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58 L Firpo, Cattivi pensieri a , pp 40-41.

59 Ivi, p. 51.

cum grano salis i ‘cattivi pensieri’ dedicati alla questione del-

l’eguaglianza, scritti in un torno di tempo che va dalla fine del 1976 alla metà del 1981 e nel maggio-giugno del 1988, dai quali affiora un dispositivo concettuale che è articolabile in almeno quattro momenti specifici e distinti.

In primo luogo, Firpo si muove sul filo dei giudizi di fatto, nel senso che constata l’eccezionale valenza storico-culturale dell’intuizione che il genere umano, «al di là delle differenze di razza e di cultura, del colore della pelle o delle strutture sociali», è sostanzialmente unito e uniforme. Un’intuizione del genere, confermata dai progressi delle scienze biologiche «con i dati della genetica e della biochimica», è stata per Firpo «un potente fattore di incivilimento», sia perché ha scosso dalle basi il para- digma occidente-centrico, educando «l’Occidente a non credersi centro e modello del mondo, a vedere nel proprio modo di pen- sare e di vivere soltanto una delle varianti possibili e non l’unico sistema vero, giusto e gradito agli dèi»; sia perché «ha avuto conseguenze incalcolabili sullo sviluppo storico dei due ultimi millenni» –61 conseguenze che vanno

dal pensiero stoico alla predicazione del Vangelo a tutte le genti, dalla condanna della schiavitù al rifiuto del razzismo, dalla crisi del colo- nialismo alla messa sotto accusa di tutti i vecchi e nuovi imperialismi. Ne sono derivate concezioni grandiose, come quelle del comune de- stino della specie umana, dei vincoli di generale solidarietà che do- vrebbero stringere tutti gli uomini, e precetti di nobile altruismo come «ama il prossimo tuo come te stesso» o «considera ogni uomo come un fine, non come un mezzo».62

In secondo luogo, Firpo compie abilmente il passaggio dai giudizi di fatto a quelli di valore, facendo così emergere la pro- pria predilezione, tipica del pensiero liberale, per ciò che diffe- renzia e rende unici gli uomini rispetto a ciò che invece li acco- muna e spersonalizza. A suo dire, infatti, la succitata intuizione, pur essendo ormai recepita e irrinunciabile, non va esente da

61 Ivi, p. 49.

una certa astrattezza, «quasi una sublime genericità» di propositi che sono tanto buoni quanto difficilmente attuabili «nella con- cretezza delle società umane e della loro storia». E questo per- ché i rapporti quotidiani sono profondamente influenzati non dall’eguaglianza generica tra gli uomini, bensì dalla loro ine- guaglianza specifica, col risultato che gli individui «assumono rilevanza per quanto hanno di personale e di “diverso”, per quel- lo che sono e sanno, per quello che fanno, dicono, promuovono, desiderano e sperano».63

In terzo luogo, Firpo – come si legge nei ‘cattivi pensieri’ del 28 maggio e del 6 giugno 1988 – àncora il proprio ragionamen- to a una distinzione netta fra le relazioni inter-specie e quelle intra-specie, caratterizzate rispettivamente dal momento dell’e- guaglianza sostanziale e dal momento dell’ineguaglianza fattua- le. In altri termini, egli crede che gli uomini, se paragonati ad altre specie viventi, siano tanto eguali da costituire «qualcosa di separato e in sé omogeneo, inconfondibile», poiché hanno «ca- ratteri peculiari, un’eredità biologica così fortemente differen- ziata e specifica, attitudini comuni al ragionamento, al linguag- gio, all’organizzazione sociale e produttiva». Al contrario, gli uomini, se considerati all’interno della loro specie, sono portato- ri di diversità profonde e caratteristiche divergenti, dovute es- senzialmente all’azione combinata di tre fattori – l’eredità gene- tica, l’ambiente e l’educazione –64 i cui meccanismi di funzio- namento

sono di tale finezza e interdipendenza da sfuggire, per ora almeno, a una valutazione analitica; e quanto alle possibilità di intervento, esse sono nel primo caso arrischiatissime e gravide di pericoli; nel secondo, difficili da mettere in atto nella grande varietà delle situazioni; nel ter- zo esposte ai rischi della costrizione e del condizionamento a senso unico.65

63 Ivi, pp. 49-50.

64 L. Firpo, Cattivi pensierib, pp. 188-189. 65 Ivi, p. 190.

Se così stanno le cose, non stupisce che l’argomentazione firpiana giunga a due conclusioni diverse ma coerenti rispetto al punto di vista adottato, ossia rispetto a quelli che, per mera co- modità espositiva e forse con una qualche forzatura, ho chiama- to ‘momento dell’eguaglianza sostanziale’ e ‘momento dell’ine- guaglianza fattuale’. Lo studioso, infatti, guardando al primo momento, sottolinea con vigore la necessità di respingere come razzista ogni concezione tendente a «instaurare discriminazioni fra le diverse famiglie umane in base al colore della pelle o a al- tre differenze esteriori nei costumi, nelle credenze e, in generale, nel modo di concepire il mondo e di porsi in rapporto con esso». Guardando invece al secondo momento, Firpo rifiuta con altret- tanto vigore ogni tentativo di appiattire «su un modello unico» gli esseri umani, i quali devono essere educati alla solidarietà e al rispetto reciproco restando però «il più diversi possibile». In- somma, le singole diversità esistenti tra gli uomini non possono non essere salvaguardate affinché «questa varietà concorde ri- manga, sfugga all’appiattimento, sia feconda di creatività e di soggettivi valori».66

In quarto e ultimo luogo, Firpo prende in esame la rivendica- zione della libertà sociale, vale a dire dell’eguaglianza economi- ca, che è stata compiuta da alcuni pensatori, in primis Marx, sot- to la spinta dei mutamenti provocati dalla rivoluzione industria-

66 Ivi, pp. 189-190. Nell’articolo Una società di eguali può essere libera?,

risalente al 12 dicembre 1976 e scritto in risposta all’amico Norberto Bobbio, Firpo, revocando in dubbio la tesi – avanzata appunto da Bobbio in Quale

socialismo? – che «l’eguaglianza contenga la libertà» e non viceversa, stringe

un vincolo tra l’esistenza delle diversità umane e quella della libertà. Egli os- serva infatti che «l’uniformità soffoca il pluralismo delle culture, le infinite varietà dei modi di esistere, di pensare, di esprimersi, tutto fondando nell’acculturazione di massa, preludio alla eterna Repubblica degli Insetti Fe- lici. Fatti come siamo ora, è solo nel constatarci diversi, nel poter essere di- versi, che ci sentiamo liberi» (L. Firpo, Cattivi pensieria, p. 39). Sul rapporto

di amicizia e collaborazione esistito tra Firpo e Bobbio cfr. A.E. Baldini,

Bobbio, Firpo e una rivista mai nata (1941-1944). Un’amicizia a prova di intrighi accademici, in G. Angelini, M. Tesoro (eds), De amicitia. Scritti de- dicati a Arturo Colombo, Franco Angeli, Milano 2007, pp. 621-635.

le.67 Anche in questo caso, l’autore sviluppa una riflessione in cui convivono preoccupazioni e consapevolezze di segno diver- so, che sono riconducibili in parte alla propria sensibilità politi- ca maturata leggendo, fra le altre cose, gli scritti dell’amato Luigi Einaudi;68 in parte alla propria infanzia povera che, oltre a insegnargli «il valore e il gusto delle cose», gli ha lasciato in dono il ricordo di «quale fosse, in passato, il destino degli “umi- li”, la loro bontà triste, la festosità delle loro piccole gioie, il lo- ro silenzioso servire senza speranza (o speranza che fosse terre- na)»;69 in parte all’idea che non esiste un motivo cogente per cui potere, prestigio ed efficienza «debbano dare anche una maggio- re ricchezza (e semmai, in un mondo governato dal denaro, è la ricchezza a dare prestigio e potere, magari a chi non li meri- ta)».70

Quali sono allora queste preoccupazioni e consapevolezze di segno diverso? Da un lato, Firpo non ignora, anzi, esplicita gli effetti negativi della libera gara di potere fra gli uomini, dovuti al fatto che le differenze di volontà e attitudini «tendono a pre- miare il più forte, il più adatto, il più deciso, magari il più spre- giudicato», andando così a creare «una fortissima sperequazione di risorse e consumi, con schiacciamento dei più deboli a infimi livelli d’indigenza e d’ignoranza».71 Livelli che Firpo giudica del tutto inaccettabili, se è vero – come è vero – che il rifiuto di vivere «in una umiliata infelicità senza speranza» si identifica per lui non con una «temeraria insurrezione degli schiavi», ben- sì con «un’istanza elementare di giustizia, una rivendicazione non più rinunciabile di tutti gli uomini ad una vita degna di chiamarsi umana».72 Dall’altro lato, egli non ha alcuna remora nell’asserire che il desiderio di instaurare tra gli uomini l’egua- glianza economica è foriero di effetti altrettanto negativi:

67 Cfr. L. Firpo, Cattivi pensierib, pp. 162, 188, 190. 68 Cfr. L. Firpo, Ritratti di antenati, pp. 200-206. 69 L. Firpo, Cattivi pensieria, p. 42.

70 Ivi, p. 51.

71 L. Firpo, Cattivi pensierib, p. 191. 72 L. Firpo, Cattivi pensieria, p. 43.

Per contro – scrive infatti Firpo –, se si vuole imporre l’eguaglianza economica, non solo si lascia libero campo a favoritismi e abusi, ma si spegne nel singolo quella che è una delle più preziose virtù sociali: l’impegno continuo per assicurare un avvenire migliore a sé e ai pro- pri cari. Opportunamente regolata, questa spinta egoistica si trasforma in un incremento della ricchezza comune e in una competizione grati- ficante per ciascuno.73

Leggendo questo brano, risulta difficile sfuggire all’impres- sione che Firpo, nel denunciare l’assurdità e la pericolosità del- l’eguaglianza assoluta sul piano economico, si limiti ad avanza- re argomenti che – a onor del vero – ricorrono spesso nella po- lemica dei campioni del liberalismo contro le tradizioni demo- cratica prima e socialista poi, animate entrambe da un vigoroso afflato egualitario. Le parole conclusive del brano, ad esempio, sembrano riproporre alquanto acriticamente una tesi, quella mandevilliana circa il rapporto fra vizi privati e benefici pubbli- ci, che è lungi dall’essere pacifica e continua ipso facto a solle- vare dubbi e perplessità, benché sia diventata un luogo comune di certa pubblicistica liberale. In modo analogo, la soluzione proposta da Firpo al problema dell’ineguaglianza economica, facendo perno sul concetto di pari opportunità, si pone alla con- fluenza della «classica via socialdemocratica»74 e di quella, pa- rimenti classica, della meritocrazia, senza presentare dunque elementi di novità. Essa consiste infatti nell’assicurare

a tutti gli autentici bisognosi un minimo vitale, ai malati un’assistenza efficiente senza dilapidare ogni pubblica risorsa, a tutti i giovani scuo- le severe, selettive, con insegnanti assidui e preparati. Consiste in- somma nell’assicurare a tutti pari opportunità di cimentare volontà e ingegno in una gara non truccata per farsi luce. Nessuno potrà lagnarsi delle diseguaglianze ragionevoli quando a emergere saranno davvero i migliori.75