Il decennio iniziato con gli attacchi condotti dal marchese d’Este nel 1296 e terminato con la caduta del governo di segno bianco nel 1306 fu, come visto, un arco temporale particolarmente travagliato per Bologna, segnato da vicende in grado di pregiudicare l’indipendenza e la tenuta del suo sistema politico. La città felsinea reagì all’emergenza rafforzando il suo vertice di governo e privilegiando il momento decisionale rispetto a quello della discussione. Anche per queste ragioni gli assetti istituzionali che operavano regolarmente durante i periodi di pace furono temporaneamente sospesi e le loro prerogative furono assunte via via da collegi formati da diverse magistrature, con compiti più o meno specifici493. In quegli anni, come si vedrà, si fece più volte
ricorso alla deroga agli statuti, alla legislazione e alle procedure correnti.
Il problema del ricorso ad eccezioni e deroghe alla normativa durante le emergenze nelle città dell’Italia centro settentrionale, soprattutto in quelle governate dai regimi di popolo, è un tema relativamente nuovo per la medievistica, e non ha goduto di particolare fortuna tra gli specialisti. Le prime puntuali analisi, effettuate tra il 2007 e il 2010 da Giuliano Milani, Sara Menzinger e Lorenzo Tanzini, hanno mostrato come il ricorso ad eccezioni e deroghe fosse una pratica diffusa, ma non priva di pericoli per l’ordinamento giuridico494. Milani ha notato come le città italiane fossero il
frutto di una stratificazione di istituzioni e legislazione. L'eccezione era molto presente nei regimi di popolo, tanto che gli statuti bolognesi del 1288 conservarono un apposito libro per registrare gli interventi straordinari. L'arrestarsi dell'espansione economica di fine Duecento, rilevabile dall'aumento della conflittualità intra ed extra cittadina, il progredire delle legislazioni volte a controllare la società, causarono un sempre maggior ricorso a norme eccezionali. Ai cambiamenti che si andavano profilando corrispose una maggiore difficoltà nel definire chi avesse il potere decisionale sui mutamenti in atto: la signoria, a quel punto, sarebbe stata più funzionale dei consigli cittadini.
La possibilità di uno snaturamento dell’ordinamento giuridico a causa del continuo ricorso alla deroga era, del resto, un pericolo temuto nelle città italiane. Sara Menzinger ha infatti mostrato come, a partire dalla seconda metà del Duecento, nel bel mezzo delle turbolenze politiche che caratterizzarono quel periodo, si iniziarono a escogitare e a inserire all’interno degli statuti norme volte a «evitare il rischio che prescrizioni considerate eccezionalmente importanti per la città venissero disattese»495. Lorenzo Tanzini ha invece sottolineato come le urgenze militari e
finanziarie, soprattutto se percepite come nuove e inaspettate – novitates, appunto – siano emerse come segnale di un processo irreversibile di mutazione istituzionale: l'integrità territoriale o i diritti
493Per il funzionamento dei consigli cittadini a Bologna: Tamba, Il consiglio del popolo; Id., Consigli elettorali. 494Menzinger, Pareri eccezionali; Milani, Legge ed eccezioni; Tanzini, Emergenza, eccezione deroga, pagg. 149-
181; Tanzini, Il governo delle leggi, pp. 67-88.
dei cittadini creditori furono infatti percepiti come più importanti della legalità statuaria, tanto da mettere in crisi irreversibile le funzioni dei consigli496.
Prima di analizzare come fu gestita l’emergenza e quali furono i provvedimenti presi, è però opportuno osservare quali vocaboli definirono e inquadrarono il pericolo all’interno delle delibere consiliari. I vocaboli usati nei testi di verbalizzazione sono infatti importanti perché non servirono solo a descrivere un particolare accadimento, ma avevano anche lo scopo di inquadrarlo giuridicamente, così da legittimare il regime di popolo e i suoi rettori ad agire oltre i limiti consentiti dalle leggi in vigore.
A partire dagli attacchi dell’aprile 1296 la parola guerra fu la più utilizzata per identificare l’emergenza nel discorso pubblico bolognese e fu proprio rifacendosi alla sua gestione che vennero prese alcune delle decisioni più rilevanti. L’azione politica durante un conflitto armato presentava infatti alcuni problemi non di poco conto, inerenti soprattutto la liceità dell’azione bellica e la legittimità dei governanti. Fin dal decretum di Graziano, il concetto di guerra giusta infatti, si era formalizzato nell’identificazione di alcuni requisti fondamentali: l’ordine da parte di un potere superiore, la giusta causa – da intendersi come legittima difesa – e la retta intenzionalità497. Fu
dunque facile per Bologna, vittima di una aggressione armata, trovare nella legittima difesa il presupposto giuridico che autorizzasse i provvedimenti presi per affrontare la guerra498. In quella
direzione si mosse anche la definizione degli attaccanti, definiti nelle deliberazioni perfidi inimici; il marchese d’Este fu invece qualificato come tyrannus, contro il quale tutto poteva e doveva essere lecito499. Gli echi di quelle espressioni si ritrovano anche nelle carte giudiziarie, come dimostra una
sentenza emessa nel 1296 contro alcuni uomini accusati di cospirazione: rifacendosi a richiami biblici e classici, il testo equipara i proditori a Giuda, il marchese d’Este al Faraone e a Nerone500.
496Per un inquadramento generale di tutti gli aspetti riguardanti l’eccezione medievale si veda Vallerani, Paradigmi
dell’eccezione; Vallerani, La supplica al signore, pagg. 411-441; Id., L’arbitrio negli statuti cittadini, pagg. 117-147. Un
numero monografico della rivista Quaderni Storici è stata dedicata al tema dell’eccezione, oltre ai contributi citati nelle note qui sopra, si vedano anche Bianchi, «Cotidiana miracula», pagg. 313-328; Théry, Borello, Atrocitas, enormitas, pagg. 329-375; Todeschini, Eccezioni e usura, pagg. 443-460;
497Russel, The just war, pagg. 86-212; Quaglioni, Guerra e diritto, pagg. 191-196.
498Sara Menzinger ha mostrato come per muovere, in alcune circostanze, fu necessario l’avallo giuridico di una
commissione di sapientes: Menzinger, Giuristi e politica, pagg. 224-337 Ead., Pareri eccezionali;
499Perfidi inimici ricorre spesso nei dal 1296 al 1298: ASBo, Riformagioni, registri 142-148; Consigli minori, reg.
210. Il marchese d’Este è definito Tyrannus in ASBo, Riformagioni, reg. 143, c. 372v.
500ASBo, Accusationes, b. 17b, reg. 11, c. 17r Raynerius cui dicitur Rubeus de Liaçaris condam domini Liaçari et
de capelle sancti Nicholai de Albaris et Liaçarius de capella predicta cui dicitur çarus
fomites iniquitatis viperarum gemmina proditoris Iude successores et filii contra quos processum est ex inquisitione facta ex officio curie domini potestatis ex ipsorum nephandis operibus clamosa insinuatione precedente et fama publica referenter auribus domini potestatis et eius curie exstitit nunciatum quod civitate bononie cum suis incolis de mense Junii proximo preteriti et de mense julii presentibus sub rectoris clipeo in quiete degente prodictionem nephariam et crudelem de civitate, populo et societatibus artium Bononie de dictis mensibus aptentare inhumanite prersumpseret. In qua quidem inquisitione processum est per coniecturas vallidas et indicia manifesta ac aliquorum complicum ipsorum confessionibus qui iam ob id factorum suorum digne mortis summam subierunt nec non et fama publica multorum testimoniorum verictate probata. hii viri virorum vocabulo abusive vocati habito tractato cum tyranno crudelissimo marchione estensi qui dolo querit invadere quod acquirere vi non potest ipsaque civitatem et incolas querit perdere et sub iugo sue tirannice servitutis que morti cumparatur aiuere subicere ac ipsius civitatis et populi molitur sternere libertatem multis inter eos habit inde literas et nuncis de ipsius civitatis prodictione receptis ac etiam signis inter eos ordinatis silicet quod nunci tangendo cuilibus predictorum Raynieri qui dicitur Rubeus et Liaçarii
Se il concetto di «guerra» forniva una legittimazione ad agire contro un nemico esterno, la preservazione del «buono e pacifico stato della città» o «della libertà della città», cioè la necessità di agire al fine di poter difendere l’ordinamento vigente, consentì ai governanti di prendere invece tutti i provvedimenti necessari per decidere sugli approvvigionamenti alimentari, sull’esilio politico, sulla concessione di privilegi a gruppi ristretti di persone o, in genere, su tutti quegli eventi che mettevano in pericolo la sopravvivenza del regime e dell’ordinamento giuridico501.
Le minacce non erano descritte in genere nel dettaglio, ma era verbalizzate facendo ricorso al termine novitas. A Bologna il vocabolo fu utilizzato con particolare frequenza: il 20 agosto del 1302, ad esempio, il consiglio del popolo discusse a riguardo di una cavalcata fatta «propter quosdam novitatem in partibus Mutine»502. L’uso del lemma all’interno delle deliberazioni, sebbene
avesse anche anche un fine retorico, esprimeva un concetto – in chiave negativa – ben preciso e formalizzato. Il termine non era infatti una invenzione medievale, ma aveva origini più antiche: sia la tradizione esegetica della Bibbia sia quella giuridica di derivazione romana infatti, seppur con accenti e in contesti diversi, usarono il vocabolo per identificare un evento non ancora compiuto, ma a cui volgersi con sospetto, di legittimità era ancora dimostrare503. Una simile accezione, seppur
con alcune ambiguità, resistette nel latino medioevale. Secondo il dizionario Du Cange infatti,
novitas possedeva due significati: «dignitas, seu muneris initia, adeptio» ma anche «usurpatio, cum
quis alium interpellat in jure suo». Nel diritto comune il termine aveva comunque assunto un senso ancor più negativo: nelle sue Derivationes Uguccione da Pisa accostò il vocabolo a rumor, «Item a ruo hic rumor-ris, idest murmur vel quod vulgo dicitur novum, quia celeriter ruat», identificando come sinonimi di novus, i lemmi magnus e inusitatus504. Alberico da Rosate specificò invece che il vocabolo si riferiva a ciò che non era mai accaduto prima, diverso quindi dalla consuetudine: «Novum aliquando idest inauditum […]. Novum est quod non fuit […]. Novum non dicitur, quod quandoque fuit statutum: licet modo renovetur […]. Novum, idest extraneum […]. Novum non est,
qui dicitur çanis manuum dexterarum digitos longiores deberent credere quod referrerent et exequi procurare. In civitate ipsa in locis pluribus per viles personas eiusdem ad dicto marchione mitendas de presenti mense juli ad incendium ordinaverant ignem apponi ad cuius ignis visionem ipso marchio comunis et populi bononie hostis impius aliter pharao, sevissimus Nero cum ingenti milicia et populo ad civitatem ipsa vibrato gladio debebat aggredi invasurus et alicui percere maligni gladius non debebat et ob id ad civitatem ipsam prefati çanis et Rubeus de mense iuli presentibus personaliter accesserunt. O crudeles animi o iniquissimi civitatis filii o inananis ferocitas belluarum quid vobis molesta intullerat Bononie civitatis generosa cui pro melle venenum pro pietate dolum corde crudelissimo preparastis haa latebat in humanis sensibus quod ferarum natura abhoreret nam ferarum natura unius esse venatione contenta certa pace sinit hii vero non solo homines verum etiam infantes et fugentes umbra insuper patriam, templa sacra, moniales, virginis et maritali federe copulatas gladio igne stupro velle subicere crudeliter temptaverunt.
501Meccarelli, Statuti, potestas statuendi, arbitrium, p. 5, n. 17. Gran parte dei provvedimenti, così come alcune
balìe a partire dal 1302 furono presi per preservare il buono e pacifico stato della città e la sua libertà, ASBo,
Riformagioni, regg. 156-159; Consigli minori, reg. 212.
502ASBo, Riformagioni, reg. 156, c. 85v. Non è un caso isolato, ad esempio nel gennaio del 1296 si decise di inviare
più uomini nei castelli del contado, eleggendoli ad brevia, a causa di novitates ASBo, Riformagioni, reg. 141, c. 297r; nel dicembre del 1299 fu conferito l’arbitrio agli anziani e consoli per difendere il buono e pacifico stato di Bologna a causa delle novitates a Firenze e in Toscana, ASBo, Riformagioni, reg. 148, c. 372v.
503Zendri, Novitates pariunt discordias, pagg. 37-54, in particolare pagg. 37-40.
504Uguccione da Pisa, Derivationes, II, N 31 [2-4], p. 829: Item a neos novus –a –um, recens, non vetustus sed in
principio sui […]. Novissimus tamen mutat significationem: dicitur enim novissimus, idest ultimus, et raro invenitur in ea significatione quam deberet habere superlativus istius positivi, scilicet novus […]. Et inde nove, vel noviter, -vius – sime adverbium, et novitas –tis. Et nota quod novus quandoque dicitur inusitatus, quandoque magnus.
quod est usitatum»505. Dopo aver chiarito questo punto, la riflessione del giurista giungeva infine ad
osservare che «novitas dicitur tunc non fieri, quando omnia sunt in statu suo» e quindi a concludere in modo perentorio che «novitates pariunt discordias». Le novitates erano dunque portatrici di discordia e da guardare quindi con sospetto; il concetto fu in seguito ancor più estremizzato da Bartolo che lo accostò a iniquo506. Tutta questa riflessione teorica sul termine fu in seguito ripresa
anche da un allievo di Bartolo, Baldo degli Ubaldi, che glossando la lex in rebus, contenuta nella
De constitutionibus principum del Digesto affermò «omnis novitas praesumatur mala, et sic est
argumentum contra tentantes innovare contra bona regimina civitatum, secus in malis, ut hic»507.
Un altro concetto spesso verbalizzato all’interno delle deliberazioni consiliari in situazioni emergenziali, che da solo bastava a fornire validità giuridica e legittimità ai provvedimenti presi, era quello di necessitas. L’uso del termine sottintendeva una situazione in cui era ragionevole ipotizzare un imminente e grave pericolo per la sicurezza di cose e persone. Questo autorizzava, nella maggior parte dei casi, ad agire in deroga o addirittura contro i regolamenti vigenti: necessitas non habet
legem riassumeva un famoso brocardo latino sulla questione. La teorizzazione giuridica ammetteva
infatti che in caso di necessità sarebbero stati leciti tutti i provvedimenti che avrebbero garantito la sopravvivenza del sistema di governo o dei cittadini, anche se questi avessero modificato l’ordinamento giuridico in vigore. L’unica condizione posta era che che tutte le azioni intraprese fossero transitorie e che una volta contrastata l’emergenza si tornasse alla situazione iniziale508.
Le deliberazioni bolognesi non facevano eccezione a quei principi: la richiesta di approvazione di una cedola, emessa per contrastare un tentativo di egemonia da parte di alcuni anziani e consoli, fu approvata in virtù della evidente utilità e necessità così come lo fu in un provvedimento del 28 febbraio 1301 che chiedeva una deroga alla imposizione dei cavalli, una procedura che, come visto, era rigidamente normata dagli statuti509.
§5. 2 Il conferimento dell’arbitrio
Al verificarsi di uno stato di emergenza, l’istituzione che formalmente e politicamente deteneva il potere decisionale nelle primissime fasi del pericolo era il consiglio del popolo. Che si motivassero le decisioni ricorrendo al concetto di guerra o a quello di difesa del buono e pacifico stato, le procedure messe in atto furono del tutto sovrapponibili e tesero sempre a creare un vertice di governo il più possibile stabile dotato di ampi poteri discrezionali510.
505Alberici a Rosate Dictionarium, ad vocem novum.
506Bartolus a Saxo Ferrato, In Primam ff. novi Partem, ad ff. De operis novi nunciatione, f. 2vA n. 9: Sed quare
appellatur Digestum novum? Responde quandoque appellatur novum idest ultimum […]. Ergo tria sunt volumina, istud est ultimum. Secundo modo appellatur novum, sicut quaedam interdicta appellantur a prima parte sui, ut in interdicto, quod vi aut clam. ita hic, quia tractatur de novo opere, appellatur Digestum novum. Tertio modo potest dici novum, scilicet eo, quia novum quandoque appellatur iniquum. l. i. in principio supra quod quisque iuris et ideo hic dicit novum idest iniquum, puniens iniqua. His praemissis, veniamus ad nigrum.
507Iasonis Mayni Mediol. In Primam Digesti Veteris Partem Commentaria, ad l. In rebus, ff. De constitutionibus
principum (Dig. 1, 4, 2), f. 24rA n. 1.
508Schwarzenberg, Necessità (diritto intermedio), pagg. 847- 851, in particolare pagg. 850-851, Ascheri, Note per la
storia dello stato di necessità. Tanzini, Emergenza, eccezione, deroga.
A Bologna si utilizzarono due differenti procedure, entrambe volte ad accelerare il processo decisionale. Una prima modalità consisteva nell’autorizzare gli anziani consoli, il capitano o addirittura il podestà a partecipare attivamente al consiglio del popolo, permettendo loro di proporre i provvedimenti più idonei e di partecipare al dibattito511. Questo, oltre a valorizzare le competenze
dei rettori forestieri e degli anziani, consentiva di velocizzare i meccanismi decisionali, perché aggirava l’utilizzo delle cedole. Per essere discusso in consiglio, ogni provvedimento doveva infatti essere approvato dai due terzi delle società di popolo, riunitesi per discutere su tutte le cedole. Una volta approvate, queste ultime venivano presentate dagli anziani ai membri del consiglio del popolo per essere discusse e votate. Durante la guerra contro il marchese d’Este, quella pratica fu abolita perché giudicata troppo lenta e dispendiosa, ma al termine del conflitto fu ripristinata512.
La seconda procedura, di gran lunga più utilizzata, fu quella di conferire ampi poteri discrezionali a un ristretto numero di soggetti attraverso l’arbitrium. Questo consentiva ai suoi titolari di intervenire là dove si fosse verificata una situazione straordinaria, non normata, ancora difficilmente inquadrabile, che avesse messo in pericolo la stabilità del sistema politico. L’arbitrio, in accordo con quanto teorizzato dalla dottrina giuridica, poteva essere soltanto di due tipi: liberum e regulatum. L’arbitrium regulatum manteneva i suoi titolari soggetti «ab observantia iuris comunis» ed era in genere conferito per assolvere un compito preciso entro delimitate funzioni. Lo arbitrium liberum era invece più complesso: era conferito per affrontare situazioni percepite come particolarmente gravi e concedeva ai soggetti che lo detenevano un ampio potere decisionale, che prevedeva addirittura che si potesse agire in deroga alla normativa vigente; il dispositivo, tuttavia, non era concepito per mettere in crisi il sistema politico: come ha infatti sottolineato Massimo Meccarelli, non si deve confondere il possesso della libertà di non rispettare le leggi con uno svincolo, che era considerato inaccettabile, dall’ordinamento giuridico513. Se si osserva il caso di Bologna, quanto
detto appare ben esemplificato. Il consiglio del popolo, dopo aver preso atto dell’esistenza di
510Le modalità di reclutamento e funzionamento dei consigli bolognesi sono stati oggetto di attente analisi da parte
di Blanshei, Politica e giustizia, pagg. 83-133; Tamba, Consigli elettorali; Id., Il consiglio del popolo. La concessione di poteri straordinari ai fini di superare una emergenza non era definita negli statuti, ma aveva solide nel diritto romano. Gli istituti del senatus consultum ultimum, del tumultus e dello iustitium autorizzavano infatti, in caso di necessità e pericolo per il sistema politico, l’uso legittimo della violenza e la concentrazione di poteri eccezionali nelle mani dei governanti. Barbagallo, Una misura eccezionale dei romani. Il senatus-consultum ultimum. Antonini, Il senatus
consultum, pagg. 52 ss.; Mendner, Guarino, Labruna, Nemici non più cittadini, pagg. 65 ss, Momigliano, Cornell,
«senatus consultum ultimum», in Oxford Classic; Masi Doria, Salus populi suprema lex esto, pagg. 1254 ss.; De Luca,
Tumultus et Iustitium.
511ASBo, Riformagioni, reg. 158, c. 167r. Cum propter guarnimenta et apparatiis Marchionis Estensis et alia
novitates emergentes multa pro bono et pacifico statu et defensionis libertatis comunis et populi Bononie hiis diebus occurrerunt et in futurum possint occurrere et pro manifesta et publica utilitate comuni et populi Bononie placuit omnibus ançiani et consulibus populi Bononie et omnibus ministralibus illorum duorum societatum que presunt aliis societatibus pro conservacione ordinamentorum presenti mense aprilis quid quedam cedula infrascripti tenore mute[…] pro societatis arcium et artorum populi Bononie quid placet societati quod dominus capitaneus populi Bononie vel eius vicarius vel unius ex ançiani vel consules pupuli Bononie possit in consilio populi proponere et quilibet de consilio consulere et esse de partito et notarius ançianorum et consulum populi Bononie scribere legere et reformare sine pena.
512Blanshei, Politics and justice, pagg. 78-79; Fasoli, Sella, Statuti, rubrica XXXIII: De cedula missa per societates
Populi Bononie, pagg. 332-336; Fasoli, Le compagnie delle arti, pagg. 277-278; Vallerani, Sfere di giustizia, pagg. 189,
197. ASBo, Comune Governo, Consigli minori, reg. 210, cc. 69r, ASBo, Riformagioni 149, cc. 92v–93r, cc. 127r–131v,
un’emergenza o di un pericolo, attraverso una votazione stabiliva i modi e i termini del conferimento dell’arbitrio: la gravità delle situazioni che si presentarono nel decennio preso in considerazione vide un frequente ricorso all’attribuzione dell’arbitrio liberum514.
L’arbitrio consentiva di attribuire poteri eccezionali a pochi soggetti e per questa ragione il consiglio del popolo, nelle stesse disposizioni in cui lo conferiva, approvava sempre anche alcuni meccanismi a garanzia del mantenimento dell’ordinamento giuridico: aveva una durata limitata nel tempo – in genere un mese – e soprattutto, negli atti di conferimento era sempre specificato che nessuna delle leggi emanate avrebbe potuto essere contraria agli Ordinamenti Sacrati e Sacratissimi515.
Per quanto sia innegabile che il conferimento dell’arbitrio deformasse l’equilibrio degli assetti istituzionali, dal punto di vista formale non rappresentava però un sovvertimento, dato che era sempre il consiglio del popolo a scegliere i suoi reggenti e a mantenere l’autorità di conferirlo.
§5. 3 Le eccezioni
In una situazione emergenziale potevano essere effettuate eccezioni e deroghe ai regolamenti