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2. La Produzione di Vino in Italia

2.5 La Produzione di Vino in Puglia

La storia della vite in Puglia ha radici antichissime e si ritiene che questa pianta sia stata sempre presente nel territorio della regione. La vite era probabilmente presente in Puglia prima dei tempi della colonizzazione greca, tuttavia alcune delle varietà oggi considerate autoctone di questa regione sono state introdotte proprio dai greci, come il Negroamaro e l’Uva di Troia. Dalla Grecia fu introdotto anche il sistema di coltivazione della vite ad “alberello”, il metodo più diffuso in Puglia. Con la conquista dei Romani la produzione ed il commercio di vino diviene particolarmente vivace e i vini della Puglia cominciano ad essere presenti ed apprezzati sulle tavole di Roma. La Puglia diviene storicamente un importante “deposito” di vino oltre che di olio, due prodotti fortemente legati alla propria tradizione e cultura. Tuttavia il legame con il vino è storicamente caratterizzato dall’enorme quantità piuttosto che dalla qualità.

La successiva crisi tardo medioevale ha come conseguenza la drastica contrazione delle aree viticole e l’avanzata del latifondo cerealicolo pastorale con la nascita delle masserie. Vite e masseria rappresentano, in effetti, due visioni contrapposte dell’agricoltura, per lo meno di quella correntemente praticata all’interno del regime signorile di conduzione delle terre che ha dominato a lungo la geografia economica di queste terre.

18 E’ quanto emerge da uno studio di settore condotto da Area studi di Mediobanca che ha analizzato 140 società

produttrici italiane nel 2015 e 14 tra le maggiori imprese internazionali quotate sul mercato. Tra le aziende al top in Italia si confermano le Cantine Riunite & Civ di Caprara (Reggio Emilia) quale maggior gruppo italiano con 566 milioni di fatturato, seguite dalla Caviro di Faenza (Ravenna) con 304 milioni di fatturato. Seguono la Palazzo Antinori di San Casciano Val di Pesa (Firenze), con 218 milioni di fatturato, la Casa vinicola Zonin di Gambellara (Vicenza) con 193 milioni. La Cavit Cantina di Trento e La Marca Vini e Spumanti di Oderzo (Treviso) si segnalano per la crescita del fatturato, mentre al top per redditività si segnala la toscana Compagnia de Frescobaldi. Per finire la Casa Vinicola Botter Carlo & C. di Fossalta di Piave (Venezia), il cui fatturato arriva per il 96,9% dalle vendite all’estero.

A partire dalla metà del ‘700 l’espansione della viticoltura diviene invece un fatto progressivo ed irreversibile, grazie anche ad un nuovo clima culturale. Per la prima volta si guarda alla campagna non solo in termini economici, ma anche come sede di attività ricreativa. Nasce una nuova forma insediativa, che prende le mosse dalla trasformazione delle strutture produttive deputate alla vite (i palmenti, con gli ambienti deputati ad ospitare il custode del vigneto) in casini di campagna. Qui le originarie funzioni produttive convivono con quelle nuove, residenziali e di rappresentanza insieme; vi si coniugano anche i giardini e le cappelle, attività connesse in ogni caso con la prolungata presenza della famiglia del padrone, coincidente in genere con lo svolgimento della vendemmia.

Oltre alle élite borghesi e nobiliari il fenomeno interessa, in forme naturalmente molto diverse, anche la popolazione contadina, la quale, divenuta viticoltrice, si trovava a risiedere in campagna per periodi prolungati. Nascono così veri villaggi rurali.

Ogni azienda viticola di dimensioni medio-grande includeva anche gli edifici deputati alla trasformazione delle uve in mosti, ove venivano conferiti le uve anche dei piccoli viticoltori circostanti, che in genere non avevano sui propri terreni tali strutture.

Il vino così prodotto veniva trasferito nelle cantine delle città, ove veniva imbottato per essere poi sottoposto ai successivi travasi. Le linee commerciali, però, avevano una portata limitata e, questo sia per il grande consumo interno, sia per la facile deperibilità di un prodotto che, di non eccellente qualità, limitava la possibilità di spostamenti.

La corsa alla vite, innescata a fine Ottocento sulla scia della distruzione dei vigneti francesi a causa della Filossera19, vide la nascita di microaziende viticole con la creazione di moltissime abitazioni temporanee, i trulli, che vanno a costituire un inequivocabile segno di un nuovo, seppur stagionale, modello di popolamento rurale.

Ma la Filossera arrivò anche in Puglia segnando il crollo di quella che sembrava una fiorente ripresa. Negli anni successivi, fecero la loro comparsa nella regione le nuove varietà di vitigni americani, che sostituirono progressivamente quelli locali e la comparsa delle cantine sociali favorì una produzione massiva senza criteri di qualità.

19 La Filossera della vite è un insetto, originario del Nord America ed è comparso in Europa nella seconda

Tuttavia, la sostituzione dei vigneti con viti americane e conseguente innesto, non veniva supportata dall’economia agricola pugliese, fondata sull’empirismo tradizionalistico del contadino e del massaro, e sul disinteresse del proprietario.

In quegli anni, la produzione della Puglia sarà, ancora, prevalentemente concentrata sui vini da taglio, destinati a dare corpo e colore alle produzioni d’Italia e d’Europa.

Negli anni successivi, la ricerca di una qualità ad immagine del nord, da parte di produttori locali e da parte di cantine proveniente da altre regioni d’Italia, porterà a sfruttare meglio le potenzialità enologiche della regione, modulando una diffusione più ragionata e sperimentata dei vitigni che ne permetterà l’inclusione nella classificazione comunitaria.

Con quasi 9 milioni di ettolitri annui, la Puglia è oggi uno dei leader nella produzione di vino in Italia e vanta, seconda solo alla Sicilia, il maggior numero di vigneti sul territorio nazionale. Inoltre il cambiamento nelle produzioni è tutt’ora in atto, spostando la viticoltura pugliese dalla coltivazione di uve utilizzate per “vino da taglio” verso produzioni di qualità.

Oggi, la Puglia, può vantare ben 38 vini di gran qualità riconosciuti dal marchio di qualità DOC/DOCG e IGT, di cui i più famosi sono: gli IGP Salento, Puglia e Daunia, i DOC Primitivo di Manduria, il Nero di Troia, il Negroamaro, il Salice Salentino, il Castel del Monte, San Severo, Brindisi, Squinzano, Locorotondo e un vino DOCG: Castel del Monte nero di Troia Riserva.

La tabella nella pagina successiva evidenzia la produzione di vino in termini quantitativi e di specializzazione produttiva (Doc – Igt e vino da tavola) negli ultimi anni.

Tabella nr. 13

Tuttavia, come già evidenziato, la Puglia, nonostante sia la seconda regione italiana per quantitativo di vino prodotto, si differenzia dalle regioni del centro/nord per la presenza di innumerevoli aziende di medie e piccole dimensioni e per l’assenza di grandi aziende vitivinicole.

Mentre le grandi strutture aziendali italiane organizzano la propria strategia intorno a cinque linee d’azioni principali:

 fornitura di uva e vino, con l’obiettivo di rendere duratura la propria presenza nel mercato, mediante l’acquisto di vigneti o cantine, o alla stipula di contratti di fornitura a medio termine;

 incremento dei volumi al fine di sviluppare marchi che abbiano una dimensione commerciale sufficiente per ottenere una buona posizione sia nel mercato interno che nell’esportazione;

 consolidamento delle reti commerciali, sia attraverso l’acquisto di attività commerciali, che con la realizzazione di accordi o la creazione di jont-venture;  l’internazionalizzazione delle attività, attraverso l’acquisto di attività produttive in

altri Paesi, joint-venture o accordi commerciali;

le aziende pugliesi (cantine agricole e cooperative sociali soprattutto) si caratterizzano per la loro “polarizzazione” in piccole e medie imprese, che producono vino di buona qualità ma, con la principale funzione di “essere ancora un magazzino – serbatoio” a cui ricorrere

per “tagliare20 e/o integrare” i propri prodotti da collocare sul mercato nazionale ed

internazionale.

Dopo l’introduzione della normativa per le politiche agricole dell’UE per la regolamentazione della produzione a origine controllata dei vini che vanno sotto le sigle DOP e IGP, le aziende pugliesi cercano non solo di produrre buon vino, ma anche di imbottigliare e collocare sul mercato un prodotto di marca, il cui nome possa ricordare una determinata qualità, una caratteristica, il luogo d’origine ove è stato prodotto.

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