COMANDANTI E DEI MEMBRI DELLE BALÌE
*§6. 1 Profilo economico
Durante il lavoro di scavo archivistico sono stati schedati 408 ufficiali che servirono all’interno dell’esercito bolognese tra gli anni 1293 e 1306. Il numero qui presentato tiene conto di tutta la gerarchia militare, dai capitani delle venticinquine ai gonfalonieri, ma è ben lontano dal descrivere la reale dimensione del gruppo dei comandanti. Se per gli ufficiali più alti in grado, cioè i gonfalonieri delle società, dei reparti di fanteria e cavalleria è lecito pensare di avere, con 379 uomini, la quasi totalità dei nominativi, non si può dire lo stesso per i capitani delle venticinquine: il loro numero – per il decennio considerato – doveva aggirarsi intorno al migliaio di uomini, ma si sono potuti schedare solo 29 individui.
In questo primo paragrafo si cercherà di dimostrare come sia i comandanti delle armate bolognesi sia i membri delle balìe di governo furono esponenti dell’oligarchia che reggeva la città, detentori cioè di un livello di ricchezza elevato rispetto alle altre fasce della popolazione, in anni in cui, a causa della guerra e dell’elevata imposizione fiscale, le disparità economiche crebbero notevolmente.
La teoria oligarchica, in particolare quella di Robert Michels della “ferrea legge dell’oligarchia” è stata tra la più utilizzate per proporre schemi interpretativi delle società cittadine; proprio a partire da quel modello è stata elaborata anche la “teoria elitaria della democrazia”, secondo la quale le scelte politiche sono appannaggio di un ristretto gruppo di individui, mentre volontà e pressione popolare sarebbero solo in grado di sostituire una élite con un’altra636. Il fatto che sia la massa a
scegliere i gruppi dirigenti presuppone tuttavia che i detentori del potere debbano continuamente ricercare il consenso dei governati, esercitando in particolar modo quella che Antonio Gramsci definì egemonia.
Una lettura oligarchica della società bolognese è stata data in tempi molto recenti da Sarah Blanshei637. La studiosa americana ha infatti dimostrato come, nonostante il regime di popolo si
basasse su un’ampia partecipazione politica, l’accesso alle cariche di governo fu appannaggio di un sempre più ristretto numero di famiglie, che escludevano un numero sempre più crescente di individui.
Il nodo della partecipazione politica e dell’effettiva azione delle masse popolari è stato utilizzato da alcuni studiosi, tra cui Massimo Vallerani e John Najemy per confutare le visioni oligarchiche ed
*Per non appesantire inutilmente il testo si è scelto di non inserire in nota i risultati dello studio prosopografico sui
comandanti e i membri delle balìe. Si rimanda pertanto alle tabelle I, II, III e IV.
636Una riflessione storiografica sull’argomento in Blanshei, Politica e giustizia, pagg. 83-88. Micheals, Political
Parties.
637Blanshei, Politica e giustizia; Devo le riflessioni che seguiranno a un testo di Sarah Blanshei, dal titolo
elitiste della società638. Nell’ultimo decennio tuttavia, alcune opere di politologi di area
anglosassone hanno ridefinito i termini della questione. Negli Stati Uniti contemporanei, in modo particolare, è risultato quanto mai evidente che all’aumento della partecipazione politica sia corrisposto simultaneamente un aumento delle disparità economiche. In particolare i politologi Martin Gilens e Benjamin Page hanno sostenuto come l’allargamento della base elettiva abbia solo mascherato le capacità decisionali dei gruppi di interesse e delle élite economiche, capacità che al posto di diminuire si sono invece notevolmente incrementate: il vero discrimine non risiederebbe quindi nella partecipazione, ma nell’influenza politica639. La tendenza verso sistemi oligarchici è
tuttavia oggetto di forti resistenze, come ha sottolineato John McCormick640. Attraverso l’analisi dei
Discorsi di Machiavelli infatti emerge come la pratica delle rotazione o del sorteggio delle cariche,
così come l’esclusione dei magnati, altro non siano che strumenti atti a evitare che un ristretto numero di individui assuma e consolidi ampi poteri decisionali.
Ancora più utile per inquadrare la questione è però l’opera di Jeffrey Winters641. Il politologo
statunitense in un suo recentissimo saggio si è occupato di inquadrare l’oligarchia non come forma di governo a sé stante – idea questa derivata da una erronea interpretazione della Politica di Aristotele – ma come una parte integrante di qualsiasi sistema politico, anche di quelli più instabili e transitori. I fattori da tenere in considerazione risiederebbero infatti nella capacità di influenza delle oligarchie, che è misurabile dal grado di distribuzione della ricchezza di una società.
Il modo più semplice valutare il livello di ricchezza dei singoli individui nella Bologna medievale è quello di esaminare le denunce dei comandanti contenute nell’estimo del 1296: su 409 ufficiali si sono conservate 173 cedole, pari al 42,2% del totale642; sebbene il dato non copra l’intero numero
dei comandanti è comunque sufficientemente rappresentativo delle condizioni socio economiche degli ufficiali felsinei ed è determinante per tracciarne un profilo.
I più importanti lavori sull’estimo bolognese del 1296 – che con 9912 cedole, di cui 9. 635 leggibili è il più completo tra quelli conservatisi – hanno elaborato una scala composta da otto classi di ricchezza utile a interpretare i dati: la I comprende i nullatenenti, la II gli importi tra 1 e 25 lire, la III tra le 26 e 50 lire, la IV 51-100 lire, la V 101-200 lire, la VI 201-500 lire, la VII 501-1000 lire e infine l’VIII classe raggruppa tutti gli importi superiori alle 1000 lire643.
638Najemy, The dialogue of power, pagg. 269-288; Vallerani, La città e le sue istituzioni, pagg. 165-230. 639Gilens, Page, Testing theories, pagg. 564-581.
640McCormick, Machiavellian democracy. 641Winters, Oligarchy.
642Non di tutti i comandanti si è in possesso della cedola, ma i dati sono stati desunti dall’estimo del 1304/1305
dove fu spesso dichiarato la cifra d’estimo calcolata nel 1296. Si segnala che nel 1304/1305 i contraenti dichiararono spesso un estimo superiore a quello effettivamente dichiarato nelle cedole, cifra probabilmente aggiornata ai controlli successivi.
643Giansante, L’usuraio onorato, pagg. 153-158; Micheletti, Gli estimi del comune di Bologna; Giansante, Aspetti e
problemi; Id., Il quartiere bolognese, pagg. 123-141; Rocca, Gli estimi del comune di Bologna. Sull’estimo del 1296 si
veda Smurra, Città, cittadini e imposta diretta; Sugli estimi di Bologna: Bocchi, Estimi e catasti; Ead., Imposte dirette e
ceti sociali, pagg. 99-106; Dondarini, Politica e fonti fiscali, pagg. 127-138; Dondarini, Della Bella, La politica fiscale;
Foschi, Indagini preliminari, pagg. 189-217; Matassone, “Piangere miseria”, pagg. 413-427; Pini, Dalla fiscalità
comunale, pagg. 344-371; Id., Gli estimi cittadini a Bologna, pagg. 111-159; Pirillo, La provvigione istitutiva dell’estimo, pagg. 373-412;
Se si considerano i comandanti come un unico gruppo, senza cioè dividerli per cariche, appare evidente che la maggior parte di essi proveniva dalle fasce più ricche della popolazione urbana. Il dato è immediatamente comprensibile se lo si pone in relazione al totale della popolazione: l’analisi di tutte le cedole del 1296 colloca infatti circa il 13% delle denunce tra i nullatenenti; una porzione ben più ampia, all’incirca il 61% della popolazione estimata si situava invece nelle fasce di ricchezza che vanno dalla III alla VIII fascia: la maggioranza dei bolognesi dichiarò dunque un reddito superiore alle 25 lire, cifra questa ultima che consentiva una vita più che dignitosa. Redditi più alti, corrispondenti alle ultime tre fasce, cioè allla VIII, allla VII e allla VI furono dichiarati soltanto dal 19% degli abitanti, e come ha notato Massimo Giansante, la disuguaglianza economica era notevole: una ristretta fascia della popolazione estimata, corrispondente al 4,2% si situava in VIII fascia e possedeva ben il 53% della ricchezza cittadina dichiarata: 1. 195. 386 lire su 2. 239. 236 lire644.
Le denunce presentate dai comandanti dell’esercito bolognese invece ribaltano la situazione appena decritta: circa il 33% degli estimati dichiarò infatti un reddito superiore alle 1.000 lire, il 21% tra le 501 e le 1.000 lire, il 22% tra le 201 e le 500 lire, il 9% tra le 101 e le 200 lire, il 6% tra le 51 e le 100 lire, il 3% tra le 26 e le 50 lire, il 2% tra 1 e 25 lire e infine solo 1 ufficiale si dichiarò nullatenente, ma dato l’elevato prestigio della carica che ricoprì – gonfaloniere di porta Procola – è probabile che ci si trovi di fronte a un caso di omonimia.
I comandanti presenti nelle prime tre fasce dell’estimo rappresentano una percentuale minima rispetto agli altri gruppi – poco più del 5% – ma i dati sono in parte falsati: Giovanni Mezzovillani ad esempio, che nel 1296 fu estimato in sole 21 lire, ne dichiarò ben 9. 700 nel 1304. La circostanza lascia aperte due possibilità: quella per nulla remota di due omonimi che abitavano nella stessa cappella, oppure quella dell’ottenimento in eredità delle ricchezze paterne, ipotesi questa avvalorata
644Giansante, L’usuraio onorato, pagg. 157-158.
Capitani venticinquine Gonfalonieri società Bandiere fanteria Gonfalonieri fanteria Capitani cavalleria Gonfalonieri cavalleria 0,00% 20,00% 40,00% 60,00% 80,00% 100,00% 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 1 0 0 0 4 2 2 1 0 0 1 7 3 3 1 2 5 12 7 2 7 0 3 5 10 8 3 0 1 5 13 12 9 7
Livelli di ricchezza dei comandanti
Fascia I Fascia II Fascia III Fascia IV Fascia V Fascia VI Fascia VII Fascia VIII
dal fatto che nella cedola più recente accanto il nome di Giovanni fu apposto condam Meçovillani, specificazione assente nel 1296645. Una simile considerazione vale anche per Iacopo di Delfino, che
intraprese la carriera militare dopo il 1300 e che al momento dell’estimo doveva esser piuttosto giovane, condizione questa in grado di spiegare le 12 lire dichiarate, a fronte delle 7.000 lire denunciate dal padre, Delfino Priore646.
Per gli altri quattro comandanti invece sembra che le denunce rendano la loro effettiva condizione economica: i due ufficiali che dichiararono dodici lire non erano in possesso di nessuna abitazione all’interno della città di Bologna, mentre uno, Giovanni di Argele, gonfaloniere di porta Procola durante una missione militare nel 1298, possedeva pro indiviso tre terreni di scarso valore; il secondo, Iacopo dal Monte – gonfaloniere della società dell’Aquila nel 1298 – possedeva soltanto un ronzino647. Più agiati invece gli ufficiali che si trovano in III fascia: Pietro Bonmartini,
gonfaloniere della società dei Griffoni nel 1296, e a Domenico Zannini capitano delle venticinquine nel medesimo anno, ad esempio, furono estimati entrambi per 50 lire648. Domenico dichiarò dil
possesso di una vigna nella guardia della città e di una casa costruita sul terreno del monastero di santo Stefano. Pietro dichiarò invece soltanto la sua abitazione, che sorgeva all’interno del suo quartiere di residenza, del valore appunto di 50 lire.
I primi tre gruppi di ricchezza, stando alle cedole conservatisi, sono come visto poco rappresentativi del livello socio economico degli ufficiali: a partire dalla IV fascia invece, il numero degli ufficiali schedati si fa via via più consistente. Negli importi compresi tra 51 e 100 lire, cioè in V fascia, si trovano 12 comandanti, di cui solo uno di particolare prestigio, Giovanni di Guidochero Galluzzi che fu eletto gonfaloniere del Carroccio nel 1300 e nel 1296 era estimato in 79 lire: gli unici beni dichiarati furono animali dati in soccida, dal momento che non era ancora entrato in possesso di beni immobili649. Come nei casi già visti in precedenza la cifra non deve trarre in
inganno: il padre, ancora in vita, denunciò beni per 3340 lire650. Gli altri uomini presenti 5 capitani
delle venticinquine, 2 gonfalonieri dei guastatori, due di società d’armi e uno dei balestrieri furono in possesso di un patrimonio variabile in linea generale composto da una modesta casa di proprietà in città, qualche piccolo appezzamento vinicolo o messo a coltura situato nella guardia della città o nel contado, oppure un intero capitale investito in attività produttive. Pietro di Domenico, per esempio, dichiarò di possedere una casa del valore di 50 lire e di dover ricevere 4 lire ex causa
mutui; Zinus Angelleri, che fu estimato con Giovanni – il titolare della cedola – e un altro fratello,
dichiarò 100 lire investite nella sua attività professionale651. Giovanni sottolineò inoltre che le 645ASBo, Estimi 1296, p. Ravennate, b. 28, S. Michele dei Leprosetti, c. 026r; ASBo, Estimi 1304, p. p. Pocola, S.
Michele dei Leprosetti c. 75v.
646ASBo, Estimi 1296, p. Procola, S. Maria delle Muratelle, c. 080r; Delfino Priore, estimo 1304, p. Procola, S.
Maria delle Muratelle, cc. 6-7.
647Giovanni di Argele: ASBo, Estimi 1296, p. Procola, S. Barbaziano, b. 12, c. 087r, è però da notare che l’estimo di
Trentina, sua madre, aggiunge 100 lire al valore della cedola: ASBo, Estimi 1296, p. Procola, S. Brabanziano, c. 146r. Iacopo da Monte: p. Stiera, S. Antolino, b. 33, c. 11r.
648Pietro Bonmartini: ASBo, Estimi 1296, p. Stiera, b. 34, S. Benedetto del Borgo di Galliera, c. 169r; Domenico
Zanini: ASBo, Estimi 1296, p. Procola, b. 17 S. Lucia, c. 135r.
649ASBo, Estimi 1296, p. Procola, b. 21, S. Maria della Rotonda dei Galluzzi, c. 010r. 650Ibidem, c. 8r.
651Pietro di Domenico: ASBo, Estimi 1296, p. Procola, b. 17, S. Lucia, c. 367r; Zinus Angelleri, ASBo, Estimi 1296,
condizioni del nucleo famigliare erano tutt’altro che rosee: uno dei suoi due fratelli, forse lo stesso
Zinus, era da poco divenuto padre e tutti loro si reggevano sul lavoro di lanaioli. Con 5 capitani
delle venticinquine a cui si potrebbe aggiungere Domenico Zannis – estimato 50 lire – si può affermare che il livello di ricchezza della V fascia era quello rappresentativo di una importante parte dei capitani di più basso livello dell’esercito cittadino: uomini in possesso di piccole proprietà e modesti capitali che svolgevano un lavoro autonomo e conducevano una vita tutto sommato dignitosa, anche se poteva esser velocemente gravata da alcune difficoltà.
Il 9,2% dei comandanti estimati dichiarò una ricchezza in beni immobili compresa tra le 101 e le 200 lire, situandosi quindi in VI fascia. In questo gruppo rientrano un capitano degli equitatores del contado, 13 tra gonfalonieri delle società d’armi e dei reparti di fanteria e due capitani, uno delle
venticinquine e uno di balestrieri. Il loro livello di ricchezza consentiva di possedere alcune vigne
e /o terreni prativi o coltivati di media e piccola grandezza, una casa di proprietà in città di maggior valorepiù elevato rispetto a quelle possedute dagli occupanti delle fasce precedenti, e piccoli capitali monetari, spesso prestati a una cerchia ristretta di persone. Alberto Viviani, ad esempio, gonfaloniere della taglia del contado nel 1303, dichiarò di abitare in un edificio del valore di 100 lire e di dover ricevere 35 lire come residuo di due prestiti; Michele di Tommaso, gonfaloniere di porta Piera, possedeva una casa valutata 60 lire, tre terreni di modesta entità – meno di dieci tornature in tutto – di cui due coltivati a vigna e un altro terreno da poco acquistato; oltre ai beni immobili vantava un credito di 70 lire sulla dote delle moglie,17 corbe di frumento per il pagamento di un affitto e 18 lire guadagnate dalla vendita di vino652.
A partire dalla VI fascia, quella cioè che comprende i patrimoni tra le 201 e le 500 lire, il numero dei comandanti presenti cresce esponenzialmente e al suo interno iniziano a comparire soggetti appartenenti alle famiglie più potenti della città come Orsi, Simopizoli, Gozzadini, Galluzzi, Lambertini, Mussolini. Il settore è ancora decisamente dominato da ufficiali posti alla testa di reparti di fanteria: su 38 uomini infatti solo 9 comandarono contingenti di cavalleria. Gli estimi presenti all’interno del gruppo mostrano una fascia della popolazione decisamente ricca, che possedeva una o due case in città, terreni di media grandezza divisi tra vigne, campi coltivati e prati e crediti concessi a diverse persone. L’estimo di Maurizio Lodoisi, gonfaloniere della società dei Vai nel 1298 ed estimato 396 lire è particolarmente esemplificativo: l’uomo possedeva una casa del valore di 80 lire nella cappella di residenza, diversi possedimenti per un totale di 27 tornature tra vigne e campi coltivati, una casa nel contado e 20 lire investite nella sua attività di orefice653. Estimo
questo che descrive proprietà molto simili a quelle dei comandanti di cavalleria: Giovanni Simopizoli ad esempio, che nel 1297 fu eletto capitano degli equitatores del contado, benché gravato da ingenti debiti – 624 lire – nel 1296 possedeva beni per 460 lire e nello specifico una casa nel contado con 25 tornature di terreno, vigne e terreni per altre 6 tornature, una parte di vigna nella guardia della città e una casa nella cappella di residenza654.
Con 36 comandanti, il 20,8% del totale, la VII fascia comprende gli uomini estimati tra le 501 e le 1000 lire. Importi questi che erano in genere il risultato una casa di valore – intorno alle 200 lire – all’interno della città, alcuni terreni di grandi dimensioni o di elevato valore e qualche credito da
652Alberto Viviani: ASBo, Estimi 1296, p. Procola, b. 13, S. Caterina di Saragozza, 17r; Michele Tommasino: ASBo,
Estimi 1296, p. Piera, b. 5b, S. Maria Maggiore, 34r.
653ASBo, Estimi 1296, p. Piera, b. 7, S. Martino dell'Aposa, c. 203r. 654ASBo, Estimi 1296, p. Procola, b. 20, S. Maria dei Guidoscalchi, c. 26r.
riscuotere o il possesso di animali. Iacopo de Cospis ad esempio, che con un estimo di 725 lire si pone a metà gruppo, denunciò il possesso di una casa del valore di 200 lire, 59 tornature di terreno tra vigne e campi messi a coltura, una parte di un bosco e prato inutilizzabili però a causa della guerra, un casamento nel contado e 9 tra cavalle e puledri in comproprietà655. Giovanni Magnani,
che fu estimato 620 lire, possedeva una casa del valore di 150 lire, un terreno in parte messo a vigna di 28 tornature stimato ben 15 lire a tornatura e doveva riscuotere un credito di 50 lire656.
Come anticipato però, la maggior parte dei comandanti presenti nell’estimo – ben il 32,9% – denunciò un importo superiore alle 1.000 lire. Questo gruppo, dal punto di vista economico è senz’altro il più variegato e per poter valutarne meglio la composizione è bene suddividerlo in tre partizioni. 31 comandanti dichiararono ricchezze comprese tra le 1.000 e le 2000 lire, che equivalevano a possedere all’incirca una casa dal valore superiore alle 200 lire, qualche terreno di medie o grandi dimensioni e – per i banchieri di professione – una fitta rete di crediti, come dimostra ad esempio il caso di Guglielmo Clarissimi, i cui beni, oltre a una casa del valore di 300 lire e di un terreno piuttosto modesto, erano in larga parte costituiti da una lunga lista di prestiti concessi657. Il notaio Pace di Saliceto, al contrario, doveva la quasi totalità del suo estimo – 1. 561
lire – al possesso di terre e di case658. 14 comandanti dichiararono beni compresi tra le 2.001 e le
4.000 lire, 12 invece importi superiori alle 4.000 lire, ma le medesime conclusioni si possono trarre per entrambi i sottogruppi: al crescere degli importi corrispondeva infatti il possesso di terreni di sempre più grandi dimensioni nel contado, di case in città – talvolta di torri – un’ingente somma di capitali prestata a usura, oppure consistenti investimenti in terre prative e bestiame.
In questa fascia di ricchezza trovano anche i membri delle balie che governarono Bologna durante le emergenze, ma che non servirono come comandanti dell’esercito, come ad esempio i giurisperiti Ubaldino Malavolta lire o Lambertino Ramponi che dichiararono beni rispettivamente per 3966 lire e 13. 688 lire659.
Questo dato completa il quadro e prova come il vertice politico e militare fosse dominato da un gruppo di individui che possedeva un patrimonio economico personale e famigliare di assoluto rilievo, ben al di sopra dei beni dichiarati dal resto della cittadinanza.
§6. 2 Composizione interna ai gruppi
In generale si può dunque affermare che più alto era il livello di ricchezza, maggiore era il grado occupato all’interno dell’esercito bolognese. Sebbene i comandanti siano distribuiti dalla II alla VIII fascia, è infatti possibile notare come le diverse cariche si addensino maggiormente in alcuni gruppi. Come è stato accennato poco sopra i capitani delle venticinquine hanno un picco di presenze in IV e VI fascia e ciò lascia ipotizzare che i loro patrimoni si attestassero tendenzialmente tra le 50 e le 500 lire: una categoria quindi piuttosto aperta ed eterogenea, che comprendeva sia fasce di
655ASBo, Estimi 1296, p. Piera, b. 3, S. Cecilia, 120r.
656ASBo, Estimi 1296, p. Ravennate, b. 31, S. Tommaso di Strada Maggiore, 116r. 657ASBo, Estimi 1296, p. Procola, b. 14, S. Damiano, c. 41r.
658ASBo, Estimi 1296, P. Piera, b. 7, S. Martino dell'Aposa, c. 218r.
659Ubaldino Malavolta: ASBo, Estimi 1296, p. Stiera, b. 33, S. Bartolomeo del Palazzo, c. 008r; Lambertino
reddito modeste sia altre benestanti. L’ampia forbice fu molto probabilmente dovuta anche agli squilibri economici che si registrarono tra le diverse cappelle e quartieri cittadini, come ha ben dimostrato Massimo Giansante; i capitani delle venticinquine che servirono nel 1296 nel quartiere di porta Procola ben esemplificano le disparità esistenti: Pietro di Guidone Tonsi dichiarò 1124 lire, Raniero di Iacopo Sananella 360 lire, Zino Angelleri 100 lire, Domenico Zanni 50 lire660.
Più coerenti sono invece i dati riguardanti gli altri comandanti: i redditi denunciati dai gonfalonieri delle società d’armi si attestano maggiormente in VI fascia, anche se si registra una non trascurabile presenza nel VI, VII e VIII gruppo. Più ricchi furono invece i gonfalonieri dei reparti di fanteria che denunciarono redditi inscrivibili in VI VII e VIII fascia, ma a tal proposito è interessante porre una distinzione. Se si analizza il dato più nel dettaglio infatti, emerge come i gonfalonieri dei balestrieri