LA LORO ATTIVITÀ IMMUNOSTIMOLATORIA
Isabella Sanseverino, Manuela Del Cornò, Lucia Conti, Maria Cristina Gauzzi, Sandra Gessani Dipartimento di Ematologia, Oncologia e Medicina Molecolare, Istituto Superiore di Sanità, Roma
Introduzione
La ricerca biomedica dell’ultimo decennio ha dato grande enfasi allo sviluppo di strategie per la modulazione del sistema immunitario al fine di indurre risposte protettive nei confronti di malattie infettive e neoplastiche (1). La scoperta che le cellule dendritiche (DC) svolgono un ruolo chiave nell’iniziare e regolare la risposta immunitaria ha favorito lo sviluppo di numerosi studi preclinici e trial clinici pilota fornendo informazioni rilevanti per il potenziale uso di queste cellule come adiuvanti cellulari per la preparazione di vaccini terapeutici. Infatti, le DC sono in grado di fornire i 3 segnali fondamentali per l’attivazione ottimale delle cellule T quali la presentazione dell’antigene in associazione al complesso maggiore di istocompatibilità, la costimolazione mediata dall’interazione ligando-recettore di superficie, e la presenza di fattori solubili che orientano la risposta immune. Nel caso delle malattie neoplastiche tale capacità ha il potenziale di rompere la tolleranza immunologica del tumore e di indurre risposte immuni tumore-specifiche che possono condurre alla sua eliminazione. Sebbene l’immunoterapia basata sulle DC autologhe caricate ex-vivo con antigeni tumorali e successivamente reinoculate nel paziente affetto da tumore sia risultata efficace nell’indurre risposte antitumorali, raramente si è tradotta in un significativo successo terapeutico, rendendo così necessaria una rivalutazione degli attuali protocolli clinici (2, 3). In considerazione della complessa biologia delle DC e del fatto che il microambiente tumorale è fortemente immunosoppressivo, una delle sfide principali per ottenere interventi immunologici clinicamente efficaci è rappresentata dalla definizione di procedure ottimali e standardizzate per la generazione di DC appropriatamente maturate e attivate, e in grado di presentare antigeni tumorali multipli. Tutto questo, insieme all’ottimizzazione del numero di cellule, della via d’inoculo e dello schema di trattamento in grado di indurre risposte cliniche efficaci.
Stato di sviluppo
Lo sviluppo di vaccini antitumorali basati sulle DC è un processo a più stadi che comprende la generazione in vitro delle cellule, la loro attivazione e il caricamento con antigeni tumorali.
L’ottimizzazione di ciascuno di questi stadi risulta importante per l’effettivo successo del vaccino. L’attività di ricerca del nostro gruppo in questo campo è mirata allo sviluppo di nuove strategie capaci di generare DC ad elevato potere immunostimolatorio, e in grado di indurre risposte antitumorali efficaci. A tale scopo abbiamo sviluppato tre approcci diversi ma complementari e potenzialmente sinergici, che prevedono da un lato la manipolazione dell’espressione genica delle DC e dall’altro la modulazione del microambiente che indirizza il differenziamento e/o l’attivazione di queste cellule (Figura 1).
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Figura 1. Strategie per manipolare il potenziale immunostimolatorio delle DC
Manipolazione del microambiente citochinico che indirizza il differenziamento delle DC
Il microambiente citochinico in cui le DC differenziano è un fattore che può influenzare fortemente il loro potenziale immunostimolatorio (4). Sebbene le DC generate in vitro con GM-CSF e IL-4 siano il modello più usato nei trial clinici di immunoterapia dei tumori, ci sono ancora incertezze sul miglior tipo di DC da utilizzare nelle preparazioni vaccinali, e sono stati descritti diversi protocolli alternativi (5, 6). La nostra attività di ricerca si è focalizzata sullo studio del ruolo specifico del GM-CSF nella generazione delle DC, sulla base dell’evidenza che questa citochina, a differenza dell’IL-4, è prodotta in vivo da vari tipi cellulari in condizioni fisiologiche e in seguito a infiammazione. Inoltre è secreta costitutivamente dalle cellule tumorali e questo potrebbe contribuire localmente allo sviluppo di cellule presentanti l’antigene.
In ultimo, poiché il GM-CSF è largamente usato come adiuvante nelle preparazioni di vaccini antitumorali, risulta interessante capire attraverso quali meccanismi contribuisce al potenziamento della risposta immunitaria. Abbiamo precedentemente dimostrato che la coltura in vitro di monociti con solo GM-CSF porta alla generazione di DC con caratteristiche funzionali peculiari (7). Queste cellule (GM-DC, vedi Figura 1) presentano un’elevata capacità di fare uptake di antigene e sono in grado, allo stato immaturo, di stimolare la proliferazione di linfociti T CD4+ e CD8+ e di migrare in risposta a chemochine sia infiammatorie che
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omeostatiche. La capacità del GM-CSF di indurre in modo diretto e specifico, in assenza di altri fattori, il differenziamento dei monociti in DC dotate di attività immunostimolatoria potrebbe contribuire all’effetto adiuvante di questa citochina nelle vaccinazioni antitumorali (8). Gli studi in corso hanno l’obiettivo di caratterizzare i meccanismi molecolari (profilo di espressione genica e di microRNA) responsabili delle caratteristiche uniche di queste cellule e di valutare la loro potenzialità nel processare e presentare gli antigeni tumorali e la possibilità di migliorare ulteriormente le loro caratteristiche immunostimolatorie attraverso la soppressione funzionale di molecole ad attività tollerogenica quali il fattore trascrizionale STAT3 (vedi Figura 1 e paragrafo successivo).
Manipolazione genetica del potenziale stimolatorio delle DC
Una strategia alternativa e/o complementare per ottenere DC dotate di un maggiore potenziale immunostimolatorio, e capaci di indurre un’efficace risposta antitumorale è rappresentata dal silenziamento di geni coinvolti nei meccanismi di tolleranza immunitaria. È noto infatti che la crescita tumorale è associata all’insorgenza di un microambiente immunosoppressivo, caratterizzato dalla presenza di citochine regolatorie, come TGF-β, IL-10 e IL-6 (9). Questo microambiente favorisce il differenziamento di DC immature e/o soppressorie, che promuovono preferenzialmente il priming di cellule T regolatorie, invece di stimolare la proliferazione di cellule effettrici in grado di riconoscere e neutralizzare il tumore. Il nostro obiettivo è contrastare il differenziamento di tali DC, intervenendo su molecole chiave, quali i recettori per le citochine soppressorie (ad esempio il recettore per l’IL-10), i fattori trascrizionali responsabili della trasduzione dei segnali inibitori all’interno della cellula, o molecole inibitorie di superficie coinvolte nell’interazione con le cellule T.
Per raggiungere questo obiettivo, un approccio particolarmente interessante è rappresentato dall’RNA interference, che permette di manipolare geneticamente le DC, silenziando geni coinvolti nella cascata di eventi che culmina nell’induzione di tolleranza. Il fattore trascrizionale STAT3 è un candidato particolarmente promettente, poiché è all’intersezione di diverse vie di trasduzione del segnale coinvolte nell’induzione di tolleranza. Infatti STAT3 è attivato da IL-10 e IL-6 (entrambe prodotte dalle cellule tumorali) e nel modello murino la sua iperattivazione correla con il mantenimento delle DC in uno stadio immaturo (10-12). Abbiamo quindi messo a punto il silenziamento di STAT3 in DC umane e la caratterizzazione fenotipica e funzionale delle cellule silenziate ci ha permesso di dimostrare che l’inattivazione di STAT3 ha come conseguenza l’acquisizione di un profilo citochinico tipico di DC in grado di orientare la risposta T verso il profilo Th1 (alti livelli di IL-12 e bassi livelli di IL-10). In accordo con quanto suggerito dal loro profilo citochinico, le cellule silenziate sono in grado di indurre una maggiore produzione di IFN-γ sia da parte dei linfociti T αβ, che dai linfociti T γδ, una popolazione cellulare con importanti attività effettrici antitumorali. Poiché il priming e l’attività di risposte T tumore-specifiche avviene idealmente in un microambiente polarizzato Th1, stabilito e controllato prevelentemente da IFN-γ e IL-12, le DC silenziate per STAT3 appaiono dei buoni candidati per facilitare lo sviluppo e il mantenimento di tale ambiente protettivo.
Per definire ulteriormente i meccanismi molecolari innescati dal silenziamento di STAT3, abbiamo intrapreso uno studio del profilo trascrizionale globale delle DC silenziate. In particolare, abbiamo analizzato le conseguenze del silenziamento sull’espressione genica e dei microRNA in DC coltivate in assenza di stimoli, o in presenza di (i) poly(I:C), il ligando del Toll-like receptor (TLR)3, scelto come prototipo di stimolo maturativo, poiché analoghi approvati per l’uso clinico sono in corso di sperimentazione in protocolli di immunoterapia (13), o di (ii) IL-6, una citochina presente nel microambiente tumorale e il cui recettore utilizza STAT3 per trasdurre i segnali all’interno della cellula. L’analisi dei dati prevede l’utilizzo di
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una banca dati, DC-ATLAS, di recente costruita allo scopo di permettere un’analisi di pathway specifica per le DC (14). Infatti, DC-ATLAS raccoglie tutti i dati generati specificamente in DC relativi alle vie di trasduzione di segnali importanti nella fisiologia di queste cellule, e in particolare le vie metaboliche responsabili della maturazione delle DC. È dunque uno strumento importante per l’individuazione di marcatori per la diagnostica e l’immunoterapia di malattie neoplastiche.
Ottimizzazione dello stato di maturazione/attivazione delle DC
Il livello di attivazione delle DC è un parametro critico per l’efficacia clinica di protocolli di immunoterapia (15). Il processo di maturazione induce l’espressione di alti livelli di molecole co-stimolatorie, l’acquisizione di una potente capacità di presentare l’antigene e l’espressione di recettori per chemochine che promuovono la migrazione delle DC negli organi linfoidi, requisiti essenziali per l’induzione di una efficace risposta adattativa (16, 17). Questo processo è estremamente complesso e diversi fattori, inclusi la sottopopolazione di DC, l’ambiente citochinico e la natura dello stimolo attivatorio, concorrono a determinare se le cellule acquisiranno un potenziale immunostimolatorio o tollerogenico (18) Le DC possono essere attivate/maturate direttamente da ligandi di recettori per patogeni (pathogen recognition receptor, PRR), quali i TLR e i recettori C-type lectin-like (CLR), o indirettamente dall’esposizione a fattori infiammatori. Evidenze recenti mostrano come i segnali infiammatori possano in realtà amplificare ma non iniziare la risposta immune adattativa, indicando nel diretto riconoscimento dei componenti microbici lo step unico necessario al priming delle cellule T (19). La natura del patogeno sembra inoltre determinare la robustezza e la qualità della risposta adattativa indotta. Di conseguenza, la scelta di specifici ligandi dei PRR per l’attivazione delle DC, dovrebbe essere finemente regolata, individuando quelle molecole e quei protocolli che selettivamente ne aumentino la maturazione, e la capacità di evocare una robusta risposta Th1 verso antigeni tumorali, evitando l’inappropriata espansione di cellule regolatorie/soppressorie o linfociti Th17. Da questo punto di vista, la combinazione di ligandi può portare a vantaggi rispetto all’uso di agonisti singoli, dal momento che la stimolazione di multipli TLR, o singoli TLR in combinazioni con ligandi CLR, sembra essere in grado di generare e dirigere una risposta immunitaria più specifica ed efficace (20, 21). Sulla base di risultati da noi pubblicati recentemente (22), che dimostrano come le DC attivate simultaneamente dalla combinazione dei ligandi per TLR4/TLR8 o TLR4/TLR3, orientano fortemente la risposta delle cellule T verso una polarizzazione di tipo Th1, sono in corso studi mirati all’utilizzo di combinazioni di ligandi dei TLR clinical grade (molecole mimetiche dei rispettivi ligandi naturali, con ridotta tossicità e aumentata proprietà farmacocinetica) così come di combinazioni di ligandi TLR con ligandi di altri PPR come strategia per ottimizzare la maturazione/attivazione delle DC. Tali studi potranno contribuire alla progettazione di vaccini di prossima generazione polivalenti capaci di modulare in modo selettivo la risposta immunitaria nei pazienti affetti da cancro.
Conclusioni e prospettive future
L’utilizzo delle capacità immunoregolatorie delle DC rappresenta una grande promessa per la terapia dei tumori. I risultati fino ad oggi ottenuti indicano chiaramente la necessità di intervenire su componenti multipli della complessa interazione tra tumore e sistema immune dell’ospite. È atteso quindi che una maggiore efficacia clinica dei vaccini tumorali possa essere
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ottenuta combinando diversi approcci tesi da un lato a potenziare la risposta immunitaria contro il tumore e dall’altro a ridurre gli effetti deleteri dell’ambiente tumorale immunosoppressivo in cui la DC dovrà svolgere la sua attività. A questo riguardo, i nostri studi dimostrano che, intervenendo singolarmente sull’ambiente citochinico che stimola il differenziamento delle DC o utilizzando diverse combinazioni di componenti microbici per indurne l’attivazione, o ancora inattivando fattori ad attività tollerogenica, è possibile ottenere delle DC maggiormente capaci di orientare in vitro la risposta T verso il profilo Th1, e probabilmente più resistenti all’immunosoppressione. La combinazione di questi approcci (Figura 1), così come l’integrazione di queste evidenze sperimentali con banche dati specifiche per le DC ha il potenziale di aumentare le nostre conoscenze sulla biologia di queste cellule e sui circuiti regolatori che ne governano le funzioni. Pertanto, lo sviluppo di approcci di biologia di sistema, capaci di decifrare la complessa rete di interazioni che avvengono nelle DC a seguito degli stimoli attivatori potrebbe contribuire al trasferimento delle conoscenze sulla regolazione della risposta immunitaria in efficaci e robusti protocolli di immunoterapia.
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