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49 F Jesi, Cultura di destra, pp 23-24.

50 Ivi, p. 24.

qualificano la cultura di destra, più che per una serie di contenu- ti, come forma di espressione di tipo mitologico.

A Jesi interessano «radici» e «vicende del linguaggio, del- l’iconografia e della cultura mitologica della destra mitteleuro- pea, in rapporto con la sua resa dei conti nel dodicennio nero»:52 tra questi elementi figurano temi filosofici ottocenteschi e le vi- cende degli studi storico-religiosi, inseparabili da pesanti ipote- che metafisico-idealistiche. In modo pionieristico, egli ha anti- cipato nella storiografia la messa a fuoco del rapporto tra politi- ca e studio delle religioni. A cento anni di distanza, la sensazio- ne è che – fuori dalla storiografia specialistica – non sia ancora abbastanza recepito come, da Das Heilige di Rudolph Otto (1917) in poi, lo studio delle religioni e del mito siano sempre più impastati con culture dell’identità, della violenza e della na- zione, tutte destinate a toccare il culmine nella cultura tedesca degli anni Trenta.53

In tal senso la produzione culturale nazista è il risultato estremo e deviato di un processo di lunga durata che va colloca- to alle radici della soggettività moderna, nel momento storico in cui si sviluppano l’antropologia e lo studio dell’antichità come discorsi prodotti da un ordine simbolico generatore di identità mediante l’istituzione e la definizione di alterità.54

La tonalità funeraria che Jesi ha evidenziato nella cultura mitteleuropea testimonia una visione della realtà in cui, in rispo- sta a grandi trasformazione percepite come crisi, un’auspicata coincidenza tra uomo e natura debba realizzarsi attraverso una ricollocazione dell’oggi nel passato mitico: in questo il peculia- re rapporto che la cultura tedesca ha intessuto con la grecità ri- sulta decisivo. Nella sua introduzione a La nascita della trage-

dia di Nietzsche (1980), Jesi scrive: «le parole “speranza” e “in-

52 Ivi, p. 39.

53 Cfr. H. Junginger, The Study of Religion Under the Impact of Fascism,

Leiden, Brill 2008; C.K. Wedemeyer, W. Doniger (eds), Hermeneutics, Poli-

tics, and the History of Religions, Oxford University Press, 2010.

54 P. Lacoue-Labarthe e J.-L. Nancy, Il mito nazi, ed. it. il Melangolo, Ge-

genuità” scandiscono la vicenda genetico-iniziatica delle scien- za del mito e della mitologia nella cultura europea del XIX-XX secolo: prima della Simbolica di Creuzer il saggio di Schiller

Sulla poesia ingenua e sentimentale; dopo di essa le opere di

Bachofen; poi la Nascita della tragedia, e la sua riscrittura re- cente che è il Doctor Faustus di Th. Mann».55 In questo senso la

religio mortis è una concezione che appartiene a una «vicenda

‘mistica’ nel senso tecnico della parola: che è la vicenda del- l’iniziazione della cultura europea, nel XIX e nel XX secolo, a un rapporto configurabile in termini di scienza con il mito e la mitologia, dunque con il presunto motore immobile della mac- china mitologica e con i prodotti di tale macchina»,56 La cultura europea del XX secolo parla la lingua del mito e, tra ingenua nostalgia e astuto controllo sociale, cerca tramite esso un’im- possibile esperienza di reintegrazione.57

Entro la storia delle idee e la sociologia della cultura sono state formulate interpretazioni del fascismo quale specifica for- ma di mitologia, adatta a una modernità in crisi.58 Il mito fasci- sta appare infatti come una risposta alla crisi dello storicismo: la contrapposizione cioè alla convinzione che l’esistente sia total- mente contingente nella sua storicità attraverso la credenza mi- tica in un assoluto metastorico, realizzato nella nazione, nello stato, nel popolo. Il fascismo si è potuto dunque presentare co- me un’era dalla durata eterna, capace di arrestare il flusso del divenire e il dissolvimento dei valori tradizionali portati dalla modernità. In modo più radicale di una semplice ‘tecnicizzazio- ne’, le mitologie moderne appaiono un organon di ordine socio- culturale, in grado di innestarsi sui saperi canonici elaborati dal- le classi dominanti nel lungo periodo, nonché di assolvere in

55 F. Jesi, Introduzione a F. Nietzsche, La nascita della tragedia, in Id.,

Opere 1870-1881, Newton-Compton, Roma 1993, p. 106.

56 Ivi, p. 105.

57 Cfr. C. Ginzburg, Mito. Distanza e menzogna, in Occhiacci di legno,

Feltrinelli, Milano 1998, pp. 40-81.

58 F. Esposito, Mito e fascismi, in G. Leghissa, E. Manera (eds), Filosofie

mutate condizioni storiche la funzione teoretica, pratica e so- cialmente rilevante di fondazione, mantenimento e coesione. Il mito si fa qui nuovo nomos comunitario, tale da legittimare nuove realtà ancorandole a un passato glorioso e proiettandole verso un futuro di dominazione, nel nome di una presunta so- vrastoricità e della continuità del nesso sacro-potere.

Il bisogno di fondamento è stato reso più urgente dalla morte

di dio, nel momento in cui il moderno è connotato dalla consa-

pevolezza dell’«ordine inteso come compito umano»: la ‘sco- perta’ della contingenza ha portato con sé la nostalgia dell’ordi- namento mitico: «la mancanza di una fondazione ultima della realtà veniva avvertita come “uno spaesamento trascendentale” o come la “perdita della patria trascendentale”, ossia come la mancanza di quella “sacra volta” di cui una società ha bisogno». La messa in discussione del progetto di ordine liberale attraver- so la catastrofe della Grande guerra ha aperto la possibilità di una «tabula rasa su cui istituire finalmente un ordine davvero stabile e perfetto»,59 compiendo così nel segno lungo dell’anti- illuminismo il processo che nella rivoluzione conservatrice e nel modernismo reazionario ha realizzato una stretta solidarietà tra mito e fascismo.

3. La «macchina mitologica»: luci dal passato e dal futuro Jesi ha maturato posizioni di critica dell’ideologia intrecciate alla storia dei saperi sul mito, a loro volta mitici, attraverso un modello di analisi culturale dai tratti tavolta eccentrici che, me- diante l’attraversamento dell’ermeneutica e dello strutturalismo, è approdato a uno studio del linguaggio mitologico che ibrida storia delle idee e semiotica.60 Allo studioso interessa il mito come pratica sociale di natura linguistica e cognitiva dotata del valore di fondazione e istituzione comunitaria: e ancora mito

59 Ivi, p. 284.

60 Cfr. E. Manera, Sugli scritti giovanili di Furio Jesi, «Historia religio-

come riordinamento del caos e sostituzione reattiva della con- tingenza con una sovra-storicità che si vuole sacra in quanto do- tata di aura. In questo senso lo studio ‘genealogico’ del potere sacralizzante nell’antico e nel contemporaneo trova nella cultura di destra la prassi socio-semiotica della mimesi di una funzione mitica di ri-ordinamento e di ri-fondazione di una comunità.

Come si è visto, in Jesi gli studi sul sacro, sul mito e sul sim- bolo risultano strettamente imparentati con processi culturali identitari, inseparabili dai nazionalismi otto-novecenteschi e connotati dalla presenza di pregiudizi culturali razzisti radicati nei saperi antichisti e orientalisti. Al centro di questa complessa teoria della cultura si colloca l’elaborazione della macchina mi-

tologica.61

Dopo la dicotomia tra mito genuino e tecnicizzato, la cassetta degli attrezzi si arricchisce di questo più sofisticato congegno, generato da una riflessione epistemologica sui saperi che hanno costruito e utilizzato il mito del mito. La «macchina mitologica» può essere descritta come il «dispositivo» risultante dall’«in- crocio di relazioni di potere e relazioni di sapere»62 che fabbrica mitologie, forme di conoscenza che si auto-pongono come vere in quanto rinviano allo statuto di miticità: testi e documenti in genere, ma anche immagini, monumenti, luoghi, archivi. Si trat- ta in generale di ogni traccia riconducibile alla circolazione che Jesi definisce «linguistica» (per sottolinearne la natura sociale, empirica e comunicativa) che la macchina produce e alimenta fino a coincidere con la metacinetica del processo di produzio- ne-ricezione-elaborazione di un dato.

«Materiali mitologici» sono forme di conoscenza condivise e altamente significative in cui rientrano, oltre ai racconti di storia sacra in senso stretto, opere letterarie, pratiche sociali e comuni-

61 Non è possibile qui soffermarsi sulla coestensività nel Novecento tra

mito politico e propaganda commerciale, sulla religione del capitalismo e sull’industria culturale tale da trasformare la politica in spettacolo: cfr. F. Jesi,

Cultura di destra, pp. 155-178.

cative, saperi diffusi in un’epoca, teorie del sacro e della mito- logia: dotati di uno sfondo ineludibile e ideologicamente deter- minato – iper-politico – questi sono gli ambiti nei quali il mito- logo/storico della cultura rintraccia i relativi processi mitopoie-

tici, ovvero l’operatività della «macchina mitologica».

In tal senso il discorso mitologico è rilevante nella sfera della prassi: una narrazione, nelle fasi che vanno dalla genesi alla cir- colazione, pertiene alla dimensione comunicativa sulla base del- la capacità di costruire la realtà mediante l’elemento immagina- rio. I materiali mitologici risultano il frutto di processi materiali e impersonali – quali quelli di una macchina – che producono senso, appartenenze e distinzioni collettive, funzionando come efficace strumento di meta-comunicazione. «Il fatto mitologico – scrive Jesi – è un periodo e un ambito spaziale determinati di funzionamento della macchina mitologica, e coinvolge un certo numero di uomini: coloro che narrano, coloro che le ascoltano, coloro che vi identificano modelli di comportamento».63

Quando un processo mitodinamico viene intensificato per ot- tenere effetti concreti di azione politica (come ad esempio il mi- to dello sciopero generale, della razza, della romanità) questo può essere definito ‘tecnicizzazione’, grado massimo di un pro-

cesso elementare relativo a ogni cultura e momento storico,64

tale da mettere in dubbio l’idea di ‘autenticità’ se non come polo ideale opposto.

La «macchina mitologica» è presentata come una «immagine [...] per definire la forma di un congegno che produce forme di