2. ANALISI DEI CAS
2.1 Cassa di Risparmio di Lucca
La Cassa di Risparmio di Lucca nacque il 9 luglio 1835 per volontà del Duca di Lucca Carlo Lodovico, figlio di Maria Luisa di Borbone, su proposta del suo consigliere il Marchese Antonio Mazzarosa. Gli intenti, derivanti da un breve scritto contenente 5 soli articoli, erano favorire il “buon costume” e la “quiete” della popolazione, anche per via dei tumulti passati che avrebbero potuto nuovamente compromettere la tranquillità sociale (Fanfani et al. 1987).
Antonio Mazzarosa, Eusebio Giorgi, Nicolao Giorgini, Carlo Massei e Antonio Ghivizzani furono i principali promotori dell’iniziativa animati sia da filantropismo, ma anche dal reale desiderio di trovare gli strumenti necessari a
stimolare la crescita dell’economia locale. Utilizzando ogni mezzo disponibile decisero di premere il governo per l’istituzione di una Cassa di Risparmio di Lucca autonoma dalle altre vicine esperienze (Firenze), ma soprattutto non vincolata da collegamenti di qualsiasi genere con preesistenti enti morali.
A Lucca il ‘motu proprio’ del Duca attivò il meccanismo per la fondazione della Cassa dopo che un attento lavoro di promozione culturale e per la raccolta delle adesioni attorno all’idea era stato portato avanti.
L’iniziativa quindi non parte “dal basso”, così come confermato dalle sottoscrizioni iniziali di capitale che furono ad opera dello stesso Carlo Lodovico, del principe ereditario Ferdinando e dell’Arcivescovo Stefanelli. Le restanti azioni furono sottoscritte da notabili, appartenenti ai ceti di rango elevato e medio della comunità locale e da operatori economici e professionisti.
La sottoscrizione iniziò il 10 dicembre 1836 (prima riunione dell’assemblea) – quando vennero sottoscritte 119 azioni alla presenza di 63 soci – e terminò il 7 gennaio 1837, quando risultarono collocate 139 azioni per l’importo di 1.668 scudi (12.510 £).
E’ al termine della seconda sottoscrizione, inoltre, che venne presentato in assemblea il testo del Regolamento articolato in 88 punti (approvato con 55 voti su 57 presenti), che rappresentò la base per l’avvio e per il primo funzionamento della Cassa attraverso il quale avvenne la discussione sulla nomina delle cariche sociali.
Oltre all’elencazione degli enunciati di principio sulla nuova Società e sugli aspetti funzionali più qualificanti, il Regolamento conteneva il codice di comportamento per ogni aspetto dell’organizzazione e dell’amministrazione della Cassa. Si trattava in sostanza del primo Statuto utile sia per l’individuazione legale dell’iniziativa, che per la spiegazione e per il coordinamento della funzionalità dell’Istituto.
Il numero dei soci non poteva essere superiore a 150 e tutti dovevano essere domiciliati nel Ducato; ogni azione aveva valore di scudi lucchesi 12 (art.3).
E’ da sottolineare che non fu prevista la successione per eredità dei soci, nonostante nei primi anni richieste di riconoscimento in tal senso furono avanzate al Consiglio di amministrazione anche da donne.
L’ammissione dei nuovi soci era competenza del Consiglio di amministrazione e le azioni non erano cedibili per nessuna ragione: l’erede del socio, perciò, poteva restare nella condizione del ‘de cuius’ solo dietro parere favorevole del Consiglio di amministrazione ed in caso contrario venivano rimborsate le azioni qualora gli eredi lo avessero richiesto.
Solo i soci potevano ricoprire cariche direttive all’interno della Società.
Ulteriori norme regolavano il funzionamento della Cassa, la composizione del Consiglio di amministrazione (12 membri) e le competenze di questo. Il direttore era autorizzato ad impiegare il denaro della Società fino alla cifra di 1.500 £; per somme superiori era necessario il parere del Consiglio. Al direttore spettava la gestione della società e dei fondi raccolti tramite i depositi.
Due soci erano eletti ogni mese quali commissari con obbligo di assistere alla cassa, a turno, nei giorni in cui questa era aperta ed erano esclusi dal ruolo di commissari i consiglieri.
Il cassiere era responsabile della cassa e doveva essere persona tale da dare sufficiente garanzia di moralità e di consistenza patrimoniale propria.
Titolo per titolo il Regolamento passava in rassegna tutte le operazioni di competenza del cassiere – come in precedenza per il direttore - che ogni anno doveva redigere la relazione sulla sua gestione e nel suo lavoro era affiancato dal computista. I ruoli previsti erano 1 per il cassiere, 1 per il computista ed 1 per il custode.
L’assemblea dei soci nominava il Presidente, il Vicepresidente, i consiglieri, il
direttore e i commissari. La carica di Presidente durava 3 anni così come quella del segretario e del direttore. Le riunioni della Società per essere legali dovevano registrare la presenza di 1/3 dei soci aventi diritto di voto e le delibere venivano approvate con maggioranza semplice. Per le modifiche del Regolamento era prevista la presenza di almeno la metà dei soci e la maggioranza di 2/3 dei voti. L’assemblea si riuniva una volta all’anno in forma ordinaria a dicembre, ed
eleggeva due censori che avevano il compito di esaminare il bilancio dell’anno che stava per finire.
Le norme sono comuni a molte altre istituzioni, compresa quella che prevede le finalità al di fuori di interesse o lucro (art.63) per i soci, e quella che regola la funzione di costituire una Società avente come obiettivo la raccolta dei depositi. Gli articoli 65-67 contenevano i termini di validità delle operazioni sia di deposito che di prelievo, in una normativa che investiva l’essenza stessa della Cassa, come dimostrerà la pubblicità e la presentazione ufficiale della nuova Società. Depositi e prelievi erano registrati in un apposito libretto al portatore, conservato dal depositante e la contabilizzazione degli interessi avveniva con una procedura tale che, tenendo conto dei ventesimi e dodicesimi della lira, finiva per scoraggiare importi frazionati.
Il Monte Pio nel ‘motu proprio’ era posto a salvaguardia della nuova società, quando questa aveva bisogno di denaro << per dimande di restituzione di depositi>>, dietro presentazione di <<pagherò>> firmati dal direttore della Cassa stessa; nessun interesse era da corrispondere al Sacro Monte qualora la somma del detto <<pagherò>> fosse stata restituita entro un mese, oltre tale termine il tasso d’interesse sarebbe stato del 4%: la somma dei <<pagherò>> che il direttore poteva firmare per simili operazioni non poteva superare £ 22.500 (Fanfani et al. 1987).
Il tasso d’interesse passivo era stabilito al 4% (tale rimarrà fino al 1895), quello attivo <<non potrà mai superare la ragione del 5% all’anno>> (art.83). Gli impieghi erano regolati dagli articoli 81-85: <<Nell’impiego del denaro deve
aversi principalmente in mira il pubblico vantaggio e il maggior bene della popolazione>> (art.82) e per ottenere questo <<verrà data la preferenza agli imprestiti alle comunità o altre amministrazioni per la esecuzione dei pubblici lavori; in secondo luogo ai cottimanti di questi; finalmente ai particolari che offrono idonee garanzie>>.
Vi è in questo enunciato un vincolo determinante per il successivo sviluppo, almeno fino al 1886, quando il nuovo Statuto ed una diversa realtà modificheranno tale limite iniziale. L’articolo 85 prevedeva la possibilità di
prestiti dietro cessione di stipendio per i dipendenti pubblici, fino all’importo corrispondente a 2 mensilità circa e comunque per un importo non superiore a scudi 1.000, pari a £ 7.500, quale impiego globale della Cassa per prestiti ad impiegati.
Il Regolamento che si chiudeva con 2 articoli di norme transitorie sarà oggetto di successive leggere modifiche (1840-1841-1845), senza che vi siano mutamenti sostanziali, ma finendo per essere lo strumento operativo unico per la vita della banca stessa fino al 1886. Trascorrono cioè quasi 50 anni durante i quali poco o nulla viene cambiato e l’elaborato della commissione ispirato al Regolamento in vigore a Firenze, consentirà la sopravvivenza e la crescita della nuova società, tanto tenacemente perseguita dai suoi primi promotori.
Approvato il Regolamento, la successiva riunione della società si svolge il venerdì 10 marzo 1837 e i 50 presenti votano in maggioranza (34) la candidatura di Nicolao Giorgini quale primo Presidente effettivo della Cassa di Risparmio di Lucca. Direttore viene nominato (32 voti) il conte Amedeo Cenami, Vicepresidente il sacerdote prof. Michele Bertini (37 voti), conferma delle cariche provvisorie della prima assemblea; a Bertini viene affiancato quale secondo Vicepresidente l’avvocato Carlo Massei (27 voti), mentre è nominato segretario Antonio Ghivizzani (28 voti).
Nella stessa seduta è eletto il primo Consiglio di amministrazione che oltre al Presidente, ai due vicepresidenti, al segretario e al direttore (con voto solo consultivo) risulta composto da Serafino Lucchesi, dal marchese Cesare Boccella, da Giuseppe Giorgi, Vincenzo Puccianti, dal marchese Gio. Batta Mazzarosa, da Francesco Carrara e da Angelo Santini.
E’ la prima volta che l’assemblea dei soci si riunisce dopo l’approvazione sovrana del Regolamento e dopo dunque la sua legale costituzione, ed è infatti la prima volta che il verbale dell’assemblea viene trascritto nel registro dei Processi
Verbali della Società.
Raggiunto l’assetto dirigenziale e funzionale, il Consiglio di amministrazione si riunisce nella prima adunanza il 20 marzo 1837. Nella riunione vengono passati in rassegna i numerosi problemi che si ponevano per giungere all’apertura della
Cassa e prima di tutto la maggiore preoccupazione era rivolta allo studio di quelle forme che avrebbero consentito un’adeguata presentazione alla città e un agile svolgimento della vita sociale. A tale proposito venne deliberato di stampare 1.500 moduli per la convocazione degli organi sociali e 500 copie del Regolamento, da poter distribuire e far circolare. Nella medesima ottica venne nominata una commissione del Consiglio formata da Massei, Giorgi, Ghivizzani, Carrara, Mazzarosa e Bertini con il compito di indicare <<l’ordinamento da darsi alla Cassa e specialmente all’amministrazione, e quindi proporre tutti i metodi, le istruzioni e le discipline necessarie per l’organizzazione e l’avviamento della Cassa stessa>>.
Si tratta di una scelta utile e carica di risultati, dato che da quella scaturirono le <<istruzioni>> - a firma di Carlo Massei – per la conoscenza e per la presentazione della banca al di fuori della cerchia dei soci e da essa scaturirono anche le linee originali del comportamento e del funzionamento della Cassa, nella stipula di documenti decisamente significativi per comprendere e per leggere storicamente il complesso dell’iniziativa.
Dal 20 marzo in poi il Consiglio di amministrazione prende a riunirsi con assiduità e fin dalla seconda adunanza vengono stabiliti ruoli e competenze degli impiegati previsti dal Regolamento e definiti nel Regolamento di disciplina degli
impiegati elaborato da Ghivizzani.
Il 10 agosto 1837 il Presidente della Società faceva affiggere l’avviso di apertura dell’ufficio per la raccolta dei depositi dalla prima domenica di settembre. La vita dell’Istituto iniziava e l’assetto datosi attraverso qualche mese di studio, mostrava di godere la fiducia generale nella prima difficile fase di attività, sia pure nel sorgere di problemi che andavano dal collegamento tra la raccolta dei depositi e lo sviluppo economico locale, alle complicazioni interne che porteranno alla ‘latitanza’ dell’assemblea dei soci dalla sedicesima seduta (1849) alla centotrentanovesima (1886).
Merita conto soffermarsi sulla ‘carta di presentazione’ della Cassa alla città ed all’ambiente esterno, contenuta nei 20 articoli del Manifesto diffuso il 10 agosto 1837 assieme all’avviso dell’apertura.
Nonostante le origini “altolocate”, il Manifesto intendeva esprimere l’idea di una Cassa concepita come “salvadanajo dei poveri”. Esso concepiva il risparmio come strumento della popolazione per tutelarsi contro le malattie, la vecchiaia e la miseria, promuovendo l’educazione al risparmio per sollevare le fasce popolari più povere.
Prima, quindi, di aprire lo sportello la Cassa avverte la necessità di diffondere la propria immagine tra la popolazione e di stimolare la mentalità sia dei cittadini che dei contadini sui benefici derivanti dalla pratica del risparmio.
I fondatori della Cassa si rendono perciò promotori di iniziative che avvicinino alla nuova istituzione quante più persone possibili: dalle notizie di stampa nei periodici locali, alla presentazione dell’iniziativa nelle sedi di dibattito culturale e nei salotti della città.
Ma il grande pubblico, quello per cui la Cassa si è organizzata, non può essere raggiunto attraverso quei canali, sia perché l’analfabetismo era elevato, sia perché solo pochi privilegiati e benestanti animavano la locale vita culturale. Si utilizzano allora avvisi da affiggere dove venivano collocati i fogli e i proclami per le manifestazioni o per le scadenze pubbliche più importanti e si provvede alla stampa di istruzioni che hanno per oggetto la spiegazione delle finalità della Cassa stessa e del suo funzionamento. Tali agili fascicoletti vengono distribuiti ai parroci, ai maestri, alla Casa dei mercanti o Camera di Commercio (come già allora si chiamava), ai comuni della provincia, ai notai ed ai professionisti in genere. Solo così la Cassa poteva sperare di perseguire il proprio obiettivo e di iniziare un progressivo anche se non facile inserimento nella vita e nella mentalità economica degli abitanti dello Stato.
Il libretto dal titolo Manifesto ed istruzioni per chi desidera prevalersi della
Cassa di Risparmio è firmato da Nicolao Giorgini e da Antonio Ghivizzani per la
parte del Manifesto; mentre per la parte Istruzioni per chi desidera prevalersi
della Cassa di Risparmio la firma è di Carlo Massei. Manifesto ed Istruzioni
sono diffuse assieme ad un breve saggio a firma di Raffaele Lambruschini di Firenze dal titolo Chi s’ajuta Iddio l’aiuta o vantaggi della Cassa di Risparmio.
Il primo concetto espresso nel Manifesto va nella direzione della centralità del risparmio quale mezzo per tutelare la propria vita contro le avverse sorti della vecchiaia e della malattia. La Cassa è presentata come: <<un salvadanajo in cui si mettono di mano in mano i soldi ed anche le lire, si levano poi tutti insieme che sono scudi>>. La Cassa come salvadanaio è un concetto tipico del periodo, comune a tutta la letteratura sull’argomento. Vi è in ciò l’allineamento del gruppo Massei, Bertini, Giorgini, Ghivizzani con le principali elaborazioni avanzate sia dai promotori della Cassa di risparmio di Firenze che da altri che in quello stesso periodo operano nella medesima direzione.
Posto in apertura il concetto di salvadanaio, l’aspetto che diviene centrale è quello dell’educazione al risparmio per la popolazione e di incentivazione alla lotta contro la miseria, per il sollevamento delle fasce più povere della società locale. Anche in questo si guarda a Firenze e si ricalcano le linee elaborate nel capoluogo del Granducato, linee comuni alle direttrici ed agli obiettivi espressi dalle numerose casse italiane ed estere che vanno nascendo in quel momento. Lo scopo principale che anima i fondatori della Cassa è dunque l’educazione al risparmio, educazione da riservare in particolare alle categorie economiche più deboli e più disinformate.
In Italia – continua il Manifesto – le Casse di risparmio sono cresciute in gran numero in pochissimo tempo e a Roma lo stesso Pontefice ha favorito l’iniziativa; in Toscana, oltre a Firenze, altre città si sono attivate per istituire una propria Cassa, come Pisa, Prato, Pistoia, Livorno, Cortona, Figline, San Miniato, spesso succursali della Cassa di Firenze o dirette emanazioni di quella. A Lucca il Sovrano si è fatto promotore dell’iniziativa stilandone la fondazione e consentendo la vissuta autonomia civile e politica di Lucca nei confronti degli altri Stati, compreso il Granducato della Cassa per il sollevamento delle categorie inferiori. Del resto poter mettere tra i soci fondatori il capo dello Stato e la massima autorità ecclesiastica rappresenta una crescita della forza di penetrazione contenuta nell’istituzione della Cassa.
Nella sua prima parte il Manifesto, dopo avere avanzato le dichiarazioni di principio, si compone di 20 articoli che riprendono i contenuti di alcuni articoli
del Regolamento, adattandoli ad un pubblico più vasto di quanto lo fosse l’assemblea dei soci e trasformandoli dalla forma burocratica del primo Statuto della Cassa.
La nuova istituzione è una Società di privati – si legge – i quali <<presteranno ed hanno prestato gratuitamente l’opera loro>>, Società che inizierà ad operare di domenica, così com’è stato approvato dall’Arcivescovo <<per utile di chi vive del proprio lavoro>>.
La scelta della domenica per effettuare i depositi è esplicitamente motivata dal fatto che la paga settimanale da parte dei salariati agricoli, dei braccianti urbani e degli operai, si riscuote al sabato, per cui la Cassa si pone ad operare tra il momento della riscossione ed il pomeriggio della domenica, in un’evidente anche se non dichiarata fase di intervallo tra il ricevimento della paga e la visita all’osteria. Aprire per ricevere i depositi nel giorno di festa significa quindi sia spezzare il percorso normale della gente tra la chiesa e l’osteria, usuale dopo la messa festiva, che consentire a tutti di poter utilizzare del servizio di <<salvadanaio>> della Cassa data la non concomitanza con il lavoro.
Si riprende alla lettera il Regolamento nel definire come ogni versamento non possa essere inferiore a 5 soldi e superiore a 30 £ in un’unica operazione (art.5); il tasso d’interesse è del 4% e decorrerà dal giorno successivo al versamento solo però quando sarà raggiunto il deposito minimo fruttifero di 1 £ (pari a 20 soldi). Se il primo deposito sarà superiore a 15 £, gli interessi decorreranno solo dopo due settimane dal versamento. Nel computo degli interessi non vengono considerate le frazioni di lira (soldi e denari) e nemmeno i giorni intermedi alla quindicina.
Per favorire il piccolo risparmio, l’art. 8 del Manifesto fissava che il singolo depositante non poteva superare le 1.500 £ sul libretto: infatti oltre tale soglia il deposito era infruttifero (Fanfani et al. 1987). Tale limitazione fu più volte modificata nei decenni a seguire per andare incontro alle esigenze della clientela. Se nella premessa e nei contenuti dei primi articoli emerge il preciso disegno della Cassa a perseguire l’obiettivo di stimolo al piccolo risparmio, l’articolo 8 evidenzia quelle norme che caratterizzano le Casse ottocentesche di delimitazioni
ai depositi, in coerenza alla loro iniziale funzione. Le somme dei versamenti di una sola persona non possono infatti superare 1.500 £ totali sul libretto, quali depositi fruttiferi: oltre tale limite il deposito è infruttifero. Qualora poi il deposito giunga a 7.500 £, per effetto degli interessi maturati negli anni sul massimo di 1.500 £, oltre quell’importo il deposito resta completamente infruttifero.
La giornata dedicata ai prelievi è il venerdì: nella coerenza verso una scelta significativa, così come quella della domenica per i versamenti, in modo tale da scoraggiare o creare pratiche difficoltà per il ritiro dei risparmi. Ogni prelievo è esigibile all’atto della domanda solo se di importo non superiore a £ 30, diversamente occorrono due settimane di preavviso. Gli interessi vengono calcolati fino al giorno della domanda di prelievo. Se in ciò vi predomina la logica aziendale di ottenere i massimi benefici possibili per l’Istituto, nell’ottica dei fondatori della Cassa la preoccupazione era anche orientata nel creare tutte le difficoltà possibili e nell’escogitare meccanismi che scoraggiassero il prelievo, per un problema di educazione al risparmio e di coerenza con gli enunciati ‘sociali’ della Cassa stessa.
I libretti di risparmio erano ormai pronti con all’interno la firma del Presidente e del segretario della Società. Il documento è al portatore e sarà affidato con tutte le raccomandazioni ai depositanti a cominciare dal 1 settembre 1837.
Il Manifesto prosegue nell’elencazione dei componenti il primo Consiglio di amministrazione della Cassa, tutti uomini già impegnati nel governo dello Stato o comunque noti negli ambienti e nella vita pubblica.
I commissari scelti per il primo anno e annunciati nel Manifesto sono il cavaliere Alberto Alberti, il notaio Francesco Bertocchini, l’avvocato Antonio Giannelli, il professore Giuseppe Giannelli, il canonico Nicolao Parenzi, Francesco Bossi, Giovanni Chicca, Nicolao Franceschini, Alessandro Gerli, Francesco Landucci Bandettini, il dottore Michele Moriani, Benedetto Simonetti: dodici uomini preposti due al mese al controllo delle operazioni e destinati a ricevere i clienti per risolvere o ascoltare eventuali problemi.
I commissari, come i censori che controllano i bilanci annuali, sono scelti naturalmente tra i soci. Anche gli impiegati vengono presentati alla città: si tratta del cassiere Francesco Menicucci, del computista Pietro Marcucci e del custode Bernardo Della Santa. Ad eccezione del Marcucci gli altri due sono piuttosto giovani e tutti ben noti in città in quanto impiegati pubblici. Il Menicucci deve offrire un’ipoteca del valore di 2.000 scudi per poter assumere il ruolo di cassiere, quale garanzia nell’espletamento del proprio lavoro: la somma è di tutto