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DO IT YOURSELF E WEB 2

2.1 Che cos'è il “Do It Yourself”.

Il “Do It Yourself”, spesso abbreviato in “DIY”, indica generalmente il “Fai Da Te” (o “Bricolage”), ovvero tutte quelle piccole o grandi attività manuali che le persone svolgono per hobby e per soddisfazione personale. Basti pensare, ad esempio, alla falegnameria, al giardinaggio, all'impiantistica (come la riparazione dell'impianto elettrico di casa, piuttosto che la manutenzione di quello idraulico) o alla creazione manuale di piccoli oggetti; tutte attività per le quali, solitamente, ci si rivolge a dei professionisti ma che con adeguati mezzi e conoscenze possono essere svolte in proprio. La concezione di “Do It Yourself” che interessa a noi, però, è un DIY di natura più etica, che ha visto la luce negli anni '70-'80 grazie a diverse culture underground, tra cui principalmente il “punk”, ed è stato poi ereditato da altre sottoculture, come quella ecologista e vegetariana, quella dei “ravers” e quella legata alla musica elettronica. Nel libro “DIY: The Rise of Lo-FI Culture”, la scrittrice Amy Spencer ne dà un'ottima definizione:

“Il movimento DIY riguarda l'uso di tutto ciò sul quale tu possa mettere le

mani, per modellare la tua propria entità culturale: la tua versione di qualsiasi cosa tu creda manchi alla cultura mainstream. Puoi produrre la tua zine, registrare un album, pubblicare un tuo libro; il messaggio di questo movimento è che chiunque può essere un artista o un creatore. Il punto è essere coinvolti”.32

In effetti, agli albori del movimento, quand'era ancora legato unicamente alla musica ed alla sottocultura punk, chi ne faceva parte lottava per creare un mercato musicale, ma anche culturale, completamente indipendente dal mainstream e dai grandi mezzi di diffusione e comunicazione: nascevano numerose etichette indipendenti (tra cui la storica “Crass Records”, in Inghilterra, creata dalla band anarchopunk dei “Crass”,

32 Amy Spencer, DIY: The Rise of Lo-fi Culture, Marion Boyars Publishers, Ltd., Londra, 2005, ISBN 9780714531052 (traduzione mia)

oppure la “SOA Records”, di Roma, e la “F.O.A.D. Records”, di Torino), che ripudiavano il coinvolgimento con le major, i dischi venivano registrati artigianalmente, spesso anche a scapito della qualità, e distribuiti via posta o direttamente ai concerti. I generi prodotti, allora, erano principalmente il punk hardcore ed il punk rock, entrambi fortemente politicizzati. Oltre al puro mercato musicale, era molto fervido anche quello delle “fanzine”, ovvero magazine autoprodotti che cercavano di informare gli appassionati sulle ultime novità della scena punk, sulle uscite dei dischi e sugli ideali che li accompagnavano. Anche il merchandising, come le magliette, le toppe e le spille, venivano disegnati e prodotti in proprio. Questo modo di fare le cose, all'interno della cosiddetta “scena punk” sopravvive tutt'ora, pur rimanendo di nicchia; esiste, infatti, ancora un forte rifiuto nei confronti delle major e delle etichette discografiche in genere, così come continuano ad esistere l'amore per l'autoproduzione e la coproduzione ed un buon fermento per quanto riguarda l'attività delle etichette indipendenti e la produzione e diffusione delle fanzine. Si svolgono anche diversi concerti ed eventi legati al mondo del “Do It Yourself”, come ad esempio il “DIY Festival” di Torino o l'”Anti Mtv Day” di Bologna, entrambi con cadenza annuale. Inoltre, nell'intero movimento si sono diffusi sempre di più la consapevolezza ed il rifiuto del copyright, come naturale evoluzione dell'autoproduzione e del rifiuto delle logiche di mercato.

Negli ultimi anni, quest'attitudine ha contagiato anche il mondo dell'informatica, probabilmente grazie alle contaminazioni che la cultura degli “hacker” e dei “geek” ha subito dai movimenti citati in precedenza: per merito delle nuove tecnologie a larga diffusione ed a basso prezzo, il mondo dell'elettronica e dei computer è diventato la nuova frontiera del movimento DIY, ed è stato scelto come mezzo principale per la produzione e la trasmissione di diverse forme di materiale, da quello artistico a quello informativo. Queste nuove tecnologie sono rappresentate, principalmente, dalla diffusione capillare di Internet a banda larga, dalla nuova concezione del web chiamato “Web 2.0” e degli strumenti che questa mette a disposizione, soprattutto i “social

network” di varia natura, ma anche i “blog” o i “CMS” (“Content Management

System”), ormai molto semplici da costruire ed amministrare, grazie a software come

“Wordpress”, “Joomla” o “Drupal” ed a servizi a loro dedicati. Un ruolo fondamentale è svolto anche dalle apparecchiature audio-video, come videocamere, fotocamere e

attrezzature per la registrazione audio, il cui prezzo è sceso esponenzialmente negli ultimi anni, pur mantenendo degli altri livelli qualitativi; a queste vanno affiancati i sempre più moderni software per la creazione e la manipolazione multimediale, anch'essi sempre più a buon mercato, o addirittura gratuiti, e sempre più facili da usare. Grazie a queste innovazioni, il “Do It Yourself” è diventato, quasi inconsapevolmente, un fenomeno di massa ed i suoi strumenti si sono trasformati: le fanzine hanno ceduto il passo alle webzine, create coi già citati “CMS”, o a semplici blog; alla distribuzione “sotterranea” dei materiali prodotti si è affiancata la vendita via internet, su siti dedicati come “eBay” o in maniera indipendente, usando Internet per pubblicare i contatti, mostrare i cataloghi e comunicare con gli acquirenti; la diffusione della musica lontana dai canali ufficiali è stata potenziata su scala mondiale grazie ai “social network” dedicati, come “MySpace”, “Last.FM” o “Pure Volume”, ed i dischi vengono fatti circolare anche sulle reti peer-to-peer, per assicurarne la diffusione al maggior numero possibile di appassionati; infine, i “social network” specializzati nella condivisione dei video (o “video-sharing”), come “YouTube” o “Vimeo” sono diventati il media preferito per la trasmissione di tutto il materiale filmato, dai videoclip alle interviste, senza tralasciare le produzioni artistiche.