2 Componenti principali e collegamenti delle reti di teleriscalda mento
2.1 Centrale di generazione termica
Le caldaie alimentate con biomassa legnosa devono consentire uno sfruttamento efficiente di un combustibile dal potere calorifico contenuto, da un elevato tenore d’umidità e da una di- screta variabilità delle caratteristiche chimico-fisiche.
La combustione delle biomasse è un processo complesso che consiste in una serie di reazioni eterogenee ed omogenee. Gli stadi principali della combustione sono: essiccazione, devolati- lizzazione (pirolisi e gassificazione), combustione della biomassa carbonizzata e ossidazione della fase gassosa.
Nella fase di essiccazione l’acqua contenuta nel legno inizia a evaporare già a temperature inferiori ai 100°C. L’evaporazione usa l’energia rilasciata dal processo di combustione e, ab- bassando la temperatura in camera di combustione, lo rallenta, come verrà descritto succes- sivamente nella trattazione dei problemi di funzionamento.
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La fase di devolatilizzazione si distingue in pirolisi e gassificazione: la pirolisi avviene in man- canza di agenti ossidanti, producendo principalmente catrami e carbone, mentre la gassifica- zione necessita di un agente ossidante (solitamente aria), producendo principalmente dei gas (𝐶𝑂, 𝐶𝑂2, 𝐻2𝑂, 𝐻2, 𝐶𝐻4, 𝑒𝑡𝑐. ).
La fase di combustione consiste nella completa ossidazione dei gas, una fase che inizia tra 500 e 600°C e si protrae fino circa ai 1000°C, mentre nel range 800÷900°C il carbone solido è com- busto e con lui anche il catrame.
All’interno della camera di combustione, al fine di ottimizzare i rendimenti e di ottenere una combustione completa per limitare le emissioni di 𝐶𝑂 e 𝑁𝑂𝑥, è necessario controllare i para- metri di processo mediante la rilevazione del tenore di ossigeno residuo nei fumi, delle tem- perature in camera di combustione e post-combustione, delle portate e temperatura dell’aria comburente, del ricircolo dei gas combusti, delle portate e altezza del materiale sopra la gri- glia.
I rendimenti termici degli impianti attualmente installati sono compresi fra l’80% e l’86%, in alcuni modelli più evoluti si sfiora addirittura il 90%. Questo ovviamente vale per condizioni di funzionamento nominale, infatti il rendimento cala con il fattore di carico, fino ad un minimo di potenza sotto il quale la caldaia deve essere spenta perché non è più in grado di lavorare; in genere le caldaie a biocombustibile legnoso possono operare fino a un minimo corrispon- dente al 30% delle condizioni di progetto.
Le tipologie di generatori termici alimentati a biomasse si differenziano in funzione della tec- nologia che utilizzano e delle caratteristiche della biomassa: caldaie a griglia fissa, a griglia mobile e a letto fluido.
Le caldaie a griglia fissa sono generatori di piccole-medie dimensioni con una potenza com- presa fra 25 𝑘𝑊𝑡ℎ e 400÷500 𝑘𝑊𝑡ℎ, impiegati a scala domestica o a servizio di mini reti di teleriscaldamento. La combustione avviene su un focolare fisso generalmente alimentato da una coclea, perciò si richiede una pezzatura omogenea per non creare blocchi nel carica- mento. Inoltre per garantirne un buon funzionamento il contenuto idrico del combustibile non deve superare il 30%, altrimenti si andrebbe a ridurre in modo eccessivo la temperatura della camera di combustione poiché questo tipo di caldaie hanno una scarsa inerzia termica, in quanto i volumi della camera di combustione e dell’acqua nello scambiatore sono limitati, e si avrebbero pure problemi in fase di accensione.
Quelle a griglia mobile, invece, sono caratterizzate da potenza medio-alte, comprese fra circa 500 𝑘𝑊𝑡ℎ e alcuni 𝑀𝑊𝑡ℎ, impiegati a scala industriale fino al servizio di reti di teleriscalda- mento. In questo caso la griglia è composta da elementi mobili (piatti, scalini, barotti) che favoriscono l’avanzamento del combustibile all’interno della camera, favorendone essicazione e combustione completa. Gli stadi della combustione avvengono generalmente in tre sezioni
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separate, perciò l’aria primaria, insufflata da sotto, e la velocità della griglia sono modulanti. Per facilitare una combustione omogenea del materiale si possono introdurre dei getti d’aria secondaria, nella seconda camera separata dalla prima per non creare rimescolamenti. La stessa griglia può essere dotata di sistemi di raffreddamento ad aria (adatto a biomassa umida) o ad acqua (adatto a biomassa secca) per ridurre i fenomeni di fusione, ovvero di produzione di scorie che si verifica quando la temperatura in camera di combustione supera quella di fu- sione delle ceneri del legno, e allungare la vita utile dei materiali costruttivi, in particolare del refrattario e dei fasci scambiatori.
Figura 2.1 Schema del processo di combustione in una caldaia a biomassa a griglia mobile.
Queste caldaie sono adatte alla combustione di biomasse di varia pezzatura e umidità, con contenuto idrico anche del 50÷55%, e con elevato contenuto di ceneri. In questo caso la co- clea di caricamento può essere sostituita da uno spintone idraulico, più efficiente nel caso in cui si utilizzi materiale molto eterogeneo.
I combustori a letto fluido usati prevalentemente in applicazioni di grande taglia maggiore di 5 𝑀𝑊𝑡ℎ e più diffusi per gli impianti termoelettrici, si compongono di una camera cilindrica verticale (riser) nella quale la biomassa brucia in letto di materiale inerte (sabbia) tenuto in sospensione mediante un flusso preriscaldato di aria comburente introdotto dal basso. Al po- sto della sabbia si può usare calcare o dolomite, che abbatte gli inquinanti acidi eventualmente presenti nella materia organica trattata ed evita la fusione delle ceneri nelle condizioni opera- tive del combustore. L’alto grado di miscelazione raggiunta tra combustibile, comburente e inerte consente di ottenere un’efficace trasmissione del calore, realizzata per convezione e solo in minima parte per irraggiamento, e di ridurre la formazione di zone fredde all’interno della caldaia, che si traduce, a parità di efficienza, in una minore temperatura di esercizio
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(800÷900°C) rispetto ai sistemi a letto fisso (1.000÷1.100°C), fatto che giova ad evitare la sinterizzazione delle ceneri. Per realizzare il raffreddamento controllato di questi sistemi si utilizzano: scambiatori di calore interni, dispositivi per ricircolo dei gas combusti o iniezioni di acqua. Di contro hanno che si deve prestare particolare attenzione alle dimensioni del com- bustibile, la cui pezzatura deve avere misure omogenee ed idonee alla fluidizzazione del letto, dell’ordine dei mm. Altri inconvenienti sono la perdita, con le ceneri e i fumi, di parte del ma- teriale inerte, il mal funzionamento ai carichi parziali e avvio con bruciatori ad olio o a gas.
Figura 2.2 Combustori a letto fluido bollente (a sinistra) e ricircolante (a destra).
Sicuramente un problema principale comune a tutti i tipi di caldaie alimentate a cippato è il lungo tempo necessario per l’avviamento da freddo; infatti possono intercorrere alcuni giorni, dai 2 ai 7 in funzione della taglia, dalla fase di accensione a quella di funzionamento vero e proprio in cui si raggiungono le temperature operative sufficienti per iniziare il riscaldamento del fluido di lavoro. E di conseguenza, per la forte inerzia termica dei materiali costituenti la camera di combustione servono quasi altrettanti giorni per farla raffreddare completamente. Quindi la scelta di accendere o spegnere un generatore di calore deve essere per ponderata e prevista considerando questo ritardo nel regime di produzione.
2.2 Scambiatori
Gli scambiatori primari sono uno degli elementi più importanti dell’impianto, hanno la fun- zione di interfaccia tra il fluido di lavoro che viene riscaldato dalla centrale termica e il fluido operativo che fluisce nelle tubazioni di distribuzione della rete di teleriscaldamento. La tipolo- gia più diffusa nel settore del teleriscaldamento è quella dello scambiatore a fascio tubiero
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(shell&tube) con l’acqua di rete nei tubi e il vapore nel lato mantello, generalmente con mas- simo due passaggi lato tubi per limitare le perdite di carico.
Gli scambiatori di calore a fascio tubiero sono preferibili ad altri quando si ha l’esigenza di scambiare grandi quantità di calore, in quanto presentano delle elevate superfici di scambio, che possono arrivare anche a decine di migliaia di metri quadrati. Essi sono costituiti da un fascio di tubi posti all’interno di un recipiente cilindrico, nel quale scorrono due correnti fluide; possono avere funzionamento monofase o bifase (per far evaporare o condensare un fluido). Al contrario degli scambiatori a piastre, possono essere costruiti con una grana varietà di ma- teriali, oltre ad acciai semplici ed inossidabili anche ferro, titanio, rame e sue leghe (ottoni, bronzi), quindi possono sopportare alti valori di pressione e temperatura tipiche dei vapori, addirittura 45 bar e 220°C.
Figura 2.3 Scambiatore di calore a fascio tubiero utilizzato in applicazioni TLR con le rispettive temperature operative tipiche [15].
In più sono compatibili ad una gran combinazione di fluidi: acqua-olio, acqua-vapore, acqua- acqua e se si utilizzano più passaggi lato tubi per aumentare la velocità del fluido si aumenta il coefficiente di scambio termico, ma per il settore di riscaldamento non si superano i due passaggi, tubi a “U”, per non esagerare le perdite di carico, comprese tra i 30 e i 60 kPa [16].
2.3 Distribuzione
La rete di distribuzione di un impianto di teleriscaldamento è la parte più costosa ed incide tra il 50% e l’80% sull’investimento complessivo [17]. Essa si compone di una serie di tubazioni che trasportano l’energia termica ai consumatori mediante un fluido vettore, generalmente acqua calda alla temperatura di circa 80÷90°C o leggermente surriscaldata a 110÷120°C. Il sistema di distribuzione si distingue in due tipologie:
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• Reti dirette, dove un unico circuito idraulico collega la centrale di produzione con i corpi scaldanti degli utenti, così si garantiscono minori costi d’investimento e di eser- cizio e minori perdite di calore;
• Reti indirette, composte da due circuiti separati interfacciati attraverso degli scambia- tori di calore situati in prossimità delle utenze, così si permette di utilizzare elementi a bassa pressione per l’impianto dell’utente, di sfruttare l’impianto idraulico già pre- sente negli edifici e di rendere più efficiente la regolazione e la contabilizzazione del calore ceduto.
Solitamente si predilige il secondo tipo.
Il sistema di distribuzione consiste in due linee di tubazioni interrate per il trasporto del fluido termovettore, una di mandata e una di ritorno, che formano un circuito chiuso e solitamente, in fase di progettazione, viene sovradimensionato in previsione di nuovi allacciamenti. Ogni edificio è collegato alla rete mediante delle sottostazioni d’utenza, dove l’energia termica è scambiata e regolata. La rete include la tubazione primaria o principale, che connette la cen- trale con l’area d’utenza ed è posata sotto il manto stradale in suolo pubblico, e una seconda- ria, che allaccia ogni singolo edificio alla rete di distribuzione. Esiste la possibilità che la cen- trale di produzione termica sia molto distante dalla rete di distribuzione vera e propria e perciò è necessario avere anche una grossa conduttura di trasporto.
Esistono tre possibili configurazioni in funzione dello schema di diramazione sviluppato: • Rete ad albero, è la più semplice ed economica e perciò la più diffusa. È costituita da
una dorsale da cui si snodano le ramificazioni secondarie. Il problema principale è che, come in un circuito elettrico in serie, in caso di guasto della dorsale in un punto tutte le utenze a valle non sono più alimentate;
Figura 2.4 Configurazione di rete di distribuzione ad albero o ramificata [18].
• Rete ad anello, si compone di un circuito principale chiuso che parte e ritorna alla cen- trale e può essere alimentata in entrambi i versi. In questo modo si risolve il problema riscontrato nel tipo ramificato garantendo la continuità del servizio anche in caso di rottura. Inoltre si presta ad essere alimentata da più centrali termiche poste in punti
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differenti del circuito. L’unico svantaggio consiste nella maggiore perdita di tempera- tura dovuta alla maggiore lunghezza della dorsale in sistemi di grandi dimensioni;
Figura 2.5Configurazione di rete di distribuzione ad anello [18].
• Rete a maglie, è la più costosa, ma allo stesso tempo la più affidabile di tutte. È com- posta di una serie di circuiti chiusi collegati fra loro, fatto che permette di alimentare le utenze in ogni nodo della rete anche in situazioni di guasto. Inoltre consente la mas- sima flessibilità di regolazione e di ampliamenti futuri, tuttavia è poco diffusa e utiliz- zata soltanto in aree ad alta densità.
Figura 2.6 Configurazione di rete di distribuzione a maglie [18].
Si riportano alcuni esempi di reti di distribuzione: come si può notare la maggior parte sono del tipo ad albero, ciò è dovuto alla semplicità e ai bassi costi di costruzione, che rende più agevole l’espansione nelle aree già urbanizzate.
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Figura 2.7 Esempio di rete di distribuzione ad albero: rete TLR di Arta Terme (UD).
Figura 2.8 Esempio di rete di distribuzione ad albero: rete TLR di Coredo (TN).
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Figura 2.10 Esempio di rete di distribuzione ramificata: planimetria della rete di teleriscaldamento di Treppo (UD): in verde le utenze e in rosso la centrale.
Figura 2.11 Esempio di rete di distribuzione ad anello: rete TLR di Brunico (BZ), si notano la presenza di più centrali di produ- zione indicate dai puntini rossi.
Le tubazioni sono di diametro variabile in funzione della portata di fluido termovettore, che si calcola come rapporto fra la potenza termica che occorre fornire ed il prodotto del calore specifico del fluido per la differenza di temperatura di mandata e di quella di ritorno. Per non avere diametri di dimensioni eccessive, che causano maggiori dispersioni termiche, si devono scegliere velocità adeguate del fluido termovettore; comunemente si usa acqua calda e la sua velocità rientra in un intervallo di 1÷3 𝑚 𝑠⁄ , secondo la funzione svolta dal tratto di rete, valori minori per le condutture secondarie a diametro minore e maggiori per quelle primarie a dia- metro maggiore. In tutto questo si deve tenere presente che i costi d’investimento aumentano
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all’aumentare del diametro delle tubazioni, mentre i costi di esercizio, per il lavoro di pom- paggio, aumentano all’aumentare delle perdite di carico.
Tabella 2.1 Parametri di rete: velocità del fluido, diametro delle tubazioni e pressione massima d’esercizio; suddivise per le varie tipologie: trasporto, primaria e secondaria.
RETE VELOCITÀ DEL
FLUIDO [𝒎 𝒔⁄ ] TUBAZIONI [𝒎𝒎] DIAMETRO MASSIMA [𝒃𝒂𝒓] PRESSIONE
TRASPORTO 3÷3,5 >400 >15
PRIMARIA 2,5÷3 250÷400 15÷20
SECONDARIA 1÷2,5 50÷250 6
Le perdite di calore sono approssimativamente proporzionali alla differenza fra temperatura dell'acqua del DH e quella del terreno circostante. Queste aumentano con la temperatura del fluido o con la diminuzione di quella del terreno. Le effettive perdite di calore per unità di lunghezza dipendono anche dal grado d'isolamento delle tubazioni e, come già accennato, dal loro diametro. Quindi particolare importanza ha pure la coibentazione dei tubi, solitamente composta da materiali poliuretanici, che permette di limitare le dispersioni di scambio termico tra fluido e terreno. Una buona rete di distribuzione ha valori di perdita che variano tra il 5 e il 20%, il tutto dipende anche dalla lunghezza percorsa per arrivare all’utente finale.
2.4 Sottostazioni
La rete deve essere in grado di trasferire il flusso massimo alle varie utenze e servire anche il ramo più distante, che è caratterizzato dalla massima caduta di pressione nell'intera linea. Per garantire una pressione di esercizio adeguata, lungo le condutture principali vengono in- stallate delle sottostazioni di pompaggio. Esse contengono al loro interno gli elementi neces- sari a regolare i parametri fondamentali di moto del fluido vettore, pressione e velocità: elet- tropompe di circolazione, filtri, vaso di espansione, impianto di trattamento acqua, serbatoio di riserva e sistema di controllo automatico.
Nel caso di alimentazione indiretta per ogni utente esiste una sottostazione di scambio ter- mico, che è installata in un apposito locale all’interno dell’edificio del consumatore in sostitu- zione del vecchio generatore domestico. Essa consiste in uno scambiatore di calore a piastre, compatti ed economici, di potenza variabile in funzione del tipo di utenza, di valvole di rego- lazione e di intercettazione, di un impianto elettrico e di un sistema di controllo e di misura- zione. Si preferiscono scambiatori a piastre per il loro ingombro minimo e la buona flessibilità; questi garantiscono elevati coefficienti di scambio e si prestano alle condizioni di pressione e temperatura delle sottostazioni d’utenza, massimo 16-20 bar e 150°C.
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In situazioni di grosse reti di teleriscaldamento le tubazioni sono molto lunghe, la coibenta- zione non è sufficiente e le perdite di calore sono così ingenti da rendere necessaria l’installa- zione di sottostazioni di scambio primarie per riportare la temperatura del fluido di lavoro a livelli adeguati al servizio. Esse sono molto simili a quelle d’utenza solo in scala di potenza maggiore.
Tabella 2.2 Temperature operative di mandata e ritorno degli elementi della rete di teleriscaldamento: scambiatori di centrale, circuito primario, scambiatori di sottostazione e di utenza.
ELEMENTO TEMPERATURA OPERATIVA [℃]
Mandata Ritorno
SCAMBIATORE DI CENTRALE 200÷220 Fino a 85
CIRCUITO PRIMARIO 90÷85 70÷60
SCAMBIATORI DI SOTTOSTAZIONE 80÷85 60÷65
SCAMBIATORI DI UTENZA 65÷70 50÷552