il 31 decembre 1838 le entrate derivanti dai “frutti” ammontavano a £ 5.231,16 ,
2.2 Cassa di Risparmi di Livorno
La Cassa di Risparmi di Livorno nacque operativamente nel 1836 come ‘costola’ della Cassa di Firenze per motivi filantropici, ma su iniziativa di diverse élites locali, il 22 maggio 1835 in seguito al necessario atto di approvazione (Fettah 1997).
Il progetto di una società anonima per azioni, diretto ad istituire una cassa di risparmio, venne redatto nell’aprile del 1835. I compilatori erano 6 fra i maggiori esponenti del ceto mercantile locale: Carlo Grabau, Cristiano Augusto Dalgas, Luigi Fauquet, Santi Mattei, Luigi Giera e Carlo Sansoni che dichiararono di essere spronati dai potenziali benefici che potevano derivare verso “la classe meno agiata del popolo” (Documenti 1836).
Il progetto prevedeva la costituzione di una società anonima autorizzata dal governo ed il capitale sociale sarebbe dovuto ammontare a 10.000 £ toscane, diviso in 100 azioni da 100 £ ciascuna.
La Cassa di Risparmi di Livorno avrebbe dovuto agire come affiliata di prima classe della Cassa Centrale di Firenze e costituire presso la Cassa Centrale una dote fruttifera di 8.000 £ prelevate dal capitale sociale. Nel caso che le operazioni della Cassa di Livorno non avessero consentito di provvedere alle spese di amministrazione, l’attività avrebbe dovuto continuare fino all’esaurimento del
fondo sociale. Qualora vi fossero stati degli utili, sarebbero stati erogati a titolo di rimborso ai soci e in proporzione al capitale versato.
La rappresentanza e direzione della Cassa era affidata a un consiglio di 8 azionisti, esclusi il presidente e il segretario, tutti nominati dall’adunanza generale dei soci. Per eseguire il progetto i primi 6 sottoscrittori assunsero tali cariche. Le deliberazioni del Consiglio potevano essere prese con la presenza di 5 membri, mentre l’Adunanza generale poteva deliberare se si presentavano almeno 20 soci.
In breve tempo furono raccolte le firme necessarie per la sottoscrizione delle azioni, anzi, vennero superate le 100 azioni previste dal progetto.
Fra i primi sottoscrittori compaiono esponenti di primo piano della vita politica ed economica livornese appartenenti alle più agiate famiglie; infatti, la quasi totalità dei soci apparteneva alla classe mercantile. Erano fra i maggiori commercianti della città e molti di essi facevano parte della Camera di Commercio come deputati o vi ricoprivano la carica di presidente: legati al ceto dirigente fiorentino erano in grado di influire sulle decisioni politiche ed economiche livornesi.
Molti fra i primi sottoscrittori appartenevano a nazioni straniere o erano originari di varie zone d’Italia rispecchiando così la composita popolazione livornese. Nella quasi totalità i primi sottoscrittori, oltre ad avere in comune interessi mercantili, avevano gli stessi interessi filantropici diffusi dalla mentalità ottocentesca e si occupavano attivamente di iniziative sociali con scopi benefici, ad esempio fornendo elargizioni per gli asili infantili.
Si raccolse l’adesione di 121 azionisti, con una sottoscrizione iniziale complessiva di 12.000 £ toscane, pari a 7.200 fiorini (la contabilità fino al 1860 venne tenuta in fiorini e solo successivamente in £ italiane). Dopo la pubblicazione del Manifesto, la prima apertura al pubblico avvenne il 15 maggio 1836.
Nell’intento di favorire il risparmio del ceto popolare, il Regolamento consentiva versamenti fino a un massimo di 20 fiorini e per un totale massimo di
5.000 . L’interesse da corrispondere ammontava inizialmente al 3,60% sui primi 1.000 fiorini rispetto ai quali ogni eccedenza rimaneva infruttifera.
Nonostante le premesse di favorire il risparmio popolare, risultarono numerosi i depositanti che elusero il limite imposto ai depositi fruttiferi aprendo libretti sotto finti nomi. In altri termini, sembravano prevalere i versamenti effettuati dai ceti più abbienti al fine di lucrare l’interesse corrisposto dalla Cassa e anche negli anni successivi, per qualche tempo, sarà di scarso successo il tentativo di coinvolgere il ceto popolare al risparmio.
Con riferimento ai prestiti i soggetti finanziati privilegiati erano principalmente amministrazioni pubbliche e corpi morali, mentre vi era la tassativa esclusione di impieghi di denaro ai singoli privati. Le eccedenze di disponibilità andavano alla Cassa Centrale di Firenze che assicurava un interesse del 3,80% destinato successivamente a salire al 5%. Gli utili di esercizio invece dovevano alimentare il fondo di riserva.
Una prima sostanziale diversificazione degli impieghi si ebbe negli anni ’50 dell’Ottocento con l’investimento in titoli del prestito del Tesoro e del debito consolidato toscano, nonché con prestiti ad imprese industriali d’interesse statale; solo nel 1873 la Cassa aprì con cautela ai privati concedendo prestiti garantiti da ipoteca.
Sul fronte della beneficenza vi fu un primo tentativo dei soci nel 1857 di destinare parte degli utili ai fini filantropici, tuttavia la Cassa di Firenze poneva sistematicamente il veto sostenendo che il Regolamento disponeva la destinazione integrale dell’utile annuale al fondo di riserva. Nel 1873 l’Assemblea tentò di modificare il Regolamento per permettere l’erogazione di “una parte degli utili in opere di beneficenza e promotrici di pubblica moralità”, ma da Firenze si affermava “la propria ripugnanza a cedere al sentimento” (Senzi 1911).
Le interferenze fiorentine portarono alla separazione definitiva quando Firenze esercitò forti pressioni sulla politica dei tassi di interesse corrisposti a favore dei depositanti da parte della Cassa di Livorno. Nel 1875 la Cassa di Livorno si staccò dalla Cassa Centrale di Firenze ed il nuovo statuto, entrato in vigore
dall’anno 1877, sancì espressamente la destinazione annuale in beneficenza del 5% sugli utili netti realizzati.
Con la riforma dello Statuto del 1886 (anno del cinquantenario) gli interventi di beneficenza si ampliarono con interventi a favore di “istituti di beneficenza e altre opere di carità e pubblica utilità”, con un margine di erogazione fino al 25% della riserva che aumentò fino al 50% dal 1890 (Senzi 1911).
Fra i principali beneficiari si rammentano: la Congregazione di carità, gli Asili
infantili, il Ricovero di mendicità, e gli Spedali Riuniti, nonché i sempre presenti
contributi straordinari ai vari comitati di soccorso per epidemie ed eventi calamitosi (Bilancio 1889). Questa attenzione al “sociale”, dopo l’autonomia da Firenze, sarà sempre più presente.
Nel 1887 la Cassa acquistò Palazzo Stub, che venne concesso in uso gratuito alla Deputazione degli asili infantili di carità (fino a primi anni ’80 del Novecento vi era ancora la scritta “Asilo Cassa di Risparmi”). Nel 1900, per l’assassinio di Umberto I, la Cassa effettuò una donazione agli Spedali Riuniti di 45.000 £ per l’acquisto di Villa Corridi, sede del Sanatorio per i tubercolosi (Senzi 1911). Durante il ventennio fascista si segnalano le erogazioni “spontanee” al periodico Critica fascista, all’Università fascista G. Carducci, all’Opera nazionale Balilla, all’Ente attività fasciste e alle Opere assistenziali del fascio livornese.
Un momento di grande espansione della Cassa si ebbe nel 1927 quando nuove leggi statali imposero l’incorporazione dei Monti di Pietà nelle Casse di Risparmio: gli indirizzi politici dell’epoca spinsero verso l’incorporazione del Monte di Pietà di Livorno nella Cassa di Risparmio di Livorno (Cecchetti 1979). L’espansione territoriale fu notevole: le filiali del Monte in Ardenza, Castiglioncello, Gabbro, Quercianella, Rosignano Marittimo e Cecina passeranno sotto il controllo della Cassa di Risparmio di Livorno (Razzauti 1950).
Secondo quanto ricostruito dai documenti in archivio, la rappresentanza e il governo della Società spettavano ad un Consiglio formato da 10 soci compresi il presidente e il segretario le cui cariche duravano 3 anni.
Gli altri membri del Consiglio venivano rinnovati ogni anno: due alla fine del 1° anno e tre alla fine del 2° e del 3° anno cominciando da coloro che erano stati
eletti con il minor numero di voti. Dopo la prima volta, la rotazione avveniva in base all’anzianità della carica.
Anche il cassiere e il depositario degli atti duravano in carica tre anni ed erano nominati tra i soci.
Il Consiglio di regola doveva riunirsi una volta al mese, la prima domenica del mese, e i consiglieri di turno dovevano rendere conto delle operazioni del mese precedente. Le deliberazioni venivano prese a maggioranza assoluta con la presenza di almeno 5 membri.
Tra i consiglieri veniva stabilito un turno trimestrale di 2 consiglieri per volta, incaricati di proporre gli impieghi della Cassa e di trasmettere le somme non investite alla Cassa Centrale. Essi erano inoltre responsabili delle somme trattenute presso la Cassa superiori a £ 1.000 o fiorini 600.
Le adunanze generali dei soci dovevano effettuarsi 2 volte l’anno: una volta nel mese di dicembre per il rinnovo delle cariche e l’altra entro 15 giorni dalla redazione del rendimento dei conti e dalla relazione del segretario. L’adunanza generale eleggeva inoltre tra i soci e su proposta del Consiglio 24 deputati, che restavano in carica per un anno. I deputati a turno settimanale dovevano risiedere, uno per volta, presso la Cassa durante l’orario di sportello e svolgere funzione ispettiva sotto la direzione dei consiglieri di turno.
La prima adunanza generale dei soci per l’elezione delle cariche sociali ebbe luogo il 28 giugno 1835, nella sala del Palazzo comunale, alla presenza di 41 soci e presieduta dal marchese Paolo Garzoni Venturi che declinò l’offerta di presiedere il Consiglio per incompatibilità con le cariche già ricoperte. Venne, quindi, eletto presidente il balì Albizzo Martellini. Primo segretario del Consiglio fu nominato il balì Ferdinando Sproni.
Il primo Consiglio fu inoltre composto dai primi 6 promotori e compilatori del progetto della Cassa e da Fortunato Regini e G. Paolo Bartolommei.
La prima adunanza del Consiglio si svolse il 22 dicembre 1835 e vi erano presentate la minuta del contratto di costituzione della società e quella del Manifesto. Dopo lunghe discussioni e attento esame, nella terza seduta del 12 febbraio 1836, furono approvati il Manifesto composto da 24 articoli e i
Regolamenti formati da 67 articoli: entrambi vennero pubblicati con la data del 6 aprile 1836.
Il Manifesto stabiliva che la Cassa di Risparmi di Livorno era istituita come affiliata di prima classe della Cassa Centrale di Firenze e pertanto sottoposta alle sue direttive ed alla sua sorveglianza.
Nel corso della terza adunanza vennero nominati anche i dipendenti stipendiati: un provveditore, un ragioniere, un giovane copista, un aiuto cassiere e il custode, e a titolo gratuito: un cassiere e il depositario degli atti, i quali erano due soci della Cassa data la delicatezza delle incombenze a loro affidate.
L’Istituto iniziava l’attività con un numero esiguo di personale e anche il capitale sociale non era rilevante ed ammontava a sole £ 12.000. Il capitale era suddiviso in azioni da 100 £ ciascuna e doveva essere destinato per £ 3.000 alle spese d’impianto e alle prime spese di amministrazione.
Le restanti £ 9.000 dovevano essere versate quale dote, a titolo di deposito fruttifero, al tasso annuo del 4%, presso la Cassa Centrale di Firenze, in base al Manifesto di quest’ultima del 19 novembre 1829.
Secondo quanto stabilito dai Regolamenti, i 120 soci non potevano cedere le loro azioni ed in caso di recesso l’azione sarebbe divenuta di proprietà della cassa. In caso di morte del socio, gli eredi non potevano subentrare al defunto e né avevano diritto al rimborso dell’azione; i nuovi soci avrebbero dovuto avere 21 anni compiuti e risiedere nel circondario della Comunità di Livorno.
Gli utili conseguiti dalla Cassa non erano divisibili fra i soci, ma dovevano essere utilizzati per le spese di amministrazione. In caso di sufficienti riserve e dopo avere provveduto alle spese di amministrazione, gli utili sarebbero stati divisi fra i soci a titolo di rimborso delle azioni sottoscritte. Le azioni sarebbero così divenute di proprietà della Cassa e avrebbero costituito una “dote” propria e permanente. Qualora l’attività della Cassa non avesse consentito di supplire alle spese di amministrazione, sarebbe stato utilizzato il capitale sociale fino all’esaurimento. In caso di scioglimento della società per eventi contingenti (mai per volontà dei soci), la dote sarebbe stata rimborsata ai soci stessi e gli eventuali utili destinati ad opere di beneficenza.
Il 1875 rappresentò un anno decisivo per l’attività e il futuro della Cassa livornese.
I depositi seguirono l’andamento positivo degli ultimi anni, con progressivi aumenti, e gli impieghi furono quasi raddoppiati.
Oltre la metà degli investimenti era diretta alla comunità locale, soprattutto mediante sconto di cambiali a breve termine al 5-6% annuo. Gli amministratori spiegavano l’adozione di tale scelta con la difficoltà di reperire adeguati impieghi per i crescenti depositi raccolti.
Il rendimento dei Buoni del Tesoro, ad esempio, era diminuito e i mutui ipotecari ai privati erano ostacolati dalla difficoltà di rivalersi sui beni posti a garanzia, in caso di insolvenza e dalla concorrenza dei privati e degli altri istituti bancari, i quali offrivano condizioni migliori. La Cassa infatti richiedeva il 5,50-5,75% sui mutui, mentre sulla piazza si potevano reperire capitali garantiti da sicure garanzie al 5%.
La Cassa ovviamente non poteva effettuare mutui al 5% quando corrispondeva il 4,50% ai depositanti, per cui sarebbe stato necessario diminuire il tasso. La riduzione del tasso passivo avrebbe inoltre consentito di diminuire l’onere dell’imposta di ricchezza mobile calcolata sugli interessi liquidati ai depositanti, che fin dall’introduzione era stata a carico della Cassa. Questi motivi spinsero il Consiglio a deliberare la riduzione del tasso passivo dello 0,50% nella seduta del 7 agosto 1875.
Lo sviluppo conseguito in un quarantennio di attività e soprattutto la consolidata situazione creditizia raggiunta negli ultimi 5 anni, con un patrimonio sociale di £ 768.928,57 e una massa di depositi di £ 5.449.619,10 , spinsero il Consiglio ad ottenere la completa autonomia decisionale.
In 40 anni di attività, i capitali raccolti e amministrati erano passati da £ 56.626,29 nel 1836 a £ 5.741.749,35 nel 1876. I libretti in essere nel primo anno erano 473, nel 1876 erano 9.305 e in linea di massima registravano saldi consistenti.
Gli impieghi effettuati nel 1876 ammontavano a £ 1.851.624,30 , mentre globalmente gli impieghi attivi risultanti dal bilancio erano pari a £ 6.350.796,20;
nel 1836 erano di sole £ 62.837,60 . Infine il patrimonio sociale della Cassa era passato da £ 12.000 nel 1836 a £ 794.008,53 nel 1876.
2.2.1 Collocazione e finalità nel contesto territoriale
Nel Manifesto del 6 aprile 1836, riguardante l’istituzione della Cassa di Risparmi di Livorno, veniva posto l’accento sulla particolare realtà economica livornese e conseguentemente sui maggiori benefici che una cassa di risparmio avrebbe portato a Livorno.
La facilità con cui si conseguivano i guadagni, in una città la cui economia era basata sul commercio, induceva a una maggiore dissipazione del denaro. Era maggiore la possibilità di eventi improvvisi: ecco quindi l’esigenza di una cassa di risparmio, verso cui convogliare, in attesa dei momenti difficili le risorse in esubero (Randazzo 1987).
L’economia livornese si basava soprattutto sul commercio e sui traffici marittimi. Fra i salariati e fra tutti coloro che vivevano di piccoli commerci, di lavori legati ai traffici portuali, fra le categorie cioè più esposte alle fluttuazioni del commercio - che attraversava un periodo di crisi - si stavano diffondendo grosse difficoltà economiche. Questa situazione, unita al timore di disordini popolari e ai motivi filantropici, che animavano tutti i promotori delle prime casse, probabilmente favorì l’idea della costituzione di una cassa di risparmio livornese. Non bisogna dimenticare però che unito allo scopo benefico, vi era anche un motivo ben più importante, quello economico. Accanto a classi che risentivano in modo negativo dell’evoluzione dell’economia cittadina vi era un ceto mercantile molto solido che aveva a disposizione ingenti capitali. La creazione di una cassa di risparmio, in questo periodo, ovviava alla mancanza di investimenti redditizi. Numerosissimi appartenenti alla classe dirigente, infatti, aderirono prontamente alla sottoscrizione del capitale sociale della cassa.
Purtroppo non sono pervenute fino ai nostri giorni, lettere, documenti che testimoniassero le discussioni, le relazioni intercorse fra i primi promotori: in conclusione, in quale modo si pervenne alla costituzione della cassa livornese.
Probabilmente, l’idea di una cassa di risparmio locale si sviluppò nell’ambito del Gabinetto Scientifico Letterario livornese dal quale erano sorte istituzioni filantropiche quali la Società Medica, le Scuole di Mutuo Insegnamento, gli asili infantili e l’Istituto dei Padri di Famiglia.
Queste brevi notizie tentano di fornire un quadro, magari incompleto, della complessa realtà sociale, economica livornese, nella quale agivano attivamente i primi sottoscrittori della cassa.
Si vuole porre in evidenza come la cassa di risparmio locale sorse come tutte le altre casse di risparmio, per volontà del ceto dirigente, fosse esso composto da proprietari terrieri, nobili come a Firenze, o da nobili ed ecclesiastici come a Lucca, oppure da commercianti come a Livorno.
La Cassa di Risparmi di Livorno, come le altre casse, era considerata dai sottoscrittori alla stregua degli asili infantili e delle scuole di mutuo insegnamento: necessaria cioè per educare moralmente il popolo oltre che per pura istruzione e diretta cioè a formare professionalmente i lavoratori.
Le casse di risparmio rappresentavano inoltre una sorta di momentaneo investimento per i capitali eccedenti in un periodo di difficili scelte produttive: il commercio a Livorno o l’agricoltura nel resto della regione non parevano più remunerativi come nel passato.
Il settore industriale, ancora a livello artigianale, non attirava grossi investimenti così come i valori mobiliari non erano una forma di impiego finanziario diffuso. Gli investimenti in titoli furono incrementati a partire dagli anni ’40 con l’emissione di azioni ferroviarie e successivamente, negli anni ’50, con l’emissione di titoli del debito pubblico.
Le casse di risparmio costituivano così un’alternativa finanziaria, in un momento di transizione economica, per i ceti ancorati ai sistemi tradizionali.
Per quanto riguarda Livorno esclusi alcuni commercianti più intraprendenti, che erano anche piccoli industriali oppure professionisti, i soci della Cassa erano in netta maggioranza esclusivamente commercianti e filantropi.
Sicuramente la risoluzione della controversia con la Cassa Centrale di Firenze ebbe evidenti conseguenze sulla destinazione di quote degli utili ad opere di
beneficenza, che sottolineano particolarmente alcune delle finalità nel contesto territoriale.
Nel 1867 in occasione dell’epidemia di colera, la Cassa di Risparmi aveva elargito £ 500, prelevate dagli utili accantonati, alla Commissione preposta alla raccolta a favore delle famiglie bisognose colpite dal colera (Rapporto 1867). Per la prima volta la Cassa livornese aveva assunto la responsabilità di adottare un provvedimento sicuramente avversato dalla Cassa Centrale, poiché la devoluzione di quote degli utili in opere di beneficenza non era prevista dai regolamenti.
Nell’ambito del Consiglio di amministrazione livornese, probabilmente, iniziava a diffondersi un certo senso di autonomia decisionale anche se sarebbero dovuti trascorrere ancora diversi anni prima del conseguimento dell’emancipazione dalla Cassa Centrale.
La questione della distribuzione di una percentuale degli utili annuali in opere di beneficenza fu sollevata varie volte nel corso dell’attività della Cassa, a partire dall’adunanza generale del 29 marzo 1857 in occasione della revisione dei regolamenti: il Consiglio, però, aveva sempre dovuto desistere poiché la Cassa Centrale ogni volta aveva negato l’autorizzazione. Infatti, come previsto dai regolamenti, l’erogazione di parte degli utili in beneficenza poteva avvenire solo in occasione dello scioglimento della società.
Questo problema fu comune anche alle altre casse affiliate ed in più di una occasione fu motivo di contrasto tra queste e la Cassa Centrale.
Gli utili destinati alla beneficenza sarebbero stati erogati in parte per soccorrere la popolazione in occasione di calamità, di epidemie e di pubbliche disgrazie. Una seconda parte sarebbe stata utilizzata per finanziare premi a favore di “proletarj più morali, più diligenti nel lavoro e nel versare risparmj alla cassa”. La terza parte, infine, la più consistente, avrebbe dovuto servire ad incrementare le istituzioni preposte all’istruzione del popolo (Randazzo 1987)
Persisteva ancora lo spirito filantropico dei primi anni di attività delle casse, per cui lo scopo principale era l’educazione morale del popolo.
Nel 1862, visti gli utili conseguiti, il segretario Augusto Dussauge aveva nuovamente espresso la volontà di indirizzare una quota degli utili a favore dei bisognosi dopo aver costituito un adeguato fondo di riserva.
Ormai, vi erano già dei pratici esempi di altre casse di risparmio che avevano costituito fondi di riserva di varia entità e distribuivano gli utili in opere di beneficenza. La Cassa di Risparmio di Torino, ad esempio, aveva costituito una riserva pari ad 1/3 della massa dei depositi e la Cassa di Risparmio di Milano aveva un fondo di riserva a cui veniva destinato il 10% delle operazioni svolte e il 5% degli utili era impiegato in beneficenza.
Sulla stessa lunghezza d’onda la Cassa di Risparmio di Bologna, che nel 1861 aveva contribuito a costruire abitazioni per le classi meno agiate con un’elargizione di £ 150.000 a favore di un’impresa edile (Rapporto 1861).
Gli utili della Cassa livornese avrebbero dovuto, secondo il segretario, essere