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2. UBAH CRISTINA ALI FARAH COME AUTRICE ITALIANA CONTEMPORANEA

2.1 Vivere la diaspora somala

2.1.1 I mezzi che mantengono unita la diaspora

I tre mezzi più importanti che compongono l’unità della diaspora sono le fotografie, il telefono e il racconto/l’ascolto. Le foto sono un importante simbolo di quello che è perso. In Madre piccola, quando Domenica Axad decide di leggere una delle lettere di Barni e

17 Di Maio, p. 36.

18 Ali Farah, 2014, p. 116.

vede una sua foto per la prima volta dopo dieci anni, rimane interdetta ed è solo allora che comincia a interrogarsi riguardo alla mancanza che sente nella sua vita. Anche per Yabar ne Il comandante del fiume la situazione è simile perché lui tiene una foto del padre, l’unica reliquia paterna che gli rimane. Nel caso di Yabar la foto però ha un altro livello di significato: è tutta ritagliata e incollata insieme, creando un’immagine mostruosa del padre. Tale caratteristica è una specie di premonizione, di anticipazione letteraria, che predilige l’eventuale scoperta che il padre di Yabar è un assassino. L’assassinio ha un carattere fortemente personale per Yabar e per la sua famiglia, perché è una specie di fratricidio (il padre ammazza suo cognato). L’uso della foto in entrambi i casi riconduce i personaggi sulla strada della verità. Per Domenica Axad questo significa il ritrovamento di Barni per potersi sentire in pace con se stessa, mentre per Yabar significa il superamento del supposto bisogno del padre. L’utilizzo delle foto è una tecnica attraverso la quale l’autrice può avvalorare l’esperienza diasporica e la creazione di famiglie affettive.

Un altro elemento tipico della diaspora è il telefono perché rappresenta una connessione istantanea con la Somalia e con i parenti “sparsi nel mondo”.20 Tal apparecchio è letteralmente una rete che collega la diaspora e facilita la separazione, come sottolinea Vivian Gerrand, Ricercatrice all’University of Melbourne: “Il telefono può essere contemplato come un apparecchio di ristabilizzazione che crea dei legami tra i somali della diaspora, ovunque si trovino nel mondo […] Così, la casa è ricreata ogni volta che una chiamata si effettua a un parente distante”.21 Paul Gilroy afferma che questa funzione del telefono mette in dubbio la relatività dello spazio e perciò può anche trasformare il “concetto dello spazio stesso”.22 L’importanza del telefono diventa evidente in Madre piccola, nel primo capitolo narrato da Taageere. Tutto il capitolo è costituito da varie telefonate fatte dal personaggio all’ex-moglie Shukri. Taageere ha il bisogno di continuare a contattarla per sentirsi più vicino alla sua vecchia vita a Mogadiscio; ormai non gli rimane più nulla a parte varie amicizie che si rivelano traditrici. Costretto a spostarsi in Italia e poi negli Stati Uniti, la sua vita è un vagabondaggio e lui ne è conscio, ma chiama Shukri ogniquando sente “il bisogno di radici [… di u]na

20 Ali Farah, 2007b, p. 33.

21 V. Gerrand. 2008. “Representing Somali Resettlement in Italy: The Writing of Ubax Cristina Ali Farah and Igiaba Scego.” Italian Studies in Southern Africa 21, n. 1/2, p. 279.

22 Gilroy, Paul. 2004 [2000]. Between Camps: Nations, Cultures and the Allure of Race. Londra e New York: Routledge, p. 126.

famiglia”.23 Quando scopre che sua sorella è sbarcata a Lampedusa, affida agli zii il compito di accoglierla e poi manda la sua nuova moglie, Domenica Axad, in Italia a starle vicino. Anche Shukri e il figlio di Taageere si aggiungono a questo gruppo, creando una piccola famiglia a Roma, a cui Taageere appartiene nonostante la distanza fisica. La relazione tra Taageere e le donne della sua famiglia chiama in atto l’idea di Gilroy: Taageere può sentirle quando vuole attraverso il telefono e perciò il bisogno che sente di raggiungerle non è ardente, e forse non esiste affatto, perché lo spazio tra di loro si è accorciato metaforicamente.

La funzione e l’importanza del telefono nel tenere vivi i rapporti familiari e amichevoli possono applicarsi, in un senso più ampio, anche a tutti gli umani del mondo. Ali Farah spiega però che i somali hanno una connessione particolare con l’apparecchio e che non lo usano per raccontare delle faccende serie, bensì delle banalità. In un’intervista del 2005 l’autrice parla di come “il padre del suo primogenito la chiamava dal Canada, dove vive, e raccontava aneddoti apparentemente banali che lei ha cominciato a registrare e a incorporare nella sua scrittura”.24 L’autrice afferma che raccontare storie insignificanti è un modo per sentirsi vicini e che

[i] somali hanno un rapporto fortissimo con il telefono, quasi fosse una parte di sé, del proprio corpo: ci passano ore, chiacchierando con parenti e con amici lontani che magari non vedono da anni. Quello che viene fuori da queste telefonate sono i racconti del quotidiano. Sembra paradossale, perché magari da un punto di vista più occidentale, se non ci si vede da anni, sarebbe più normale parlare di quello che si è, del proprio ruolo nella società, dei passaggi esistenziali importanti […] Invece no, quello che emerge sono i dettagli legati alla vita di tutti i giorni. […] L’insieme di tutti questi dettagli è ciò che dà corpo alla vita, e comporli significa dar voce alla diaspora somala, a questa comunità sparsa ma in qualche modo tenuta insieme.25

Dunque, la forte presenza del telefono nelle opere dell’autrice trova radice nella sua esperienza personale e la scrittrice crede che la maniera in cui i somali usano il dispositivo mobile sia unica e che aiuti a creare e a tenere vivo il senso della comunità in tutto il mondo.

Gli aspetti comunitari della diaspora vengono sottolineati da Taageere quando descrive il caos che sperimenta al call center:

Al call center fanno prezzi buoni come quelli delle schede, ma passa molta gente e tutti ti parlano come non fossi già al telefono: haye Taageere come va?, ah è tua moglie che ti

23 Ali Farah, 2007b, p. 71.

24 Gerrand, p. 277.

sta parlando, salutamela; haye sorella, tutto bene? il bambino è cresciuto, mashallah, quanto tempo eh?26

Taageere preferisce la scheda telefonica così può chiamare ovunque sia senza la paura di essere interrotto e di perdersi in chiacchiere, però il call center evidenzia ancora una volta quanto il popolo della diaspora sia collegato, ponendo l’accento sulla valenza della comunità.

Il telefono continua a essere importante anche per la seconda generazione. Ne Il

comandante del fiume, Yabar dichiara che “senza cellulare mi sento perso”.27 I call center ritornano quando Yabar incontra un ragazzo somalo, Libaan, fuori da un centro sociale e accetta di fare da mediatore linguistico, così Libaan può parlare con la madre che non vede da quando era piccolo e che si trova ancora in Somalia: “Siamo nella grotta e l’aria è bollente, io e Libaan siamo tutti sudati e teniamo ciascuno una cornetta legata a un filo. La voce della madre arriva a tutti e due e le nostre voci le arrivano insieme”.28 In questo caso la funzione del telefono è quella di confermare a Yabar la sua appartenenza alla comunità somala, di cui sa ben poco, e, ancora una volta, di accorciare le distanze geografiche e temporali, tra parenti lontani. Anche se altra gente usa il telefono nello stesso modo, non toglie l’importanza che costituisce per la diaspora e come sia un elemento fondamentale per la ri-immaginazione del concetto dello spazio e per facilitare gli aspetti difficili della forzata dispersione.

Il telefono dunque svela questioni di racconto e di ascolto, due temi strettamente connessi nelle opere di Ali Farah, anche fuori dall’ambiente telefonico. Entrambi i suoi romanzi abbondano di brevi racconti personali e fiabe che i personaggi si raccontano a vicenda. Ne Il comandante del fiume Zahra rifiuta di raccontare e di ricordare un passato doloroso e costringe Yabar a scoprire la verità intorno a suo padre solo quando si separa da lei per andare a Londra. Ogni volta che Yabar o Sissi chiedono a Zahra un chiarimento sulla vita a Mogadiscio, la donna comincia a spiegare ma poi si blocca, rimproverando i ragazzi per averle chiesto di ricordare un periodo talmente brutto da farle troncare le relazioni familiari per prenderne le distanze. Qui ritorna anche il simbolismo delle foto, Zahra ha buttato via tutte le vecchie foto. In casa sua, non tiene niente che potrebbe ricordarle del passato. È una foto che Yabar vede in Inghilterra di sua madre da piccola

26 Ali Farah, 2007b, p. 59.

27 Ali Farah, 2014, p. 17.

con suo zio, che non aveva mai visto prima, che insinua in lui i primi dubbi di un segreto che la madre gli nasconde. Le foto funzionano dunque per dare spunto al dialogo tra personaggi oppure per bloccarlo completamente.

Lidia Curti parla della “difficoltà di raccontare e la sua necessità” che mostra la doppia natura della funzione del racconto.29 Questa doppia funzione è contraddittoria per i personaggi, ma anche essenziale per completare la loro formazione personale. Zahra ha bisogno di liberarsi del senso di colpa attorno alla morte del fratello ma teme il giudizio da parte del figlio Yabar, al quale ha nascosto la verità per tutta la sua adolescenza. Però, solo attraverso la storia della verità sia la madre che il figlio possono compiere gli ultimi passi per risolvere il conflitto della loro identità in crisi. Quando Zahra rivela finalmente la verità a suo figlio, riesce ad ammettere che è ancora affezionata alla famiglia biologica a Londra, e sperava che quando avrebbero visto Yabar e la sua conoscenza della cultura e della lingua somale l’avrebbero perdonata. Per Yabar, sapendo che il soprannome Omicidio di suo padre è basato su fatti reali, può finalmente decostruire il mito che aveva creato attorno alla memoria della figura paterna e concentrarsi piuttosto sul presente e sul futuro, in cui è lui stesso, e non il padre mitizzato, la figura centrale. Solo in questa maniera può assumere le sue responsabilità e chiedere scusa alle amiche con cui aveva litigato. Non è nemmeno un caso che Yabar litighi perlopiù con amiche e non amici; quasi tutte le persone più importanti nella sua vita sono donne e questo richiama l’importanza della rete femminile nella diaspora e negli scritti di Ali Farah in generale, di cui parlerò in un secondo momento.

In Madre piccola il tema del racconto difficile, ma necessario, è affrontato in modo esplicito nel penultimo capitolo, quando Domenica Axad scrive una lunga lettera alla sua psicologa nel tentativo di scaricare il peso del suo passato. L’incipit della lettera rivela il suo stato d’animo pieno d’ansia per il dover raccontare la storia della sua vita perché la sua “relazione con la parola è ancora emotiva e frammentaria”.30 Però al tempo stesso riconosce l’importanza di tale racconto per la sua crescita personale: “mi auguro che raccontare per iscritto la mia storia possa aiutarmi a diventare quella persona intera e adulta che desidero essere”.31 Infatti, solo dopo essersi liberata dei segreti che teneva dentro di sé, riesce a concludere questioni ancora aperte nella sua vita: il romanzo finisce

29 Curti, 2011, p. 47.

30 Ali Farah, 2007b, p. 223.

con lei che va a trovare la madre, dopo anni in cui non si vedono e nemmeno non si sentono. Per Domenica Axad, questo momento di riconciliazione non può avvenire per telefono, ma deve fisicamente percorrere quella distanza che le separa per rafforzare l’idea che l’Italia, terra nativa di sua madre, sarà la sua dimora fissa. Inoltre, l’episodio è emblematico e simboleggia un nuovo inizio: va dalla madre con il suo primogenito per raccontare anche a lei la storia degli ultimi anni, questa volta non per risolvere il passato, ma per aprire un nuovo futuro.

L’importanza del racconto e dell’ascolto è affermata in modo diretto dall’autrice stessa in un suo breve articolo autobiografico che, per l’appunto, si intitola “Le radici nell’ascolto”: “credo fermamente che si trovi rifugio o dimora ogniquando si trova qualcuno ad ascoltarci. Perché solo allora smettiamo di essere estranei e stringiamo radici”.32 Qui la scrittrice ribadisce il concetto di radici e conferma che per poter farle crescere si deve avere una comunità — una specie di famiglia — ed è solo così che un luogo può diventare una casa.