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I CASTELLI DEI VESCOVI DI IMOLA IL CASTRUM CUM CURTE DI CONSELICE

Vi sono dunque vari elementi per ipotizzare che la posizione del vescovo di S. Cassiano nei confronti della cittadinanza imolese già negli anni Ottanta del secolo XI fosse in realtà assai meno remissiva e ben più solida di quanto possa apparire dal documento del 1084. Dinanzi al crollo del potere dei conti e alla parallela ascesa del movimento comunale, il vescovo doveva essersi reso conto che per mantenere intatte le sue posizioni politiche e patrimoniali risultava opportuno seguire il corso della storia ed unirsi a forze sociali che in quel momento parevano inarrestabili, aprendosi così ad un nuovo ceto cittadino particolarmente attivo nel settore dei commerci. Il vescovo deteneva il controllo di molti centri del contado, luoghi strategici per il controllo delle rotte commerciali verso l‟Adriatico, i cives detenevano i capitali da investire nei traffici; il vescovo aveva dunque tutto da guadagnarci in un accordo con le forze cittadine, da un punto di vista economico-commerciale ma anche politico, anche se questo gli costava la cessione formale di parte dei suoi diritti e privilegi; abbiamo detto formale, poiché è plausibile ritenere che in realtà egli avesse di fatto continuato ed esercitare almeno una parte delle sue funzioni o che comunque si fosse con il trascorrere del tempo riappropriato di alcune delle sue prerogative.

A conferma di quanto detto, i vescovi imolesi nella seconda metà del Mille controllavano importanti centri del territorio basso-padano, in primis, come detto, Conselice, la cui prima testimonianza documentaria risale proprio alla carta del 5 giugno 1084, con la quale il vescovo di Imola Morando concesse ai suoi concittadini l'uso del porto di Conselice; parlando di questo porto

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150 fluviale, egli nel documento lo definisce portus mei, silicet Caput Silicis, hoc modo, ut ex unaquaque navi quatuor denarios monete venetie pro nautico260.

Il vescovo Morando rinunciò a favore della cittadinanza imolese ad omne teloneum et publicum actum, quindi a tutti i diritti fiscali di cui godeva in città, fissando ad una cifra vantaggiosa per i cives il nauticum fenus che le navi degli imolesi dovevano pagare se facevano scalo al porto vescovile di Conselice, ed esonerando soltanto quelle che andavano a pescare o a comperare pesce, quelle di chi andava in pellegrinaggio e quelle di chi viaggiava causa legationis. Le imbarcazioni tenute a pagare tributo dovevano pertanto trasportare mercanzie di vario genere in arrivo e in partenza e poiché il vescovo si impegnò anche a costruire un canale navigabile che collegasse direttamente il porto di Conselice alla città, pare lecito ipotizzare, anche alla luce degli accordi commerciali con Venezia del 1099, l‟esistenza di un ceto di commercianti attivi e influenti261

.

Una seconda attestazione del porto di Conselice si registra nella bolla papale del 1126-1130, con la quale Onorio II, l‟imolese Lamberto Scannabecchi, riconobbe alla Chiesa di Imola diversi possedimenti, tra cui anche il portum Capitis Silicis cum aquis et paludibus, piscariis, ripis et aucupationibus suis262.

Attraverso le vicende di Conselice è possibile ricostruire i rapporti della Chiesa imolese con i poteri universali e con il comune di Imola. A questo proposito va sottolineata l‟importanza di questa bolla papale del 1126-1130; con tale documento papa Onorio II restituì al vescovo Bennone quei diritti, teloneum et publicas functiones che Morando nel 1084 aveva dichiarato di cedere ai cittadini imolesi. Un‟altra conferma di come in realtà i vescovi imolesi non fossero stati certo esauorati dal comune cittadino. Tuttavia a seguito di questa bolla papale le tensioni tra la civitas e il castello di S. Cassiano si accrebbero, e portarono nel 1132 alla prima distruzione del castrum vescovile da parte dei cittadini imolesi. Secondo la testimonianza del Manzoni, in seguito alla distruzione del castello di S. Cassiano, nell‟anno 1132 il vescovo corneliense Bennone si ritirò proprio presso castrum Silicis263.

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Libro rosso, cit., n. 38, p. CLXIII.

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A tal proposito risultano ancora pienamente attuali le osservazioni di G. Fasoli: Ead., Per la storia di Imola, cit., p. 22.

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Le bolle papali di conferma dei beni della Chiesa imolese emanate nei secoli XII e XIII sono pubblicate nel Chartularium Imolense edito da Padre S. Gaddoni e da Mons. G. Zaccherini nel 1912, nella sezione Archivum Mensae episcopalis: Chartularium Imolense, II: Archiva Minora, 1033-1200, edizione a cura di S. Gaddoni e G. Zaccherini, Imola 1912, n. 726, p. 292.

Per le vicende biografiche di Onorio II si veda: S. Cerrini, Onorio II, in Enciclopedia dei Papi, Roma 2000, pp. 255- 259.

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A. M. Manzoni, Episcoporum Corneliensium sive Imolensium historia authore Antonio Maria Manzonio j. u. d. cathedralis ecclesiæ Imolensis canonico, Faventiae 1719, p. 84.

151 La bolla di Onorio II consisteva di fatto in una revoca, richiesta alla Santa sede dal vescovo Bennone, del vecchio accordo del 1084 che aveva riconosciuto alla cittadinanza diritti di usufrutto sul porto di Conselice264. Questa revoca, confermata da successive bolle papali, sarà poi foriera di importanti conseguenze, se si pensa agli aspri contenziosi che nel secondo Duecento opporranno l‟episcopio al comune cittadino, impegnato nella costruzione del famoso canale tra Imola e Conselice e ben determinato ad ottenere forti riduzioni dei dazi di ripatico a favore delle imbarcazioni imolesi che avessero fatto scalo al porto vescovile di Conselice.

Questa conferma dei beni della Chiesa imolese da parte di papa Onorio II attesta come i vescovi corneliensi possedessero, oltre a Conselice, anche altri castelli posti nella pianura romagnola: questa bolla papale menziona infatti tra le proprietà vescovili anche il castrum Aquevive, l‟odierna Cantalupo Selice, un insediamento rurale documentato per la prima volta nell‟atto di donazione con cui la contesa Guilla nel lontano 1033 aveva ceduto alla chiesa di S. Lorenzo d'Imola alcuni possedimenti tra cui fundos Aquevive cum eclesia S. Apolinare e Aquevive cum hedifitiis. Il documento papale del 1126-1130 menziona poi il castello di Bagnara cum oratorio S. Iohannis, un centro che nei secoli successivi vedrà i propri destini strettamente legati agli Sforza. Tra i beni vescovili troviamo poi il castrum Lavatorie, il castello di Lavatura, situato lungo la riva sinistra del torrente Sillaro, a breve distanza dall‟odierna Castel Guelfo; un atto rogato in curte Dominici de Franco de Lavathura in data 29 marzo 1117 costituisce la prima attestazione di questa località. Infine il documento di papa Onorio II cita il castrum in fundo Nunculie, corrispondente all‟odierna località di Casola Canina; l‟esistenza di questo castello è attestata anche da atti notarili di compravendita del 1147 e del 1165, rogati, appunto, in castro Casule.

Questi dati ci consentono di ipotizzare che, se già nel 1084 Conselice era un possedimento vescovile e tra 1126 e 1130 tutti questi castelli vennero confermati al vescovo Bennone significa che la Chiesa imolese almeno dalla seconda metà del secolo undecimo controllava una rete di castelli e di insediamenti rurali, collegati direttamente al castrum Sancti Cassiani, disposti a raggiera attorno alla città, quasi a voler esercitare su di essa un costante controllo. Siamo dunque in presenza con ogni probabilità di una vera e propria signoria rurale, legata alla signoria territoriale degli arcivescovi di Ravenna ed espressione di un potere tenacemente avverso a quello del giovane comune imolese, come dimostra la prima distruzione di S. Cassiano, perpetrata dagli Imolesi nel 1132.

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152 La frattura tra la città di Imola e il castrum Sancti Cassiani alla metà del XII secolo era ormai divenuta insanabile265; in questa contrapposizione il comune cittadino trovò il sostegno dell‟Impero, mentre il vescovo ottenne l‟appoggio del Papato e delle città di Bologna e Faenza. In tale contesto il castello di S. Cassiano venne più volte distrutto e ricostruito nel corso del XII secolo, e proprio a seguito dell‟ennesima distruzione, avvenuta nel 1150, il vescovo di Imola ottenne nuovamente un ampio sostegno da parte della Santa sede; il 18 maggio 1151 papa Eugenio III, con una bolla emanata in Ferentino, confermò al vescovo Rodolfo, con la facoltà di accrescerli in futuro, beni, privilegi e diritti della Chiesa imolese, tra cui anche il castrum et curtem Caput Silicium et portum cum paludibus aquarum decursibus et piscariis suis266. È la prima attestazione documentaria del castello di Conselice, un castello dotato di una propria curtis e collegato al porto vallivo. Si può facilmente ipotizzare che le attività commerciali legate al porto e la presenza politica e patrimoniale dei vescovi di Imola avessero favorito, tra XI e XII secolo, lo sviluppo di un insediamento, di un centro fortificato, dotato di strutture castrensi a protezione del porto di Conselice e, quindi, a tutela degli interessi politici ed economici di Imola.

Questa fonte papale attesta un fatto assai rilevante, già riscontrato ampiamente negli stessi decenni nel territorio della Romagna nord-occidentale: il castello vescovile di Conselice era dotato di una propria curtis, e cioè di un distretto territoriale sottoposto alla giurisdizione del medesimo castrum. Anche nel caso di Conselice siamo dunque in presenza di un centro di potere signorile che estendeva la propria jurisdictio ad un distretto territoriale i cui abitanti risultavano direttamente soggetti ai poteri di banno esercitati dal dominus loci, in questo caso il vescovo di Imola. Il castello di Conselice, nato tra terra e acqua a protezione di un importante porto fluviale basso-padano, costituiva il fulcro dell‟organizzazione amministrativa di uno scalo commerciale signorile, nel quadro di un controllo centralizzato del territorio sia sul piano politico che su quello economico e sociale. Il distretto castrense appare anche in questo caso dotato di una sua precisa capacità di territorializzazione connessa alle dinamiche insediative ed espressione di un potere signorile incentrato sul castrum 267.

Conselice era dunque un emporio commerciale fortificato posto lungo una delle più importanti rotte mercantili dell‟Italia settentrionale, ma il fatto che nelle fonti papali si parli di portum cum paludibus aquarum decursibus et piscariis suis lascia intravedere anche lo sviluppo, in seno al castrum e alla sua curia, di tutta una serie di attività economiche parallele, collegate verosimilmente

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Per le vicende di questo insediamento tra XI e XII secolo si veda: Montanari, Imola e S. Cassiano, cit., passim.

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Chartularium Imolense, II, cit, n. 727, p. 295.

267

Per i temi del dominatus loci si rimanda agli studi di G. Sergi, C. Wickham, S. Carocci e A. A. Settia menzionati nel capitolo iniziale del presente lavoro.

153 all‟itticoltura e allo sfruttamento dell‟energia idraulica finalizzata alla realizzazione di attività produttive, nel quadro di una prima opera di bonifica delle aree palustri e vallive e di trasformazione fondiaria del territorio basso-padano.

È tuttavia noto che una simile ubicazione geografica, che vedeva questo centro posto in un‟area prevalentemente paludosa, a una notevole distanza dalle città della via Emilia, se nel secolo undecimo favorì lo sviluppo di un porto e di un castello, nelle epoche successive fu la causa di quell‟arretratezza economica e sociale che segnò a lungo la storia conselicese; un‟arretratezza, figlia principalmente di questo isolamento geografico, economico e culturale, che determinò per lunghi secoli condizioni di vita assai precarie per la popolazione di Conselice268.

La bolla di papa Eugenio III del 1151 risulta per noi di particolare importanza in quanto attesta lo sviluppo di curiae castri, di curtes, ossia di distretti territoriali sottoposti alla giurisdizione del castello, non solo in quel di Conselice, bensì in quasi tutti i centri fortificati della pianura romagnola controllati dai vescovi imolesi. Oltre a Conselice infatti, papa Eugenio III confermò al vescovo Rodolfo il castrum et curtem Aquevive, consentendoci anche in questo caso di ipotizzare lo sviluppo di un distretto castrense e di poteri giurisdizionali connessi ad un dominatus loci. Anche nel caso di Bagnara questo documento papale emanato a favore della Chiesa di Imola documenta lo sviluppo di una corte, di un distretto territoriale a partire dall‟iniziale castrum: si parla infatti di castrum Bagnarie cum tota curte et omnibus appendiciis suis. Stesso discorso vale anche per il castello di Lavatura, menzionato nella fonte papale come castrum et curtem Lavatoriam.

Novità assoluta del documento di Eugenio III rispetto alla bolla di Onorio II è invece la menzione tra i beni vescovili del castrum novum Fabriaci cum sedecim mansis, posto lungo il Santerno, a nord-ovest dell‟insediamento di S. Illaro. Questo castello sorgeva all‟interno del pievato omonimo, corrispondente alla giurisdizione plebana altomedievale di S.Maria in Centumlicinio. La prima menzione del pievato di Fabriago risale al 1091, e questo nuovo toponimo finirà poi per sostituire completamente quello precedente di S.Maria in Centumlicinio. Nel 1084, come già visto, il castello di Fabriago era stato ceduto per metà dal vescovo di Faenza Ugo all‟arcivescovo Guiberto, un messo del quale ne aveva preso possesso il 6 giugno di quell‟anno. Successivamente l‟insediamento era divenuto una proprietà dei vescovi di Imola. Nel corso della prima metà del XII secolo il castello risulta essere sotto il controllo della famiglia dei Marcheselli di Cunio, probabilmente uomini d‟arme vicini ai medesimi conti di Cunio; costoro avevano ottenuto il giuspatronato sulla pieve e molto probabilmente furono loro a fortificare Fabriago per conto dei vescovi di Imola, i cui titoli di proprietà sul castello sono attestati a partire dalla bolla di Eugenio III e confermati da quelle

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154 di Alessandro III e Innocenzo III. Il fatto poi che nelle fonti papali si parli di castrum novum indica chiaramente una recente ricostruzione del castello, forse andato distrutto a causa di eventi naturali o proprio nell‟ambito di quello scontro tra Guiberto e i conti di Imola che già aveva causato la distruzione del vicino castrum arcivescovile di S. Potito.

Un altro elemento di novità della bolla di Eugenio III è la conferma al vescovo Rodolfo del castello e della massa di Bolognano, a nord di Fluno, tra gli attuali territori comunali di Mordano e Massa Lombarda. Già nel febbraio 1139 un atto di donazione a favore dei canonici di S. Cassiano era stato rogato in castro Bollegnani; tra i testimoni vi era anche un tale presbiter Dominicus ex castro de Bolegnano. In questo caso si può ipotizzare lo sviluppo del castrum vescovile di Bolognano a partire da una preesistente massa, probabilmente già sotto il controllo dell‟episcopio di Imola. É plausibile ritenere che l‟originale centro amministrativo dell‟azienda fondiaria avesse subito un processo di incastellamento, come avvenne in tanti casi, come ad esempio nella vicina S. Illaro, la futura Lugo. La menzione della massa accanto al castrum nel documento papale del 1151 lascia però ipotizzare che l‟elemento aziendale ed economico-produttivo detenesse ancora alla metà del XII secolo una certa rilevanza nell‟ambito di questo centro di potere signorile.

Inoltre in questa bolla papale si parla di Casola in termini di fondo e non più di castrum: fundum Nuntulam qui dicitur Casula. Ciononostante, risulta difficile ipotizzare un precoce decastellamento, in quanto un atto di compravendita del 13 aprile 1165 risulta rogato in castro Casule.

I dati ricavabili da queste fonti papali ci consentono di trarre precise conclusioni.

I vescovi di Imola nel XII secolo possedevano numerosi castelli e beni fondiari nel contado subtus stratam, e questo dato è evidente, ma ci si può spingere anche oltre; qui probabilmente non siamo semplicemente in presenza di un ricco proprietario di terre che si limita ad esercitare forme di controllo su chi lavora le sue terre; verosimilmente siamo invece in presenza di un dominus che esercita poteri di banno su homines che risiedono in un distretto castrense, come proverebbe l‟attestazione documentaria di curtes sviluppatesi nella prima metà del XII secolo attorno ai castra vescovili.

Possiamo quindi ipotizzare che i vescovi imolesi fossero a capo di una vera e propria signoria territoriale, una signoria rurale che esercitava diritti giurisdizionali su vari centri tra cui Conselice, ovvero su parte del territorio della futura Romagna Estense. È poi possibile che in alcuni casi i vescovi non fossero in grado di esercitare pienamente i loro poteri signorili a causa dell‟affermazione di qualche famiglia laica in grado di controllare effettivamente il castello e il territorio circostante; è il caso forse dei Marcheselli di Cunio in quel di Fabriago ma anche dei

155 signori di Aquaviva; presso quest‟ultimo castello infatti nel XIII secolo sono documentati signorotti locali, la famiglia de Aquavia, nonostante il centro fosse di proprietà vescovile. Ciò non impedisce tuttavia di sostenere che i vescovi di S. Cassiano fossero signori di parte della Romagna nord- occidentale, nella quale ancora negli anni delle prime penetrazioni estensi tra Duecento e Trecento possedevano vari castelli.

Durante il secolo XII gli abitanti della civitas Corneliensis trovarono nei due castra contermini e nella loro popolazione un ostacolo forte alla proiezione della città verso il contado; a questo si aggiunse la politica aggressiva di Bologna che, appoggiando il vescovo di Imola e alleandosi con gli abitanti del castrum S. Cassiani, tentò a più riprese di imporre la propria autorità sulla debole città vicina. Fu inevitabile pertanto che gli abitanti della civitas corneliensis si risolvessero ad abbracciare lo schieramento filo-imperiale in occasione della presenza di Federico I in Italia, uno schieramento che la città non abbandonò più.

Nel 1152 era divenuto re di Germania Federico I Barbarossa, fautore, come è noto, di una politica mirante innanzitutto al ripristino dell‟autorità imperiale nel Regnum Italie, da tempo disgregato in una molteplicità di poteri locali in cui i comuni cittadini avevano ormai una parte di primo rilievo269. Federico scese in Italia una prima volta nel 1154 e a Roncaglia convocò la famosa dieta nel corso della quale rivendicò la restituzione degli iura regalia di cui le forze locali si erano progressivamente appropriate, traendo profitto dalla crisi del potere imperiale.

L‟atteggiamento del Barbarossa verso il mondo emiliano - romagnolo fu nei primi anni duttile e conciliante, in quanto il sovrano, per ottenere consensi e aiuti militari, rinnovò i privilegi ad alcune comunità e ai loro vescovi, senza tuttavia riconoscerne nei fatti i fermenti autonomistici. Col tempo tuttavia si lamentò l‟ingerenza sempre più massiccia delle forze imperiali nel mondo locale, con l‟imposizione di podestà imperiali a varie città e la riscossione di forti somme di denaro. Fu esattamente quello che accadde ad Imola; infatti, se nel 1159, poco dopo la seconda dieta di Roncaglia, che aveva portato all‟elaborazione della nota Constitutio de regalibus, l‟imperatore Federico I aveva concesso formalmente alla città di Imola, sua fedele alleata, il proprio comitatus, è pur vero che di fatto il territorio imolese fu per anni amministrato direttamente da funzionari svevi e da autorità militari imperiali che fecero della città romagnola un‟importante base di raccordo con Ravenna e con le altre città legate alla pars Imperii, nell‟ambito di un sistema di alleanze e contrapposizioni brillantemente definito dal Vasina, sulla scorta di Roberto Sabatino Lopez, come

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Per le vicende biografiche del Barbarossa si vedano: F. Opll, Friedrich Barbarossa, Darmstadt 1990 (Gestalten des Mittelalters und der Renaissance); E. W. Wies, Federico Barbarossa: mito e realtà, Milano 2001, pp. 36-57 (tit. ed ediz. origg: Kaiser Friedrich Barbarossa: Mythos und Wirklichkeit, Esslingen 1990, trad. it. di A. Audisio); K. Görich, Friedrich Barbarossa. Eine Biographie, München 2011.

156 “sistema a scacchiera”270

. Il controllo del territorio di pianura posto tra Ravenna, Imola e il castello imperiale di Medicina risultava dunque di vitale importanza per il sovrano svevo per poter collegare le forze filo-imperiali di Romagna con quelle dell‟Emilia mediana e occidentale e al tempo stesso per isolare Bologna dai suoi alleati emiliani e lombardi e da Faenza.

Se la città di Imola si configurò come un caposaldo filo-imperiale, il castello vescovile di S. Cassiano restò invece legato alla pars Ecclesiae, e quindi anche ai comuni di Bologna e a Faenza. Ad una nuova distruzione del castrum Sancti Cassiani da parte di Cristiano di Magonza nel 1175 rispose infatti una nuova conferma papale dei beni vescovili imolesi, con una bolla emanata in Roma da papa Alessandro III, acerrimo rivale del Barbarossa, il 30 marzo 1179. Nel redigere tale