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Il reclutamento era solo il primo passaggio nella costituzione dell’esercito cittadino: dopo essere stati convocati, gli uomini venivano organizzati secondo due criteri fondamentali: l’armamento utilizzato e il domicilio dichiarato nelle venticinquine. Una mobilitazione generale era tuttavia poco frequente: le grida effettuate per convocare gli abitanti di Bologna allo scopo di impiegarli sul campo di battaglia coinvolgevano nella maggior parte dei casi uno o due quartieri cittadini e le schiere, come si vedrà meglio nel corso di questo capitolo, erano appunto organizzate sulla base delle diverse specialità305.

Il numero degli uomini convocati variava anche a seconda del tipo di operazione militare. Nelle cavalcate, le veloci operazioni in territorio nemico della durata di qualche ora o al massimo giorno, venivano impiegati molti meno combattenti rispetto all’exercitus, che prevedeva invece una convocazione generale di tutti gli atti alle armi, la cui mobilitazione era di durata non prevedibile306.

Rispetto alla prima età comunale però le tattiche belliche si erano notevolmente evolute ed erano diventate più complesse. A differenza di quanto rilevato da Jean-Claude Maire Vigueur per il XII secolo, alla fine del Duecento la cavalleria non aveva un peso determinante nell’influenzare gli esiti delle battaglie: i corpi di fanteria anzi, se ben organizzati, riuscivano a contrastarla e a contenerne l’impeto307. L’evoluzione delle tecniche di combattimento e la maggior importanza delle truppe 305Solo a titolo esemplificativo: Nel giugno 1296 il capitano ordinò a tutti gli abitanti dei quartieri di porta Piera e

Ravennate di seguire le sue insegne e a loro si sarebbero uniti i balestrieri e i guastatori di porta Procola e Stiera, ASBo,

Giudici del capitano, reg. 294, c. 17r. Il 6 settembre settembre dello stesso anno una grida mobilitò gli uomini di porta

Stiera e Procola più gli abitanti di porta Piera, questi ultimi però solo al fine di essere esaminati ASBo, Giudici del

capitano, reg. 294, c. 27v. Il 20 settembre invece fu la volta degli uomini di porta Piera e Ravennate. Queste modalità di

convocazione erano usuali anche in altre città, Bargigia, Gli eserciti nell’Italia comunale, p. 116-117; Grillo, Cavalieri

e Popoli in armi, pagg. 113; Id, 12.000 uomini, pagg. 235-237. Sul quartiere cittadino come «unità militare complessa»,

capace cioè di essere militarmente autonoma, Pini, Greci, Una fonte, p. 346. Altri esempi di mobilitazione per le città toscane in Waley, The Army of the Florentine Republic; D. De Rosa, Alle origini della Repubblica fiorentina pagg. 43- 50, Ead., Il controllo, pagg. 93-123; I. Galletti, La società comunale di fronte alla guerra, pagg. 35-98, F. Bargigia,

L’esercito senese pagg. 9-87.

306Un aiuto sulla definizione proviene dallo statuto della società dei Griffoni. All’interno della rubrica XXVII,

riguardante la paga dei gonfalonieri infatti, i redattori del testo precisarono che exercitus intellegimus cum omnes dantur

currus pro comuni Bononie.

307Maire Vigueur, Cavalieri e cittadini, p. 77. Lo studioso francese ha posto in un livello di subordinazione la

cavalleria rispetto alla fanteria, definendola efficacemente «un esercito di cavallette […] una macchina concepita per distruggere e triturare più che per combattere». Il dibattito sull’inferiorità della fanteria rispetto alla cavalleria e sui modi del suo impiego è forse uno dei più prolifici all’interno della storiografia militare. Secondo Piero Pieri i reparti appiedati avevano un esclusivo carattere difensivo, Pieri Alcune questioni, p. 598, Id., l’evoluzione delle milizie, p. 71. Aldo Settia benché abbia riconosciuto un ruolo di supremazia della cavalleria, ha ridiscusso le posizioni di Piero Pieri, evidenziando anche le capacità offensive della cavalleria. Settia, I mezzi della guerra, pagg. 152-200. Paolo Grillo ha

appiedate non era però un’eccezione solo italiana, ma era dato comune pressoché a tutta l’Europa, come dimostra, ad esempio, l’esito della battaglia di Courtai nel 1302308. Per queste ragioni i

contingenti a cavallo non erano mai impiegati in solitaria, ma necessitavano almeno del supporto di un contingente di balestrieri309.

I cavalieri infatti potevano fare ben poco contro un blocco compatto di uomini armati di lancia, ma risultavano micidiali nel colpire al galoppo protetti dal tiro delle balestre; lo stesso principio potrebbe essere applicato a tutte le altre specialità: era la combinazione di diversi contingenti a creare armate vincenti310. A questi dati bisogna poi aggiungere il fatto che abitualmente erano

mobilitati anche reparti di guastatori, alcuni magistri lignorum per la fabbricazione di macchine d’assedio, sellai, fabbri e conduttori di carri311. L’esercito cittadino era insomma un organismo

articolato ed era il risultato dell’unione di diverse specialità. La fanteria era divisa in quattro grandi gruppi: guastatori, balestrieri, lancieri e pavesari; il numero dei reclutati non era omogeneo e variava a seconda dell’armamento in dotazione: stando a una riformagione approvata per rendere l’esercito più efficiente, gli armati di lancia erano infatti il triplo degli arruolati negli altri reparti312.

§3. 2 I vessilli

I comandanti dell’esercito, denominati vessilliferi e gonfalonieri, erano così chiamati perché conducevano le truppe sul campo di battaglia guidandole con drappi di grandezza e fattura variabili. In tutto il mondo medievale infatti la pratica del comando militare – e politico – era collegata a vessilli e gonfaloni, che non avevano soltanto un uso funzionale, ma erano anche carichi di robusti valori simbolici313. La documentazione bolognese permette di ricostruire a grandi linee forme e

colori delle bandiere: erano fabbricate in un tessuto serico leggero, lo zendado, e avevano probabilmente una dimensione compresa tra i due e i due metri e mezzo di lunghezza e un metro di altezza; erano fissate su un’asta di altezza non determinabile, ma che è ipotizzabile avesse la stessa lunghezza di una lancia, cioè all’incirca quattro metri. Per essere visibili e riconoscibili erano invece posto maggiormente l’accento sul ruolo determinante dei soldati appiedati sul campo di battaglia, Grillo, 12.000

uomini, Id., Legnano. Per un confronto con altre realtà europee Mortimer, Tatics, strategy and battlefield, Richard, Infantry.

308Helary, Courtrai. Per Eric McGeer, la fanteria nel mondo bizantino aveva uno scopo puramente difensivo, «but

was neverthless indispensable in support of cavalry», McGeer, Infantry; Prestwich, Welsh infantry, pagg. 56-59

309Gli ordini di mobilitazione della cavalleria mostrano infatti come era sempre associata ad almeno un reparto di

fanteria, spesso ai balestrieri. Il 6 agosto del 1298, ad esempio, Gaspare da Garbagnate convocò per una cavalcata di 8 giorni la cavalleria, i balestrieri e i guastatori. Il 1 ottobre vennero invece mobilitati oltre alla cavalleria, i corpi di fanteria stipendiata e i balestrieri e guastatori provenienti dalla città. ASBo, Giudice al sindacato, Gride 1298, cc. 21r, 26v.

310Settia, I mezzi della guerra, pagg. 153-200; Id. Comuni in guerra, pagg. 193-200; Id., De re militari, pagg. 207-

238.

311ASBo, Capitano del Popolo, società arti, b. 5, codice miniato IV; Riformagioni, reg. 147, c. 309r

312ASBo, Riformagioni, reg. 147, c. 237r. Gli anziani e consoli sottoposero al consiglio del popolo il provvedimento

partendo dalla constatazione che gli abitanti della città non partecipavano come ordinato a eserciti e cavalcate. Per avere dei contingenti pronti all’impiego, proposero di arruolare 7000 uomini provenienti dalle società di arti e armi, di cui 1000 sarebbero stati pavesari, 1000 balestrieri e la restante parte lancieri.

313Bargigia, Gli eserciti, pagg. 127-163; Per un raffronto con Bergamo si veda: Caminiti, La vicinia di san

colorati: i pigmenti utilizzati erano il nero, il bianco, il rosso e il blu314. Il gonfalone maestro, quello

più importante per la cittadinanza, fu rappresentato all’interno degli statuti cittadini: di forma rettangolare, conteneva una croce rossa su campo bianco e terminava con tre frange315. Alcuni

registri conservano anche le immagini dei vessilli delle società d’armi: anche quelle bandiere terminavano con delle frange, che probabilmente avevano la funzione di mantenere il vessillo dispiegato. I drappi contenevano il simbolo della corporazione oppure vi erano raffigurate varie combinazioni di bande rosse e nere su campo bianco, come ad esempio nel caso della società delle Schise o dei Lombardi316.

Le fonti bolognesi distinguono tra due diversi manufatti, i vessilli o gonfaloni – il termine era spesso usato come sinonimo – e le bandiere. Queste ultime avevano una funzione esclusivamente pratica: servivano a identificare una singola specialità o un contingente all’interno di un reparto. L’obbligo di avere una bandiera, per esempio, era previsto per i connestabili arruolati, oppure ne furono dotati gli armati di lancia o i pavesari317.

Il discorso si complica invece quando si devono considerare vessilli e gonfaloni, assegnati ai più importanti comandanti dell’esercito: avevano un utilizzo pratico, ma allo stesso tempo erano anche carichi di valori sacrali e simbolici, dal momento che rappresentavano il potere di comando sugli uomini. Questo potere discendeva direttamente dal mondo ultraterreno, come provano molte fonti iconografiche prodotte durante tutta l’età medievale: Cristo stesso è infatti spesso ritratto con il vessillo della croce, a indicare il suo trionfo sulla morte, ma non mancarono anche raffigurazioni di santi ritratti nell’atto di porgere la bandiera del comando a personalità militari o politiche318. A

Roma i mosaici del Triclinio Leoniano, copia fedele di raffigurazioni del VII secolo, mostrano Gesù Cristo porgere il vessillo del comando a Costantino; sul lato destro invece è ritratto san Pietro nell’atto di consegnare il gonfalone a Carlo Magno. A Verona, una lunetta scolpita sul duomo, riproduce invece san Zeno intento a benedire le bandiere di milites e pedites giunti al suo cospetto. Più celebre ancora è l’affresco fiorentino raffigurante la cacciata del Duca di Atene: al centro della composizione è dipinta sant’Anna nell’atto di consegnare alle armate cittadine inginocchiate i vessilli del popolo, del comune e della città, mentre alla sua destra è ritratta la fuga del signore appena destituito. Anche in numismatica è possibile ritrovare scene pressoché identiche: una coniazione del senato romano raffigurava san Pietro intento a consegnare il gonfalone a un senatore; la stessa composizione, ma con differenti soggetti, si trova a Venezia, dove è ritratto san Marco nell’atto di porgere al doge il vessillo319.

La consegna del gonfalone come simbolo della legittimazione e dell’autorizzazione del comando su un territorio e sugli uomini che lo abitavano non era però un’idea circoscritta alle raffigurazioni artistiche. Era una pratica diffusa nell’Europa medievale, un atto caratteristico dei rapporti vassallatico beneficiari. I papi, durante il periodo della lotta per le investiture, iniziarono a

314La riformagione che informa sul materiale usato, il colore della seta e il suo costo è contenuta in ASBo,

Riformagioni, reg. 147, c. 271r. Reg. 149, c. 76r.

315Statuti 1250, p. 117 316S. Neri, Emblemi, stemmi.

317ASBo, Riformagioni, reg. 145, c. 121v.

318Du Cange, Vexillum, Signum Crucis: Crux enim est vexillum Christi, et signum triumphi sui, inquit Durandus lib.

1. Ration. cap. 6. n. 26. Innocentius III. in Epist ad Archiepiscopum Trinovitanum, in Gestis ejusdem pagg. pag. 61.

consegnare ai regnanti che si sottomettevano alla loro autorità il vessillo di San Pietro: Sancho di Aragona lo ricevette prima di affrontare i mori, Guglielmo il Conquistatore per la sua campagna in Inghilterra, Ruggero per il sud Italia320. Poteva però anche accadere il contrario: quando i milanesi si

arresero all’Imperatore consegnarono tutti i loro vessilli, atto che simboleggiava la rinuncia a combattere e la cessione del potere di comando e governo sulla città321.

L’importanza attribuita ai vessilli emerge anche grazie al fatto che essi erano consegnati mediante solenni cerimonie pubbliche: nelle città italiane queste furono frequenti e in alcuni casi a partire dalla fine del XII secolo sono ben documentate. A Siena, intorno agli anni Venti del Duecento, ad esempio, dopo un consiglio pro facto exercitus si consegnarono i gonfaloni ai comandanti322. Gli

annali genovesi testimoniano una cerimonia molto simile, tenutasi all’interno del duomo, che vide il podestà consegnare i vessilli ai comandanti militari323. Cherubino Ghirardacci informa che lo stesso

accadde a Bologna durante una solenne funzione324.

Il carico simbolico dei gonfaloni non era però limitato solamente alla rappresentazione del potere, ma proprio perché venivano mostrati in battaglia erano considerati un mezzo per veicolare un messaggio politico sia ai nemici sia alla stessa comunità: gli anziani consoli bolognesi, ad esempio, proposero nel 1305 di salutare l’elezione del nuovo pontefice nella basilica di San Domenico organizzando una funzione a cui avrebbero dovuto partecipare anche i gonfalonieri con i vessilli cittadini325. I drappi erano anche aperti a modifiche in senso ideologico: dopo aver ristabilito il

regime Popolare nel 1376 i bolognesi inserirono all’interno del loro gonfalone la parola Libertas, mutuata dal vessillo che le armate fiorentine accorse in loro aiuto avevano donato loro326.

Ad alcuni gonfaloni era inoltre attribuito il potere soprannaturale di proteggere le armate in guerra, credenza questa molto radicata se si considera che ancora nel 1570 papa Pio V fece fabbricare due stendardi per la battaglia di Lepanto che, issati sulle due navi ammiraglie, avevano proprio lo scopo di difendere l’intera flotta della lega Santa327. Raffigurazioni sacre comparivano anche sui drappi

delle città italiane: a Milano il vessillo raffigurava sant’Ambrogio, a Genova san Giorgio, a Parma la Vergine, a Bologna i santi Petronio e Ambrogio, a Venezia il leone di san Marco. Quelle immagini non avevano però solo una funzione di protezione: le ricerche di Ivan Pini hanno infatti dimostrato che il culto verso un particolare santo aveva anche un chiaro scopo politico: è quindi ipotizzabile che le figure sacre dipinte sui drappi avessero la duplice funzione di proteggere l’esercito e veicolare un messaggio politico328. I vessilli che forse furono più caricati di valore

ideologico furono però forse quelli del carroccio, che simboleggiavano l’unità della cittadinanza che scendeva sul campo di battaglia329.

320Cassandro, Le istituzioni giurdiche normanne, pagg. 81-89; Andenna, Dalla legittimazione alla sacralizzazione,

pagg. 369-403.

321Morena, Historia Federici, pagg. 152-155. 322Bargigia, L’esercito senese, pagg. 24-27.

323Caffaro e continuatori, Annale Ianuae, pagg. 182-183. 324Ghirardacci, Historia, p. 441.

325ASBo, Consigli minori, reg. 212, c. 166v.

326Ghirardacci, Historia, p. 342, Cencetti, Lo stemma di Bologna. 327Dell’Aja, 14 agosto 1571.

328Pini, Città, chiesa e culti civici.

329Voltmer, Il carroccio; Zug Tucci, Il carroccio; Sui vessilli del carroccio si veda in particolare Bargigia, Gli

Quella che si potrebbe definire una mistica dei vessilli non era una caratteristica del mondo cittadino italiano. In Francia, ad esempio, prima di iniziare una guerra, il Re si recava a nord di Parigi, all’abbazia di Saint Denis – luogo di tumulazione dei monarchi transalpini – e lì riceveva dalle mani dell’abate l’oriflamma, il vessillo del comando supremo che si credeva bagnato nel sangue di san Dionigi e simili significati simbolici possono essere ritrovati fino nel sud Italia, a Capua330.

A causa del loro spiccato valore simbolico i gonfaloni figurarono talvolta come bottino di guerra. Nel 1171, ad esempio, il pisano Bernardo Marangone ne sottrasse tre ai nemici lucchesi; lo stesso fecero i genovesi nel 1205 proprio contro i pisani; o ancora, nel 1313 il siniscalco di Roberto d’Angiò – Ugo Balzo – condusse le insegne delle sconfitte forze filo imperiali ad Alessandria e Pavia331. L’importanza simbolica rivestita dai drappi è ancora più evidente in un esempio

proveniente da Bergamo. I vicini di San Pancrazio, durante la guerra contro Brescia nel 1290, smarrirono il loro vessillo. Al posto di fabbricarne uno nuovo, fu inviato un uomo nel tentativo, non riuscito, di recuperarlo332.

§3. 3 I contingenti bolognesi e la catena di comando

Attraverso le tracce conservatesi nella documentazione bolognese è possibile ricostruire la catena di comando dell’esercito e, allo stesso tempo, comprendere in quanti e quali corpi erano suddivise le armate.

Una delle particolarità più rilevanti nei sistema politici cittadini, e i regimi di popolo non fecero eccezione, fu quello di prevedere la conduzione delle truppe da parte dei rettori forestieri333. Le

deliberazioni consiliari sono abbastanza chiare nell’identificare il podestà, il capitano di guerra, il capitano del popolo come i comandanti in capo dell’esercito bolognese sul campo di battaglia. La presenza di podestà e capitani in guerra era probabilmente legata alla liceità del processo decisionale: come si vedrà in seguito infatti, la tattica da seguire in battaglia era decisa da alcuni sapienti e dai gonfalonieri mobilitati, congregati a consiglio e convocati da uno dei magistrati forestieri presenti, proprio come accadeva in città334.

Dal punto di vista statutario non sembrano invece esserci dubbi in merito alla gestione delle truppe: le competenze del podestà erano inerenti alla cavalleria, mentre la fanteria – nello specifico un corpo di 2000 fanti – sarebbe invece stato agli ordini del capitano del popolo335. Questa partizione

ideale, che conserva echi di una distinzione sociale, non corrisponde in modo rigido alle pratiche

330Senatore, Cerimonie regie e cerimonie civiche.

331Questi e altri esempi in Bargigia, Gli eserciti, pagg. 162-163. Sul valore simbolico dei vessilli come bottino di

guerra si veda anche: Jucker, Le butin, pagg. 127-129.

332Caminiti, La vicinia, pag. 91.

333Per il ruolo di comando dei podestà si vedano: Grillo, I comandanti degli eserciti comunali, pagg. 9-36, Id.,

Processi decisionali. Settia è invece più scettico nell’attribuire un ruolo operativo ai podestà, Settia, Viriliter et competenter, pagg. 69-70;

334Uno dei verbali di queste sedute, tenutosi a Imola, è testimone di un consiglio convocato dal podestà con i

gonfalonieri della cavalleria per decidere un piano di battaglia. ASBo, Consigli minori, reg. 210, cc. 125-132. Questa ragione spiegherebbe anche perché, in assenza dei magistrati forestieri, nelle cavalcate veniva inviato uno dei suoi

milites. ASBo, Riformagioni, reg. 140, c. 255r.

tramandate dalla documentazione, dove si assiste invece a una continua ridefinizione delle mansioni e dove è più difficile stabilire con certezza le specifiche competenze dei magistrati forestieri e degli uomini al loro seguito sul campo di battaglia.

Le norme statutarie riguardanti le altre cariche di comando dell’esercito erano invece vaghe e soprattutto sparse: gli statuti del 1288 ad esempio, non prevedevano alcuna rubrica specifica per la fanteria, per la cavalleria invece stabilivano l’obbligo di eleggere un gonfaloniere per quartiere e l’obbligo di ciascuna decina di dotarsi di un capitano336. Più precise, ma non esaustive, erano invece

le rubriche contenute negli statuti precedenti, che però non chiariscono quanti ufficiali si sarebbero dovuti nominare e da da quali figure doveva essere composta la catena di comando337.

Le informazioni contenute invece nei registri delle riformagioni e provvigioni sono più complete e testimoniano una realtà molto stratificata, in cui si è riscontrato un alto numero di cariche di comando dotate di propri vessilli. L’armata bolognese era un’istituzione complessa che non avrebbe funzionato senza un’articolata organizzazione in grado di guidare gli uomini sul campo di battaglia, di controllare la loro presenza, così come il loro operato. La complessità della sua struttura obbediva anche a una logica più stringente: come alcuni studi antropologici e sociologici hanno infatti messo in luce, il potere, per essere esercitato, deve creare delle gerarchie unite a vari livelli di deferenza in modo da rendere impossibile, soprattutto a livello mentale, la possibilità della rivolta e dell’insubordinazione338.

La varietà dei gonfaloni rifletteva inoltre la complessità dello spazio politico bolognese, situazione questa riscontrabile anche all’interno di altre città italiane, come è dimostrato, per esempio, da due affreschi fiorentini, quello già ricordato della cacciata del duca di Atene e quello, ancora più esplicito, presente all’interno del palazzo dell’Arte dei Giudici e Notai. Come si può notare da quelle raffigurazioni le insegne di comune, popolo e città (nel secondo dipinto citato fu posta anche la parte Guelfa) furono infatti raffigurate come entità diverse, ma compresenti nello spazio urbano. Anche l’esercito bolognese rifletteva l’aggregazione dei diversi soggetti che coabitavano all’interno dello spazio politico cittadino: la città, il comune, la parte geremea e il popolo. Quest’ultimo era l’organismo preminente e si era organizzato militarmente attraverso le società d’armi, le quali avevano a capo un gonfaloniere per ciascuna compagnia – eletto annualmente – e a cui gli immatricolati, che godevano dei numerosi diritti legati all’appartenenza al popolo, dovevano la loro piena obbedienza339. Accanto ai gonfalonieri delle società è attestata anche la presenza del 336Statuti 1288, pagg. 197-198. Rub. XII, De decenis militum. Ordinamus quod quilibet confalonerius militum

teneatur facere decenas militum in suo quarterio et dare unum capitaneum ex dictis militibus quilibet decene, ita quos in quilibet capitanerie sint decem milites ad minus. Rub. XIII De gonfaloneriis militum, Ordinamus quod dominus

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