Il cinema del disgelo
3.2 Rivoluzione tematica e stilistica
3.2.2 La “nuova sincerità”: l'irrompere della quotidianità
Con il XX Congresso, il tema dello smascheramento – che aleggiava già nella società e nel cinema di quegli anni (anche i film di revisione storica si possono sostanzialmente far rientrare in questo ambito tematico) – ricevette la sua forma più compiuta e plateale. La grande utopia del socialismo continuava a sussistere, ma il sistema di riferimento era completamente cambiato e i vecchi valori erano stati profondamente sovvertiti. I cineasti continuavano a vedere nell'arte un mezzo per la riforma della società nella prospettiva del socialismo, e la sua politicizzazione come una necessità fondamentale; era però necessario ridefinire i valori di riferimento. Ecco allora che il tema dello smascheramento lascia il posto ad una nuova parola d'ordine: “sincerità”.101
La sincerità, intesa come attenzione al quotidiano e alla vita comune, ma anche come verità di sentimenti, è probabilmente il maggior segno distintivo dell'arte e del cinema del disgelo. Già nei film d'attualità della metà degli anni '50 si cominciano ad emancipare le figure degli operai dall'idealizzazione della cultura stalinista e a ripudiare la coralità trionfalistica dei film postbellici: appaiono film come “Bal'šaja sem'ja” (Una grande famiglia) di Iosif Chejfic (1954), ritratto forse ancora un po' rigido ma di certo non più artificioso di una famiglia operaia, ripresa nella
101 Oksana Bulgakowa, op. cit., pag. 728-733. Sul tema della “nuova sincerità” del cinema sovietico nel decennio successivo alla morte di Stalin vedi anche Michail Trofimenkov, op.
dimensione privata dei piccoli gesti e delle parole semplici; o “Urok žizni” (Lezione di vita) di Julij Rajzman (1955), incentrato non sui problemi di produzione ma sui momenti quotidiani del matrimonio dell'ingegnere capo, dalle scene d'amore ai litigi. Amore, adulterio, famiglia ed educazione dei figli, che prima erano tematiche secondarie asservite alle grandi problematiche sociali o produttive, diventano ora i temi principali: l'uomo sovietico diventa prima di tutto uomo privato.
La ricerca di “verità” nell'arte si traduce poi in uno stile quasi documentaristico di osservazione di fatti non eccezionali, di cose famigliari e prosaiche; i vestiti, le abitazioni, i personaggi appaiono ora miseri e trasandati, lontani anni luce dagli attori perfettamente truccati e dagli interni spaziosi dei film dei primi anni '50. La luce usata per le riprese è quella naturale, si prediligono gli attori dilettanti e l'uso del bianco e nero al posto del colore, e i dialoghi sono spesso rozzi e sgrammaticati: si cerca insomma di dare allo spettatore una rappresentazione diretta della realtà privata, non mediata dalla presenza della cinepresa102. L'esempio forse più famoso è il
film “La casa dove abito” di Jakov Seg'el e Lev Kulidžanov (1957), dove si descrive la vita quotidiana di un uomo medio che abita in un appartamento comunale alla periferia di Mosca: la guerra qui viene appena accennata solo come fonte di deprivazione materiale, e non certo con scene di battaglia o azioni eroiche. “Delo Rumjanceva” di Josif Chejfic (1956) aggiorna invece i canoni del genere criminale ai nuovi tempi: un autista deve provare la sua
102 Questa tendenza ad uno stile documentaristico riflette una più ampia tendenza a livello internazionale tipica di quegli anni, che va dalla Nouvelle Vague francese al Free Cinema inglese e che fu teorizzata negli scritti di Bazin (pubblicati nel 1958) e di Kracauer (1960). Non è un caso che uno dei primi saggi di critica russa su film stranieri fosse incentrato sul neorealismo italiano (“Ital'janski neorealizm 1945-1960” di Inna Solov'eva, 1961), il movimento che prima di tutti gli altri mise in pratica queste teorie. Cfr. Oksana Bulgakowa,
innocenza in un delitto e, aiutato da un giudice (che raccoglie prove a suo favore e non contro come accadeva solitamente nella realtà sovietica), riesce a farsi scagionare. Mettendo in scena una storia semplice dalla moralità immediata, il film dà voce ad una rinnovata fiducia nella possibilità per la gente comune di vivere con giustizia la propria semplice vita e realizzare le proprie aspirazioni.
La “nuova sincerità” del cinema di questi anni si traduce anche in una scelta diversa delle riduzioni dei classici portati sullo schermo. Analogamente a quanto già visto in letteratura, si riscoprono autori classici prima proibiti come Dostoevskij (Ivan Pyr'ev porta sulla schermo “L'idiota” nel 1958, “Le notti bianche” nel 1960, “I fratelli Karamazov” nel 1968) e soprattutto Čechov (ben 57 adattamenti in questi anni), di cui si adattano non più i vaudevilles come nei primi anni '50, ma le amare storie di adulterio, come nel mirabile “La signora con il cagnolino” di Josif Chejfic, del 1960.103
Tuttavia, se questi nuovi film di stampo documentaristico ricevevano il plauso della critica internazionale e giravano per i festival, i gusti delle masse andavano in tutt'altra direzione. I grandi successi di quegli anni in URSS erano altri – in particolare i film di genere, come il melodramma fantascientifico “Čelovek-amfibija” (L'uomo anfibio) di Terentëv e Nemčenko del 1962, record assoluto di incassi (65,5 milioni di spettatori104)
e stroncato dalla critica che lo giudicava kitsch; o commedie disimpegnate come “Devuška bez adresa” (La ragazza senza indirizzo, 1957), una commedia degli equivoci, e “Karneval'naja noč” (La notte di capodanno) del 1956 (entrambe di El'dar Rjazanov), un film dove i numeri musicali si alternano ai toni satirici che mettono in ridicolo il linguaggio dei burocrati.
103 Michail Trofimenkov, op. cit., pag. 1144-1145. 104 Oksana Bulgakowa, op. cit., pag 735.
“L'infanzia di Ivan”, Leone d'Oro al Festival di Venezia, una delle massime riuscite artistiche di quegli anni e maggior successo commerciale di Tarkovskij in patria, incassò invece un quarto del coevo “Čelovek amfibija”. Il cinema più avanzato culturalmente aveva molto più riscontro all'estero che in patria: per questo Brežnev, una volta avviato il nuovo corso, non incontrò particolari difficoltà a soffocare il rinnovamento artistico del cinema sovietico, che nel frattempo stava arrivando a piena maturità.