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CAVE ATTIVE E CESSATE

Nel documento 2 SUOLO E TERRITORIO (pagine 60-63)

Al contrario altri importanti distretti lapidei risultano in sofferenza con una diminuzione della produzione negli ultimi anni. È il caso del Comune di Guidonia Montecelio dove a fronte di 53 autorizzazioni solo 19 cave risultano produttive nel 2017. Nella Mappa Tematica 2.7.1 sono rappresentati il numero di cave in produzione considerati nel Rapporto per i Comuni (vedi anche

Tabella 2.7.1) e le Città metropolitane mentre nel Grafico 2.7.1 (parte sinistra) è rappresentata la distribuzione dei siti di cava attivi/produttivi a livello comunale.

Per le città metropolitane Roma (44 cave attive) e Torino (42 cave attive), sono quelle che ne contano di più (Tabella 2.7.3).

L’attività di cava è comunque diffusa sull’intero territorio nazionale raggiungendo valori molto elevati anche in piccoli Comuni non considerati nel Rapporto, come Bagnolo Piemonte (CN), Custonaci (TP), Botticino e Nuvolera (BS), Coreno Ausonio (FR), dove le attività di cava occupano buona parte del territorio comunale. Particolarmente delicata è la questione relativa alle attività di cava definitivamente cessate, anche in relazione alle potenziali destinazioni d’uso non legali. Un dato omogeneo a livello nazionale non è ancora disponibile, alcune Regioni hanno il dato derivante dalla rilevazione sul territorio, altre solo un dato amministrativo che tiene conto di tutte le attività cessate, indipendentemente dalla loro destinazione, Altre ancora hanno elaborato metodologie per discriminare quelle che necessitano di un effettivo ripristino. In attesa del completamento del DB Nazionale, i dati disponibili per Comune sono riportati nella Tabella 2.7.1.

Mappa tematica 2.7.1 – Distribuzione delle cave produttive per Comune e Città metropolitana (2017)

Fonte: elaborazione ISPRA su dati Regioni/PA, Province, Comuni integrate con analisi ISPRA di immagini satellitari

Nota: per cave produttive si intendono le cave con autorizzazione vigente che risultano in lavorazione nell’anno di riferimento.

L’indicatore miniere attive e cessate considera gli insediamenti estrattivi di minerali di prima categoria, con l’esclusione delle fonti energetiche fluide e delle sorgenti di acque minerali e/o termali, presenti sul territorio nazionale dal 1870 ad oggi. Oltre a definire la diffusione sul territorio di siti estrattivi e, conseguentemente, dei relativi impianti di servizio (bacini di laveria, discariche di scarti, ecc.), fornisce indicazioni circa l’esistenza di possibili focolai di diffusione di sostanze inquinanti connesse sia alla presenza dei materiali di scarto delle lavorazioni, sia, per quanto riguarda i siti dismessi, alla struttura e geometria dell’area coltivata (gallerie in sotterraneo) che, intersecando le falde profonde e mettendole a contatto con le mineralizzazioni scoperte e rimaste in posto, costituiscono a loro volta sorgente di contaminazione. Gli insediamenti sopra citati sono, inoltre, indice di degradazione del suolo in quanto le attività antropiche a essi collegate comportano il consumo di risorse non rinnovabili, determinano perdite di coperture pedologiche, possono essere causa di degrado qualitativo sia del suolo sia delle falde acquifere, modificano la morfologia naturale con possibile ripercussione sulla stabilità dei versanti, creano le condizioni per l’instaurarsi di aree degradate, per l’abbandono delle strutture e dei macchinari di pertinenza dei siti, e/o di discariche abusive di rifiuti. Va, infine, sottolineato come, in funzione del tipo di coltivazione mineraria e delle tecnologie di arricchimento, delle caratteristiche del minerale estratto e della roccia incassante, il processo di degrado delle strutture di pertinenza degli insediamenti estrattivi può provocare: crolli in sotterraneo, con conseguenti smottamenti e subsidenze in superficie; crolli in superficie delle dighe dei bacini di laveria e/o dei depositi di discarica degli sterili, con conseguenti frane, alluvioni, inquinamenti delle acque superficiali. Tramite uno specifico censimento, realizzato da APAT nel 2006 e successivamente aggiornato da ISPRA, è stato possibile ricostruire la storia e la distribuzione dei siti minerari italiani a partire dall’unità d’Italia. Nel 2015 una apposita rilevazione compartecipata ISTAT-ISPRA, ha permesso, di definire con precisione lo stato di attività dei siti e di quantificarne la produzione. Attualmente il dato statistico è raccolto da ISTAT, ma le informazioni relative al 2016-17 non sono ancora disponibile. Si è fatto quindi riferimento ai dati acquisiti direttamente dalle Regioni o, quando mancanti, elaborati da ISPRA tramite analisi satellitari.

L’attività mineraria è stata diffusa nella quasi totalità del territorio nazionale (Mappa tematica 2.7.2). 3.011 siti minerari sono stati in attività dal 1870 ad oggi, interessando 93 Province e 889 Comuni, con un trend in continua ascesa sino alla metà del secolo scorso per poi decrescere soprattutto a causa del progressivo abbandono dell’estrazione dei minerali metallici e dello zolfo. L’attività è stata particolarmente concentrata nelle Province di Carbonia-Iglesias (175 siti) e Cagliari (106) in Sardegna; Agrigento (297), Enna (183) e Caltanissetta (171) in Sicilia, Alessandria (163) e Torino (75) in Piemonte, Grosseto (105) e Siena (94) in Toscana, Bergamo (89) in Lombardia, Vicenza (81) in Veneto. Complessivamente queste 11 Province rappresentano il 51% dei siti censiti.

Attualmente l’attività è praticamente residuale e legata alla presenza di miniere di marna da cemento, di minerali ceramici e a uso industriale (feldspati, caolino, refrattari, bentonite, terre da sbianca) mentre l’estrazione di minerali metallici è esaurita. Esiste però un rinnovato interesse per le risorse minerarie metalliche legate al forte incremento della richiesta. È in fase avanzata la riattivazione, prevista per il 2019, della miniera di Gorno (BG) per l’estrazione di Piombo e Zinco. Sono stati inoltre concessi diversi permessi di ricerca, in particolare nell’arco alpino.

L’attività di miniera, in quanto agente su beni indisponibili dapprima dello stato ed attualmente, a seguito della riforma costituzionale8, delle Regioni, è subordinata al rilascio di apposita concessione. Al 2017 erano in vigore 115 concessioni, di queste 84 risultavano in produzione (dati a livello provinciale riportati in Tabella 2.7.2 e Grafico 2.7.1). Con 10 concessioni in vigore, 8 in produzione, è la Provincia del Sud Sardegna a detenere il maggior numero di miniere attive, seguita dalle Province di Sassari (8, tutte in produzione), di Verbania-Cusio-Ossola (6 di cui 4 in produzione) assieme a quella di Pisa grazie alle 6 miniere di salgemma, tutte attive, dell’area volterrana.

Nel documento 2 SUOLO E TERRITORIO (pagine 60-63)