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95 Cfr ivi, pp 183-184, 367.

96 Ivi, p. 175.

97 Ivi, p. 199.

98 Ivi, pp. 176, 179, 198. Cfr. Ivi, pp. 172, 199; L. Firpo, Cattivi pensierib,

che parlare di sesso significa innanzitutto parlare di se stessi, mettersi a nudo e confrontarsi con resistenze e reticenze interne, che vanno ad agitare le acque limpide, quasi cristalline della ra- zionalità. Ecco perché egli sottolinea come il discorso sulla libe- razione sessuale debba essere condotto «con sereno distacco», spogliandosi «da ogni pregiudizio» e dimenticando «i personali “valori” etico-religiosi, l’educazione ricevuta, le propensioni soggettive».99 Che un avvertimento del genere sia tutto fuorché facile da realizzare, appartenendo alla vasta casistica dei buoni propositi smentiti puntualmente dalla verità effettuale delle cose, è mostrato da Firpo stesso, vuoi per la perentorietà delle conclu- sioni raggiunte, vuoi per la carica polemica che le anima. In- somma, si ha l’impressione che l’autore, scrivendo gli articoli sul sesso libero, subisca il condizionamento di quegli impulsi emotivi e irrazionali che albergano in ogni uomo, anche nel più convinto e pervicace razionalista. Si tratta ovviamente di un’im- pressione destinata a rimanere tale, vista l’impossibilità di leg- gere nei cuori e nelle menti degli uomini, ma che ha il merito di ricordarci quanto sia labile, per non dire fittizio, il confine fra ragione e passione, tra razionalità e irrazionalità. Un confine che si assottiglia fino a scomparire del tutto ogni qual volta l’atten- zione cada sulla sessualità. Da questo punto di vista, risulta dif- ficile dissentire da Pasolini quando afferma, in polemica con Giorgio Bocca, che il «sesso con le sue intolleranze feroci è una zona incolta della nostra coscienza e del nostro sapere».100 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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GIOVANNA COVI

IMMERGERSI SENZA «IL LIBRO DEI MITI».1

REVISIONI FEMMINISTE E POST-UMANESIMO

La mia riflessione ha una data di nascita, il 1972, quando Adrienne Rich pubblica la poesia Diving into the Wreck che co- sì esordisce:

First having read the book of myths, and loaded the camera,

and checked the edge of the knife-blade, I put on

the body-armor of black rubber the absurd flippers

the grave and awkward mask.2

1 «The book of myths» compare nel primo verso della poesia di Adrienne

Rich, Diving into the Wreck, in A. Rich, Diving into the Wreck, Poems 1971- 1972, Norton, New York 1973, pp. 22-24. In assenza di ulteriori specificazio- ni, si potrebbe ipotizzare che «il libro dei miti» sia il classico The Greek My-

ths di Robert Graves che fu pubblicato nel 1955, ma potrebbe trattarsi di

qualsiasi manuale di mitografia. La raccolta Diving into the Wreck è una pie- tra miliare della cultura femminista rivoluzionaria, anche perché guadagnò il National Book Award nel 1974 insieme a The Fall of America di Allen Ginsberg e Rich rifiutò il premio personalmente, chiedendo di dividerlo, in- sieme all’afroamericana Alice Walker e alla afrocaraibicoamericana Audre Lorde, in nome di tutte le donne le cui voci sono messe sotto silenzio in un mondo patriarcale. Questo fatto corrobora l’interpretazione qui offerta della ricerca da parte di Rich di una soggettività plurale e collettiva, non individua- le.

2 A. Rich, Diving into the Wreck, vv. 1-7. Per la traduzione dei versi che

cito seguo la prima e ottima versione di Liana Borghi del 1979: «Avendo prima letto il libro dei miti / e caricato la macchina fotografica, / e tastato la lama del coltello, / mi misi / l’armatura di gomma nera / le pinne assurde / la

Precisi oggetti materiali affollano questi primi versi e lascia- no sullo sfondo «il libro dei miti». In primo piano viene l’at- trezzatura che permette l’immersione subacquea alla voce nar- rante, la quale s’immerge in solitudine, scende la scala sul bordo della goletta, e nessuno è lì a indicare quando comincia il mare, quel mare in cui deve imparare a muoversi e a respirare – è di- verso muoversi e respirare in un elemento che non è «a question of power».3 Nel mare manca un ordine prestabilito perché il ma- re non è forza, non è potere: come ci si muove allora in assenza di dominio? La voce poetica scende oltre l’azzurro prima chiaro e poi scuro, dentro nel nero del fondo dove serve una torcia per trovare quel che cerca, il relitto della nostra civiltà, per esplorar- lo e cercarvi quel che nasconde, la storia delle donne:

I came to explore the wreck. The words are purposes. The words are maps.

I came to see the damage that was done and the treasures that prevail.4

Il componimento, fin qui fatto di strumenti e azione, quella contingente e minuziosamente descritta di tuffarsi nel fondo del mare, ora invece si sofferma sulle parole, l’unica materia di cui sappiamo essere fatta la poesia. Definisce le «parole» quali «propositi» e «mappe», dunque quali custodi del futuro e del passato, e perciò materia di quella consapevolezza necessaria a negoziare il presente che chiamiamo la politica. L’impegno so- ciale è centrale alla poetica dichiaratamente femminista di Rich e la sua voce narrante in questo componimento si affretta a pre- cisare ulteriormente di essere discesa fin qui per esplorare:

maschera seria e ingombrante». Cfr. A. Rich, Esplorando il relitto, trad. it. di L. Borghi, Savelli, Roma 1979, «Il labirinto» 9.

3 Ivi, v. 40. Borghi traduce «questione di forza»; la mia lettura forse qui

richiede di optare per «questione di potere».

4 Ivi, vv. 52-56: «Sono venuta a esplorare il relitto. / Le parole sono pro-

the wreck and not the story of the wreck the thing itself and not the myth5

Dunque la voce poetica – che abbiamo appena conosciuto con sembianze che preludono a quelle di una creatura ciberneti- ca: corpo, l’io narrante, e macchina, l’attrezzatura subacquea – è fisicamente scesa fin qui per incontrare il relitto vero e proprio, ricercare la cosa in sé, non il simbolo né il significato e signifi- cante. È venuta qui a cercare la materia, non il mito. Proprio perché libero dal mito, l’incontro con quest’oggetto nell’oscu- rità degli abissi le permette di dirsi sia come «mermaid» che come «merman»:6 sirena e tritone, nel mito classico i poli di due generi opposti, qui si fondono per esplorare il relitto, mentre l’io narrante muta in un «noi» che include i poli dei due generi. La poesia ribadisce la loro fusione con il segno d’interpunzione che indica la relazione fra le due affermazioni: «I am she: I am he».7 Le figure mitologiche del femminile e del maschile marino qui si dicono simultaneamente, con una revisione del «libro dei mi- ti» per cui il genere non è più rappresentato dall’opposizione bi- naria tra maschile e femminile ma da una relazione fluida fra i due.

Molte letture8 conducono questa poesia accanto a Virginia

Woolf e al mito dell’androgino che la scrittrice formulò nel

5 Ivi, vv. 62-63: «il relitto e non la storia del relitto / la cosa stessa e non il

mito».

6 Ivi, vv.72, 73.

7 Ivi, v. 77: «Io sono lei: io sono lui».

8 Fra le molte, la posizione più risoluta di questa interpretazione fu artico-

lata da Erica Jong nella sua recensione su Ms nel 1973; più di recente, Chery Colby Langdell in Adrienne Rich: The Moment of Change, Praeger, Westport, 2004, insiste sulla voce androgina di Rich ma sottolinea anche che l’immer- sione non è una ricerca di un passato pre-patriarcale bensì la definizione del lavoro che spetta alle donne che si impegnano negli Women’s Studies, come bene articolato già da Rachel Blau DuPlessis; si veda in proposito http:// www.modernamericanpoetry.org/criticism/rachel-blau-deplessis-diving-wreck. È su questa apertura del concetto di androgino, se vogliamo non mitica almeno in senso classico, che richiamo l’attenzione. Sicuramente l’esperienza di vita di Rich in questo periodo la portava anche a rendere conto del proprio rappor-

1929 in A Room of One’s Own9 per esprimere l’aspirazione a liberarsi della costruzione patriarcale binaria maschile-femmi- nile. A me pare tuttavia che Rich non cerchi di congelare il bi- narismo patriarcale in alcuna rappresentazione, non persegua alcuna Aufhebung. Rich non nomina un terzo genere singolare indipendente. Piuttosto e con insistenza nomina un soggetto che è un «noi»:

We circle silently about the wreck we dive into the hold.10

In questo «noi» i due generi rimangono in tensione reciproca e aperta anziché fondersi in una nuova singolarità. Io leggo que- sto passaggio come una prima importante apertura di certo pen- siero femminista a una radicale critica delle politiche identitarie, della soggettivazione e anche del rapporto tra le parole e le cose, e dunque della definizione di mito. Il «noi» di Rich è un «io», una soggettività relazionale che si dice plurale, maschile e fem- minile, e in virtù della propria pluralità ha la forza di esplorare

to con il maschile e il femminile, e a cercare parole non stereotipate per esprimerlo, e senza dubbio usò anche la parola androgino per esplorare il de- siderio lesbico che cominciava a riconoscere in sé e per il quale la cultura del suo tempo non aveva certo un vocabolario. Dopo avere vissuto la prima parte della sua vita come moglie di un accademico con il quale aveva condiviso tre figli e la casa nel New England e a New York, dove la loro militanza di sini- stra li portava a ospitare riunioni contro la guerra e delle Pantere nere, nel 1970 lei si allontana da lui e lui poco dopo muore suicida. Nella raccolta del 1976, Of Woman Born, scritta quando ormai ha cominciato la sua convivenza con la scrittrice giamaicana Michelle Cliff, Rich parlerà apertamente del pro- prio desiderio lesbico. Questo non ci deve far dimenticare che, nel 1972, la sua voce poetica s’immerge per esplorare il relitto di questa e non di un’altra civiltà e storia, per trovare in questo relitto le voci messe sotto silenzio, per liberare soggetti che sappiano mantenere vive le tensioni invece che dominar- le, e dunque per dare voce al rapporto tra femminile-maschile che articola la soggettivazione più che per ripescare il classico mito dell’androgino.

9 V. Woolf, A Room of One’s Own (1929), Harcourt, New York 1989. 10 A. Rich, Diving into the Wreck, vv. 74-76: «Giriamo in silenzio / attor-

fino in fondo tanto il relitto marino quanto la critica al paradig- ma di genere del potere dominante. Per Rich, come verrà artico- lato con convinzione in molta sua saggistica, la poesia è sempre continua ricerca, mai una definizione del proprio sogno, o mito. Non si può qui non notare che il 1972 è anche l’anno in cui viene pubblicata negli USA la traduzione di Mythologies di Ro- nald Barthes.11 Come è noto, Barthes presenta il mito non solo quale discorso e sistema semiologico, ma ne discute anche la valenza politica. Vi attribuisce quella terza funzione del lin- guaggio che è la «presenza del significato attraverso il signifi- cante»12 e che si avvale di quella «parola eccessivamente giusti- ficata» che trasforma la storia in natura e la contingenza in eter- nità.13 Attraverso questa definizione del mito, Barthes demistifi- ca con forza militante l’ideologia borghese che non cessa di oscurare la fabbricazione della realtà per garantirsene il posses- so, confinando l’Altro fuori da sé e dal proprio mondo.14 Il sag- gio della seconda parte, Miti d’oggi, è inequivocabile: solo il linguaggio-oggetto, quello che ci permette di agire direttamente sulla realtà, è politico, mentre il metalinguaggio, quello che ci restituisce un oggetto già mediato e trasformato in immagine, ci impedisce la trasformazione della realtà. Poiché il mito abita nel metalinguaggio, dichiara Barthes, «il linguaggio propriamente rivoluzionario non può essere un linguaggio mitico» e spiega ulteriormente: «La Rivoluzione esclude il mito proprio perché produce una parola pienamente, cioè inizialmente e terminal- mente politica, e non, come il mito, una parola inizialmente po- litica e terminalmente naturale».15 Dunque il discorso ospita il mito solo quando cessa di essere rivoluzionario, perché la rivo- luzione in quanto azione per cambiare la realtà non può avvaler-

11 R. Barthes, Mythologies, Editions du Seuil, Paris 1957; trad. ingl. di A.

Lavers, Mythologies, Farrar Straus & Giroux, New York 1972; trad. it. di L. Lonzi, Miti d’oggi, Einaudi, Torino 1974 (I ed. Lerici, Milano 1962).

12 R. Barthes, Miti d’oggi, p. 198. 13 Ivi, pp. 210-211.

14 Ivi, p. 234. 15 Ivi, p. 228.

si della parola che non ha finalità politica. Con un commento radicale al proprio contesto, Barthes aggiunge che la sinistra ospita il mito solo quando cessa di essere rivoluzionaria, un’osservazione che rimane centrale alle teorie e poetiche fem- ministe statunitensi dei decenni successivi cui qui faccio cenno. Di conseguenza anche il mitologo è condannato al metalin- guaggio e quindi precluso da un rapporto diretto con la società: alienato dalla realtà, si rifugia allora nell’ideologismo.16 E qui l’analisi di Barthes articola una critica incisiva sul ruolo del- l’intellettuale, offrendo anche una soluzione alternativa con considerazioni che più mi premono in rapporto con Rich. Preci- sa che tra ideologia e poesia, quale ricerca «del senso inalienabi- le delle cose»,17 non c’è sintesi, ma argomenta che le contraddi- zioni del nostro tempo ci inducono a gestire la liberazione dei significanti accettando anche che «la condizione della verità» possa essere data solo attraverso «un sarcasmo».18 Barthes invi- ta a conciliare descrizione e oggetto con spiegazione e cono- scenza e rinunciare alla totalità dell’oggetto, che viene distrutto se completamente penetrato, oppure mistificato se rispettato. Dunque la nostra condizione è quella di una continua oscilla- zione «tra l’oggetto e la sua demistificazione».19 Ciò riconduce alla poesia di Rich quale ricerca anziché rappresentazione del proprio desiderio o progetto.

La radicalità politica barthesiana che si apre alla temporalità della negoziazione del senso delle cose è enfatizzata da Rich nel saggio Tourism and promised lands,20 dove dichiara che la ri- cerca della verità perseguita dalla poesia non deve mai essere finale. Ci ricorda che persino Emily Dickinson oscilla in conti- nuazione tra l’attimo personale e l’eternità, e che tale oscillazio- ne le ha imposto di esprimere la propria autorità e anche la pro-

16 Ivi, p. 237.

17 Ivi, p. 238. 18 Ivi, p. x. 19 Ivi, p. 238.

20 A. Rich, Tourism and promised lands in What is Found There, Norton,

pria stranezza linguistica. Chiama la poesia «Poetry the Immi- grant» e la circonda di borse e ceste, la dipinge come un misto di antico e non ancora pensato, di amato e indicibile, una strana tensione tra conservazione e scavo radicale, divisa tra le proprie radici, le ossa dei suoi antenati e la sua inclinazione a spingersi oltre la scoperta, verso il futuro.21 Rich dice che per la poesia non c’è Terra Promessa perché, anche se la trova, non vi si può fermare, riposarsi e costruirvi un tempio, ma la deve subito la- sciare per continuare il proprio cammino. Comunque sempre proiettata verso l’altrove, l’altrui e l’altrimenti, la poesia tiene in tal modo viva la rivoluzione, sempre in viaggio verso quell’in- cessante cambiamento nutrito dalla domanda «What if—?». Proprio perché rivoluzionaria, la poesia di Rich mai potrà dirci chi o quando uccidere, nemmeno come teorizzare, ma può e de- ve solo continuare a chiedersi e costringerci a chiederci «e se?», nella ricerca infinita ma necessaria e mai programmatica di quelle parole che abitano il confine tra ciò che è e ciò che può essere, di un linguaggio che sta sulla soglia tra pubblico e inti- mo, di un discorso tanto accogliente quanto spaventoso, ma sempre articolato in un linguaggio profondamente amato perché coscientemente impiegato.22 In questa definizione di linguaggio troviamo lo sviluppo della semiologia non totalizzante di Bar- thes e anche la radicalità di una politica che, ci ricordano en- trambi, è tale solo quando la rivoluzione è permanente, sempre prassi e teoria in reciproca tensione.

La poesia migrante, la poesia esploratrice, si immerge quindi negli oggetti per dar loro nuove parole e dunque compiere un atto politico. Per chiudersi, allora, Diving into the Wreck deve tornare sulla nominazione di alcuni oggetti dell’attrezzatura su- bacquea e reiterare l’inutilità del «libro dei miti» con l’espli- citazione che in esso «our names do not appear».23 «Il libro dei miti» pertanto non dice questo «io» che è un «noi», questo sog-

21 Ivi, pp. 233-234.

22 Cfr. A. Rich What If—? in A. Rich, What is Found There, pp. 235-250. 23 A. Rich, Diving into the Wreck, v. 94: «i nostri nomi non compaiono».