Alessandra Fragale (a), Anna Lisa Remoli (a), Edvige Perrotti (a), Giulia Marsili (a), Marco Sgarbanti (a), Roberto Orsatti (a), Lucia Gabriele (b), Keiko Ozato (c), Angela Battistini (a)
(a) Dipartimento di Malattie Infettive, Parassitarie e Immunomediate, Istituto Superiore di Sanità, Roma (b) Dipartimento di Ematologia, Oncologia e Medicina Molecolare, Istituto Superiore di Sanità, Roma (c) Laboratory of Molecular Growth Regulation, National Institute of Child Health and Human
Development, National Institutes of Health, Bethesda, MD
Introduzione
Le evidenze sempre maggiori del ruolo dell’immunosorveglianza nei tumori e la necessità di un suo potenziamento e/o ripristino nel corso della progressione tumorale (1), indicano che sia le immunoterapie sia i vaccini antitumorali possano rappresentare un valido approccio nel trattamento dei tumori. Non a caso, il successo di alcune terapie antitumorali risiede non solo nella loro diretta citotossicità sulla cellula tumorale ma anche nella loro capacità di stimolare una risposta immune diretta contro la cellula tumorale. Diverse strategie di immunoterapia sono state e sono attualmente in sperimentazione clinica quali vaccini, somministrazione di citochine esogene, anticorpi monoclonali e terapia genica. Tuttavia ad oggi tali terapie hanno ottenuto solo una limitata efficacia clinica a fronte anche di una certa tossicità. Inoltre l’immunità antitumorale sviluppata dall’ospite e dalle stesse strategie immunoterapiche è notevolmente attenuata da meccanismi immunosoppressori che intervengono durante la progressione tumorale, e che limitando sia la robustezza sia la durata della risposta immune, rappresentano il maggior ostacolo all’implementazione clinica dei protocolli di immunoterapia (2, 3). A fronte dei deludenti risultati clinici ottenuti finora, pertanto nuovi approcci di maggior efficacia sono necessari e attualmente in studio.
Come già mostrato per gli agenti infettivi che presentano un alto indice di mutazione, l’aggressione delle cellule tumorali richiede probabilmente l’applicazione di strategie che prevedano l’uso di terapie combinate le quali agiscano sui diversi meccanismi responsabili della sopravvivenza del tumore stesso. Terapie combinate e strategie multimodali possono pertanto rappresentare il miglior trattamento per superare l’immunotolleranza e allo stesso tempo limitare la considerevole tossicità dei diversi singoli trattamenti.
Diverse strategie, attualmente in studio, prevedono l’uso combinato di chemioterapia e immunoterapia e/o l’uso di diversi adiuvanti in grado di rompere la tolleranza e aumentare l’efficacia dei vaccini antitumorali. A tale riguardo la capacità delle cellule dendritiche di stimolare una risposta adattativa efficace fa di queste cellule una piattaforma ideale per una vaccinazione antitumorale (4). Cellule dendritiche “caricate” con antigeni tumorali e somministrate come preparazioni vaccinali hanno già dimostrato l’induzione di un’immunità anti-tumorale ma con risultati limitati. La modificazione genetica di tali cellule per l’espressione
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di fattori immunostimolatori, quali citochine e molecole co-stimolatorie e/o l’uso di adiuvanti per aumentarne la capacità di presentare l’antigene e di stimolare una risposta protettiva, rappresenta, pertanto, un intenso campo di studio (5-8).
Parallelamente sono allo studio nuovi protocolli terapeutici atti a limitare il numero e l’attività delle cellule T regolatorie infiltranti il tumore (9) allo scopo di attenuare gli effetti collaterali indesiderati che le terapie, ad oggi sperimentate, determinano (10-12). Le cellule T regolatorie che giocano un ruolo chiave nello stabilire e mantenere la tolleranza immunologica sia agli antigeni self che non self (13), sono anche parzialmente responsabili della mancanza della risposta immune agli antigeni tumorali contribuendo alla crescita del tumore stesso. Il microenvironment del tumore è, infatti, immunosoppressivo e influenza negativamente la capacità di vaccini tumorali di rompere la tolleranza immunologica verso gli antigeni tumorali.
Un’inibizione del numero e/o delle attività delle cellule T regolatorie in combinazione con l’immunoterapia o la vaccinazione, può, pertanto, portare sia a una migliore immunosorveglianza che alla limitazione di tumor escape aumentando la possibilità di eradicazione del tumore.
La stimolazione della maturazione delle cellule dendritiche e la limitazione della soppressione dovrebbero, inoltre, portare anche al ripristino di un ambiente “infiammatorio” in grado di favorire una prolungata attivazione della risposta immune (caratterizzata da una risposta Th1) e di promuovere l’attivazione di cellule NK. Mentre è, infatti, sempre più evidente come la trasformazione tumorale sia dipendente anche da situazioni infiammatorie (14), la condizione di tolleranza determinata dal tumore una volta instauratosi, fa sì che la possibilità di cura richieda paradossalmente la necessità del ripristino di una risposta infiammatoria in grado di potenziare la risposta immune sia innata che adattativa. La ristimolazione di un ambiente infiammatorio può quindi rappresentare una strategia complementare nell’immunoterapia, in grado, anche, di aumentare ad esempio la risposta alla chemioterapia.
Accanto a questi approcci e complementari ad essi è presente, infine un notevole interesse nel considerare bersagli terapeutici i tumor suppressor genes. Nonostante tutte le ben documentate differenze tra i diversi tipi di tumori, esistono, infatti, peculiari somiglianze e circa l’80% di tutte le mutazioni riscontrate nei tumori, sono nei così detti tumor suppressor genes. La riattivazione specifica e/o controllata di questi geni può, quindi, rappresentare un valido complemento nel bloccare la crescita e la progressione tumorale in strategie multimodali di cura.
Stato di sviluppo
Tra i mediatori pro-infiammatori e immunomodulatori gli Interferoni sono particolarmente importanti nel promuovere e amplificare le risposte immuni regolando molte funzioni delle cellule dell’immunità sia innata che adattativa. Per tali caratteristiche queste citochine sono già largamente utilizzate in clinica nella cura di diverse patologie, incluse alcune forme tumorali (15). I risultati clinici sono tuttavia non sempre univoci e l’uso di tali molecole determina una certa tossicità. L’individuazione di effettori della risposta agli Interferoni che possano esercitare gli effetti benefici riducendo la tossicità è, pertanto, un obiettivo della ricerca in questo campo.
La funzione biologica di queste citochine è determinata dalla stimolazione di un gran numero di geni appartenenti a diverse categorie funzionali, incluso un certo numero di fattori di trascrizione, di per sé, in grado di ricapitolare numerose funzioni biologiche.
Negli ultimi anni, il nostro lavoro si è concentrato sullo studio dell’attività e degli effetti di alcuni fattori di trascrizione individuati nel pathway di trasduzione del segnale degli Interferoni in particolare della famiglia IRF (Interferon Regulatory Factor) sul differenziamento, sviluppo e attività di cellule del sistema immune in particolare cellule dendritiche e cellule T regolatorie, e
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sulla modulazione della risposta infiammatoria, quali studi propedeutici al possibile impiego di questi fattori in terapie combinate.
IRF-1 è il primo membro identificato di questa famiglia di fattori di trascrizione responsabile di molti degli effetti biologici degli Interferoni, la cui attività antitumorale è stata in passato ben documentata. Numerosi studi, infatti, hanno dimostrato che l’espressione ectopica di IRF-1 è in grado di sopprimere il fenotipo trasformato delle linee cellulari tumorali sia in vitro che in vivo;
inoltre alterazioni nell’espressione o nella funzionalità di IRF-1, sono state associate sia con neoplasie ematologiche che con tumori solidi (16). Le sue funzioni di oncosoppressore derivano sia da effetti diretti sulle cellule tumorali che da effetti indiretti mediati dalla sua capacità di modulare le funzioni delle cellule del sistema immunitario. IRF-1 è, infatti, in grado di regolare in maniera altamente specifica un gran numero di geni con attività anticrescita, apoptotica e immunomodulatoria (17-19).
In particolare, noi abbiamo definito il ruolo essenziale di questo fattore nella stimolazione di una risposta adattativa efficace. Nel modello del topo knock-out per IRF-1 abbiamo dimostrato che questo fattore di trascrizione è coinvolto nel differenziamento sia mielode che linfoide ed è un fattore chiave nel differenziamento, maturazione e attività di cellule dendritiche (20, 21). La mancanza di IRF-1, in vivo, porta, infatti, alla predominanza di cellule dendritiche plasmacitoidi nei vari organi linfoidi e a una riduzione selettiva delle cellule dendritiche convenzionali, specialmente del subset CD8α+. Inoltre queste cellule mostrano una ridotta produzione di citochine pro-infiammatorie quali IL-12 e IFN-γ, mentre esprimono alti livelli di citochine immunosoppressorie quali IL-10 e TGF- β e dell’enzima tolerogenico IDO. In saggi di proliferazione in vitro, l’assenza di IRF-1 determina una marcata diminuzione della capacità delle cellule dendritiche di stimolare cellule T (21). Inoltre le caratteristiche tolerogeniche delle cellule in cui l’espressione di IRF-1 è soppressa, contribuiscono al mantenimento di uno stato di anergia che risulta nell’induzione di cellule T regolatorie CD4+CD25+ molto differenziate e attivate in grado di sopprimere la proliferazione di cellule T target in maniera molto più marcata rispetto alle stesse cellule esprimenti IRF-1. Questo effetto è stato dimostrato molto specifico e diretto. È, infatti, mediato dall’attività trascrizionale di IRF-1 che si lega con grande affinità alla sua sequenza consenso presente sul promotore del gene FOXP3 il master regulator delle cellule T regolatorie CD4+CD25+ la cui espressione è essenziale sia per il loro sviluppo che per le loro funzioni (22). IRF-1 è in grado per sé di regolare la trascrizione di FOXP3 e ne inibisce in maniera specifica e significativa l’espressione (23). Inoltre, in un sistema di differenziamento in vitro di cellule Treg umane da CD4+CD25- coltivate in presenza di TGF- β, l’induzione dell’espressione di IRF-1, in seguito alla stimolazione con IFN-γ, fa regredire il fenotipo regolatorio, questo a dimostrazione che anche nel sistema umano il fattore di trascrizione IRF-1 gioca un ruolo cruciale nello sviluppo delle cellule T regolatorie (23 e Fragale e collaboratori, risultati non pubblicati). IRF-1 è, quindi, in grado di influenzare, in maniera rilevante, sia il fenotipo sia la funzionalità di tali popolazioni di cellule del sistema immune. In accordo con questi risultati IRF-1 somministrato in vivo assieme ad un antigene modello, è in grado di aumentare la risposta immune dirigendola specificamente verso una risposta Th1 con aumento di produzione di IFN-γ, e linfociti T citotossici (24).
Mediatori molecolari di questi effetti di IRF-1, oltre alla capacità di indurre la maturazione delle cellule dendritiche e la soppressione delle cellule T regolatorie, sono anche la sua capacità di controllare in parte una risposta infiammatoria non solo stimolando a livello trascrizionale citochine quali IL-12 e TNF-α, ma anche alcuni sensori dei cosiddetti PAMPs (Pathogen Associated Molecular Patterns) (25). In particolare è noto da tempo che IRF-1 regola trascrizionalmente l’espressione del sensore citoplasmatico RIG-I, mentre di recente noi abbiamo dimostrato il ruolo di IRF-1 nella regolazione della trascrizione del gene codificante per il Toll Receptor 3 (TLR3) sia in condizioni basali sia in seguito a stimoli specifici (26) e
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TLR4 (Fragale e collaboratori. dati non pubblicati). In particolare, abbiamo dimostrato come l’espressione di TLR3 sia positivamente indotta da IRF-1 e, invece, repressa da un altro membro della stessa famiglia, IRF-8 anch’esso considerato un oncosoppressore. Abbiamo anche individuato il meccanismo molecolare che determina l’attività differenziale tra i due fattori e la possibilità di controllare la stimolazione o l’inibizione dell’espressione del recettore stesso, attraverso inibitori specifici della fosfatasi che regola l’attività del fattore IRF-8 (26).
Infine dati non ancora pubblicati suggeriscono in modelli tumorali preclinici che a seguito della somministrazione del chemioterapico Ciclofosfamide in topi portatori di tumori, IRF-1 possa essere un mediatore di alcune delle risposte osservate sui tumori. Infatti, l’analisi dell’espressione di questo marcatore a diversi giorni dalla somministrazione della Ciclofosfamide mostra un aumento significativo dell’espressione di IRF-1 proprio quando si ha la completa remissione del tumore. Contestualmente si osservano la diminuzione dell’espressione di Foxp3 e un aumento di IL-7R (CD127), indicando un deficit della funzione delle cellule T regolatorie e un parallelo aumento dell’espressione di IL-17 e RORα, marcatori della funzione delle cellule Th17. Questi dati costituiscono, pertanto, una prima proof of concept in un sistema pre-clinico, della capacità di questo fattore di influire sull’inibizione della crescita tumorale e sul ripristino di una risposta immune protettiva.
Conclusioni e prospettive future
I risultati ottenuti dimostrano come fattori IRFs, in particolare IRF-1 possano essere utilizzati sia come marcatori biologici e molecolari di predizione della risposta clinica ad alcuni farmaci e/o trattamenti biologici, che come effettori di specifiche funzioni anticrescita e immunomodulatorie e indicano una strada per la manipolazione sia delle cellule dendritiche che delle cellule T da utilizzare in nuovi protocolli di immunoterapia dei tumori.
Le funzioni di IRF-1 nella stimolazione del differenziamento, maturazione e attività delle cellule dendritiche da un lato e di soppressione di un fenotipo tolerogenico sia nelle DC sia nelle cellule T regolatorie, indicano un suo ruolo non solo diretto sulla cellula tumorale attraverso la stimolazione di specifici geni anticrescita e apoptotici, ma anche indiretto sul microambiente tumorale (Figura 1). IRF-1 è un esempio paradigmatico di fattore di trascrizione in grado di modulare selettivamente distinte classi di geni a seconda del tipo cellulare e/o della natura degli stimoli in modo da evocare le risposte appropriate in ciascun setting. IRF-1 è in grado di inibire lo sviluppo del tumore attraverso la regolazione trascrizionale di geni coinvolti nella proliferazione cellulare, nell’apoptosi, nell’infiammazione e nell’immunomodulazione.
Attraverso l’espressione di una singola molecola si può pertanto pensare di innescare una cascata di eventi capace di controllare da un lato la crescita e progressione tumorale e dall’altro il differenziamento e l’attività di specifiche subpopolazioni di cellule dendritiche più adatte alla stimolazione di una risposta adattativa protettiva antigene-specifica permettendo contestualmente il selettivo silenziamento di cellule T regolatorie.
Per le sue specifiche funzioni e caratteristiche IRF-1 si configura inoltre come bersaglio molecolare per la generazione di nuovi farmaci in grado di stimolarne l’espressione in quei tumori dove è mutato o silenziato o di prolungarne l’emivita, che in condizioni fisiologiche è molto bassa, anche quando espresso.
Il naturale sviluppo di questi risultati è da un lato validare la possibilità che IRF-1 sia utilizzato come un biomarcatore di terapie tradizionali in uno studio comparativo dell’effetto di diversi chemioterapici, di risposte immunitarie indotte dalla vaccinazione o dall’immunoterapia, sia nei modelli animali preclinici che sul materiale clinico; dall’altra sviluppare un’immunoterapia genica adottiva dei tumori modulando l’espressione di una singola molecola
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in grado di controllare il differenziamento di specifiche subpopolazioni di cellule dendritiche più adatte alla stimolazione di una risposta adattativa protettiva e permettere il selettivo silenziamento di cellule T regolatorie. Infine la possibilità di riattivare e/o aumentare l’espressione e l’attività di IRF-1 sia nei tumori che mostrino delezioni/mutazioni di questo oncosoppressore sia in altri setting in cui sia necessario potenziare la risposta immune, rompere l’immunotolleranza e aumentare le risposte immuni determinate dall’immunoterapia, può essere utilizzata come una terapia adiuvante in combinazione sia con la chemioterapia che con l’immunoterapia nell’ottica dello sviluppo di strategie multimodali di intervento basate sulla conoscenza dei meccanismi molecolari coinvolti.
Figura 1. Geni regolati da IRF-1 e coinvolti nella soppressione dello sviluppo e progressione tumorali
Tre principali approcci sono attualmente in via di sperimentazione:
1. uso di vettori lentivirali esprimenti IRF-1 per la trasduzione di cellule dendritiche e T regolatorie. Abbiamo, infatti, già dimostrato che IRF-1 è in grado di promuovere il differenziamento e la maturazione di cellule dendritiche mentre sopprime lo sviluppo di cellule T regolatorie. L’espressione forzata di tale fattore dovrebbe pertanto aumentare le capacità di presentazione dell’antigene delle DC e contrastare la capacità delle cellule T di convertirsi in cellule T regolatorie nel microambiente tumorale molto immunosoppressivo;
2. incrementare e/o ristimolare l’espressione di IRF-1 attraverso specifici induttori e/o l’uso selettivo di inibitori delle Histone deacethylases. L’epigenetica è uno dei campi d’indagine più promettenti e in rapida espansione. I tumori come molte altre patologie sono, infatti, caratterizzati da aberranti modificazioni epigenetiche quali estese
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modificazioni nella metilazione del DNA e alterate modificazioni degli istoni che possono precedere e /o contribuire a determinare l’evento trasformante. Tra queste l’aumentata espressione di Histone deacethylases quali, tra le altre, HDAC1, HDAC2 and HDAC6 è stata descritta in diversi tumori e ad oggi diverse sperimentazioni cliniche sono in corso con inibitori delle deacetilasi a largo spettro ma non specifici per determinate acetilasi, con, tuttavia, risultati clinici limitati. Nonostante, fino ad oggi, il ruolo di tali modificazioni sull’attività di IRF-1 non sia stato ancora definito, di recente è stato descritto un controllo epigenetico dell’induzione del promotore di IRF-1 mediato da HDAC2. Questi dati suggeriscono che il promotore di IRF-1 è primed per il suo silenziamento e la disregolazione di questo priming mediato dall’over-espressione di HDAC2 presente nei tumori può essere un meccanismo importante per il silenziamento del gene. Questo costituisce il razionale per l’uso di specifici inibitori di HDAC2 in grado di determinare un’espressione di questo tumor suppressor sia nelle cellule tumorali che nelle cellule del sistema immune, quale terapia mirata in grado di superare almeno in parte l’assenza di specificità caratteristica delle sperimentazioni attualmente in atto;
3. aumentare l’emivita di IRF-1 che sembra molto accelerata in alcuni tumori. Il controllo dell’emivita dei tumor suppressors è un fattore determinante per la loro attività. In particolare la vita media di IRF-1 è regolata dalla sua degradazione proteosoma-dipendente, in seguito a poliubiquitinazione. Nostri dati non ancora pubblicati hanno dimostrato che IRF-1 è un substrato della E3 ligasi HDM2 nota come il regolatore negativo di p53. L’uso di inibitori specifici della E3 ligasi HDM2 una classe dei quali, le nutline, sono già in trial clinico, o di composti che blocchino il legame enzima-substrato può rappresentare, pertanto, un altro utile approccio in strategie multimodali.
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