• Non ci sono risultati.

I CONTI DI DONIGALLIA, CUNIO E BAGNACAVALLO UN’INTRODUZIONE

Nei capitoli precedenti abbiamo posto in rilievo i legami tra le famiglie comitali di Romagna e l‟ampio gruppo parentale dei Guidi, soffermandoci in particolare sulle origini dei conti di Imola, in un contesto sociale assai più complesso e dinamico di quello delineato da buona parte della storiografia novecentesca.

Abbiamo inoltre sottolineato come nel corso del secolo undecimo le fonti indichino una progressiva frammentazione dinastica e patrimoniale della cosiddetta famiglia dei conti di Imola, confermata dalla presenza coeva di vari personaggi insigniti del titolo di comes. In tale contesto le fonti, documentarie e narrative, iniziano a menzionare i conti di Donigallia, Cunio e Bagnacavallo, a capo di comitati rurali della pianura imolese e faentina la cui esistenza, quantomeno nel caso di Cunio, si protrarrà fino al tardo medioevo, con l‟annessione di questa porzione di Romagna allo stato estense.

La presenza di vari personaggi indicati come comites nelle carte romagnole di XII secolo trova spiegazione, almeno in parte, nel radicamento signorile che i primi Guidi e i conti di Imola, analogamente alle altre piccole dinastie comitali di Romagna, avevano operato, dal X secolo in poi, nei distretti rurali dell‟Imolese e del Faentino; queste famiglie, a partire dalla lontana epoca di Engelrada (I), erano riuscite progressivamente ad accumulare cospicui patrimoni immobiliari, costituiti da beni allodiali, beneficiari ed enfiteutici, ottenendo così l‟effettivo controllo delle prerogative pubbliche in vaste aree della Romagna.

È in questo quadro politico, istituzionale e sociale che si affermarono dal tardo XI secolo, nel territorio della Romagna nord-occidentale, piccole signorie di castello facenti capo a diversi esponenti dell‟antica famiglia dei conti di Imola; si trattava, però, di conti ormai totalmente svincolati da un mondo cittadino che, del resto, non avevano mai influenzato significativamente; essi si limitavano ad esercitare i loro poteri signorili su alcune porzioni del contado imolese e faentino: erano i conti di Donigallia, Cunio e Bagnacavallo, signori rurali che dalla seconda metà del Mille esercitavano, de facto, prerogative di natura pubblica su distretti rurali della Romagna

191 nord-occidentale. Questi piccoli signori locali della pianura romagnola continuarono, inoltre, a fregiarsi del titolo comitale proprio dei loro antenati guidinghi fino al tardo medioevo, dando vita a dominatus loci nei quali l‟esercizio di funzioni pubbliche si fondava primariamente sul controllo dei castelli e sulla cospicua base patrimoniale e fondiaria di famiglia.

L'analisi di fonti documentarie e narrative dei secoli XI-XIII ci consente di affermare che le signorie dei conti di Donigallia, Cunio e Bagnacavallo rappresentavano classici esempi di dominatus loci, in quanto presentavano gli aspetti tipici della signoria rurale, nella quale, come è noto, al dominio fondiario si accompagnava l‟esercizio di poteri pubblici su di un preciso ambito territoriale, su di un districtus castrense.

Siamo altresì in presenza di signorie rurali pienamente assimilabili, sul piano politico ed istituzionale, a tante altre signorie locali sorte nel secolo XI che però hanno suscitato, nel corso del tempo, ben altro interesse nella storiografia medievistica; indubbiamente, in sede storiografica, hanno giocato a sfavore delle signorie comitali della Romagna nord-occidentale vari elementi, a cominciare dalla presunta marginalità socio-economica e politica del territorio che essi dominavano; inoltre, l‟oggettiva scarsità di testimonianze documentarie, soprattutto per quanto riguarda la sfera amministrativa e giurisdizionale nei secoli XI e XII, così come il fatto stesso di controllare un territorio ben più modesto di quello di numerose signorie coeve, hanno condannato questi signori rurali ad un lungo oblio storiografico. Del resto assai limitato appare lo sviluppo delle istituzioni signorili di questi distretti comitali, soprattutto in riferimento alla prassi amministrativa, fiscale e giurisdizionale; quello che emerge ancora in pieno Duecento è un quadro di sostanziale arretratezza sociale ed istituzionale, confermato tra l‟altro anche da fonti fiscali cittadine, con strutture politico-amministrative signorili che potremmo definire arcaiche se paragonate al sistema di potere principesco e proto-statale cui seppero dar vita, negli stessi anni ed a breve distanza, gli Estensi e i Guidi327.

Ciononostante, gli ordinamenti signorili si affermarono anche in questo territorio, la loro esistenza è documentata, e questo è un dato che l‟indagine storiografica non può trascurare; istituzioni signorili, seppur deboli sotto vari aspetti, nacquero anche nella Romagna nord-occidentale, all‟ombra di castelli talvolta edificati già alla fine del X secolo; inoltre queste signorie comitali ebbero vita assai lunga, se pensiamo che i Cunio controllarono questo territorio fino alle soglie dell‟età moderna.

Il contesto politico in cui operarono i conti di Donigallia, Cunio e Bagnacavallo fu quello dell‟antagonismo tra poteri territoriali opposti ed in concorrenza tra loro, i comuni da un lato e le

327

192 signorie territoriali dall‟altro; forze opposte e concorrenziali ma al tempo stesso interagenti, in quanto operanti all‟interno di un comune spazio politico ed economico dove gli interessi dei ceti comunali, del clero cittadino e dei signori rurali andavano sovente intrecciandosi, in una realtà socioeconomica assai più complessa e composita di quella definita dall‟ormai superato cliché della contrapposizione città-mondo feudale328; la storiografia medievistica, infatti, già da tempo è riuscita a liberarsi dalla “sistematicità di un determinismo che vede coincidere l‟intero contado con la signoria territoriale”, sottolineando la compresenza, nel mondo rurale così come in quello cittadino, di una pluralità di forze in gioco e di una molteplicità di soggetti politici protagonisti di uno scontro ma anche di un incontro329.

In tale contesto la storiografia è riuscita ormai da tempo a liberarsi del dannoso stereotipo che prevedeva in sostanza la contrapposizione tra comune, inteso come una realtà esclusivamente cittadina, e signoria, intesa come una realtà esclusivamente rurale che si sarebbe affermata anche in città liquidando le precedenti istituzioni comunali; come è noto, importanti studi hanno già da tempo dimostrato la totale infondatezza di questa contrapposizione, di questa cesura cronologica e politico-istituzionale, mettendo in luce una realtà cittadina ben diversa, assai più complessa; quello che è emerso dagli studi più recenti è un mondo urbano caratterizzato dalla compresenza del fenomeno signorile e di quello comunale all‟interno delle stesse mura cittadine già in epoche non sospette, nel quadro di una piena continuità tra comune e signoria; una realtà, quest‟ultima, evidentemente già in nuce nel regime precedente330.

328

A superare definitivamente questo cliché storiografico hanno contribuito notevolmente, soprattutto per quanto concerne la caratterizzazione sociale delle élites, gli studi di Jean-Claude Maire Vigueur: Id., Cavalieri e cittadini: guerra, conflitti e società nell‟Italia comunale, Bologna 2004, passim.

329

La citazione è tratta da P. Pirillo, Tra signori e città: i castelli dell‟Appennino alla fine del Medio Evo, in I castelli dell‟Appennino, cit., pp. 15-29, in particolare pp. 15-16.

Elemento più significativo e tangibile di questo incontro/scontro tra città e signorie rurali fu la formale sottomissione dei signori al comune ed il loro trasferimento in città; è noto però che tali vicende non segnarono affatto la scomparsa dei signori dalla scena politica; sappiamo, anzi, che per molti di essi l‟inurbamento rappresentò in termini politici un “nuovo inizio”, in quanto, a seguito di un lungo e complesso travaglio istituzionale, numerosi signori riuscirono a collocarsi addirittura ai vertici delle istituzioni cittadine.

Nel caso delle maggiori dinastie signorili la recente storiografia ha posto in rilievo sostanzialmente due linee d‟azione, fra loro contrapposte, nei confronti del comune cittadino: da un lato la creazione di un dominio alternativo alla città, dall‟altro la scelta cittadina “in un‟ottica di sostanziale adesione o inserimento”. Questi due atteggiamenti alternativi caratterizzarono un po‟ ovunque, in tutta l‟Italia centro-settentrionale, le relazioni tra queste famiglie signorili e le nuove realtà comunali, segnando la riuscita o il fallimento dei progetti di controllo territoriale attuati da tali dinastie (Ceccarelli Lemut, I Guidi, cit., p. 56).

330

È il tema storiografico delle cosiddette “criptosignorie”, delle signorie cittadine attestate in piena età comunale nell‟Italia centro-settentrionale: J.-C. M. Vigueur, E. Faini, Il sistema politico dei Comuni italiani, Milano - Torino 2010; A. Zorzi, Le signorie cittadine in Italia (secoli XIII-XV), Milano - Torino 2010; J.-C. M. Vigueur, Signorie cittadine nell‟Italia comunale, Roma 2013.

193