono essere: aria, acque superficiali (corsi d’acqua, laghi, mare) o profonde (pozzi), reflui urbani o di processo, oppure il terreno. I relativi scambiatori sono caratterizzati da una temperatura di ingresso ed una di uscita e da una temperatura media logaritmica delle due, che può essere considerata come temperatura di riferimento per la sorgente. Per quanto concerne l’interno, il mezzo con cui interagisce il refrigerante può essere aria per i cosiddetti sistemi a espansione diretta, cioè per quei sistemi in cui il fluido frigorifero è lo stesso che percorre i terminali d’impianto. Per esempio questo è quanto avviene nel caso dei sistemi mono e multisplit, in cui ad un apparecchio esterno in cui è contenuto le scambiatore esterno, il compressore e la valvola di laminazione corrisponde uno o più apparecchi interni in cui è collocato la scambiatore interno. Altro mezzo può essere l’acqua che, inviata nel relativo scambiatore della pompa di calore (in genere a piastre) va ad alimentare l’impianto di climatizzazione interna. Perciò, in relazione a tale classificazione si possono avere le seguenti combinazioni.
Figura 5,5: Possibili combinazione delle sorgenti interne/esterne
5.2- Sorgente Geotermica
Il terreno è un fornitore di calore ideale. Già a circa 10 metri sotto la superficie terrestre nel sottosuolo si registra una temperatura più o meno costante durante tutto l’arco dell’anno. Con l’aumento della profondità la temperatura del sottosuolo aumenta di circa 3 K ogni 100 metri. Fino a 15-20 metri di profondità, la temperatura della crosta terrestre può essere influenzata dalle variazioni climatiche stagionali; al di sotto di tale profondità invece, si riscontra una zona di omotermia dove appunto la temperatura si mantiene costante tutto l’anno per effetto del bilanciamento tra il flusso di calore che proviene dal nucleo e dal mantello terrestre, gli apporti di energia solare alla superficie terrestre e talvolta il contributo dell’energia apportata dalle acque sotterranee.
Figura 5,6: Andamento della Temperatura in funzione della profondità
Nella maggior parte delle regioni italiane, indipendentemente dal tipo di roccia, dall’assetto geologico-strutturale e dalla stratigrafia, in queste zone la temperatura disponibile è compresa tra i 12° e i 16°; continuando a scendere in profondità la temperatura aumenta mediamente di 3°C ogni 100 m secondo il gradiente geotermico. Solitamente il calore immagazzinato nelle rocce a 500 m è di circa 25-30 °C e di 35-45 °C a 1000 m; in casi meno comuni può raggiungere e superare persino i 200°C.