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La teatralizzazione degli eventi interiori

Nel documento Università degli Studi di Padova (pagine 163-166)

cavalcantiano per la rappresentazione dell‟interiorità

3. La teatralizzazione degli eventi interiori

Cavalcanti non arriva al punto di stravolgere totalmente il linguaggio aulico codificato, introducendo nuovi termini tecnici oppure vocaboli totalmente estranei al repertorio lessicale della poesia lirica. Egli tende invece ad arricchire notevolmente il significato di alcuni lessemi già presenti e soprattutto a drammatizzare, ossia a “mettere in scena” i propri accadimenti interiori nella rappresentazione lirica.

Nella nuova prospettiva della raffigurazione della peculiare dimensione dell‟homo interior, acquistano una particolare importanza gli psiconimi: core, anima e mente.226 Si tratta di lessemi già codificati dai Siciliani, ma che in Cavalcanti si caricano di significati molto più specifici.

Ad esempio il termine core già presente nella poesia siciliana e particolarmente importante, come abbiamo visto, nella poesia di Giacomo da Lentini, in Cavalcanti, nelle sue ottantasette occorrenze, si caratterizza non solo per la sua funzione di sede del desiderio d‟amore, ma soprattutto per la messa in scena della raffigurazione del cuore trafitto dal “dardo” amoroso. Immagine strettamente collegata alla descrizione del processo di percezione sensibile e di elaborazione dell‟immagine della donna, che, penetrata violentemente e inarrestabilmente, attraverso il pertugio degli occhi, all‟interno della mente, scatenandovi tutta la sua carica distruttiva, viene da questa poi ossessivamente rappresentata al cuore, nel quale si genera il desiderio amoroso.

Interessante è il caso dello psiconimo anima, che compare in Cavalcanti ben ventisette volte, rispetto alla decisamente minore frequenza del termine nella lirica precedente. Ma soprattutto è

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Rea, Cavalcanti poeta, cit., p. 84.

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importante notare come dai poeti precedenti la parola anima venisse utilizzata soprattutto in formule convenzionali per indicare una generica dimensione interiore, mentre come abbiamo potuto osservare, in Cavalcanti essa indica in maniera specifica l‟anima sensitiva della filosofia aristotelica, sede delle facoltà cognitive preposte alla conoscenza sensibile. L‟anima sensitiva è la funzione psichica affetta dalla passione d‟amore, ampiamente rappresentata in tutta una serie di drammatizzazioni all‟interno del “canzoniere” cavalcantiano. A volte l‟anima è rappresentata come una vera e propria dramatis persona, come ad esempio nel sonetto L‟anima mia vilment‟è sbigotita (VII). In Cavalvanti diventa centrale soprattutto lo psiconimo mente. Nella poesia precedente siciliana e toscana il termine mente è ben attestato ma quasi sempre in locuzioni come porre mente, tenere mente, ecc.. oppure in dittologia con core per indicare la totalità psichica del soggetto coinvolta dall‟innamoramento. Guido adopera lo psiconimo

mente ventisei volte, sempre in modo indipendente e con una peculiare

densità di significato.227

Essa è la specifica sede dei processi cognitivi, che vengono terribilmente disorganizzati ed annientati all‟avvento della passione d‟amore travolgente e ottenebrante. Mentre nella poesia trobadorica e siciliana l‟immagine della donna acquisita ex visione (secondo la celebre definizione, più volte citata, del De Amore di Andrea Cappellano) si colloca direttamente nel “cuore”, sede convenzionale del sentimento, la passione d‟amore per Cavalcanti nasce e si sviluppa all‟interno della “mente”, ed è lì che scatena la sua azione rovinosa, prima che nel cuore, come dimostrato ad esempio dalle drammatizzazioni di VII, vv. 9-11, X, vv. 17-20, XII, vv. 1-4, XIII, vv.1-4 e così via.228

L‟ossessiva azione del desiderio comporta delle conseguenze altamente distruttive, essa infatti compromette e disorganizza le facoltà intellettuali dell‟anima sensitiva, impedendo il completamento del

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Rea, Cavalcanti poeta, cit., p. 53.

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processo cognitivo di astrazione del phantasma amoroso, come ben rappresentato ad esempio nella canzone Io non pensava che lo cor

giammai (IX) ai vv. 15-18.

Cavalcanti va ben oltre il convenzionale motivo cortese dell‟ineffabilità di “madonna” (presente ancora nei primi tre componimenti di lode della produzione giovanile). L‟intollerabile trascendenza dell‟amata getta l‟io in uno stato di “pauroso” sconcerto che porta ad un inesorabile processo di annichilimento dell‟io lirico. L‟amante, privato del controllo delle proprie facoltà razionali e chiuso in una passione autoreferenziale, si ritrova spesso ridotto ad alienato spettatore dei propri accadimenti interiori, che alla fine può solo denunciare con un tono di dolorosa rassegnazione. Questo stato di alienazione è espresso mediante il procedimento della rappresentazione cavalcantiana più caratteristico, ovvero attraverso la drammatizzazione degli eventi interiori tramite la personificazione e l‟ipostatizzazione degli spiriti, degli organi, delle facoltà e persino degli strumenti scrittòri, che parlano, agiscono, tremano, fuggono come personae autonome.

La teatralizzazione dello spazio interiore consente di rappresentare la sofferenza d‟amore, non in una maniera astratta, bensì attraverso il conferimento di una concretezza plastica a fenomeni di origine psichica, la cui azione si estende anche alla componente corporea dell‟io, secondo la teoria della medicina aristotelica che sostiene che le passioni dell‟anima incidano sul corpo e viceversa.

La connessione tra due dimensioni anima e corpo è assicurata dagli

spiriti, che sono dei corpi piccolissimi e sottilissimi che presiedono alle

operazioni vitali e intellettive dell‟uomo. In Cavalcanti la fuga degli spiriti costituisce un vero e proprio leitmotiv come si può osservare ad esempio nelle poesie VI, IX e X.

Per queste drammatizzazioni sono impiegate dal poeta, oltre ad un lessico doloroso accuratamente selezionato, insistite metafore, come ad esempio la frequente metafora bellica. Perciò in virtù del linguaggio metaforico molte parole appartenenti al campo semantico della guerra

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come colpo, ferire, lanciare, dividere, fuggire, rompere, distruggere,

saetta, difesa ecc. che nel loro significato letterale sembrerebbero

essere totalmente estranee al campo semantico dell‟interiorità, nel loro significato figurato sono impiegate da Cavalcanti per descrivere i propri processi psicologici interiori.

Alla fine l‟esito dell‟amore secondo Cavalcanti non può che essere la morte. La Morte, a volte anch‟essa ipostatizzata, è infatti una presenza incombente in numerose poesie cavalcantiane. Si tratta chiaramente di una morte metaforica, morale e intellettuale, come quella rappresentata ad esempio nel sonetto VIII, in cui l‟uomo, totalmente privato del proprio giudizio razionale dalla passione d‟amore, non vive più una vita “vera”, ma è degradato ad automa semovente.

Nel documento Università degli Studi di Padova (pagine 163-166)