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5. La situazione attuale, i nuovi Wine & Resort

5.2. Cenni storici.

Il primo documento in cui compare la Masseria è “un Inventarium dei beni di Giovanni Antonio Orsini, principe di Taranto, redatto nella prima metà del 1400, in cui è segnata tra i beni dell’Abbazia italo-greca di San Vito del Pizzo di Taranto. Nel 1500 la masseria viene concessa in enfiteusi e poi venduta al nobile Giovanni Ferrandinò che la ampliò acquisendo anche le terre demaniali circostanti. Nel 1652 Giovanni Vincenzo Ferrandinò la vendette per 2000 ducati al chierico tarantino Andrea D’Afflitto. La Masseria conobbe la massima espansione territoriale e la massima floridezza nel XVIII sec., quando includeva parte delle località “Lo Sperduto” (che comprendeva terre delle Masserie Accetta, Scardino, San Giovanni) e di “Arecupo”, che i D’Afflitto avevano ottenuto in concessione nel 1699 dall’Università di Massafra in persona del Sindaco Domenico Antonio Broja, per un censo annuo di soli 6 carlini. Quest’ultima parte era stata dedotta dal demanio pubblico di Massafra. In seguito, la Masseria passò a Diego D’Afflitto, il quale dilapidò ingenti somme di denaro nel gioco, ma conobbe un periodo di ripresa e di floridezza quando passò ad Andrea D’Afflitto junior, il quale ammodernò le strutture, aggiunse nuovi fabbrichi, jazzi e un trappeto e introdusse nuove colture. Nel 1773 Andrea donò tutto il suo patrimonio a Saverio D’Ajala di Taranto, in cambio di un assegno vitalizio annuo di 1200 ducati, per ricambiare la generosità con la quale questi aveva sostenuto la famiglia nei periodi di crisi. In seguito ad un ripensamento, Andrea tentò di rientrarne in possesso mediante ricorsi in tribunale, ma, nonostante il sequestro giudiziario della Masseria e nonostante un suo testamento con il quale ne limitava la proprietà, la Masseria rimase ai D’Ajala fino alla metà del 1900”32.

32 Ricerca storica effettuata dal Prof. Cosimo Mottolese. Laureato in ingegneria meccanica all’Università degli

studi di Pisa, appassionato di speleologia, storia del territorio, di cultura e tradizioni popolari, conduce indagini allo scopo di raccogliere testimonianze dei beni storico culturali ancora sconosciuti, ma che meritano di essere scoperti e divulgati.

Dal 2003 la Masseria è di proprietà del Gruppo KIKAU della famiglia Montanaro di Massafra (TA) che ha provveduto alla sua ristrutturazione, per farla diventare un punto di riferimento per gli amanti del vino e delle bellezze paesaggistiche della Puglia.

La tipologia di restauro messa in atto sul corpo principale della masseria è di tipo conservativo nel rispetto della tradizione nell’uso dei materiali. Concepita per essere un elegante Wine-hotel, all’interno prevede due sale degustazione, una bottaia, una libreria e ristorante per accompagnare la degustazione dei vini Amastuola con selezionate proposte gastronomiche tipiche pugliesi.

I lavori di restauro, tutt’ora in corso, prevedono all’interno dell’antica chiesetta la realizzazione di un piccolo museo della Magna Grecia in cui si esporranno i reperti archeologi di vasi greci della collezione “Guarini”, di proprietà del gruppo KIKAU ormai da diversi anni. Sono state già realizzate una sala conferenze per riunioni e meeting aziendali e diciannove camere ricavate in parte al primo piano del corpo principale della masseria ed in parte al piano terra. Massima cura ed attenzione è stata prestata ai particolari per regalare al vigneto una struttura destinata a divenire un punto di riferimento in Puglia dal punto di vista turistico e culturale e che dia la possibilità ai gruppi in visita al vigneto anche di soggiornarvi.

5.3. Il vigneto

Il vigneto, della superficie di oltre 100 ettari, interamente biologico, è posto su un pianoro a 210 metri sul livello del mare, al centro del Mediterraneo, in Puglia, dove il microclima, favorevole alla produzione biologica, e i preziosi minerali e sostanze nutritive presenti in questi terreni, conferiscono ai vini un sapore e un aroma davvero particolare. Il vigneto nasce sulla base di un progetto33 volto a valorizzare il territorio per proiettarlo verso uno sviluppo sostenibile, tale da cancellare il “fantasma” dell’abbandono che mina il futuro dell’agricoltura e di quella del Mezzogiorno in particolare.

Con questo fine, si è recuperato un terreno non più produttivo e reso di nuovo coltivabile, impiantando soprattutto vitigni autoctoni.

33 I filari di viti sono stati impiantati sulla base del disegno pensato dal grande paesaggista Fernando Caruncho, il

quale ha disposto i filari a spalliere delle viti disegnando onde parallele che si susseguono per circa 3 km, definite dallo stesso autore “onde del tempo che attraversano fin dall’antichità questo luogo”. Inoltre, 1.500 ulivi secolari, recuperati come elementi storico-monumentali, datati dal CNR di Perugia di oltre 800 anni, alcuni con tronchi di diametro superiore ai 2.5 metri, sono stati risistemati in 24 isole organicamente

Per ottenere l’eccellenza delle uve in ogni fase della produzione vi si coniugano competenza antica e amore per la terra con le più moderne tecnologie. Piante e frutto vengono seguiti in ogni fase del loro sviluppo con cura tradizionale.

Nel rispetto dell’ambiente e del risparmio idrico, il vigneto è dotato di un impianto di irrigazione di soccorso auto compensante a goccia, adoperato solo in annate di particolare siccità, per salvaguardare la qualità delle uve. Inoltre di recente, in collaborazione con la Facoltà di Agraria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Piacenza), è stata installato nel vigneto una stazione agrometereologica che, tramite un software gestionale, permette di visualizzare i periodi di rischio infettivo da parte di eventuali fitofagi, la loro gravità relativa, l’attuale livello di protezione garantito da eventuali trattamenti precedenti (in base alle condizioni ambientali ed allo sviluppo della pianta), e la dose ottimale di prodotto da distribuire, riducendo in questo modo, drasticamente le quantità dei prodotti di difesa.

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