sull‟eziologia e sulla fenomenologia d‟amore
CAPITOLO 2. Guido Cavalcanti o dell‟amore irrazionale e ottenebrante
2. Cavalcanti “filosofo”: la personalità di Guido secondo i suoi contemporanei
Il ritratto che emerge dal giudizio che del celebre poeta fiorentino espressero i suoi contemporanei è abbastanza omogeneo. Lo storico coetaneo Dino Compagni, che di sicuro ebbe modo di conoscerlo di persona, lo definisce “nobile cavaliere (…) cortese e ardito, ma sdegnoso e solitario e intento allo studio”103; il coevo cronista Giovanni Villani scrive che Cavalcanti “era, come filosofo, virtudioso uomo in più cose, se non ch'era troppo tenero e stizzoso”104, ponendo in risalto la personalità spiccata e il temperamento orgoglioso del poeta. Infine qualche decennio più tardi Filippo Villani scrive un elogio a Cavalcanti, definendolo “filosofo d‟autorità, non di poca stima e onorato di dignità, di costumi memorabili, e degno di ogni laude e onore.”105
Ma è Giovanni Boccaccio, nato poco più di un decennio dopo la morte di Guido, che in una celebre novella del Decameron (VI, 9) ci consegna forse il ritratto più suggestivo e vitale, al di là della realtà storica della vicenda narrata, del grandissimo poeta e pensatore fiorentino.
L‟aneddoto è raccontato da Elissa, la regina della sesta giornata, la quale esordisce rievocando brevemente la memoria delle “assai belle e
103 Compagni, Cronica, cit., I, 21, pp. 49 e ss.
104
Giovanni Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, Parma, Guanda, 1990.
105
Filippo Villani, Le vite d’uomini illustri fiorentini scritte da Filippo Villani, Firenze, Sansone Coen Tipografo Editore, 1847, p. 56.
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laudevoli usanze”106 della Firenze di fine Duecento, quando la spensierata ed esuberante gioventù fiorentina delle classi sociali più agiate era solita riunirsi in brigate per banchettare e scorrazzare per la città vestita alla stessa maniera, divertendosi a tirare di scherma, ogniqualvolta ci fosse un buon motivo per festeggiare. Tra queste brigate c‟era quella di messer Betto Brunelleschi, il quale, assieme ai compagni, aveva tentato a lungo di far entrare nella sua compagnia il giovane Guido, figlio di messer Cavalcante de‟ Cavalcanti, ma senza riuscirci. Guido infatti oltre ad essere “un dei miglior lòici che avesse il mondo, ed ottimo filosofo naturale”, aspetto che interessava gran poco a quei giovani baldanzosi, “fu leggiadrissimo e costumato e parlante uom molto, ed ogni cosa che far volle ed a gentil uom pertenente seppe meglio che altro uom fare: e con questo era ricchissimo, ed a chiedere a lingua, sapeva onorare cui nell‟animo gli capeva che il valesse”107, quindi Guido godeva presso i suoi coetanei di grande prestigio oltre che per il suo amore per lo studio della filosofia, anche per la sua ricchezza, per la sua nobiltà e per le sue mirabili doti di abile e gradevole conversatore negli argomenti che lui ritenesse validi. Le cause del fallimento dei loro tentativi di includerlo all‟interno della brigata erano attribuite da Betto e compagni al fatto che “Guido alcuna volta, speculando, molto astratto dagli uomini divenia” e al fatto che, poiché “egli alquanto tenea dell‟oppinione degli epicuri, si diceva tra la gente volgare che queste sue speculazioni erano solo in cercare se trovar si potesse che Iddio non fosse”108. Guido dunque, dal ritratto che emerge da questa breve descrizione, doveva essere un giovane aristocratico, introverso, solitario, un po‟ altezzoso, interamente immerso nelle sue speculazioni filosofiche, seguace della filosofia di Epicuro (che all‟epoca era semplicemente un modo per definire, più che gli epicurei veri e
106
Giovanni Boccaccio, Decameron, a cura di M. Marti, Milano, BUR, 2009, VI, 9, p. 436.
107
Ivi, cit., p. 436.
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propri, coloro “che l‟anima col corpo morta fanno”109) ed infine tutto teso a scovare la dimostrazione della non esistenza di Dio, guadagnandosi presso l‟opinione della gente comune la fama di ateo e di miscredente.
Un giorno, prosegue la novella, mentre Guido stava passeggiando assorto in contemplazione dei grandi sepolcri marmorei nei pressi della chiesa di San Giovanni, venne di colpo sorpreso da Betto e dai suoi uomini che, allo scopo di “dargli briga”, avendolo raggiunto e chiuso da ogni parte “a guisa d‟uno assalto sollazzevole”, iniziarono a schernirlo per il suo rifiuto di unirsi a loro e per il suo ateismo. Allora Guido prontamente rispose con un motto arguto ed enigmatico: “Signori, voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace.”110 Poi compì un‟azione che lasciò tutti di stucco: “E posta la mano sopra una di quelle arche, che grandi erano, sì come colui che leggerissimo era, prese un salto e fussi gittato dall‟altra parte, e sviluppatosi da loro se n‟andò”111. Dopo lo sgomento iniziale, fu Betto a prendere per primo la parola e a spiegare ai compagni il significato della frase pronunciata da Cavalcanti: egli in realtà aveva detto loro “la maggior villania del mondo” in quanto aveva dimostrato come Betto e gli uomini della sua brigata, a differenza di lui, uomo coltissimo, e degli altri uomini dotti, fossero degli “idioti e non letterati” e come assomigliassero in tutto e per tutto ai morti contenuti nelle arche di San Giovanni e si trovassero quindi, lì presso le tombe del cimitero, a “casa” loro. Infatti è l‟attività intellettuale la sola vera vita per l‟uomo e l‟unica via per la realizzazione in questo mondo della piena felicitas.112
E proprio questa suggestiva immagine boccacciana del repentino e agile salto del poeta-filosofo “che si solleva sulla pesantezza del
109
Dante Alighieri, La Divina Commedia, a cura di A. Marchi, Torino, Paravia, 2005, Inferno, X, v. 15, p. 120.
110 Boccaccio, Decameron, cit., p. 437.
111
Ivi, cit., p. 437.
112
Francesco Bausi, Lettura di “Decameron” VI.9. Ritratto del filosofo averroista, in “Per leggere. I Generi della Lettura”, 9, pp. 5-19.
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mondo”113 fu eletta da Italo Calvino, nella prima delle sue Lezioni
americane, ad emblema della propria idea di leggerezza da consegnare
alle generazioni future alle soglie del nuovo millennio. “Esiste una leggerezza della pensosità, così come tutti sappiamo che esiste una leggerezza della frivolezza; anzi”, sostiene Calvino e continua ancora oggi a dimostrarci il Cavalcanti-personaggio della bellissima trasfigurazione letteraria boccacciana, “la leggerezza pensosa può far apparire la frivolezza come pesante e opaca.”114