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Categorie problematiche: letteratura ‘postcoloniale’ e ‘migrante’

1.2 Lo sviluppo della letteratura postcoloniale in Italia

1.2.1 Categorie problematiche: letteratura ‘postcoloniale’ e ‘migrante’

133 L’acronimo sta per The European Association for Commonwealth Literature and Language Studies. Per le informazioni relative si veda: Derobertis, 2014.

134 Ponzanesi, 2014, p. 57.

135 Ponzanesi, 2014, p. 51.

136 Ponzanesi va oltre, suggerendo che bisogna analizzare il postcolonialismo non in base alle nazioni europee, ma in base a tutto il continente insieme, vedendolo come un unico organismo. Cristina Lombardi-Diop e Caterina Romeo prendono una posizione diversa, non vogliono “suggerire l’idea che questi paesi siano postcoloniali allo stesso modo, o che adottino lo stesso modello di postcolonialità; piuttosto il contrario”. Le autrici affermano che le opere recenti degli studi postcoloniali che sono emerse in varie nazioni europee “sottoline[a]no similitudini […ma] mostrano anche quanto l’esperienza postcoloniale di ogni nazione sia specifica, tanto a livello della sua formazione storica quanto a livello culturale”. Perciò, è vero che l’Europa può essere analizzata come un insieme per capire come si sono sviluppati attitudini e passati coloniali (come nella spartizione dell’Africa) e come ogni nazione del continente è connessa geograficamente e perciò arrivano sempre influenze dalle altre nazioni. Però, è di altrettanta importanza capire come ogni nazione sia diversa, sia linguisticamente che storicamente. Per i brani citati in questa nota si veda: Lombardi-Diop e Romeo, 2016, p. 53.

Si è già spiegata la differenza fra le due etichette comprese nel titolo di questa sezione, però anche i termini stessi sono molto dibattuti. Come all’inizio del capitolo 1.2, prima di arrivare al caso dell’Italia dovrò partire da lontano per contestualizzare il termine ‘postcoloniale’ a livello mondiale. L’analisi critica di tale termine renderà facile lo svelamento dei problemi innati nella categoria ‘letteratura migrante’.

Il termine ‘postcoloniale’ “è sempre stato molto controverso, tanto a livello politico, quanto a livello teorico”.137 Nel dibattito a riguardo, chi è contrario al suo utilizzo sostiene che il prefisso ‘post’ vorrebbe implicare la fine di una pratica o un periodo interamente concluso. Considerando però i rapporti mantenuti con le varie ex-colonie e l’esistenza del neocolonialismo, è impossibile relegare il colonialismo a una condizione storica del passato, quando i suoi effetti sopravvivono tutt’oggi nel mondo attuale.138 Per esempio, per il caso dell’Italia, la nazione non opera più come potere coloniale direttamente nelle sue ex-colonie, ormai nazioni indipendenti, ma i legami continuano a sopravvivere, a svilupparsi e a mutare.139

Dall’altra parte, gli autori di The Empire Writes Back, già nel 1989, anno della sua prima pubblicazione, affermano che il termine ‘postcoloniale’ è quello più appropriato “per la nuova critica interculturale che è emersa negli anni recenti”.140 Non è un’espressione centrata sulle realtà temporali del colonialismo, ma copre tutte le culture toccate dal colonialismo sin dal suo principio fino al giorno d’oggi. Gli autori introducono anche gli argomenti principali contro l’uso della locuzione: alcuni critici sostengono che solo certi periodi possano essere categorizzati come postcoloniali (principalmente il periodo subito dopo l’indipendenza politica). Altri critici invece dichiarano che alcune persone che risentono tuttora degli effetti del colonialismo non possono rientrare nella categoria ‘postcoloniale’ (i coloni) e perciò il termine è errato quando si parla delle potenze europee. Per ultimo, alcuni critici sostengono che alcune società non siano postcoloniali in quanto non sono completamente libere, né politicamente né dalle attitudini colonizzanti, e dunque non si può parlare di ‘post’, di un ‘dopo’ del

137 Lombardi-Diop e Romeo, 2014, p. 1.

138 Ashcroft, Griffiths e Tiffin, 2002, p. 195.

139 U.C. Ali Farah. 2005c. “Dissacrare la lingua.” El Ghibli 1, n. 7 (marzo). http://archivio.el-ghibli.org/index.php%3Fid=1&issue=01_07&section=6&index_pos=3.html. Ultimo accesso 23 ottobre 2018.

colonialismo.141 The Empire Writes Back dichiara che il problema è uno temporale e spaziale, in quanto i critici del termine non riescono a decostruire l’idea della linearità cronologica come gli studi postcoloniali vorrebbero fare per mostrare quanto tutto sia intrecciato.

Con un ragionamento simile a quello del volume The Empire Writes Back, Cristina Lombardi-Diop (Professoressa di Letteratura moderna alla Loyala University Chicago) e Caterina Romeo (Ricercatrice all’Università la Sapienza) accettano l’uso del termine ‘postcoloniale’, specificando che bisogna avere la consapevolezza che “il prefisso ‘post’ in ‘postcoloniale’ segnala continuità piuttosto che frattura”,142 e perciò tiene conto dei legami tra il periodo coloniale e il presente e i mutamenti economici, politici, sociali e razziali che continuano ad avvenire e a svilupparsi. ‘Postcoloniale’ è un termine più appropriato di altri perché implicherebbe studi “polisemici e interdisciplinari”,143 e include nella sua definizione non soltanto la storia del periodo coloniale, ma anche studi antropologici, filosofici e letterari, ed è dunque l’incrocio di vari elementi. In ambito critico letterario ‘postcoloniale’ ormai non viene più contestato ed è quello maggiormente accettato e usato dagli studiosi di oggi, nonostante gli apparenti svantaggi dell’espressione, come hanno evidenziato gli autori di The Empire Writes Back. Per il caso del movimento letterario ‘della migrazione’ in Italia, c’è ancora una mancanza di accordo tra studiosi, critici e autori sull’utilizzo di un termine univoco per descrivere la varietà di questa letteratura e dei suoi scrittori. Grazie alla nascita in Italia degli studi postcoloniali alla fine degli anni Novanta e all’inizio degli anni Duemila e la loro attuale crescita, è emerso una nuova etichetta. Nel caso di Ali Farah, il termine classificatore ‘postcoloniale’ è sicuramente applicabile perché le sue opere si inseriscono in un dialogo tra l’Italia e la Somalia, e perciò fanno parte della contronarrativa al già menzionato discorso coloniale. Ciononostante, non tutta la letteratura ‘della migrazione’ è postcoloniale e non tutti gli autori che hanno origini fuori dalla norma italiana sono immigrati: alcuni sono italiani, come la stessa Ali Farah. Molti critici hanno proposto nuovi modi di chiamare la letteratura ‘migrante’. Bisogna riconoscere che ci sono differenze esistenti tra i vari termini che vorrebbero indicare la stessa tipologia di letteratura e contemporaneamente individuare significati precisi tramite l’uso di una certa

141 Ashcroft, Griffiths e Tiffin, 2002, p. 194.

142 Lombardi-Diop e Romeo, 2014, p. 2.

locuzione al posto di un’altra. Nel 2014, Filippo La Porta, critico per Il Sole 24ore, si dichiarò di essere contro l’impiego della figura del migrante evocata dalla locuzione ‘letteratura della migrazione’, affermando che “l’espressione ‘narrativa migrante’ […] tratta di una etichetta obsoleta, ghettizzante, che serviva a descrivere una fase aurorale del fenomeno degli scrittori italofoni”.144 Già nel 2011, Daniela Brogi aveva esplorato in profondità questa presa di posizione, spiegando che un’altra opzione è quella di chiamare questi autori ‘scrittori italiani di seconda generazione’. L’autrice nota però che, ancora una volta,

l’espressione stona […] i figli degli immigrati costituiscono già un terzo della popolazione sotto i trent’anni, c’è qualcosa che ormai [crea] problema nella definizione ‘scrittori italiani di seconda generazione’ […] perché rischia di mantenere l’autore così indicato in una condizione di second class citizen.145

Diversamente, propone l’uso di aggettivi composti dalle nazionalità e dalle etnie degli scrittori, per esempio ‘italosomala’, come viene descritta Ali Farah. Così facendo, si pone l’accento sulla loro appartenenza alla patria e sulla valenza almeno uguale delle loro opere in confronto con scrittori italiani tipici, mentre specificando che questi hanno origini assai più variate. Con lo stesso intento di Brogi, alcuni studiosi, come ha fatto La Porta, propongono l’utilizzo di ‘letteratura italofona’, però Lucia Quaquarelli, Professoressa di Letteratura contemporanea all’Université Paris Nanterre, si posiziona contro tale idea perché quell’etichetta “significa, prima di ogni altra cosa, letteratura non italiana. Scritta in italiano, certo, ma non italiana”.146

Ali Farah spiega che il ricorso a un genere specifico per questo tipo di letteratura può essere dannoso, ma solamente se non si è a conoscenza della complessità e dello scopo analitico che ha la categorizzazione:

Questo tipo di etichette servono per indicare fenomeni e percorsi che sono naturalmente più complessi e articolati di quanto non dica la semplice definizione. La scrittura è un lavoro individuale, ma ciò di cui vuoi scrivere, le cose di cui ti capita di parlare nascono sempre in un contesto. Perciò è vero che ricorrere a delle categorie generali può risultare limitante ma, allo stesso tempo, indica in modo chiaro cosa sta accadendo nella società, il modo in cui la società stessa ha percezione dei cambiamenti che l’attraversano. Perciò in questo caso mettere l’accento sulle specificità di alcuni autori, specificità data dal loro

144 F. La Porta. 2015. “Oltre la narrativa migrante.” Domenica, Il sole 24ore, 8 marzo, p. 25.

145 Brogi.

146 L. Quaquarelli. 2011. “Definizioni, problemi, mappature.” In Leggere il testo e il mondo. Vent’anni di scritture della migrazione in Italia, a cura di Fulvio Pezzarossa e Ilaria Rossini. Bologna: Clueb, p. 54.

vissuto, dal loro rapporto con la lingua o con la storia, significa anche rendere esplicito il modo in cui partecipano nella cultura italiana di oggi.147

La spiegazione di Ali Farah evidenzia sia il lato negativo sia quello positivo di queste etichette letterarie. Questa sua affermazione è in risposta specificamente alla domanda se le andasse stretta il termine ‘scrittrice di seconda generazione’, però l’affermazione può essere estesa anche agli altri termini. Da un lato queste categorie possono limitare le possibilità di un riconoscimento stilistico da un ampio pubblico e ostacolare l’emergere di racconti ricchi di un significato unico, mentre dall’altro lato pongono la luce sulla situazione straordinaria in cui si trovano certi autori per dar risalto alla cultura odierna e come stia subendo un periodo di trasformazione.

Dunque, davanti a questo bivio dove non si è sicuri se siano più importanti gli aspetti positivi o quelli negativi delle etichette, forse la soluzione più appropriata è di eliminare tutti i suddetti termini, come propone Quaquarelli. La studiosa critica aspramente la differenziazione creata da tali termini perché stabilisce, secondo lei,

[una] gerarchia entro la quale la letteratura italiana (quella prodotta da italiani ‘nativi’) occuperebbe una posizione egemonica rispetto alla letteratura in lingua italiana prodotta da stranieri, letteratura questa subalterna e pertanto letterariamente e commercialmente inferiore.148

L’approccio più adatto sarebbe quindi quello di non cercare di differenziare la letteratura scritta in italiano in base alla provenienza geografica o alle origini degli autori. Si può, semplicemente, categorizzarla come letteratura italiana, senza dover distinguerla, per “evitare una separazione netta tra gli scrittori italiani contemporanei e gli scrittori migranti in lingua italiana”, come sostiene Giuliana Benvenuti, Professoressa di Letteratura italiana contemporanea all’Università di Bologna.149 L’uso dei vari termini classificanti spinge questa letteratura in un campo molto ristretto che cerca di valorizzare più le generalità del gruppo intero che le individualità, un’incidenza che gli autori italiani bianchi non sono costretti ad accettare. Si può dare più attenzione al valore estetico, all’immaginario delle opere e degli autori singoli come individui e non come un gruppo unico che sembrerebbe uguale ed omogeneo. Così facendo gli autori possono ricevere più importanza e attenzione dalla critica e perciò più ricognizione a livello nazionale. Infatti,

147 G. Caldiron. 2014. “Yabar, ragazzo alla ricerca di sé.” il manifesto, 22 novembre, p. 10.

148 Quaquarelli, p. 55.

gettare ogni genere e forma di scrittura in una categoria ristretta e marginale basata semplicemente sulle radici dell’autore “ha talvolta ostacolato l’emergere delle voci più interessanti, sottolineando l’aspetto collettivo e ponendo l’accento sulla valenza sociale e culturale delle loro opere”.150 Questi scrittori sono ostacolati da un ambiente politico e culturale ostile che cerca di sopprimerli, per poi vederli incasellati e messi da parte proprio nell’ambito letterario che dovrebbe consentire loro di far udire la propria voce. Tutto sommato, si può desumere che forse nel futuro, a livello popolare i termini ‘letteratura della migrazione’, ‘autori italiani di seconda generazione’, eccetera, andranno a decadere per cercare di accorciare le distanze tra questi autori e gli autori bianchi del canone italiano.

Nel mondo globalizzato che cambia costantemente, la letteratura e le identità culturali si sottoporranno a ulteriori mutamenti. Il linguaggio a volte non è sufficiente a descrivere variazioni e situazioni estremamente complicate e miste. Alla fine di un suo saggio proprio sui problemi di definizione di questa letteratura, Giuliana Benvenuti presenta ai suoi lettori una richiesta che è indicativa delle polemiche appena discusse:

la necessità di leggere la produzione degli autori migranti come produzione letteraria italiana [… e di] pensare le letterature oltre queste distinzioni […] è il compito degli attuali studi letterari transnazionali, studi che si vorrebbero non più coloniali, non più postcoloniali.151

Spetta al futuro rivelare se questa nuova era di letteratura e nazionalità porterà a una maggiore apertura e accettazione sociale e da parte della critica. Nel mentre, la situazione e le polemiche discusse in questo capitolo sono riassunte con un senso di ottimismo da Ali Farah, la quale invita tutti a compiere delle azioni responsabili per incoraggiare ulteriori mutamenti positivi per il paese:

In Italia siamo all’inizio, sia per chi scrive, sia per l’accoglienza e l’attenzione rivolta a questi romanzi. Perciò sento che chi come me scrive delle proprie diverse origini ha una grande responsabilità, ma sento anche di condividerla con chi invece non le ha e credo oggi debba cercare di capire e di appropriarsi di tutto ciò. Questo paese sta cambiando moltissimo e cambierà ancor di più in futuro: l’importante è che tutti facciano la loro parte.152

150 K.R. Mussa. 2011. “Forme dell’oralità nella narrativa dei migrant writers italiani.” In Leggere il testo e il mondo. Vent’anni di scritture della migrazione in Italia, a cura di Fulvio Pezzarossa e Ilaria Rossini. Bologna: Clueb, p. 231.

151 Benvenuti, p. 260.

2. UBAH CRISTINA ALI FARAH COME AUTRICE ITALIANA