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Gli intellettuali e il potere

2.2 Chruščëv e gli intellettuali: anni '

Il cambiamento arrivò con la morte di Stalin e soprattutto con l'avvento al potere di Chruščëv e la rivoluzione epocale del XX Congresso. Chruščëv aveva bisogno di supporto per la sua politica di modernizzazione, e l'unica forza sociale che potesse garantirgli un appoggio forte ed influente – a parte quella porzione di partito (inizialmente minoritaria) che aveva in odio il periodo di Stalin – era proprio la comunità intellettuale (operai e contadini, per quanto favorevoli alle innovazioni, fondamentalmente non avevano voce in capitolo). Fin da subito Chruščëv ridusse la censura, permettendo la pubblicazione di diversi lavori innovativi in campo letterario e scientifico; le scienze naturali e sociali vennero sottratte alle interferenze del controllo politico, venne addirittura permessa una certa libertà di movimento e la possibilità (ovviamente limitata) di mantenere contatti e relazioni con i colleghi stranieri. I miglioramenti furono quindi sensibili e pressochè immediati, nonostante Chruščëv mantenesse un atteggiamento altalenante e

non di rado ostile nei confronti degli intellettuali, come dimostrato dai suoi comportamenti sprezzanti (se non addirittura volgari) nel corso di vari incontri con artisti e scienziati, dalla sua plateale avversione per la pittura astratta e per alcuni scrittori come Dudincev74, Grossman75 e Pasternak, o

dal taglio anti-intellettuale di alcune riforme come quella dell'educazione. Sulle prime, l'intelligencija restò molto diffidente e non mostrò particolari aperture verso il nuovo corso politico: troppo vivi erano ancora il ricordo e la paura delle persecuzioni dell'era di Stalin, soprattutto tra gli intellettuali di vecchia generazione (Anna Achmatova non osò pubblicare il suo poema “Requiem”76 – incentrato appunto sul Grande Terrore – se non 10 anni dopo

la morte di Stalin). Quando nel 1957 durante un incontro Chruščëv esplose contro gli intellettuali che non si allineavano alla linea del partito minacciandoli di morte, molti furono quelli che lo presero alla lettera.77 La

paura fu il sentimento predominante fra artisti e scienziati praticamente fino alla dissoluzione dell'URSS: come ha scritto Shlapentokh, “for three decades after Stalin's death, Soviet intellectuals [...] were unable to shake

74 Vladimir Dudincev, già saggista alla Komsomolskaja Pravda, pubblicò nel 1956 Non di

solo pane, che diventò subito un caso letterario e uno scandalo politico. Criticato dal Partito

Comunista, fu costretto al silenzio e pubblicò successivamente solo Storia di Capodanno nel 1960 e Camici bianchi nell'88.

75 Di famiglia ebrea, Vasilij S. Grossman fu corrispondente al fronte e dedicò gran parte della sua opera al tema della guerra. Entrato in dissidio con il regime a causa della campagna antisemita condotta tra il '49 e il '53, cadde in disgrazia e si vide sequestrati tutti i manoscritti dei suoi lavori, che vennero pubblicati postumi solo dopo il 1970.

76 Anna A. Achmatova cominciò a pubblicare negli anni '10 e divenne immediatamente popolarissima, ma dopo la fucilazione del marito nel 1921 interruppe la sua attività fino alla fine degli anni '30. Espulsa nel '46 dall'Unione degli Scrittori Sovietici con l'accusa di estetismo e disimpegno politico, fu riabilitata nel 1955. Il poema Requiem venne iniziato nel 1935 e continuamente rilavorato fino alla sua pubblicazione nel 1963, ed è frutto dell'esperienza dei diciassette mesi durante i quali quasi ogni mattina la Achmatova si recava presso le carceri di Leningrado per avere notizie del figlio, imprigionato durante le purghe stalianiane.

their mortal fear of the authorities”.78 Questo spesso portò ad un

appiattimento delle capacità critiche degli intellettuali (vedi l'esempio di Tvardovskij, che interruppe le relazioni con i suoi famigliari incolpati di essere dei kulaki ai tempi della collettivizzazione), anche se non mancarono esempi di coerenza ed alta moralità, come la Achmatova stessa, Pasternak, che regolarmente spediva cibo ai suoi amici internati nei gulag (un atto allora impensabile), o Platonov, che continuò a scrivere le sue novelle nonostante fossero continuamente rigettate come anti-sovietiche e morì in miseria.

Tuttavia, il terrore cieco degli anni di Stalin cominciò a sfumare: divenne presto chiaro che la scontentezza delle autorità non si sarebbe più tradotta in vere e proprie persecuzioni, ma in altre forme, più subdole ma meno letali (ad esempio bloccando le promozioni, i privilegi o le pubblicazioni, o vietando i viaggi all'estero). Gli intellettuali costituivano pur sempre una forza sociale indipendente, i cui interessi erano spesso in contrasto con quelli della élite politica. Già prima del XX Congresso del Partito cominciarono ad apparire le prime timide voci critiche, come il romanzo di Erenburg del 1954 “Il disgelo” (il primo tentativo di liberarsi del dogmatismo artistico del realismo socialista, tanto che il titolo del libro passò ad indicare, per antonomasia, il periodo stesso della destalinizzazione); o gli articoli di Pomerancev e Fëdor Abramov. Un ulteriore passo in avanti si ebbe nel 1956 con la pubblicazione sulla rivista

Novyj Mir del romanzo “Non di solo pane” di Dudincev, la cui descrizione

di una burocrazia sovietica distaccata dagli interessi comuni diede il via ad una critica più diretta e soprattutto suscitò numerose discussioni tra gli

78 Vladimir Shlapentokh, Soviet Intellectuals and Political Power: the Post-Stalin Era, cit., pag. 46.

intellettuali (in particolare un discorso pubblico di Paustovskij, dove si argomentava che la società sovietica era in realtà divisa in classi privilegiate e no79), che avrebbero poi dato il via ai primi samizdat.80

Non meno importanti in questo nuovo spirito di liberalismo furono le rappresentazioni teatrali e soprattutto i film, come per esempio “Delo Rumjanceva” di Chejfic Josif (1955), dove per la prima volta un accusatore viene mostrato come il vile persecutore di una persona onesta, il lirico “Quando volano le cicogne” di Michail Kalatozov (1957), espressione di un nuovo cinema ”poetico”, anticonvenzionale nella sua implicita accusa al formalismo, “Nove giorni in un anno” di Michail Romm (1962), una delle prime opere sulla responsabilità morali degli intellettuali e degli scienziati, e il documentario “Fascismo quotidiano” (1965), sempre di Romm, una riflessione sull'esistenza quotidiana sotto il nazismo con forti allusioni alla vuota retorica monumentale propria di tutte le dittature.

Ancora più importanti furono le discussioni, sia pubbliche che private, che tutte queste opere suscitarono presso il pubblico – dibattiti che il più delle volte riguardavano le implicazioni critiche e politiche di quelle opere, che ne

79 Ibid., pag. 108.

80 Nel suo “Soviet Intellectuals and Political Power”, Vladimir Slapentokh individua quattro livelli principali nelle forme di critica ed opposizione al regime: le critiche individuali al sistema (“mild legal critique”); le attività di intellettuali facenti parte di organizzazioni (spesso informali) sotto un blando controllo da parte del potere (“semilegal activity”); le attività di organizzazioni informali al di fuori del controllo del potere, così come gesti individuali di sfida al KGB o contatti con l'Occidente (“mild illegal activities”); le attività delle organizzazione di dissidenti e i contatti collettivi con l'Occidente (“strong illegal activity”). Esempi di una opposizione legale potevano essere ad esempio la pubblicazione di materiale blandamente critico, o discussioni in occasioni di conferenze e convegni, o seminari dal taglio dissidente (atti che comunque si accompagnavano sempre a dimostrazioni di lealtà al regime, come nel caso di Erenburg e Tvardoski), che furono tipici degli anni '50. Esempi di un'opposizione più marcatamente illegale, che si trovano solo dalla fine degli anni '50 e soprattutto negli anni '60, potevano essere invece contatti non autorizzati con il pubblico internazionale, la produzione non autorizzata di libri o giornali, la partecipazione a dimostrazioni apertamente contro la politica del tempo o la pubblicazione di materiale proibito all'estero. Ibid., pag. 79 e successive.

accrescevano la popolarità ben al di là dei confini dell'URSS e spesso proseguivano anche in Occidente. Se ai tempi di Stalin persino tra gli amici più stretti si evitava di discutere di opinioni divergenti dalla politica ufficiale, a partire dal '53 (e ancora più marcatamente dal '56) le conversazioni si fecero più libere, e i canali privati divennero il principale mezzo di comunicazione e veicolo di idee fra gli intellettuali – fino ad arrivare a una vera e propria esplosione del dibattito politico negli anni '60, con lo sviluppo dei samizdat, dei viaggi all'estero, dell'ascolto delle radio straniere e l'avvento del tema dei gulag in letteratura.