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2.2. LA PRATICA CATECHISTICA IN RELAZIONE ALLE SFIDE DELLA POST MODERNITA’

2.2.1. La catechesi in Italia alla fine del XX secolo

Come sostiene il Direttorio Generale Catechistico, il contesto pluralista è un’importante variante da tenere presente nella catechesi stessa, in una situazione dove ci sono forme di non credenza e di indifferenza religiosa: “di fronte a questa condizione di complessità può avvenire che diversi cristiani si trovino confusi e smarriti, non sappiano confrontarsi con le situazioni né giudicare i messaggi in esse circolanti, abbandonino

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Cfr. P. MALAVASI, Discorso pedagogico e dimensione religiosa, Vita e Pensiero, Milano 2002, p. 199.

una regolare pratica religiosa e finiscano con il vivere come se Dio non ci fosse, ricorrendo sovente a surrogati pseudoreligiosi” 128.

L’esistenza di Dio, come è stato visto nei paragrafi precedenti, risulta oggi un’ipotesi superflua, talora sottaciuta e più spesso rimossa. Dire e perciò riconoscere il nome di Dio non sempre implica di per sé la fede, ma più spesso significa l’accettazione, storicamente situata, della ricerca di Dio. Inoltre, accanto al pluralismo di religioni e di confessioni religiose, vi è anche una sorta di pluralismo interno al campo cattolico, in quanto si evidenziano modalità diverse di intendere e di praticare la religione cattolica, diversità che coinvolgono il piano delle credenze, quello delle pratiche e quello dell’appartenenza alla Chiesa.

Accanto all’insieme dei praticanti si evidenzia, infatti, una quota rilevante di popolazione che può essere inquadrata nel modello di religiosità “senza chiesa”, con il ricorso alla ritualità esclusivamente in occasione di momenti particolarmente rilevanti del corso di vita o di festività di speciale risalto; oppure, ancora, vi sono persone disposte a riconoscere un certo riferimento a Cristo ma non alla Chiesa; infine, nella mentalità comune e di conseguenza nella legislazione, si diffondono prese di posizione lontane dal Vangelo ed in netto contrasto con la tradizione cristiana. Un simile ambiente pluralistico non può che essere evidente anche i fanciulli ed ai ragazzi129.

Il decreto sulla libertà religiosa Dignitatis humanae nel 1965 afferma in modo categorico: “Nessuno può essere costretto ad abbracciare la fede contro la sua volontà. L’atto di fede è per sua natura un atto libero. E’ quindi pienamente rispondente alla natura della fede che in materia religiosa si escluda ogni forma di coercizione da parte degli esseri umani130.

In questo contesto sociale, culturale e religioso così impegnativo, la catechesi si propone di educare i cristiani al senso della loro identità di battezzati, di credenti e di membri della chiesa attraverso un processo di inculturazione della fede, in modo da favorire l’interiorizzazione del Vangelo negli strati più reconditi delle persone e dei

128

Cfr. CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio Generale per la Catechesi, Città del Vaticano, LEV, 1997, p. 193.

129

Cfr. UFFICI CATECHISTICI DEL NORD-EST, Iniziazione cristiana: un invito alla speranza, settembre 2002, p.31.

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popoli, raggiungendoli «in modo vitale in profondità e fino alle radici delle loro culture»131.Tutto questo implica un coinvolgimento serio da parte della comunità cristiana a cui spetta un impegno ben pensato e meditato, perché l’educazione religiosa non può non tenere conto dei fenomeni religiosi nell’ambito dei grandi mutamenti socio – culturali, economici e politici.

L’impostazione della catechesi in Italia alla fine del XX secolo segue le direttive della Conferenza Episcopale Italiana, che prevede, per i ragazzi, suddivisi per classi di età, i sotto elencati momenti132:

1) un incontro di un’ora di catechesi settimanale, chiamato “catechismo”, indirizzato ai piccoli, a partire dalla prima elementare per finire alla terza media, gestito da un catechista;

2) un impianto didattico caratterizzato da una forma scolastica di annuncio della fede, con un maestro (il catechista), un libro (il catechismo, la Bibbia e il Vangelo), una classe (simile all’aula scolastica, con banchi e lavagna), con soggetti suddivisi per età, un metodo di insegnamento prevalentemente centrato sullo svolgimento di un programma con i suoi contenuti completi;

3) un impianto contenutistico orientato allo studio dei catechismi ufficiali della CEI e alla preparazione alla ricezione dei Sacramenti. Obiettivo principale della catechesi è la celebrazione di un sacramento (la prima Comunione, la Cresima) riservato a tutti per tradizione e che la comunità cristiana deve garantire a tutti, indipendentemente dai risultati di vita cristiana raggiunti dai soggetti con le loro famiglie. Il comportamento tenuto dai bambini e dai ragazzi durante il tempo del catechismo è orientato a “guadagnarsi” il sacramento, che rappresenta la conclusione del cammino, quasi un premio per aver frequentato le riunioni, aver partecipato al catechismo, alla Messa e se per vari motivazioni un ragazzo comincia tardi a frequentare gli incontri di catechismo, si organizzano corsi di recupero (come a scuola).

131

CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio Generale…., op. cit., p.109.

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Le tesi esposte sono il risultato di un percorso di ricerca effettuato dal sociologo A. CASTEGNARO durante gli anni 1998-1999. Cfr. A. CASTEGNARO, L’Iniziazione Cristiana dei fanciulli e dei ragazzi

nel Triveneto: situazione, problemi e opportunità, in UFFICI CATECHISTICI DEL TRIVENETO, Ripensare l’iniziazione cristiana, gennaio 2002, p. 7.

Questa modalità di fare catechesi ha registrato e tuttora registra un livello di pratica e di coinvolgimento nel percorso di Iniziazione Cristiana da parte di bambini e ragazzi molto elevato (al punto da poter parlare di “socializzazione religiosa generalizzata”) durante la preadolescenza, tra gli 11 ed i 14 anni in particolare, mentre in seguito, negli anni immediatamente successivi si è constatato e si constata un crollo della pratica religiosa, che per molti assumerà più tardi il senso di un distacco dall’esperienza religiosa.

Gli operatori pastorali di molte parrocchie, considerando tutto ciò un fallimento della catechesi, sono giunti a ritenere che la pratica catechistica fatta nel modo tradizionale porti ad una “conclusione” dell’appartenenza cristiana e non ad una “iniziazione”, perché una fede vissuta individualmente rappresenta l’anticamera di abbandoni più radicali in futuro.

Il triennio successivo alla preadolescenza, quello compreso tra i 15 ed 18 anni, ha denotato, infatti, una netta decadenza nei livelli di pratica: in tre anni, più di un terzo dei frequentanti abbandona la pratica settimanale fino a portarsi su una frequenza settimanale di un individuo su quattro tra i 25 ed i 34 anni ed inoltre diminuisce anche la partecipazione all’associazionismo educativo.

In realtà i primi cambiamenti di atteggiamento e di comportamento dalla prima alla terza media, avvengono già dalla prima alla seconda classe: vi è una flessione nella confessione e nella preghiera personale, una perdita di interesse per il catechismo, dilaga la noia nelle occasioni religiose e si affievolisce il sentimento di vicinanza a Dio. Con il sacramento della Confermazione i ragazzi ritengono lecito prendere le distanze dal mondo della religione.

Cosa porta, dunque, all’abbandono?

Un primo ordine di problemi si può cogliere nella separazione del mondo della religione dalla sfera espressiva, ludica ed esplorativa decisiva nella formazione dell’identità dei giovani: attività come fare sport, giocare, divertirsi, ballare, ascoltare musica sembrano in contrasto con doveri “imposti” dalla religione che educa alla vita “seria”.

Un secondo ordine di problemi riguarda la relazione religione - noia. Non è il momento del catechismo, infatti, quello in cui più spesso viene sperimentato tale nesso, ma la frequenza alla Messa festiva, in particolare durante le letture e la predica che sembra essere seguita solo da un ragazzo su tre. Coloro che si annoiano e che aspettano solo che

la Messa finisca, diventano la maggioranza, assumono un atteggiamento passivo, siedono in fondo alla Chiesa come a voler condividere il meno possibile un’esperienza che sono costretti a vivere.

Un terzo ordine di problemi è relativo alla relazione genitori praticanti/non praticanti e figli. Nel contesto italiano e Triveneto, ciò che colpisce è l’alto numero di minori, figli di persone estranee alla pratica costante, che partecipano alla ritualità ordinaria e che portano a termine il percorso dell’iniziazione cristiana. Tutti i genitori sembrano avere piacere che i propri figli frequentino la chiesa, si avvalgano dell’insegnamento della religione cattolica, vadano al catechismo e ricevano i sacramenti dell’iniziazione cristiana, perciò inviano ai ragazzi messaggi di incitamento e di approvazione (esempio “Anche se io ho le mie idee, tu non tenerne conto; anche se non mi comporto come ti indico di fare,ciò non toglie che tutto questo è bene per te”). Ciò avviene sia perché si ritiene che la formazione offerta dalla Chiesa cattolica sia un valido aiuto nel compito educativo, sia perché molti genitori si scoprono incerti e insicuri rispetto alla loro stessa fede. Ma questa incongruenza che percepiscono i ragazzi ha come conseguenza la convinzione che “l’esperienza religiosa sia legata all’età, da cui si potrà, anzi in un certo senso si dovrà, prendere le distanze quando l’età sarà passata”. Se si tratta di una caratteristica dell’età, essa dovrà essere abbandonata se si vuole uscire dalla condizione di minorità.

Un ultimo aspetto, infine, comprende la comunicazione tra pari, nella quale sembra che l’esperienza religiosa sia del tutto assente. Come si è detto sopra, tra i pari vi è spazio per il gioco, per l’avventura, per l’esplorazione, per la trasgressione, luoghi e spazi che con la religione non hanno nulla a che fare. L’esperienza religiosa entra nella comunicazione tra ragazzi nelle sue forme meno attraenti e più gravose, le esperienze positive non sono comunicate, perché si verrebbe considerati come strani, vecchi, o bambini.

E’ all’interno di questo disagio che si inseriscono le riflessioni dei vescovi italiani che hanno lavorato per due anni consecutivi sul tema del ripensamento dell’iniziazione cristiana, portando avanti una riflessione che si è realizzata in due convegni, nel gennaio

del 2001 e nel gennaio del 2002, dai quali sono emerse alcune importanti linee di analisi della situazione e delle esperienze in atto133.

Innanzitutto tutti concordano nel segnalare che il modello di parrocchia e di iniziazione e di catechesi portato avanti sino ad ora era adeguato ed efficace in quanto basato su un presupposto essenziale: una fede già in atto. Si trattava, infatti, di una parrocchia pensata per la cura delle anime, di un impianto di iniziazione centrato sui piccoli e finalizzato al ricevere i sacramenti, di un’ora settimanale di catechismo finalizzata a far memorizzare ciò in cui si credeva.

Poiché, invece, oggi non c’è una fede in atto da coltivare, da celebrare con dei sacramenti e da far memorizzare, ma c’è la necessità di proporre e di suscitare la fede, da una parrocchia come cura d’anime occorre pensare ad una parrocchia missionaria, da un processo di iniziazione centrato sugli adulti e da una catechesi per far memorizzare le conoscenze sulla fede, occorre passare ad una catechesi con la caratteristica del primo annuncio.

Mons. Lambiasi, presidente della Commissione CEI per la catechesi afferma: «I Vescovi sentono che non è più possibile continuare la prassi ordinaria di iniziazione cristiana nei termini con i quali è stata ereditata e continua ad essere applicata nella quasi totalità delle parrocchie italiane [….]Ci è richiesta intelligenza, creatività e coraggio». Invita poi ad evitare i due estremi: sia quello di una rigida chiusura nella ripetizione, senza prendere atto dei cambiamenti, sia quella di «un improvviso e traumatico smantellamento dell’esistente senza gradualità e progettualità»134.

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