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141 categoria sarebbero rientrati i crimina diretti contro la sicurezza della

Nel documento Gli editti di Augusto ai Cirenei (pagine 141-146)

provincia; nella seconda invece quelli lesivi di interessi privati. I processi per omicidio del primo editto sono definiti «Angelegenheiten zwischen einzelnen Personen», nel senso che solo i parenti o i concittadini della vittima erano tenuti a vendicare l‟offesa.

Secondo Giovannini-Grzybek, l‟utilizzo di due espressioni diverse, qanathfovroi divkai e uJpovdikoi kefalh'ı, sottintende dunque due differenti tipi di giurisdizione: il primo editto ha a che fare con processi capitali tra privati, mentre il quarto con processi capitali pubblici.

L‟obiezione principale contro la suddetta teoria riguarda l‟erronea interpretazione di uJpovdikoi kefalh'ı, tradotta dagli autori «Kapitalprozesse» (causae capitales).262 L‟espressione equivale invece al latino rei capitis.

J

Upovdikoi kefalh'ı non è impiegata in senso diverso da qanathfovroi divkai a significare un diverso tipo di processo: essa indica gli „accusati di un crimine passibile della pena di morte‟. Reus capitis era dunque anche l‟imputato giudicato nelle qanathfovroi divkai del primo editto. Inoltre, a nostro modo di vedere, nel quarto editto, l‟indicazione dei collegi giudicanti nelle cause capitali con l‟espressione sumbouvlion kritw'n (consilium iudicum) non può riferirsi al consilium consultivo del magistrato, che non trovava il suo fondamento in una norma giuridica;263 essa piuttosto deve richiamarsi al

consilium descritto nel primo editto che, una volta nominato dal governatore,

sarebbe stato responsabile della sentenza.

Il verbo utilizzato per indicare l‟affidamento del giudizio capitale al sumbouvlion kritw'n da parte del governatore è parevcein, il cui significato è appunto quello di „dare‟, „accordare‟.

La traduzione latina della clausola è la seguente:

262 Vd. Giovannini- Grzybek, Der Prozess Jesu cit., 44ss. 263

Vd. le considerazioni nel paragrafo precedente 3.1, b. Vd. anche Wenger, Die Augustus- Inschrift cit., 86-87.

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[…] exceptis reis capitis, de quibus qui provinciam obtinebit ipse cognoscere et statuere vel consilium iudicum dare debet.264

La prima alternativa che si presentava al governatore viene descritta tramite i due termini cognoscere e statuere, utilizzati fino al I secolo a.C. per distinguere i due aspetti fondamentali della cognitio, vale a dire «il fondamento intellettivo del provvedimento» e «il contenuto dispositivo o decisorio».265

In base alla seconda alternativa, l‟attribuzione del compito di decidere ad un organo diverso dal magistrato non significava che il magistrato non avesse alcuna competenza o potere di accertamento. Ad esempio, pur nella consapevolezza che si tratti di processo privato, nel processo formulare, il magistrato doveva verificare e stabilire se le parti potessero stare in giudizio, se una delle due potesse essere convenuta dall‟altra e se l‟attore fosse legittimato ad agire.

I nostri documenti testimoniano come il conferimento del giudizio al sumbouvlion kritw'n rientrasse nella sfera della cognitio extra ordinem del magistrato. Dal primo editto si ricava che il governatore, prima dell‟apertura del processo, si sarebbe dovuto occupare dell‟accertamento dei requisiti dell‟accusatore (ll. 33-40)266

e presumibilmente del controllo delle operazioni legate alla formazione della giuria e dell‟andamento del processo, come dimostrato dalla disposizione sulla dichiarazione della sentenza: o{ ti a]n oiJ

264

Vd. FIRA I, 68, p. 409.

265 Si esprime così G. Pugliese, «Cognitio», in NNDI 3 (1959), 430-5 = Scritti giuridici scelti,

II, Camerino 1985, 279-286. Tra le fonti citate dall‟autore sulla formula cognoscere et statuere vd. Cat., Or. frg., 55; B. Alex., 65.4; Cic., Brut., 83. Aggiungiamo Dion. Hal., Ant. Rom., 8.68.4: Kavssion to;n u{paton gnw~nai te kai; sth~sai, o{ti dæ a[n ejkeivnw dovxh/, tou~tæ eij~nai sfivsi kuvrion.

266 In merito a questo aspetto della cognitio in D. 48.2.16 si dice che il magistrato […] eligere

debet eum qui accuset, causa scilicet cognita aestimatis accusatorum personis vel de dignitate, vel ex eo quod interest, vel aetate vel moribus vel alia iusta de causa.

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pleivou" ejx aJpavntwn dikavswsin, tou'to ejmfanw'" oJ strathgo;" ajpofainevsqw (l. 33).

In accordo con l‟opinione prevalente,267

riteniamo dunque che, nella clausola contenuta alle linee 63-66 del quarto editto, venissero riepilogati i poteri del governatore in materia di repressione criminale; ciò equivale a dire che l‟affidamento di un affare capitale ad una giuria (non più solo consultiva) poteva avvenire a discrezione del magistrato.268

L‟alternativa prevista nel quarto editto per il governatore di giudicare personalmente una causa o di rimetterla ad un collegio giudici anticiperebbe quella tramandataci dai giuristi classici per il praeses provinciae. Nel primo libro dei suoi Digesta Giuliano scrive:

Saepe audivi Caesarem nostrum dicentem hac rescriptione “eum qui provinciae praeest adire potes” non imponi necessitatem proconsuli vel legato

267 Vd. supra nt. 260.

268 Vd.l‟esempio del processo a Sopatro supra, par. 3.1, b. La formazione delle giurie miste del

primo editto era un‟operazione strettamente collegata all‟attività del conventus giudiziario ed è probabile che per alcune questioni fosse necessario un intervento immediato dell‟autorità romana al di fuori delle ordinarie sessioni giudiziarie. Flavio Giuseppe (B.I., 7.11.1-4; Vit., 424) racconta che il governatore di Creta e Cirene, Catullo, intorno al 73-74 d.C., in Cirenaica aveva indotto un tale Gionata a denunziare due giudei con i quali si era trovato in contrasto, Alessandro e la moglie Berenice: ªKatullo"º keleuvsa" gou'n aujto;n ª∆Iwnavqhnº ojnomavsai tina; tw'n jIoudaivwn jAlevxandron, w/| pavlai proskekroukw;" fanero;n ejxenhnovcei to; mi'so", thvn te gunai'ka th;n ejkeivnou Berenivkhn tai'" aijtivai" sunemplevxa", touvtou" me;n prw'ton ajnei'len, ejpi; d∆aujtoi'" a{panta" tou;" eujporiva/ crhma;twn diafevronta" oJmou' ti cilivou" ejfovneusen a[ndra". I due giudei vennero giustiziati e, dopo di loro, il governatore si adoperò perché la stessa sorte toccasse ad altri mille giudei: vd. E. Bammel, Zum Kapitalrecht in Kyrene, in ZSS 71 (1954), 356-359, il quale interpreta l‟episodio alla luce della procedura descritta nel quarto editto augusteo di Cirene per la repressione capitale del governatore (diageinwvskein kªaiº; iJstavnai). Secondo Bammel, il caso in questione, come dimostrato anche dalla terminologia impiegata tipica del diritto processuale (ojnomavzein, aijtivai" sunemplevkein, ajnairei'n), riguarderebbe un processo ordinario. Tuttavia, dal momento che non sappiamo se i due accusati fossero cittadini Greci e dunque a quale giurisdizione facessero capo, riteniamo sia più prudente limitare le ipotesi in merito. Sulla componente ebraica in Cirenaica vd. S. Applebaum, Jews and Greeks in ancient Cyrene, Leiden1979.

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eius vel praesidi provinciae suscipiendae cognitionis, sed eum aestimare debere, ipse cognoscere an iudicem dare debeat (D., 1.18.8).269

Riteniamo dunque non vi sia alcuna incongruenza nell‟utilizzo da parte del redattore degli editti di due espressioni diverse quali qanathfovroi divkai e uJpovdikoi kefalh'ı in riferimento alla giurisdizione capitale. Nel quarto editto vengono definiti uJpovdikoi kefalh'ı i Greci accusati di crimine capitale soggetti alla cognitio del governatore, i quali avrebbero potuto essere giudicati, a discrezione del governatore, da un sumbouvlion kritw'n, la cui struttura viene riorganizzata da Augusto nel primo editto in risposta a specifiche necessità. Dal primo documento apprendiamo infatti che, nella provincia della Cirenaica, nei processi capitali a carico dei Greci, organo giudicante poteva essere un

consilium di giudici Greci e Romani (o di soli Romani), la cui formazione era

strettamente legata alle attività del conventus giudiziario.

269

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b) La giurisdizione non capitale.

Dopo la clausola sulla giurisdizione capitale, si dispone la norma generale secondo la quale uJpe;r de; tw~n loipw~n pragmavtwn pavntwn, vale a dire su tutte le altre liti, il giudizio sarebbe spettato a giudici Greci o, su scelta dell‟ajpaitouvmeno" o dell‟eujqunovmeno", Romani.

Con le coppie di termini diwvkwn/ajpaitouvmeno" ed eujquvnwn/eujqunovmeno" (vd. linee 70-71), si definiscono le parti in causa nelle controversie tra Greci, ad esclusione di quelle capitali già trattate nelle linee precedenti.

Si è ritenuto che, con tale impiego differenziato di termini, si volessero indicare due diversi rapporti processuali, in particolare con la coppia diwvkwn/ajpaitouvmeno" l‟attore ed il convenuto nei processi civili mentre con eujquvnwn/eujqunovmeno" l‟accusatore e l‟accusato nei processi penali non capitali.270

Secondo Wenger, a ragione, la contrapposizione moderna tra processo civile e processo penale non si poteva applicare al diritto romano; lo studioso preferì dunque parlare di ius privatum e ius publicum pe rendere la distinzione tra le due coppie di termini diwvkwn/ajpaitouvmeno" e eujquvnwn/eujqunovmeno".271 Secondo Wenger, la coppia diwvkwn/ajpaitouvmeno" indicava sicuramente o un “iudicium privatum” o un “verstaatlichter Privatprozeß”, vale a dire un processo privato avocato allo Stato; i due termini eujquvnwn ed eujqunovmeno" rappresentavano invece le parti di un processo penale con rito accusatorio («Strafprozeß mit Anklageverfahren irgend welcher Art»): all‟interno di questa categoria, si sarebbero principalmente collocati i processi di rendiconto contro i magistrati usciti di carica, designati nel diritto attico proprio con il termine eu[quna, come l‟eventuale multa decretata. Ma tale supposizione è tutt‟altro che assodata.

Dalle nostre ricerche, rileviamo che le fonti letterarie non ci permettono di stabilire il significato preciso di tali espressioni. Il verbo eujquvnw significa

270

Vd. Da ultimo De Visscher, Les édits d‟Auguste cit., 119.

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