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dipendente statale. 3. L’equo indennizzo del dipendente pubblico. 4. L’assicu-

razione sociale in tema di infortuni sul lavoro e il danno differenziale. 5. Altri

benefici della sicurezza sociale connessi al rapporto di lavoro. 6. Pensione di

reversibilità, pensioni e assegni di invalidità e di accompagnamento. 7. Il mare

magnum degli speciali indennizzi o elargizioni, fra disastri e tragedie. 7.1. Le

provvidenze «fuzzy». 7.2. La legge 210/1992. 7.3. Le vittime del terrorismo e

della criminalità organizzata. 7.4. Le vittime del disastro di Ustica. 7.5. Va-

jont, Stava e altri disastri. 8. La grammatica applicativa della compensatio

lucri cum damno «in action»: note di lettura.

1. La centralità del «titolo»

Il percorso che ci sta progressivamente conducendo all’oggi e al-

l’odierno assalto alla cittadella argomentativa eretta, continuando a in-

vocare il latinismo, per negare che risarcimento e benefici (espressione,

in senso ampio, di istituti della sicurezza sociale) dialoghino fra loro

per contribuire a riportare il patrimonio del danneggiato «nell’esatto

pristino stato» è un percorso nella storia che testimonia come la giuri-

sprudenza abbia faticato non poco a maneggiare consapevolmente la

grammatica associatasi alla clcd, di cui nel capitolo precedente si sono

ripercorse le fondamenta.

E ciò è particolarmente vero se si considerano le vicende non lineari

e, anzi, evolutesi nel segno di una sedimentazione legislativa lontanis-

CAPITOLO TERZO

sima dall’essere sistematica

1

, della vasta congerie di attribuzioni bene-

ficiali che in Italia possono essere considerate espressione della nozione

di «sicurezza sociale»

2

. Quest’ultima è senz’altro una nozione indefini-

ta e porosa, sulla cui utilità sistematica si può continuare a dibattere in

una varietà di prospettive classificatorie e in una molteplicità di visuali

disciplinari

3

.

Tuttavia – se si considera che la ridefinizione del tema della clcd

oggi sembrerebbe esserci imposta dalla necessità di fare chiarezza su

quello che abbiamo definito «il frutto avvelenato della legislazione eu-

ropea»

4

, la nozione di «sicurezza sociale» assume rinnovata concretez-

1 Nel tornare alle radici del dibattito fine ottocentesco che accompagnò l’ingresso

dell’idea delle assicurazioni sociali in Italia, e soffermandosi sulla considerazione diffu- sa (e autorevolmente propugnata: per tutti, F. CARNELUTTI, Infortuni sul lavoro (studi), vol. 1 e 2, Roma, 1913-14) che fece del concetto di rischio professionale il veicolo tec- nico e l’emblema argomentativo di quell’ingresso, G. CAZZETTA, Responsabilità aqui- liana e frammentazione del diritto comune civilistico, cit., 424 s., osserva:

il concetto di rischio professionale era (…) incapace di abbattere la dicotomia privato e pubblico, tra giuridico e sociale: la sua diversità, non gli permetteva di agire sulla responsabilità, sul diritto civile, sul giuridico e lo costringeva entro un suo ambito particolare senza contatti con quello comune. Tale logica della separazione permetteva di fornire provvedimenti sociali senza affrontare il pro- blema del loro fondamento giuridico, quello del loro coordinamento con i prin- cipi tradizionali (…).

Nello stesso senso, G. LUDOVICO, Tutela previdenziale per gli infortuni sul lavoro e

le malattie professionali e responsabilità civile del datore di lavoro, Milano, 2012, 49, per il quale il concetto di rischio professionale identificò «un abile artificio argomenta- tivo per conciliare le categorie della responsabilità civile con una tutela altrimenti priva di qualunque inquadramento teorico».

2 Nella dottrina italiana un appello a puntare su una ricollocazione delle prospettive

risarcitorie dei danneggiati italiani in uno scenario (restato tutto da costruire, però) do- minato da uno Stato figurativamente investito delle funzioni proprie di un macro- assicuratore first party, messo con grande fiducia al servizio delle individualità di cui si compone la collettività dei contribuenti, è giunto da A. MIRABELLI DI LAURO, Dalla

responsabilità civile alla sicurezza sociale, Napoli, 1992, passim.

3 Nella lavoristica il dibattito è lungi dall’essere sopito, per uno stato dell’arte rias-

suntivo, da ultimo, G.G. BALANDI, L. Barassi e l’origine della sicurezza sociale, in

M. NAPOLI (a cura di), La nascita del diritto del lavoro. Il «contratto di lavoro» di Lo-

dovico Barassi cent’anni dopo, Milano, 2003, 295.

LA GRAMMATICA APPLICATIVA DELLA COMPENSATIO LUCRI CUM DAMNO

135

za alla luce della necessità di fornirne un’interpretazione coerente ai

presupposti che la legislazione europea pone per coordinare e rispettare

le divergenti vedute espresse dai 27 paesi membri sulla concezione e

sulle regole del welfare riservato ai propri cittadini «europei», almeno

quando costoro si spostano all’interno della macroentità giuridico-

politica entro cui è (proclamato e) garantito loro il diritto di circolazio-

ne e stabilimento

5

.

In che modo la giurisprudenza italiana ha fin qui adoperato i criteri

applicativi che la riflessione civilistica svolta negli anni Cinquanta ha

contribuito ad associare stabilmente al latinismo, nell’ambito di una

collocazione concettuale del problema che assume ad unico referente

normativo l’art. 1223 c.c.? E come lo ha fatto, nei tanti contesti ove

questi criteri sono stati impiegati per vagliare se la nozione di danno

risarcibile interagisce con i benefici appartenenti all’universo della si-

curezza sociale, per lo meno per come quest’ultima è declinata in con-

creto (individuando sempre prestazioni collaterali al danno) dalla nor-

mativa europea appena ricordata?

Rispondere a questi interrogativi è un esercizio che rivela ottimi

margini di utilità, se non altro per verificare fino a che punto la gram-

matica applicativa della clcd in Italia abbia davvero saputo interpretare

5 È appena il caso di osservare che il (già lumeggiato, per la parte che interessa il

discorso in atto) Regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento Europeo e del Consi- glio del 29 aprile 2004 («relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale»), è concepito per trovare applicazione, ai sensi dell’art. 3 del Regolamento stesso,

a tutte le legislazioni relative ai settori di sicurezza sociale riguardanti: a) le prestazioni di malattia; b) le prestazioni di maternità e di paternità assimilate; c) le prestazioni d’invalidità; d) le prestazioni di vecchiaia; e) le prestazioni per i superstiti; f) le prestazioni per infortunio sul lavoro e malattie professionali; g) gli assegni in caso di morte; h) le prestazioni di disoccupazione; i) le presta- zioni di pensionamento anticipato; j) le prestazioni familiari.

Cui si aggiungono, in virtù del rinvio che il medesimo art. 3 opera all’art. 70 del Regolamento, anche tutte quelle

prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo previste dalla legi- slazione la quale, a causa del suo ambito di applicazione ratione personae, dei suoi obiettivi e/o delle condizioni di ammissibilità, ha caratteristiche tanto della legislazione in materia di sicurezza sociale di cui all’articolo 3, paragrafo 1, quanto di quella relativa all’assistenza sociale.

CAPITOLO TERZO

il problema per risolvere il quale essa è stata plasmata, ovviamente in

tempi in cui welfare e prospettiva europea accedevano a consapevolez-

ze scientifiche e terreni di confronto socio-politici assai lontani da quel-

li attuali.

Non stupisce costatare come, negli eterogenei quadranti ove un be-

neficio collaterale è stato evocato per essere considerato idoneo a defal-

care l’entità del danno, fermi restando gli insopprimibili margini di dut-

tilità sottesi al primo degli elementi di questa grammatica, assiso sulla di-

cotomia fra causa e occasione

6

, sia stato soprattutto il «titolo» del lucrum

a impegnare la giurisprudenza.

In una panoplia di pronunce, in relazione a ciascuna specifica tipo-

logia di beneficio, ci si è così continuati a interrogare se il beneficio

volta per volta in rilievo avesse sostanzialmente natura risarcitoria e

fosse dunque idoneo a sovrapporsi al danno, o se, per converso, esso

traesse causa da un pregresso sacrificio del beneficiato, ovvero fosse

espressione di una pura attribuzione solidaristica da parte dello Stato,

col risultato di essere collocato ai margini del computo risarcitorio.

A ridosso di questa classica duplicità di snodi argomentativi è grada-

tamente emerso il ruolo svolto da un elemento di riflessione aggiuntivo

e (come vedremo) nient’affatto secondario, offerto dalla possibilità di

dare rilievo alla circostanza che la figura del danneggiante coincida, o

non, con quella del soggetto debitore dell’attribuzione beneficiale.

6 E converrà tenere a mente nel prosieguo un’acuta constatazione riferita al mobile

dualismo fra «causa» e «occasione», ma che in realtà conserva il suo potere euristico tutte le volte che ci si proponga di issare eccessivi compiti di selezione giuridica sulle spalle assai gracili su cui riposa ogni tentativo di eleggere la causalità a crivello capace di sceverare, da solo, il danno risarcibile. Un limite chiarissimo, se si conviene che:

la distinzione fra “causa” e “occasione” è solo lo strumento attraverso il quale si argomenta una “diversità di avvenimenti” in modo che la delimitazione del- l’area del danno risarcibile possa essere ritagliata sulla qualità naturale dei fatti, su di un modo di essere oggettivo delle cose. Impostazione e criterio sono, cioè, indotti dalla specifica tecnica argomentativa utilizzata: rinvenire nella realtà, nella natura delle cose e nelle loro differenze il riferimento su cui poggiare il ri- ferimento che [in realtà] ha ragioni diverse.

LA GRAMMATICA APPLICATIVA DELLA COMPENSATIO LUCRI CUM DAMNO

137

Cominciamo questa analisi nient’affatto breve coll’esaminare le «si-

tuazioni di clcd» connesse alle vicende di un rapporto di lavoro o di

pubblico impiego

7

.

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