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LA CITTA’ DI IMOLA E I VESCOVI DI S CASSIANO

Abbiamo visto come gli ultimi vent‟anni del secolo XI avessero ridisegnato profondamente la geografia politica imolese, modificando gli assetti istituzionali e gli equilibri di potere nella città romagnola. Da un lato si ebbe infatti l‟ascesa politica dei cives, sostenuti dal vescovo filo-imperiale Morando, mentre dall‟altro andò dissolvendosi il potere della famiglia comitale cittadina. Questo legame, favorito dalla Chiesa ravennate, tra la cittadinanza imolese, forse già riunita in un primo comune consolare, e il vescovo cittadino in funzione anticomitale emerge chiaramente dall‟accordo stipulato il 5 giugno 1084, in virtù del quale il vescovo Morando concesse ai cittadini imolesi “ogni teloneo e pubblico atto che la suddetta chiesa aveva nella città di Imola a qualche diritto” nonché il privilegio di avvalersi del porto vescovile di Conselice; inoltre egli si impegnò a lasciare il castello di S. Cassiano e a trasferirsi entro le mura cittadine248.

I cives imolesi che in tale frangente ottennero simili concessioni da un vescovo che di fatto trasferì loro l‟esercizio delle funzioni pubbliche sulla città, riconoscendo di fatto il comune cittadino, appaiono ben diversi dai cittadini che solo 11 anni prima, d‟intesa con il conte Guido, si erano umilmente rivolti a papa Gregorio VII per ottenere protezione contro Guiberto di Ravenna. Nel giro di pochi anni essi avevano sensibilmente accresciuto il proprio peso politico, esautorando dapprima l‟autorità comitale grazie all‟intesa con il vescovo ed in seguito riuscendo a sostituirsi a quest‟ultimo alla guida della città. Il vescovo Morando infatti si era spogliato a favore della cittadinanza di diritti e prerogative che la sua Chiesa deteneva già da vari anni, dopo che le vicende

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Questo accordo del 1084, la prima attestazione documentaria di Conselice, è ampiamente menzionato nel panorama delle fonti e degli studi di storia locale. Sul versante delle fonti documentarie imolesi si segnala principalmente l‟edizione, realizzata da T. Lazzari, del noto Liber Rubeus, registro membranaceo dell‟Archivio storico comunale di Imola; definito dalla tradizione locale “Libro Rosso”, probabilmente a causa di una legatura oggi perduta, risulta costituito da 19 fascicoli e da 12 carte sciolte rilegati insieme, in totale 146 carte: Libro Rosso Il Registrum comunis Ymole del 1239 con addizioni al 1269, a cura di Tiziana Lazzari, Imola 2005, p. CLXIII, n. 38. Si veda anche: L. Mascanzoni, Ipotesi sulle origini della pieve di S. Patrizio, in Romandiola. Le istituzioni religiose nella storia del territorio, atti del convegno di Bagnacavallo e Lugo, maggio-settembre 2001, Lugo 2003, pp. 35-54, in particolare pp. 41-43.

145 dello scontro tra Papato e Impero avevano determinato nella città di Imola un trasferimento dell‟esercizio delle funzioni pubbliche dalla famiglia dei conti al titolare della cattedra di S. Cassiano. Il documento del 5 giugno 1084 attesta dunque il trasferimento dei poteri pubblici su Imola alle forze comunali, ancora in fase embrionale ma evidentemente già dotate di una certa autorevolezza. Appare evidente come in pochi anni i cives imolesi avessero dato vita ad un nuovo soggetto politico autonomo ed influente, in grado di strappare una concessione tanto importante, soprattutto a livello commerciale, ad un vescovo sostenuto direttamente dalla potente Chiesa ravennate. La situazione tuttavia, probabilmente più complessa di come possa apparire dall‟atto del 1084, era destinata ad evolversi ulteriormente.

È indubbio comunque che i cives imolesi avessero conosciuto una forte ascesa politica. Quali potevano essere le ragioni di tale affermazione? Il Cantarella ha sottolineato in primo luogo l‟elemento militare e sociale249

. La cittadinanza infatti aveva saputo tener testa al vescovo, al punto da indurlo a cedere diritti tanto importanti e tanto recenti, nonché a fargli deporre per il futuro ogni velleità di riscossa e a legarlo con l‟impegno di eleggere la loro città come propria sede; al tempo stesso le forze cittadine avevano di fatto espulso dalla scena politica cittadina la famiglia comitale che, pur relegata nei castelli del contado, cercava ancora di restaurare la propria autorità attraverso le clientele armate di cui disponeva. Questi cives dovevano detenere un certo peso politico, economico nonché militare. Proprio le clientele armate probabilmente giocarono un ruolo rilevante in questo mutamento dei rapporti di forza e degli equilibri politici. Il Cantarella sostiene infatti che “proprio nella ripetuta richiesta di servigi esse fossero cresciute in importanza fino a potersi proporre come detentrici potenziali di un potere autonomo”250

: i gruppi che in precedenza si erano affrontati per conto di diversi domini, fossero il vescovo o il conte, a fine XI secolo potevano trovare nella societas cittadina un nuovo e comune centro d‟interesse politico ed economico, superando precedenti divisioni, conseguendo più larghe intese e pianificando ambiziosi progetti, come quello di portare in città la sede episcopale.

L‟atto del 1084 è assolutamente indicativo a questo proposito: il fatto che i cives appaiano come un gruppo omogeneo dotato di un peso politico quantomeno equivalente a quella del vescovo e maggiore di quello dei conti ci consente di ipotizzare che mutamenti significativi fossero intervenuti non solo nella compagine sociale della città ma anche nelle alleanze familiari e consortili. È interessante notare come i principali attori del documento in questione appartenessero a famiglie che già cinquant‟anni prima avevano svolto donazione della contessa Guilla del 26

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Cantarella, Imola, cit., p. 151.

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146 gennaio 1033: c‟è un Azolino de Aldevrando, che sembra legato alla famiglia o consorteria che nel 1033 dava il nome alla contrata Adrovandorum, nella quale la contessa possedeva una casa che da un lato costeggiava la via Aldrovandorum; c‟è un “Uberto figlio del fu Alberto di Arardo” e nipote evidentemente di quel notaio Arardo a sua volta figlio dell‟omonimo defunto menzionato nell‟atto del 1033251.

L‟ascesa politica dei cives imolesi tuttavia doveva affondare le proprie radici nell‟espansione economica e commerciale che la città di Imola conobbe verso la fine del secolo undecimo. Nel documento del 1084 si parla infatti del porto vescovile di Conselice, fulcro dei traffici commerciali imolesi verso il Delta padano e l‟Adriatico. Ebbene, i cives protagonisti dell‟atto del 1084 erano evidentemente espressione di una nuova borghesia cittadina in ascesa che doveva le proprie fortune in primo luogo ai floridi traffici commerciali con Venezia, suggellati dal trattato del 1099; in quell‟anno infatti gli Imolesi ottennero un importante privilegio dal doge di Venezia Vitale Michiel, che riconobbe loro esenzioni e riduzioni daziarie sul mercato annonario della Serenissima252. Tale espansione commerciale a largo raggio era resa possibile soltanto tramite l‟acquisizione ed il controllo di una serie di porti e di luoghi strategici, che spesso conobbero un processo di incastellamento ed urbanizzazione, posti nella bassa pianura, in quelle aree che nei secoli dell‟alto medioevo avevano visto una certa ascesa economica e commerciale di Comacchio, ben presto però frenata dall‟affermazione della Serenissima253

. Imola, a vari secoli di distanza, sembrerebbe quasi, in tal frangente, porsi in continuità con la Comacchio altomedievale in questo tentativo di espandere i propri traffici commerciale verso nord-est, e quindi verso le saline e l‟Adriatico, attraverso i territori vallivi del Delta padano. Bisognava dunque assicurarsi il controllo di posizioni intermedie importanti, di punti nodali nella rete di comunicazioni della bassa pianura, e in questo processo le forze del comune consolare giocarono un ruolo di primaria importanza.

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Cantarella, Imola, cit., p. 151.

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Antonio Ivan Pini ha ipotizzato l‟esistenza di legami tra Imola e Venezia, in grande ascesa, nel quadro delle solidarietà intercittadine venutesi a creare attorno al progetto papale di crociata all‟indomani del concilio di Piacenza: A. I. Pini, I trattati commerciali di una città agricola medievale: Imola (1099-1279), in «SR», XXVI (1975), pp. 65-97; Id., Commercio, artigianato e credito nel Medioevo, in La storia di Imola, cit., pp. 209-222, in particolare p. 210; Id., Le attività produttive nel Medioevo: corporazioni artigiane e vita commerciale a Imola nei secoli XI-XV, in Medioevo imolese, cit., pp. 87-88; Vasina, L‟età comunale, cit., pp. 164-165; Mascanzoni, Guido Deotaiti, cit., p. 13. Fra gli studi precedenti si segnala il seguente: W. Lenel, Un trattato di commercio fra Venezia ed Imola dell‟anno 1099, in «Nuovo archivio veneto», n.s., LXXI, 1908, pp. 62-67.

253Per la storia economica, sociale e religiosa di Comacchio nell‟alto medioevo si segnalano gli studi di S. Gelichi e gli

articoli di A. Samaritani pubblicati sulla rivista comacchiese «Anecdota». In particolare si vedano: A. Samaritani, La società comacchiese tra alto e centrale medioevo dalle carte ravennati e pomposiane testé criticamente edite (metà del sec. IX - metà del sec. XII), «Anecdota», XVII, I (2007), pp. 61-91; S. Gelichi, Comacchio e il suo territorio tra la tarda antichità e l‟alto medioevo, Ferrara 2007; L'Isola del Vescovo. Gli scavi archeologici attorno alla cattedrale di Comacchio, a cura di S. Gelichi, Borgo S. Lorenzo 2009.

147 Nell‟ambito di quest‟operazione di sottomissione del contado si registrò innanzitutto l‟acquisizione dell‟ampia selva di Bagnarola, ceduta nell‟anno 1140 da parte di alcuni consorti-proprietari al comune cittadino; l‟anno successivo un certo Guarino assieme ai nipoti fece atto di sottomissione per il castello di Trentola agli uomini della città e dei borghi imolesi, alla presenza dei consoli del comune. Nel 1154, sotto la podesteria del bolognese Giovanni Rambertini, i mercanti di pesce della città vinsero, con l‟assistenza del comune, una causa che li opponeva ad alcuni privati per questioni daziarie riguardanti il loro transito nel porto di Trecenta254.

L‟azione posta in essere dal comune di Imola in questi primi decenni del XII secolo è del resto analoga a quella messa in atto, molto spesso con risultati assai migliori, dalla quasi totalità dei comuni italiani. È noto infatti che a partire dalla prima metà del secolo XII le città comunali dell‟Italia centro-settentrionale iniziarono progressivamente ad estendere la propria giurisdizione alle terre del contado, scontrandosi con quei poteri signorili che da secoli dominavano il territorio. Mentre gli ordinamenti comunali andavano consolidandosi in molte realtà urbane del Centro-Nord, le città stesse avevano nel frattempo avviato il processo di penetrazione nel contado, la cui finalità era sostanzialmente duplice: liberare le vie di comunicazione dalle gravose taglie della aristocrazia feudale e signorileal fine di tutelare il mercato urbano, nonché difendere la città dalla stessa nobiltà del contado e dalle forze cittadine dei centri vicini. Questo processo di espansione nel contado da parte dei Comuni cittadini, definito convenzionalmente in sede storiografica “movimento di comitatinanza”, venne favorito dall‟accordo tra il vescovo locale e la classe dirigente comunale e dagli interessi delle oligarchie cittadine, che nella sottomissione del mondo rurale intravedevano la possibilità di espandere le proprie attività economiche e di tutelare i propri beni fondiari255. A promuovere la penetrazione della città nel contado furono anche i rapporti di dipendenza del laicato

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Vasina, L‟età comunale, cit., p. 165.

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La bibliografia sul tema della “comitatinanza” è piuttosto ampia. In primo luogo si segnala il saggio di Giovanni De Vergottini, considerato un classico della storiografia sui comuni italiani: Origini e sviluppo storico della comitatinanza, in Scritti di storia del diritto italiano, I (1977), pp. 3-121, già in «Studi Senesi», s. 2, XLIII (1929), pp. 347-481. Nuove prospettive di studio sono emerse da molti dei saggi contenuti nel recente volume Sperimentazioni di governo nell‟Italia centrosettentrionale nel processo storico dal primo comune alla signoria. Atti del convegno di studio (Bologna, 3-4 settembre 2010), a cura di M. C. De Matteis e B. Pio, Bologna 2011. Si segnalano infine anche: F. Menant, L‟Italia dei comuni (1100-1350), traduzione e cura di E. I. Mineo, Roma 2011; F. Franceschi, I. Taddei, Le città italiane nel Medioevo: 12.-14. secolo, Bologna 2012.

Per la situazione specifica del mondo emiliano - romagnolo si rinvia a: A. Vasina, Comuni e signorie in Emilia e in Romagna: dal secolo 11. al secolo 15, in Storia d‟Italia, UTET, Torino 1986, pp.43-46; R. Dondarini, Bologna medievale nella storia delle città, Bologna 2000, pp. 46-64.

Per quanto riguarda il caso di Imola un‟ampia sintesi delle vicende cittadine nei decenni della “comitatinanza” è presente nel primo capitolo del volume di Leardo Mascanzoni dedicato all‟edizione Quaternus fumantium comitatus Ymole, di cui si parlerà meglio in seguito: Id., Guido Deotaiti, cit., pp. 11-29. La storia politica ed amministrativa del comune di Imola viene ampiamente trattata negli studi di Augusto Vasina, Tiziana Lazzari e Massimo Montanari citati alle note nn. 89 e 91, i quali mettono in luce dettagliatamente la peculiare situazione imolese e le difficoltà del comune di porre in essere un‟azione di sottomissione del contado.

148 cittadino più influente degli enti ecclesiastici urbani, detentori di vaste proprietà immobiliari sia in città che in campagna; infatti la prima metà del XII secolo vide una certa intesa, pur non priva di tensioni, fra chierici e laici, consapevoli che una reciproca collaborazione avrebbe giovato agli interessi politici e patrimoniali di entrambi256.

Come accadde altrove, anche nel caso di Imola il progetto di conquista del contado vedeva coincidere gli interessi dei ceti comunali, del vescovo e di istituzioni monastiche quali S. Maria in Regola; i risultati, tuttavia, furono ben diversi che in altre realtà cittadine del Centro-Nord, a causa della peculiare situazione politica imolese, che ancora in pieno XII secolo vedeva la città suddivisa nei tre nuclei insediativi originari, espressione di 3 poteri tra loro in contrasto: la città propriamente detta, sviluppatasi attorno alle pieve urbana di S. Lorenzo, il castrum Imole e il castrum vescovile di S. Cassiano. Questa situazione e le vicende del comune imolese nei secoli XII e XIII ci consentono di definire meglio i rapporti tra vescovo e comune, già a partire dal suddetto documento del 1084. È vero che, come emerge da tale atto, i cives avevano iniziato a far sentire decisamente la loro influenza limitando le prerogative del vescovo e assumendo le funzioni dell‟autorità comitale, da allora in poi relegata nel contado, ma è anche vero che, ad esempio, la promessa del vescovo di stabilirsi in città rimase ancora per lunghi anni lettera morta; va poi ricordato come il vescovo fosse sostenuto direttamente niente meno che dall‟antipapa Clemente III, e quindi dalle armi di Enrico IV, e come già da tempo detenesse ingenti proprietà fondiarie e centri fortificati nella Bassa Imolese, a cominciare proprio dal castello di Conselice; inoltre, più tardi, saranno gli stessi vescovi, a seguito della distruzione di S. Cassiano e dell‟inurbamento, ad assumere la guida del comune cittadino; emblematiche sono a tal riguardo le vicende di Mainardino degli Aldighieri negli anni di Federico II257.

Le conquiste dei cives imolesi maturate tra XI e XII secolo sono dunque elementi indicativi di una certa linea di tendenza che, però, pochi anni dopo si interruppe, senza essere stata confortata nel frattempo da una effettiva presa di possesso da parte dei cives del territorio258. Gli Imolesi non vi riuscirono a causa del progressivo peggioramento della situazione locale e generale, per il concorso di molteplici circostanze sfavorevoli che fecero di questo territorio un‟area particolarmente depressa sul piano politico e militare. In altre parole, nonostante i rapporti commerciali con Venezia ed alcuni primi risultati nella sottomissione del contado, che tra l‟altro risultava in buona parte sotto il

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Vasina, Comuni e signorie, cit., pp. 43-46.

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Su Mainardino degli Aldighieri si veda: G. Rabotti, Aldigeri Mainardino, in Dizionario biografico degli italiani, 2, Roma 1960, pp. 86-87; Id., “Mainardinus imolensis episcopus” (1207-1249), in Vescovi e diocesi in Italia nel Medioevo (secc. IX-XIII), atti del II Convegno di Storia della Chiesa in Italia (Roma, 5-9 settembre 1961), Padova 1964, pp. 409- 418.

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149 controllo vescovile, la debolezza delle forze comunali laiche si manifestò in maniera assai evidente nelle forti difficoltà incontrate nel tentativo stesso di portare a compimento la sottomissione del mondo rurale e, soprattutto, nel confronto con i vicini, il potente comune di Bologna ad ovest e i Faentini ad est. È infatti risaputo che, negli stessi decenni che videro l‟ascesa del comune di Bologna ed anche in seguito, Imola fu una città endemicamente debole, principalmente a causa della lenta e faticosa ricomposizione unitaria dei tre nuclei poleogenetici in cui era suddivisa259.

5.2 I CASTELLI DEI VESCOVI DI IMOLA. IL CASTRUM CUM CURTE DI