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Categorizzazione delle emozioni e lessico emotivo

Capitolo 1- Il fenomeno emotivo e le sue component

1.5 La componente culturale

1.5.4 Categorizzazione delle emozioni e lessico emotivo

I modelli culturali sono in grado di definire la prospettiva emotiva con cui interpretare e comprendere una determinata situazione comunicativa. Come suggerisce Anolli (2006, p. 102):

Non vi sono stimoli che producano in modo costante e universale una specifica emozione. Persone provenienti da culture differenti, avendo diverse valutazioni di un analogo evento, proveranno anche emozioni differenti.

La teoria cognitivo-attivazionale Schacter e Singer (1962, cfr. PAR. 1.4) è stata spesso chiamata in causa per spiegare il ruolo della cultura nel processo di categorizzazione delle emozioni (cfr. Russell, 1991). In effetti, se l’esperienza emotiva di un individuo dipende in buona misura dall’interpretazione cognitiva degli eventi, ovvero da una loro collocazione in una specifica categoria emozionale, il processo di categorizzazione di un’emozione può giocare un ruolo determinante nei processi cognitivi successivi: "If emotion words vary with culture then persons from different cultures might encode, respond to, and remember emotions in correspondingly different ways" (Russell, 1991, p. 417).

Ogni cultura assume una determinata focalizzazione su certi eventi della realtà, scartandone altri. Questa forma di focalizzazione è stata spesso definita focalità

emotiva, intesa come "disposizione culturale a rispondere in modo elettivo con certe

condotte emotive a fronte di specifici eventi" (Anolli, 2006, p. 103). Secondo Levy (1984), la sensibilità emotiva di ogni sistema culturale comporta l'ipercognitivizzazione o l'ipocognitivizzazione di alcuni fenomeni strettamente legati alla socialità. Ad esempio, un'emozione è ipercognitivizzata quando, oltre ad essere privilegiata all'interno di un contesto culturale, possiede un bagaglio di termini, espressioni linguistiche ed extralinguistiche abbastanza esteso da consentire la manifestazione delle più piccole sfumature di uno stato emotivo, in base al contesto sociale. Per contro, vi sono emozioni ipocognitivizzate che mancano degli stessi mezzi linguistici ed extralinguistici per essere manifestate (ad esempio, il tahitiano non ha un termine o un

36 concetto per indicare la tristezza, che viene designata piuttosto come una condizione fisica di malattia, indotta da uno spirito maligno, cfr. Anolli, 2006).

Ogni sistema culturale spinge, in un certo senso, verso l'esaltazione di valori, credenze, emozioni utili per i propri meccanismi interni di auto-conservazione. Ad esempio, nella cultura cinese, la vergogna rappresenta un forte strumento di controllo sociale (esistono diversi termini per designarla, in base al contesto di riferimento), mentre l'ansia non trova un corrispettivo lessicale (ibid.). Questo processo di focalizzazione determina lo stile emotivo di una cultura, poiché orienta la selezione di alcune esperienze emotive e l'esclusione di altre, l'adozione di una certa condotta piuttosto che un'altra.

Seguendo la tradizione darwiniana, alcuni approcci considerano la comunicazione delle emozioni- sul piano dell’espressione e del riconoscimento- parte di un’eredità biologica. Tuttavia, per classificare le emozioni di base, la maggior parte degli psicologi ha fatto appello alle categorie lessicali della lingua inglese (anger,

disgust, joy, fear), considerandole universali. Ciò non riflette il principio di relatività

linguistica (cfr. Whorf, 1956), in base al quale le categorie linguistiche non sono universali, ma sarebbero il prodotto di variabili linguistiche e culturali.

Le ricerche compiute in ambito lessicale (che rientrano all’interno del filone delle lexical theories) sottolineano il ruolo preponderante del linguaggio nell’interpretazione degli stimoli esterni e delle reazioni fisiologiche in atto. In altre parole, l’essenza di un’emozione risiederebbe nel modo in cui il soggetto etichetta l’esperienza emozionale; in base a questa prospettiva, sostenere l’universalità di un’emozione implicherebbe la presenza di un’etichetta lessicale corrispondente in tutte le lingue naturali.

La variabilità di ogni sistema culturale ha portato ad una diversa distribuzione e quantità di termini emotivi: "l'estensione del lessico emotivo, infatti, consente di esprimere e discriminare i propri stati effettivi" (Anolli, 2006, p. 101). Lingue come l'inglese o l'olandese hanno migliaia di termini emotivi, mentre ad esempio, il lessico emotivo cinese contiene circa 750 parole, e quello di comunità non alfabetizzate come gli Ifaluk (in Micronesia) contiene poco meno di una sessantina di termini (Russell, 1991). Tuttavia, "il fatto che un'emozione non sia lessicalizzata non vuol dire che non sia provata. L'assenza di una parola non dimostra l'assenza di un'emozione, ma la presenza di una parola significa certamente la presenza di una certa esperienza emotiva" (Anolli, 2006, p.101).

37 Il termine "emozione" non è universale, ma assume dei connotati specificamente culturali, in base alle prospettive adottate per descrivere uno stato emotivo8. Alcune culture possiedono inoltre termini specifici per indicare emozioni non condivise da altri popoli, come la parola giapponese amae, che indica lo stato d'animo generato da una dipendenza totale in una relazione affettiva, o il termine fago, in uso presso gli Ifaluk, che indica il sentimento che si prova quando muore una persona, quando è malata o parte per un viaggio, ma anche la sensazione piacevole che si avverte in presenza di una persona degna di ammirazione (Russell, 1991). Gli Ifaluk possiedono inoltre due termini diversi (metagu e rus) per indicare la paura, a seconda che il pericolo sia situato nel presente o nel futuro, così come gli eschimesi distinguono la paura per un danno fisico dal timore verso un danno di natura sociale.

L'organizzazione semantica del lessico emotivo è stata oggetto di indagine (soprattutto da parte degli approcci dimensionali, cfr. PAR. 1.4.4). Due sono i principali

metodi di ricerca: il differenziale semantico e lo scaling multidimensionale. Il primo approccio, proposto per la prima volta da Osgood (cfr. Osgood, 1952; Osgood, Suci, Tannenbaum, 1957) si basa sull'analisi delle correlazioni tra campi semantici e varie scale di misura. Attraverso un test, ciascun soggetto è chiamato a valutare 20 concetti appartenenti alla propria lingua associandoli a 50 coppie di aggettivi, ad esempio buio- luminoso, pesante-leggero ecc.

L'analisi dimostra che l'agglomerazione degli elementi si deve principalmente a tre fattori (cfr. Galati, 1993): la valutazione (legata alla dimensione

pleasantness/unpleasantness), l’attività (in riferimento alla dimensione fisiologica; la

potenza (ovvero al controllo esercitato dal soggetto nel contesto specifico).

Esperimenti successivi condotti da Russell (cfr. Russell, 1980) e altri ricercatori hanno avallato questa teoria, confermando principalmente l'esistenza delle prime due dimensioni, ovvero valutazione e attività.

Il secondo metodo, legato all'analisi del lessico emozionale, si definisce scaling

multidimensionale poiché si richiede a ciascun soggetto di valutare le somiglianze

all'interno di un campione di termini dal contenuto emotivo. I risultati offrono una spiegazione sull'organizzazione generale dei significati, misurando la vicinanza o la

8 Ad esempio, in italiano, francese e spagnolo, i termini emozione, émotion, emocion, si

riferiscono ad un episodio emotivo specifico, improvviso, e particolarmente forte, e il loro significato è meno ampio rispetto a quello dell'inglese emotion. Vi è inoltre una differenza fra il termine inglese feeling, che designa anche una condizione fisica, e il termine italiano sentimento, che invece si riferisce a uno stato d'animo a livello cognitivo (così come il francese séntiment, o sentimiento in spagnolo, cfr. Anolli, 2006).

38 lontananza spaziale tra le parole utilizzate. Ciò consente, inoltre, di estrapolare gli eventuali fattori di agglomerazione (cfr. Galati, 1993).

In linea generale, le ricerche compiute in ambito lessicale si sono focalizzate per lo più sulla lingua inglese, sebbene alcune abbiano incluso nella loro analisi altre lingue. Dai risultati ottenuti, osserva Galati, si evince che "non tutte le lingue, soprattutto se molto lontane tra loro, posseggono lo stesso bagaglio terminologico-concettuale per esprimere le emozioni"(ivi, p. 187).