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a) La fondazione. Il testamento di Nicolò Cinughi

Il mercante Niccolò del fu Cino di Ugo, da cui il cognome Cinughi, fece testamento il 21 aprile 1340266 e tra le sue volontà, come analizzeremo in

seguito, espresse quella dell’erezione di una certosa nei pressi di Siena. Niccolò Cinughi apparteneva a una famiglia nobile senese ritenuta, a detta di storici ottocenteschi, discendente dalla famiglia fiorentina dei Pazzi.267

La fondazione della certosa di San Giacomo di Belriguardo ( in un secondo momento intitolata a Santa Maria ), fu caratterizzata da una provvisorietà della dotazione iniziale del fondatore. Niccolò divise con quattro fratelli l’eredità del padre Cino di Ugo il quale, facendo parte nel 1992 del magistrato di Biccherna «comprò in nome del Comune di Siena certa parte della Rocca

266 ASS, Patrimonio Resti Ecclesiastici, Certosa di Pontignano, 1991, c. 34: si tratta di un

fascicolo comprendente 14 carte legate insieme e numerate tutte come carta 34.

267 A. LISINI, Cinughi de’ Pazzi, «Miscellanea storica senese», V (1893), pp. 160-170 : «La

nobiltà della nostra famiglia Cinughi non solamente apparisce dalla sua antichità ma anche da questo che nel primo principio che si stabilì in Siena cominciò a godere delle cariche et honori tanto dentro quanto fuori dalla città».

Tederighi da D. Binda di Dino de’ signori di detta Roccha…»268. Il fratello

Mino «condusse in moglie Meuccia di Messer Orlando Malavolti in sull’esordire del 1295, dalla quale sembra non avesse figli. Nel primo semestre del 1310 e del 1314 risiedette tra i quattro Provveditori della Biccherna e nelli stessi sei mesi del 1311 e del 1320 fu uno degli esecutori della Generale Gabella del Comune. Offerse l’eredità paterna all’ospedale, come gli Statuti portavano, fin dal 26 agosto 1340, poco dopo la sua elezione a Rettore»;269

nello stesso periodo, tra l’altro, Mino fu esecutore testamentario del fratello Niccolò. Scarse sono, invece, le notizie per due degli altri tre fratelli: Francesco «fu ambasciatore ai fiorentini nel 1343 e nell’anno 1391 trattò e concluse la pace tra Siena e il conte di Santa Fiora»;270 Tone è ricordato come

morto in una del 10 aprile 1345, contenente una donazione fatta da donna Tessa, sua figlia e moglie di Giovanni de Montanini, a un tal Gano Tenghi.271

Non sappiamo niente sul quarto fratello, Ugo di Cino di Ugo che, al contrario degli altri tre, non viene mai nominato nel testamento, dove si menziona un certo Ugone, nipote del testatore ( figlio del fratello Tone ) e comproprietario insieme allo stesso Niccolò, Francesco e Mino del loro palazzo «positum Senis in populo Sancti Petri scalas pro parte, et pro parte in populo Sancti Vigilii de Senis». Si può, quindi, pensare che Niccolò non avesse nessun fratello di nome Ugo e che Tone, non comparendo nel testamento, a quella data fosse già morto.

Ma torniamo al testamento del 21 aprile 1340. Niccolò Cinughi stabilì che dopo la sua morte il suo corpo dovesse sepolto presso i Frati Predicatori di Siena «in sepulcro in quo sepultus fuit D. Cinus», suo padre. Inoltre «volens conscientiam et animam suam purgare», stabilì che venisse restituita la quarta parte a lui spettante delle usure fatte dalla vecchia società, di cui avevano fatto parte il padre Cino e i fratelli Francesco e Mino, concedendo ai propri

268 ASS, Miscellanee storiche e letterarie, c. iii, 17, c. 456 r-v.

269 Statuti senesi scritti in volgare ne’ secoli XIII e XIV e pubblicati secondo i testi del R.

Archivio di Stato di Siena, a cura di L.BANCHI, vol. IIII, Statuto dello Spedale di Siena, Bologna, 1877, p. 185.

270 ASS, Miscellanee storiche e letterarie, cit., c. 456. 271 Statuti senesi , cit. vol. III.

esecutori testamentari, al fine di portare a termine detta restituzione, di poter vendere alcuni dei suoi beni ed utilizzarne il ricavato. La terza volontà espressa dal testatore riguardava proprio l’erezione di una certosa nei pressi di Siena e, a seguire, quella relativa alla costruzione di un Ospedale per i poveri ed i forestieri da edificarsi nelle proprietà poste «in loco dicto Isola». Detto Ospedale doveva essere fornito di dodici letti e gli esecutori testamentari dovevano preoccuparsi di eleggere un Rettore «qui dictum hospitalem custodiat et gubernet, et pauperes ad illud confluentes benigne recipiat». L’aspetto più interessante di questa disposizione è che il testatore stabilì che, morto il suddetto primo Rettore ( scelto dagli esecutori testamentari ), il nuovo dovesse essere eletto dal priore della certosa. Immediatamente dopo viene disposta la fondazione di un monastero femminile da costruirsi in città, riservato ad una badessa e a dodici monache «quae vivant et vivere teneantur et debeant secundum regolam seu ritum B. Clare, seu B. Benedicti, seu B. Augusti ». Le monache non dovranno mai superare il numero stabilito e, in occasione dell’elezione della Badessa sarà assolutamente da privilegiare – nel caso in cui avesse deciso di iniziarsi alla vita monastica – una delle tre figlie del testatore. Interessante notare come dovendo scegliere un monastero maschile sotto la cui tutela porre la nuova casa femminile, per primo un monastero certosino e in caso di rifiuto i Frati Predicatori, infine i Frati Minori.

L’entità della dote da garantire alle tre figlie viene stabilita in 1300 fiorini d’oro e viene loro riservata la proprietà della quarta parte del palazzo che il padre aveva in comune con i due fratelli (Mino e Francesco) ed il nipote Ugone, figlio del defunto fratello Tone. Quest’ultima clausola prevedeva l’obbligo eventuale di vendere questa quarta parte solo agli altri comproprietari o alla certosa di Belriguardo, per un prezzo stabilito in «quinque millium libras denariorum senensium Minutos bonos». Un’altra clausola prevedeva l’imposizione alle figlie di rivendere al Comune di Siena la quarta parte di un terreno situato «Plane Silvae Lacus», che il padre aveva a suo tempo acquistato dal Comune stesso, con l’impegno a restituirlo. Sempre

alle figlie vengono lasciati possedimenti «extra portam S.Georgii et portam Mauritii de Senis» e ogni masserizia presente nel palazzo prima ricordato, affinché possano usarle a loro piacimento, nonché alcuni possedimenti «positi in villa Saltano et de Isola», con la cui vendita, dette eredi, avrebbero dovuto contribuire a dotare la certosa e il monastero femminile da costruirsi di lì a poco per volontà paterna. Vengono infine istituite eredi universali. La proprietà del podere di Pianella dovrà andare per metà agli esecutori testamentari e per metà al marito della figlia Agnolina ( Francesco del fu Spinello Malavolti ), come conclusione del pagamento della sua dote. Seguono lasciti in denaro di piccola entità a beneficio di vari istituti religiosi della città272 e la nomina degli esecutori testamentari, il fratello Mino, Rettore

dell’Ospedale di Santa Maria della Scala e il Vescovo di Siena.

Comunque nel contesto testamentario rimane primaria la volontà di erigere una certosa, che poi sarà Belriguardo, «in casamenti et bonis meis positi in Villa de Saltano, seu in alio loco ubi is decentius fieri possint videbitur», nel quale monastero «possint recipi stare et morari unus Priore t duodecim monachi seu fratres» e non oltre, «vivendium sub Regula Cartusiensi». Il fondatore si preoccupa di regolamentare il modus vivendi, limitando il numero dei monaci a dodici, con la possibilità di accoglierne di nuovi esclusivamente in caso di morte di uno dei presenti e affidando il compito di una eventuale elezione di un nuovo priore ai monaci stessi che potevano scegliere il

272 Lasciti in denaro ai seguenti istituti religiosi: Capitulo et Conventui fratrum predicatorum;

fratum minorum; fratrum Augustini; fratrum servorum Sanctae Mariae; fratrum Sanctae Mariae Carminis; fratrum Sanctus Spiritus; fratum Sanctae Crucis; fratrum Sancti Joannis Baptistae; fratrum heremitorum; capitulo et conventui monasterii de Monte Oliveto; hospitali Sanctae Mariae de Senis; capitulo et conventui fratrum Sanctae Mariae de Galgano; hospitalis Dominae Agnesae; hospitalis quod est post Sanctum Christophorum et ecclesia Sancti Christi; capitulo et conventui monasterii Sanctae Petronillae; Sanctae Mariae Novellae; capitulo et conventui monasterii de Vico; capitulo et conventui monasterii Sancti Prosperi; monasterii Sancti Laurentii; monasterii delle fraticille; monasterii Sancti Mamigliani; monasterii Omnium Sanctorum; monasterii Sanctae Clarae; monasterii de Molianda, monasterii Sperandiae; monasterii Sancti Abundii; monasterii Sancti Benedicti, monasterii Caterinae, capitulo et conventui monasterii monalium Sanctae Martae. I lasciti più cospicui sono rivolti agli ospedali, primo fra tutti Santa Maria della Scala con 25 lire, a seguire i Frati Predicatori, i Minori e gli Agostiniani; subito dopo altri monasteri maschili come quello di Monte Oliveto e di san Galgano e un monastero femminile, quello di Santa Marta, al quale vengono assegnate ben 15 lire.

candidato sia tra le mura del monastero, sia al di fuori di esse, in altre case dell’Ordine.

Il fondatore, infine, lascia alla completa discrezione degli esecutori testamentari l’entità della dote per la costruzione della nuova certosa: «Volo et iubeo et mando quod praedicti mei fideicommissi et executores… et consideratis et attentis bonis meis praedictis positis in dicti locis, et etiam eo, quod superessi possit, facta restitutione dicti usurari, ex bonis praedictis et fructibus eorumdem, ut dictum est, possint, teneantur et debeant sive fratrum, Monasterium et Capitulum…dotare de bonis et possessionibus meis praedicti et eis assegnare pro dotibus ipsius monasterii de dictis bonis meis tantum quantum viderint et cognoverint expedire ad victum et vestitum et etiam ad cuncta necessaria dd. Prioris, fratrum seu monacos Capituli et etiam familiare, et servientium ipsorum prioris, fratrum et monacorum; ita quod dd. Donorum assignandorum, ut dictum est, alimenta et vestimenta et alia quaecumque necessaria, honorabiliter et decenter percipere et habere, sicut, et qualiter ipsis fideicommissariis et executoribus meis videbitur convenire»273.

b) Le vicende nel secolo XIV

Il fondatore, quindi, nel testamento non specificò nessuna somma in denaro né alcun bene immobile, compresa la proprietà su cui la certosa avrebbe dovuto sorgere. Questa proprietà verrà descritta successivamente in un documento redatto da Ser Ghini foresis (nel 1341), dal quale risulta che Francesco da Siena, priore della certosa di Maggiano e Galgano, priore della certosa di Bologna, per commissione del Padre Generale, accettano a nome dell’Ordine quanto il testatore aveva destinato per la fondazione della nuova casa di Belriguardo, cioè «unum locum sive clusam muratam et muris undique vallatam et circundatam sitam prope Senas in loco dicto Belriguardo cum omnibus casamentis, palatio, ecclesia seu cappella, loggia, claustris, vineis, terris, nemoribus, pratis, lamis, peschariis, pergulis, arboribus, puteo acquae

vivae et cum omnibus et singulis sitis consistentibus intra muro dicti loci seu clusae muratae, et circui circa muris vallatae. Cui loco seu cluse murate undique muris vallate cum omnibus et singulis in ea consistentibus, hii sunt confines: nam ex parte est silva comunis Senarum, et ab aliis partibus est via publica»274. Si trattava con tutta probabilità di un insieme di terreni che

andavano a costituire un podere di proprietà del testatore e che risultavano vicini ad un altro podere di proprietà del fratello del fondatore, Mino di Cino di Ugo, esecutore testamentario e Rettore di Santa Maria della Scala.

I suddetti esecutori cercarono naturalmente un luogo che fosse idoneo a ospitare la famiglia prevista e che si allineasse con le esigenze dell’austerità certosina275, in modo da poter essere accettato dal Padre Generale. Ciò

successe, infatti, il 29 settembre 1341, data in cui i priori di Maggiano e Bologna furono incaricati di accettare il lascito di Niccolò di Cino di Ugo, di dare inizio ai lavori per la costruzione della certosa e di nominare il priore e i primi monaci destinati ad abitarla. E’ quindi probabile che la costruzione della nuova certosa sia iniziata immediatamente dopo la presa di possesso della chiusa ( tra il 1341 e il 1342 ), ma non si può stabilire con precisione in che data sia stata ultimata. Sicuramente non lo era ancora nel 1345 dal momento che i due priori di S.Gerolamo di Bologna e di San Pietro di Pontignano si lamentavano con il vescovo di Siena e con il Rettore di Santa Maria della Scala delle cattive condizioni della certosa di San Giacomo di Belriguardo,

274 ASS, Diplomatico, Certosa di Pontignano, 1345 giugno 18. La pergamena racchiude sia il

documento del 18 giugno 1345 in cui il Padre Generale ingiunge agli esecutori testamentari del fondatore di Belriguardo di portare a termine la fabbrica della certosa e la sua dotazione, sia il documento datato 29 settembre 1341, in cui i due priori di Maggiano e di Bologna prendono possesso della nuova certosa di Belriguardo. Il documento viene qui riportato a testimonianza del fatto che l’esecuzione del suddetto testamento era già avvenuta.

275 ASS, Diplomatico, Certosa di Pontignano, 1345 giugno 18. «Et quod reperiretur dictum

locum eis oblatum…dictam clusam muratam, cum omnibus existentibus intra muros ipsius cluse liberum et a civitate senensis et ab aliis civitatibus et villi set earum suburbiis, atque ab hominum cohabitatione et via seu viis publicis sufficienter et secundum formam et honestatem dicti ordinis Cartusie segregatum et hac habile, hutile et honestu et oblatas possessiones intra dictum muratam clusam consistente set earum redditus et provenctus, sufficientes pro substentatione unius prioris, et duodecim monacorum, quorum cleracorum, et trium conversorum et necessariae familiare pro eiusdem et pro hospitalitae et pro aliis necessariis honeribus portandis et pro sufficientibus hedifitiis, pro habitatione eorum et divini cultus exercitio, secundum formam dicti Ordinis faciendis, et quod dictus oblatus locus pro monasterio supradicto, est talis quales dicte licere esse mandant».

ancora incompleta e non sufficientemente dotata. Il Padre Generale nel 1345 intimò che la nuova casa venisse provveduta al più presto di tutto il necessario «altrimenti i monaci presenti saranno costretti a ritornare alle loro case d’origine»276. E’ presumibile che niente fosse stato fatto per migliorare la

situazione di degrado della nuova fondazione , ma nonostante questo il proposito di chiudere la casa non venne portato a termine, tanto che, da un documento del 1356, possiamo constatare che la suddetta certosa «non dum est sufficienti complemento prout expedit stabilitum et quod de presenti eget edificium in cellis pro fratribus opportuni set in aliis hedificis et officinis ad fratres dicti loci honeste standos, et ad alia necessaria dicto loco et fratribus ibidem residentibus»277. A questa data, dopo circa quindici anni dalla volontà

testamentaria, gli edifici della certosa risultano ancora incompleti, così come ne risulta incompiuta la dotazione. Proprio nella pergamena del 12 novembre 1354, che riporta il successivo documento del 1356, si trova la cessione ai monaci ( e per loro al priore Francesco di Ture Geri ) di un terzo di una vigna posta a Porta Tufi e del diritto di riscuoterne la locazione fatta dal vescovo di Siena a un tal Nigi di Vannucio in esecuzione di un legato di Niccolò Cinughi.278

Ancora due anni più tardi Monsignor Azzolino, vescovo di Siena – conseguentemente alle volontà espresse nel testamento del fondatore –

276 ASS, Diplomatico, Certosa di Pontignano, 1345 giugno 18.

277 ASS, Diplomatico, Certosa di Pontignano, 1354 novembre 12. Nella pergamena sono

contenuti due documenti: il primo riguarda l’affitto fatto dal Vescovo di Siena di una vigna ( per sei anni ) a Nigi di Vannuccio di Feo di Baldiccione, come da testamento di Niccolò Cinughi, il secondo documento del 1356 riguarda la successiva donazione fatta dal suddetto vescovo della medesima vigna alla certosa.

278 ASS, Diplomatico, Certosa di Pontignano, 1354 novembre 12. L’unione della vigna viene

fatta « cum (hac) conditione et pacto, confirmitate appositis expressis et declaratis in presenti in strumento unionis et in presenti unione in principio medio et fine videlicet quod supradictus Nigius volet solvere dare et numerare dicto monasterio de Belriguardo et dabit et solvete t numerabit cum effectu praedicto monasterio suprascriptos centum optuaginta quinque florenos de auro pro faccenda executione praedicta, … terminum et tempus locationis et conductinis dictae tertiae partis dictae vineae et possessioni set ultra per duos annos solvendo sempre dictam pensionem de qua locatione et conductione constat manu mei Ghini foresis notarii contrascripti. Quod ex tunc solutis, dati set numeratis praedictis centum ottuaginta quinque florenis de auro, dicto monasterio, praedicta termia pars dictae vineae, et possessionis, sit et remaneat ac redeat cum omnibus suis iuribus et pertinentiis ad Nigium memoratum, libera, vacua et expedita, a dicta unione, et a praedicto monasterio in perpetuum».

consegna alla certosa di Belriguardo un palazzo in Siena nel terzo di San Martino nel fondaco degli Scagiolari ( oggi Chiasso Largo ), con otto botteghe.279

Difficile dire perché l’esecuzione del testamento di Niccolò di Cino di Ugo si sia protratta così a lungo, come difficile è stabilirne le responsabilità; sicuramente un ruolo di primo piano devono averlo avuto gli esecutori testamentari e in particolar modo il Vescovo di Siena, sempre protagonista rispetto al meno citato Rettore di Santa Maria della Scala ( Mino di Cino di Ugo, fratello del testatore), che sembra assumere un ruolo marginale nella definizione della controversia.

La documentazione prodotta dalle riunioni capitolari di quegli anni, assolutamente frammentaria e incompleta, non aiuta definire la questione, tuttavia un documento del 14 maggio 1349- conservato nel Diplomatico della Certosa di Maggiano – mostra come i superiori dell’Ordine fossero intenti a eleggere procuratori al fine di intimare al Vescovo di Siena, Donodeo Malavolti, di non accampare diritti sulla certosa di Belriguardo.280 Infatti il

vescovo di Siena cercò di sottrarre la certosa alla giurisdizione del Padre e del Capitolo Generale per costituirvi un Capitolo che avesse facoltà di eleggere il proprio priore e rispondesse unicamente di fronte a lui. Ma il Padre Generale Giovanni Birelle, essendo venuto a conoscenza di ciò, ricorse alla Santa Sede per evitare un precedente che avrebbe potuto creare fratture nella disciplina dell’Ordine. Clemente VI da Avignone emanò, dunque, un decreto datato 4 aprile 1349 con il quale si toglieva al Vescovo di Siena qualsiasi facoltà e si ribadiva che la certosa di Belriguardo si trovava a pieno titolo all’interno dell’Ordine.281

279 ASS, Diplomatico, Certosa di Pontignano, 1358 agosto 3.Monsignor Azzolino, Vescovo di

Siena, come esecutore testamentario di Messer Niccolò di Cino di Ugo Cinughi, dona e consegna, a tenore del legato di suddetto testatore, alla certosa di Belriguardo, da lui fondata, un palazzo o casamento con otto botteghe posto in Siena nel terzo di San Martino nel luogo detto il fondaco degli «Scagelari» « cui palatio sive casamento ex uno latere est Campum fori communis Senarum, ex uno via publica, ex uno heredes Francisci Cini Ugonis praedicti, ex uno palatium quod fuit de Maconibus et nunc est Guidonis domini Branchae de Senis».

280 ASS, Diplomatico, Certosa di Maggiano, 1349 maggio 14

281 Nel Diplomatico sia per Maggiano sia per Pontignano non si trova copia di questa bolla. E’

Non possiamo, comunque, escludere che la difficoltà di attribuzione di dote alla certosa facesse parte di un disegno più ampio del Vescovo di impossessarsene, mantenendola in uno stato di continua precarietà per poterla più facilmente assoggettare, sottraendola al controllo dell’Ordine. Rimane, invece, chiaro come le vicende iniziali contribuirono in maniera pesante a rendere la certosa di Belriguardo una fondazione strutturalmente ed organizzativamente debole e destinata a soccombere, a distanza di molto tempo ed in maniera progressiva, alla propria precarietà.

Risulta, infatti, da un documento del 1372 che solo in quell’anno i lavori di edificazione fossero conclusi ( a trent’anni dalla fondazione), quando i due visitatori provinciali dell’Ordine ( i priori di Pontignano e Bologna) assegnano i termini «spatiamentorum».282 In questo documento anche l’intitolazione

appare cambiata rispetto all’originale San Giacomo, qui appare intitolata a Santa Maria come per i periodi successivi. Il cambiamento d’intitolazione risale probabilmente tra il 1354 (dove in un documento del 12 novembre 1354 risulta San Giacomo)283 e il 1358 ( da un documento del 2 novembre 1358 )

dove viene nominata per la prima volta Santa Maria e non è del tutto escluso che la certosa avesse dovuto subire già dagli inizi uno spostamento di sede, che successivamente, dopo tre secoli, è documentato insieme alla sua unione alla certosa di Pontignano.

Fin dal Trecento, però, nelle Carte Capitolari si era parlato a più riprese dell’unione, senza arrivare ad una conclusione certa. Inizialmente, nel 1370, è il priore di Pontignano a insistere in proposito, tant’è che gli viene imposto il

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