Al di fuori della sicurezza sociale del lavoratore si colloca un altro
macro-insieme d’ipotesi fra loro (come vedremo) assai eterogenee, che
nel loro insieme possono, però, essere considerate espressione unitaria
della sicurezza sociale generale, almeno nella misura in cui in tali casi il
beneficio non è destinato a concorrere con un danno connesso alle vi-
cende del rapporto di lavoro, e si risolve in un’attribuzione goduta dal
beneficiario al ricorrere di circostanze poste dalla legge, in assenza però
di un sacrificio pregresso da parte di quest’ultimo che possa autono-
mamente (essere invocato per) giustificare tale godimento (ma, come
vedremo meglio nel quinto capitolo, questa circostanza è invece riscon-
trabile nel caso della pensione di reversibilità, per lo meno se si mette a
nudo adeguatamente la struttura giuridico-economica di questo speciale
meccanismo di successione a titolo particolare nel titolo previdenziale).
L’unico trait-d’union di tali attribuzioni sembrerebbe, in effetti, of-
ferto dal fatto di reagire a uno stato di bisogno cui il legislatore dà ri-
sposta, assegnando al beneficiario una provvidenza economica che gra-
va, in via diretta o indiretta, sul bilancio dello Stato.
Quando però questo bisogno è causalmente espressione di un fatto
suscettibile di implicare il venire a esistenza di un’obbligazione risarci-
toria, questo tipo di attribuzioni finisce fatalmente per evocare il pro-
blema sottoposto al vaglio del latinismo protagonista di queste pagine.
E anche in questo caso la soluzione del problema è stata cercata in giu-
risprudenza caso per caso, applicando la regola aurea incentrata sul bi-
nomio «causalità + titolo».
Così, nell’ambito di questa classe di casi, l’assegno di accompa-
gnamento è stato ritenuto estraneo all’operare della clcd invocata dal
quanto a fronte della loro percezione sta un’obbligazione restitutoria di corri- spondente importo.
LA GRAMMATICA APPLICATIVA DELLA COMPENSATIO LUCRI CUM DAMNO
169
responsabile di un incidente di cui era rimasta vittima una bambina
ammessa al beneficio in esito ai gravi postumi invalidanti del sinistro
55.
Non diversamente la pensione d’invalidità civile (ex l. 30 marzo
1971, n. 118, e successive modificazioni) percepita dalla vittima di un
caso di malpractice medica, che è stata considerata dalla Cassazione un
emolumento previdenziale privo di finalità risarcitorie, riferibile solo a
una funzione solidaristico-assistenziale
56.
Si tratta di attribuzioni – ha ricordato in obiter ancora molto recen-
temente la S.C. – riconducibili a un «consolidato orientamento di que-
sta Corte che nega la possibilità di dedurre dall’importo del risarcimen-
55 Così Cass. civ., 27 luglio 2001, n. 10291, in Dir. econ. ass., 2001, 1154, statuen-
do che
la Corte territoriale ha escluso che sull’ammontare del danno potesse incidere l’indennità di accompagnamento: perché, infatti, possa applicarsi il principio, al quale i ricorrenti si richiamano, della “compensatio lucri cum damno”, è neces- sario che il vantaggio economico sia arrecato direttamente dal medesimo fatto concreto che ha prodotto il danno. Ne consegue che dall’importo liquidato a ti- tolo di risarcimento del danno alla persona (patrimoniale o biologico) non può essere detratto quanto già percepito dal danneggiato a titolo di pensione di ina- bilità o di reversibilità, oppure a titolo di assegno di equo indennizzo o di qual- siasi altra speciale erogazione connessa all’invalidità (come alla morte), giacché tali erogazioni si fondano su un titolo diverso rispetto all’atto illecito e non hanno finalità risarcitorie.
56 Così Cass. civ., 18 novembre 1997, n. 11440, in Riv. giur. circ. trasp., 1998, 67:
non può operare la “compensatio” tra l’importo liquidato a titolo di risarcimen- to del danno e quello liquidato a titolo di pensione, di inabilità, reversibilità, o di assegni, equo indennizzo e in genere di speciale erogazione in relazione alla morte o all’invalidità di determinati soggetti, fondandosi il trattamento pensio- nistico o assistenziale, su un titolo diverso rispetto all’atto illecito e non avendo esso finalità risarcitoria rispetto all’atto stesso, si che questo viene a costituire una semplice occasione ovvero una condizione, mai comunque un titolo giuri- dico, per l’insorgenza del diritto a pensione. Tale è il caso della pensione di inabilità civile – come quella goduta dal Fiorelli – (cfr. art. 12, l. n. 118/1971 e successive modifiche) la quale, oltre ad essere legata a precise condizioni eco- nomiche dell’invalido, costituisce una prestazione di tipo assistenziale cui è estranea la finalità risarcitoria in dipendenza dell’eventuale fatto illecito che ab- bia determinato l’invalidità stessa, ricollegandosi, invece, alle finalità di solida- rietà sociale che informano gli interventi pubblici a tutela dei portatori di handi- cap.
CAPITOLO TERZO
to quanto percepito a titolo di pensione d’invalidità, indennità di ac-
compagnamento e altro»
57.
Va ricordato, a tal proposito, che una delle ordinanze della già ricor-
data quaterna unitaria della terza sezione del giugno 2017 interpella le
S.U., persuasa che si debba ammettere a scomputo non solo l’indennità
di accompagnamento erogata dall’INPS, ma anche il valore economico
delle prestazioni pubbliche di assistenza domiciliare ricevute da un mi-
nore danneggiato da un parto cesareo tardivo
58.
Anche in questo caso, l’argomentazione recata dall’ordinanza non fa
i conti fino in fondo con il senso dell’attribuzione patrimoniale che la
legge associa ai benefici (oggetto del giudizio territoriale) di cui si so-
stiene la defalcabilità dal danno, ma si riannoda a una trama argomenta-
tiva di taglio generale
59, unica per tutte le diverse fattispecie oggetto
della quaterna, al termine della quale la rilevanza del «titolo» nella va-
lutazione richiesta per decidere lo scomputo del beneficio è, di fatto,
azzerata.
Viene così avanzata la tesi che il valore economico di tale assistenza
non possa che contribuire a ridurre l’entità del danno patrimoniale risar-
cibile dal responsabile
60. In tal guisa e in nome di una visione rigorosa-
57 Cass. civ., 20 febbraio 2015, n. 3391, in www.leggiditalia.it. 58 Cass. civ., ord. 22 giugno 2017, n. 15537, cit.
59 Questa macro-argomentazione sarà partitamente analizzata e discussa nel quinto
capitolo, come già anticipato.
60 In questi termini, sul punto, Cass. civ., ord. 22 giugno 2017, n. 15537, cit.:
la Corte d’appello non ha messo in dubbio che la vittima principale percepisse una “indennità di accompagnamento”. La Corte non precisa se si tratta della mi- sura prevista dalla L. 21 novembre 1988, n. 508, articolo 1 (spettante a tutti i cittadini), ovvero del beneficio analogo di cui alla L. 12 giugno 1984, n. 222, articolo 5, comma 1 (previsto per i pensionati per inabilità). Tuttavia tanto la prima, quanto la seconda di tali indennità sono concesse alle persone “che si trovano nella impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un ac- compagnatore”. Si tratta, dunque, d’un emolumento volto a ristorare un pregiu- dizio patrimoniale: giustappunto, quello consistente nella necessità di dovere re- tribuire un collaboratore od assistente per fronteggiare le necessità della vita quotidiana. La percezione di tale emolumento dovrebbe dunque incidere sulla misura del danno risarcibile, per il semplice fatto che lo elimina in parte, e nulla rileva che l’indennizzo scaturisca da una norma previdenziale. Considerazioni analoghe valgono per l’assistenza domiciliare prestata dal Servizio Sanitario Nazionale o Regionale. In Lombardia, luogo – a quanto consta – di residenza del danneggiato, l’assistenza domiciliare costituisce oggetto di un complesso si-
LA GRAMMATICA APPLICATIVA DELLA COMPENSATIO LUCRI CUM DAMNO
171
mente aritmetica del meccanismo risarcitorio contemplato dall’art. 1223
c.c., il costo sociale della misura assistenziale viene sottratto alla perso-
na in stato di bisogno che ne avrebbe altrimenti beneficiato per essere
riallocato al soggetto chiamato a rispondere civilmente dell’insorgenza
di tale stato
61.
L’ordinanza in discorso si compiace di evocare un argomento speci-
fico per corroborare questa soluzione, che forse qualche giurista ispira-
to dal diritto vivente potrebbe ritenere ascrivibile a quelli idonei a «ri-
mordere alla coscienza sociale».
Si allude, infatti, alla piena analogia fra la fattispecie in discorso
(ove il diniego di clcd paralizza la pretesa di scomputare il beneficio dal
stema normativo, bastato in primo luogo sulla Legge Regionale Lombardia 30 dicembre 2009, n. 33, articolo 26, comma 5, lettera (c), (d) ed (e) (recante “Te- sto unico delle leggi regionali in materia di sanità”), il quale individua nell’assi- stenza domiciliare uno degli obiettivi primari del servizio sanitario regionale. Tale norma ha ricevuto attuazione dapprima con la delibera della giunta regio- nale (D.G.R.) 9 maggio 2003 n. 12902 (in B.U. Lombardia 20 maggio 2003, n. 21, 1 suppl. straord.), la quale ha introdotto il sistema dei cc.dd. “voucher so- cio-sanitari”, ovvero titoli di legittimazione utilizzabili dalle famiglie per l’ac- quisto di prestazioni di assistenza domiciliare socio-sanitaria da enti erogatori accreditati, pagabili senza limiti né di età, né di reddito. In seguito la D.G.R. Lom- bardia 18 maggio 2011, n. 9/1746 (recante “Determinazione in ordine alla qua- lificazione della rete dell’assistenza domiciliare in attuazione del PSSR 2010- 2014”, in B.U. Lombardia 6.6.2011, n. 23) ha riformato ed incrementato il si- stema dei “voucher” previsto dalla precedente Delib. D.G.R. del 2003. Dopo la pronuncia della decisione d’appello, infine (13 novembre 2013), venne appro- vata la D.G.R. Lombardia 27 settembre 2013, n. 10/740, concernente l’approva- zione del Programma Operativo Regionale in materia di gravi e gravissime di- sabilità, la quale accordò un buono mensile di euro 1.000 alle persone con gravi disabilità, “erogato senza limite di reddito (e) finalizzato a compensare le pre- stazioni di assistenza assicurate dal caregiver familiare (autosoddisfacimento) e/o per acquistare le prestazioni da assistente personale” (così la suddetta De- lib., Allegato “B”, punto (B1)). Non tenere conto di tali previsioni porterebbe pertanto ad una sovrastima del danno patrimoniale per l’assistenza domiciliare, e di conseguenza alla violazione dell’articolo 1223 c.c.
61 Anche questo delicato aspetto del problema verrà affrontato a tempo debito, nel
quinto e nel sesto capitolo, involgendo all’evidenza la necessità di interrogarsi se la soluzione proposta dalla Cassazione nell’ordinanza in discorso, possa, o non, comple- tarsi con la operatività di un meccanismo di surrogazione, o più verosimilmente con l’operatività di un dispositivo che permetta all’ente erogatore dell’assistenza di recupe- rare la spesa sostenuta aggredendo il patrimonio di chi debba civilmente rispondere del- l’insorgenza dello stato di bisogno che rende necessaria l’erogazione assistenziale.
CAPITOLO TERZO
danno, quando una componente patrimoniale di quest’ultimo sembri
non venire in esistenza, perché una norma obbliga un terzo soggetto a
farsene carico, erogando una equivalente prestazione beneficiale, per
motivi però non legati specificatamente alla circostanza che quella parte
di danno sia effettivamente causata dal responsabile, ma anche in casi
diversi e anche a prescindere dal ricorrere di tale circostanza, che resta
solo eventuale) e il diniego applicativo della clcd che si registrava
quando, prima che le corti italiane dessero stabile cittadinanza al danno
biologico nell’esperienza giurisprudenziale degli anni Ottanta, si rico-
nosceva al lavoratore il danno da perdita della capacità lavorativa tem-
poranea, anche se – in forza dell’obbligo posto al datore dall’art. 2110
c.c., il lavoratore continuava a percepire la retribuzione durante l’invali-
dità temporanea.
Si può certamente convenire, come rilevato per tempo in dottrina
62,
che tale soluzione fosse a quel tempo giustificata dalla necessità di ri-
sarcire la persona del lavoratore, che non avrebbe potuto trovare altro
modo di essere risarcita se non ricorrendo – appunto – all’espediente di
permettere al danneggiato di cumulare la retribuzione con invalidità
lavorativa temporanea, e che in quest’ottica l’applicazione della clcd si
rivelasse strumentale e fosse destinata a venir meno con il definitivo
radicamento del biologico. Ma il vero punto è un altro.
L’abbandono di questa formula da parte della giurisprudenza, circa
trent’anni fa, non fu dovuto, come oggi si tenta di far credere, al ripudio
dell’argomentazione che nella circostanza paralizzava l’operare della
clcd. Ma al fatto che la giurisprudenza, grazie all’emersione del danno
biologico, poté applicare finalmente una voce di danno che appariva
pienamente rispondente alla funzione che – in assenza del biologico – si
tentava di assecondare con un espediente, ipostatizzando del tutto arti-
ficiosamente il danno patrimoniale da invalidità temporanea riconosciu-
to al lavoratore.
Se, però, si guarda alla ratio dell’art. 2110 c.c. – norma che sorregge
la causa dell’attribuzione patrimoniale che giunge al lavoratore anche
quando in concreto quest’ultimo non eroghi sinallagmaticamente le
prestazioni dovute al datore – ci si avvede che la norma è disegnata per
62 P.G. M
LA GRAMMATICA APPLICATIVA DELLA COMPENSATIO LUCRI CUM DAMNO
173
operare a tutela del lavoratore in tutta una serie di circostanze (infortu-
nio, malattia, gravidanza, puerperio) e che il godimento di tale tutela
entra a far parte del sinallagma che il lavoratore dipendente instaura col
datore, venendo così giustificato dalla prestazione lavorativa erogata
dal dipendente nel corso del suo rapporto di lavoro. Si dà quindi un sa-
crificio pregresso nella sfera del lavoratore, il quale, se l’art. 2110
c.c. non esistesse (come effettivamente non esisteva prima che il «so-
ciale» entrasse nella dimensione del diritto privato), ben potrebbe aspi-
rare ad ottenere un incremento della retribuzione dovuta in costanza del
rapporto di lavoro.
In tal senso, la percezione del beneficio da parte del lavoratore si dà
anche quando – in una schiera di casi statisticamente ridotta rispetto
alle tante altre sfere di applicazione della norma (la causa della malattia
appartiene al cielo, l’infortunio assai spesso colpisce il lavoratore per
effetto di una sua imprudenza e anche fuori dall’ambiente lavorativo) –
il suo operare sia occasionato dalla circostanza che il lavoratore sia
messo in condizione di fruire del beneficio per effetto dell’illecito di un
terzo.
Il medesimo ragionamento trova applicazione nel caso dell’indenni-
tà di accompagnamento o dei voucher della Regione Lombardia. Si trat-
ta di benefici che non sono condizionati geneticamente dalla circostan-
za che il loro beneficiario sia messo nella condizione di fruirne perché
tali benefici sono funzionalmente diretti a neutralizzare il rischio pro-
dotto da chi danneggi il beneficiario di questa previsione assistenziale.
Essi sono, invece, benefici che spettano a tutti i cittadini italiani che si
trovano nelle condizioni divisate dalla normativa che ne prospetta l’at-
tribuzione, il cui materiale palesarsi rende giustificata (anche per effetto
della contribuzione fiscale alimentata da quegli stessi cittadini) l’attri-
buzione patrimoniale che si sostanzia nella concreta percezione di quei
benefici assistenziali.
Ecco chiarito, in via anticipata, uno dei possibili sensi che si ricon-
nette all’idea di indurre l’interprete a interrogarsi sulla giustizia del be-
neficio, quale elemento tecnico dell’indagine che quest’ultimo è chia-
mato a svolgere in ordine alla finalità del beneficio di cui venga in que-
stione la defalcabilità dal danno.
CAPITOLO TERZO
Proseguendo nella disamina dello scenario che si va analizzando (e
gettando le basi per una trattazione che sarà ripresa, sviscerata e com-
pletata nel quinto capitolo) uno spazio peculiare – e come già osservato
nel primo capitolo di questo studio: rilevantissimo – si ritagliano i bene-
fici pensionistici veicolati ai loro percettori dalla reversibilità, innova-
zione entrata in vigore nella previdenza generale, al seguito della gran-
de riforma della previdenza di regime elaborata da Bruno Biagi
63(che
anticipò di qualche mese il completamento del famigerato pacchetto
delle leggi razziali)
64.
Per dirla tutta, però, la previsione della reversibilità, passando per il
disposto degli artt. 104 e 105 del r.d. 21 febbraio 1895, n. 70, recante
«Testo unico delle leggi sulle pensioni civili e militari», affonda le sue
origini risorgimentali nella legislazione sabauda
65, che a sua volta de-
63 C. G
IORGI, La previdenza del regime. Storia dell’Inps durante il fascismo, cit.,
284.
64 Nell’anno in cui entrarono in vigore gli artt. 13 e 14 del r.d.l. 4 aprile 1939,
n. 636, recante «Modificazioni delle disposizioni sulle assicurazioni obbligatorie per l’invalidità e la vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria e so- stituzione dell’assicurazione per la maternità con l’assicurazione obbligatoria per la nuzialità e la natalità», poi convertito con modificazioni dalla l. 6 luglio 1939, n. 1272, vide luce anche la legge 13 luglio 1939, n. 1024, recante «Norme integrative del Regio decreto-legge 17 novembre 1938-XVII, n. 1728, sulla difesa della razza italiana». Nel quadro di una riflessione sulla concezione dello stato sociale fascista, discorre di «eu- genetica economica», A. SOMMA, Economia di razza. Dal fascismo alla cittadinanza
europea, Verona, 2009, 116.
65 In particolare per i militari di terra la l. Regno di Sardegna, 27 giugno 1850,
n. 1049, recante «Giubilazioni militari dell’armata di terra» e per i militari di mare la l. 20 giugno 1851, n. 1208, recante «Pensioni di ritiro pei militari dei corpi della Regia Marina», di cui può esser opportuno ricordare il testo dell’articolo 28:
Le vedove dei militari morti in battaglia od in servizio comandato, hanno diritto ad una pensione annua eguale alla metà del maximum fissato pel grado del ma- rito, qualunque sia la durata dei servizi di lui. Lo stesso diritto avranno le vedo- ve dei militari morti in seguito a ferite riportate in battaglia od in servizio, ovve- ro per effetto di accidenti della guerra o delle malattie contagiose od endemi- che, alle cui influenze siansi dovuti assoggettare in conseguenza del loro servi- zio, purché il matrimonio sia anteriore all’epoca delle riportate ferite o malattie. Questa pensione sarà aumentata di un quinto alle vedove degli individui di bas- sa forza dei corpi della real marina, sulle paghe dei quali viene praticata la rite- nenza del due e mezzo per cento.
LA GRAMMATICA APPLICATIVA DELLA COMPENSATIO LUCRI CUM DAMNO
175
terminò l’impianto della legge postunitaria del 14 aprile 1864, n. 1731,
recante «Legge con cui sono regolate le pensioni degl’Impiegati civili,
ed è vietato il sequestro degli stipendi dei medesimi»
66.
Fermo restando che tecnicamente va posta una distinzione fra la
pensione di reversibilità propriamente detta, che spetta ai superstiti in
caso di morte del soggetto titolare già percepente pensione, e la pensio-
ne indiretta, che spetta ai medesimi al decesso di un lavoratore non pen-
sionato che, però, abbia maturato, alternativamente, almeno 780 contri-
buti settimanali oppure almeno 260 contributi settimanali, di cui alme-
no 156 nei cinque anni precedenti la morte, in tale trattamento «post
mortem operarii» la struttura del beneficio è caratterizzata dalla circo-
stanza che il «vantaggio» s’indirizza a soggetti – i c.d. «superstiti» nel
lessico proprio della normativa contemporanea sulla reversibilità – che
non possono invocare a giustificazione del beneficio pensionistico di
cui sono destinatari un precedente sacrificio sostenuto in proprio, per-
ché il reale titolo dell’attribuzione beneficiale, cui s’ispira l’antico mec-
canismo legislativo della reversibilità, più che nella legge (o meglio:
prima di essa), sta nel sacrificio sostenuto in vita dal loro congiunto per
rientrare nelle condizioni cui la legge riconnette l’operare del meccani-
smo stesso.
In questa prospettiva la reversibilità, non essendo attratta nell’asse
ereditario e prescindendo «dalle disposizioni del codice civile che rego-
lano l’ordine delle successioni»
67, viene in rilievo come una successio-
ne ex lege e a titolo particolare nel diritto al trattamento pensionistico,
anche se l’entrata in vigore della Costituzione ha permesso di sovrap-
porre e infondere a questa struttura giuridica primaria della reversibilità
pensionistica il valore costituzionalmente protetto della solidarietà nel-
l’ambito dei rapporti famigliari
68, cui accedono in ultima analisi sia la
66 Sul senso del cui art. 23 (pedissequamente riprodotto nella legislazione del 1895)
si pronunciò Corte conti, Sez. un., 14 novembre 1902, in Foro it., 1903, III, 47, per sta- tuire a chiare lettere che «i figli naturali riconosciuti di un impiegato governativo defun- to non hanno diritto alla reversibilità della pensione spettante al padre».
67 Come si preoccupò di osservare già Corte conti, Sez. un., 14 novembre 1902, cit. 68 Il che può autorizzare a introdurre la trattazione dell’istituto in discorso richia-
CAPITOLO TERZO