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Ciò che Melville cattura con la sua sentenza è dunque l'entropia di un pro-

Nel documento S EMANTICHE DELL ’I MPERO (pagine 145-200)

cesso storico in cui la necessità si è mascherata per meglio trionfare sul pro-prio avversario. Ciò che Melville preconizza con “The Bell-Tower” è la fine imminente degli Stati Uniti, non in quanto Unione, ma in quanto progetto politico fondato sulla libertà.*

* Che alla fine tale conclusione non sia giunta, e che gli Stati Uniti siano poi diventati una democrazia liberale pienamente espressa, ci permette delle considerazioni ulteriori da mettere al margine del testo melvilliano. Nel 1855, Melville non poteva prevedere l'esito di una guerra non ancora inizia-ta, e il fatto che ci sarebbero voluti altri cento anni per realizzare a pieno l'e-mancipazione degli schiavi ottenuta con quella guerra. La sentenza di Mel-ville mappa epigrammaticamente l'intimo difetto che portò a quella defla-grazione, ossia la contraddittorietà irrisolvibile del discorso politico america-no dei padri fondatori. A causare la guerra america-non fu direttamente il desiderio d'abolire la schiavitù ma la sua espansione a occidente e quell'espansione portò alla superficie l'orrore di quel peccato d'origine. È difficile comunque dire – e questo a prescindere dall'abilità letteraria di Melville – se a celare l'orrore fu inizialmente una copertura ideologica o se non si trattò invece di qualcosa di più complicato. Personalmente propendo per la seconda ipotesi, malgrado sia ammaliato dall'abilità di Melville nel comprimere un'intera vi-sione della storia in una sola sentenza. Jefferson era perfettamente conscio del problema e fu uno dei primi a capire che l'Unione si sarebbe sfasciata a-vanzando nei territori occidentali da lui acquistati per fornire agli Stati Uniti un impero per la libertà. In una lettera indirizzata a John Holmes in 22 aprile 1820, Jefferson pare del tutto convinto che se anche venisse trovato un com-promesso alla questione del Missouri quel comcom-promesso non avrebbe co-munque retto a lungo.

zione di Indipendenza e sul pensiero di chi pose la prima stesura, Allen Jayne, Jefferson’s

De-claration of Independence: Origins, Philosophy, and Theology, The University Press of

Ken-tucky, Lexinton 1997. Il primo a parlare di eterogenesi dei fini fu lo psicologo sperimentale Wilhelm Wundt (1832-1920). All’idea del ricorso storico è dedicato il quinto libro de La

Scienza nuova di Gianbattista Vico. Non vi è motivo di ritenere che Melville non conoscesse

il principio dialettico alla radice del pensiero di G.W.F. Hegel. Nei suoi taccuini si legge che durante una traversata atlantica “we talked metaphysics continually, & Hegel, Schleghel, Kant & c. were discussed under the influente of the wiskey.” Howard C. Horsford and Lynn Horth (a cura di), The Writings of Herman Melville: Journals, Northwestern University Press, Evanston and Chicago 1989, 8. Il tema della maschera è uno dei principali temi della poetica melvilliana. Una acuta indagine sul collegamento fra le condizioni materiali della scrittura di Melville e il tema della maschera si trova in Elizabeth Ranger, Strike Through the Mask:

I thank you, dear Sir, for the copy you have been so kind as to send me of the letter to your constituents on the Missouri question. It is a perfect justi-fication to them. I had for a long time ceased to read newspapers, or pay any attention to public affairs, confident they were in good hands, and content to be a passenger in our bark to the shore from which I am not distant. But this momentous question, like a fire bell in the night, awakened and filled me with terror. I considered it at once as the knell of the Union.

Fu forse da questa lettera che Jefferson prese l'idea di rappresentare la caduta della nazione americana attraverso l'allegoria della rovina di una torre campanaria-allegoria dall'eco ancora più forte visto che a segnalare l'avvenu-ta ratifica della Dichiarazione d'Indipendenza il 4 luglio 1776 fu una campa-na desticampa-nata a incricampa-narsi con il tempo, la Liberty Bell. Risulta comunque evi-dente come Jefferson non nascondesse né a se stesso né agli altri la fonda-mentale gravità del problema. Ecco come prosegue la lettera:

It is hushed, indeed, for the moment. But this is a reprieve only, not a final sentence. A geographical line, coinciding with a marked principle, moral and political, once conceived and held up to the angry passions of men, will never be obliterated; and every new irritation will mark it deeper and deeper. I can say, with conscious truth, that there is not a man on earth who would sacrifice more than I would to relieve us from this heavy re-proach, in any practicable way6.

Ciò che a Jefferson pareva mancare non era dunque la coscienza del problema, ma la forza intellettuale di giungere a un progetto politico che po-tesse risolverlo sul piano pratico. Fu dunque oltremodo ironico che quando il 6 luglio 1854 fu fondato il partito che avrebbe portato alla soppressione della schiavitù lo si chiamò Repubblicano in onore di quel Democratic-Republican Party fondato da Thomas Jefferson nel 1792.

Un altra considerazione da mettere al margine del testo melvilliano ri-guarda la tanto dibattuta questione di che cosa siano gli Stati Uniti, se una repubblica o un impero. Melville gioca con il discorso pubblico del periodo pre-bellico per descrivere gli Stati Uniti come un 'impero per la libertà', un impero che si nasconde dietro un manto repubblicano. La sentenza esamina-ta in queste pagine ci consente di precisare un aspetto di questo discorso. Per quanto siano nati da un disegno programmaticamente anti-imperiale, gli Sta-ti UniSta-ti hanno finito per decuplicare in meno di un secolo la loro estensione

6 Merrill D. Peterson (a cura di), Thomas Jefferson: Lettera, 1743-1826, Literary Classics of the United States, New York 1984, p. 1434.

territoriale divenendo una selle superpotenze planetarie. Il paradosso melvi-liano pare dire come dietro la maschera dei diritti dell'umanità si celi la forza oscura del dominio dell'uomo sull'uomo. Ma per questo non occorre essere un impero, come ben sappiamo.

T ’ : ’

DELLA SATIRA IN DUE NOVELLE DEL PERIODO DELL

OCCUPAZIONE

GIAPPONESE

Nel 1895 la Cina, uscita sconfitta dalla guerra sino-giapponese, cedette al Giappone l’isola di Taiwan: questo territorio, che costituì la prima acqui-sizione coloniale giapponese, rimase parte integrante dell’impero nipponico fino al 1945, cioè alla fine della II guerra mondiale. Il duro impatto della co-lonizzazione si fece sentire a livello militare, politico, sociale, ed ebbe anche conseguenze sul piano letterario: da un lato, infatti, la dominazione straniera evidenziò una tendenza alla resistenza contro la colonizzazione anche nelle opere letterarie, dall’altro lato proprio gli stretti contatti culturali con il paese asiatico più avanzato del tempo stimolarono il rinnovamento letterario e il passaggio a una letteratura moderna, che si concretizzò nel Movimento per una nuova letteratura di Taiwan sviluppatosi tra il 1920 e il 19451.

Nella difficile situazione della dominazione straniera, la letteratura a Taiwan fece uso di vari “linguaggi” per porsi in relazione con l’impero nip-ponico. Tra questi “linguaggi” quello del realismo fu tra i più diffusi e senza dubbio quello che più ha attirato l’attenzione di storici e critici letterari: prendendo in esame il genere letterario più diffuso, vale a dire quello della narrativa breve, a partire dagli anni ‘20, cioè dopo l’inizio a Taiwan del mo-vimento di rinnovamento della letteratura, possiamo notare come molte ope-re si concentrino sulle critiche ai lati oscuri della vecchia società tradizionale, ancora assai presenti nella vita del tempo (dalla condizione femminile ai ma-trimoni combinati, alle credenze superstiziose); lo scontro tra la vecchia e la nuova società in quegli anni, fu accompagnato però anche da nuovi proble-mi, sui quali molte altre opere si concentrano (ne è un esempio il tema dello sfruttamento delle classi sociali più deboli): non sempre si trattava di mali sociali direttamente causati dalla colonizzazione, anzi va notato come molti intellettuali tentarono una lettura più aperta di questioni sociali che

1 Per una presentazione del movimento per una nuova letteratura di Taiwan si veda F. Passi, Il

movimento per una nuova letteratura di Taiwan: lo sviluppo del ‘4 maggio’ taiwanese, le in-fluenze e le peculiarità, in “Annali di Ca’ Foscari”, Serie Orientale 30, XXXVIII, 3, 1999, pp.

vano i colonizzati quanto i colonizzatori2. Il linguaggio realista si espresse anche nella denuncia del sistema coloniale giapponese e delle ingiustizie su cui si fondava, come le discriminazioni economiche nei confronti dei taiwa-nesi3 o lo strapotere della polizia giapponese4. Questo fu possibile soprattut-to negli anni ‘20 e nella prima metà degli anni ‘30, ossia nella fase più libera-le della presenza colonialibera-le giapponese sull’isola, ma divenne assai arduo dalla seconda metà degli anni ‘30, a causa dell’irrigidirsi della censura du-rante la seconda guerra mondiale.

Altri “linguaggi” di una certa rilevanza utilizzati nelle opere narrative furono quelli della satira e dell’ironia, sui quali mi soffermerò proponendo la rilettura di due racconti, entrambi pubblicati nell’ultimo decennio della do-minazione giapponese, più o meno coincidente con gli anni della guerra, quando più forte si fece sentire il peso e il vincolo della censura.

Per quanto concerne la satira, nelle opere degli anni dell’occupazione essa venne spesso indirizzata agli aspetti caratteriali più negativi dei taiwane-si, esemplificati dall’avidità e dall’adulazione nei confronti dei colonizzatori; in effetti la tendenza a rinnegare la propria cultura e identità diventando lac-chè dei giapponesi con l’intento di ottenere vantaggi personali, divenne evi-dente soprattutto negli anni della seconda guerra mondiale: a quel tempo venne infatti lanciato dalle autorità coloniali il programma dell’assimilazione forzata, che prevedeva vantaggi economici per le famiglie che

2 Si consideri ad esempio la novella Songbaofu 送報伕 (Il ragazzo dei giornali) pubblicata nel 1934 in lingua giapponese da Yang Kui 楊逵 (1905-1985). L’opera, basata sulle esperienze autobiografiche dell’autore in Giappone, narra della difficile vita di un giovane taiwanese alla ricerca di un lavoro a Tokyo, in un contesto economico capitalistico che tendeva allo sfrutta-mento delle classi sociali più deboli, senza alcuna distinzione di nazionalità: Yang offrì pertan-to una interpretazione del problema che andava ben oltre la questione coloniale taiwanese. Una traduzione cinese della novella è presente in Riju shidai Taiwan xiaoshuoxuan 日據時 代臺灣小說選 (A Collection of Taiwanese Fiction during the Japanese Occupation), Qian-wei chubanshe, Taibei 1992 (rist. 1996). Il racconto è disponibile anche nella traduzione in-glese di Rosemary Haddon, intitolata Paperboy, in “Renditions”, 43, 1995, pp. 25-58. Si veda il commento di Yen Yuan-shu al racconto in The Japan Experience in Taiwanese Fiction, in “Tamkang Review, vol. IV, ottobre 1973, n. 2, pp. 167-188.

3 Si veda per vari esempi di racconti incentrati su queste tematiche Xu Junya許俊雅, Riju shiqi Taiwan xiaoshuo yanjiu 日據時期臺灣小說研究 (Research on Taiwanese Fiction

du-ring the Japanese Occupation), Wenshizhe chubanshe, Taibei 1996, pp. 408-417.

4 La novella più nota su questo tema è Yi gan chengzi 一幹秤仔 (La stadera) pubblicata da Lai He 賴和 nel 1926. Di questa novella è disponibile anche una traduzione inglese dal titolo

The Steelyard inclusa in The Unbroken Chain – An Anthology of Taiwan Fiction since 1926,

a cura di J.S.M. Lau, Indiana University Press, Bloomington 1983, pp. 3-11. Per altri esempi si vedaXu, op. cit., pp. 418-423.

no uno stile di vita interamente nipponico adottando la lingua giapponese perfino tra le mura domestiche.

Un esempio interessante di racconto satirico incentrato su questo tema è rappresentato da Xiansheng ma 先生媽 (La madre del dottore) di Wu Zhuoliu 吴濁流 (1900-1976)5. Il racconto fu scritto nel 1945 in lingua giap-ponese: va ricordato che, dopo una fase in cui sulle pagine delle riviste lette-rarie si consentiva il bilinguismo, dal 1937 il giapponese era stato ormai im-posto alla produzione letteraria; d’altra parte lo stesso Wu, come molti altri suoi coetanei educati interamente secondo il sistema scolastico nipponico, in quegli anni trovava naturale comporre le proprie opere in lingua giappone-se6.

Nel racconto preso in esame, due personaggi, il medico Qian Xinfa e sua madre, vengono messi a contrasto. Questo contrasto costituisce l’ossatura della storia, ancor più della stessa trama. Il primo personaggio a venir introdotto nella novella è la madre, descritta con aggettivi che ne esal-tano la rispettabilità, vista non tanto sul piano dei rapporti formali, quanto su quello morale: l’anziana signora, infatti, si dimostra onesta, umile, gran lavo-ratrice, generosa, rispettosa anche nei confronti delle persone più umili, co-me i co-mendicanti. Diverso, invece, appare il figlio, fin dalla sua prima com-parsa nel racconto, quando lo vediamo attaccare furioso una domestica che, obbedendo agli ordini dell’anziana signora, stava prelevando del riso per of-frirlo a un mendicante7.

Nelle pagine successive scopriremo che la famiglia era di umilissime origini e che Qian Xinfa era riuscito a completare i suoi studi a prezzo di e-normi sacrifici da parte sua e dei genitori; non potendo disporre del supporto di una famiglia influente, il giovane aveva messo a frutto tutta la propria de-strezza sul piano sociale per ottenere un incarico nel sistema sanitario pub-blico, dove, grazie alla sua estrema e inusuale cortesia, si era conquistato il favore dei pazienti, costruendosi una posizione socialmente ed

5 Il testo su cui mi sono basata per la mia analisi è la versione cinese del racconto contenuta in Wu Zhuoliu 吴濁流, Wu Zhuoliu ji 吴濁流集 (Opere), Qianwei chubanshe, Taibei 1991 (rist. 2000), pp. 21-36. Di questo racconto è disponibile anche una traduzione inglese, The

Doctor’s Mother, in Lau, op. cit., pp. 12-23.

6 Insegnante, giornalista, scrittore, Wu Zhuoliu è famoso soprattutto per il romanzo Yaxiya de

guer 亞細亞的孤兒 (L’orfano d’Asia) pubblicato in giapponese nel 1946 e tradotto in cinese

solo nel 1962. Wu fu uno dei tanti autori taiwanesi che, dopo il ritorno di Taiwan alla Cina nel 1945, dovette rieducarsi all’uso della lingua cinese moderna. Vedi F. Passi, Letteratura

taiwa-nese – Un profilo storico, Cafoscarina, Venezia 2007, pp. 45-48. Per una presentazione

dell’autore si veda inoltre Xu, op. cit., pp. 213-216.

mente invidiabile8. I trascorsi familiari, alla base della saggezza della donna, hanno rappresentato quindi per il figlio la spinta alla scalata sociale. Ma lo scarso rispetto per i poveri e l’adulazione nei confronti dei potenti, ovvero dei giapponesi, insieme alla sua ossessione per il denaro9, costituiscono mo-tivo costante di scontro tra i due.

Questa opposizione viene espressa anche a livello linguistico: mentre Qian Xinfa è infatti uno dei sostenitori del movimento per l’adozione della lingua giapponese anche all’interno delle famiglie e di nomi e cognomi giapponesi in sostituzione di quelli cinesi (egli stesso infatti adotta il nome giapponese Kanai Shinsuke), la vecchia madre si ostina non solo a non im-parare il giapponese, ma ad accogliere in casa anche gli ospiti più ragguar-devoli del figlio rivolgendosi loro in un cordiale quanto spontaneo e social-mente inappropriato dialetto taiwanese10.

Il contrasto tra i due personaggi e le loro lingue, consente di mettere in atto un espediente piuttosto diffuso nelle opere del tempo: ossia la contrap-posizione di due mondi culturali dei quali l’uno, quello taiwanese, è conside-rato arretconside-rato ma umanamente superiore, mentre l’altro, quello nipponico, costituisce un modello di progresso e modernità, ma dimostra anche una perdita a livello umano. L’ostinazione e la goffaggine della madre in varie circostanze, come ad esempio il suo rifiuto di mangiare inginocchiata su un tatami, suscitano il sorriso del lettore ma non sono oggetto di satira; al con-trario, percepiti come segni di un orgoglio nazionale e morale, destano sim-patia e rispetto.

La satira è invece rivolta nei confronti del figlio, che viene ripetutamen-te messo in ridicolo: nel momento in cui il medico si scandalizza perché il governo coloniale ha concesso l’onore del nome giapponese anche a calzolai e barbieri11, la sua posizione morale ci appare ben più deprecabile di quella degli stessi colonizzatori, nei confronti dei quali non viene lanciata alcuna aperta critica all’interno del racconto. Inoltre la volontà di trasformarsi in tut-to e per tuttut-to in un cittadino giapponese e il desiderio di negare le proprie o-rigini culturali, moti che potrebbero trovare giustificazione in un razionale e sincero riconoscimento del valore del progresso e della cultura giapponesi, sembrano invece radicarsi, nel medico, soltanto in una personale e incontrol-labile brama di rivalsa sociale.

Con il procedere del racconto notiamo inoltre che tanto più la sua posi-zione sociale si eleva e il suo stile di vita si adegua a quello giapponese, fino

8 Ivi, pp. 23-24.

9 Qian Xinfa viene infatti definito aiqianpi 愛錢癖, ivi, p. 25.

10 Ivi, p. 26.

a diventarne una vera e propria caricatura, tanto più il medico ci appare co-me un profilo vuoto, assolutaco-mente privo di reali contenuti umani. La satira sembra quindi, in questo racconto di Wu Zhuoliu, concentrarsi su un perso-naggio che viene tipicizzato e costruito come tipo sociale, rappresentante di un gruppo sociale o comunque di un aspetto del carattere nazionale. Questo uso della satira, rivolta non tanto a un singolo individuo, quanto invece a tendenze riconoscibili nella società, fu comune anche ad alcuni scrittori del continente, tra i quali l’esempio più noto è Lu Xun12. Nell’acceso dibattito che segnò a più riprese gli anni ‘30 e ‘40 in Cina, quando vennero messi in evidenza gli effetti dannosi e demoralizzanti che una satira cinica e amara poteva esercitare sulla società, varie voci, da Lu Xun a Mao Dun13, si leva-rono in difesa di questo espediente letterario e delle intenzioni non disfattiste, ma, al contrario, appassionate dell’autore satirico14. Nel caso di Wu Zhuoliu e di altri autori dell’isola ritroviamo la convinzione che la satira rappresenti uno strumento in mano allo scrittore per segnalare aspetti deplorevoli della vita sociale, di fronte ai quali gli autori del tempo, per lo più sorretti dalla vo-lontà di contribuire al progresso della società in cui vivevano, si sentivano in dovere di pronunciarsi. Inoltre, nella particolare situazione storica di Taiwan, la satira costituisce anche una sfida all’impero: Wu Zhuoliu, animato da un forte spirito nazionalistico, attacca attraverso la satira i taiwanesi per colpire un sistema sociale generato dalla presenza straniera sull’isola e traccia in modo defilato un modello alternativo, che nel racconto in questione è identi-ficato nella figura della madre: un personaggio modesto, incapace di signifi-cative azioni sul piano politico, ma in grado di portare avanti nella vita do-mestica una coraggiosa resistenza culturale e morale.

Al linguaggio dell’ironia fecero invece ricorso vari autori quando, a partire dalla metà degli anni ‘30, le critiche aperte al sistema coloniale incon-trarono una rigida censura. Citerò a questo riguardo il racconto Lixiang xiang 理想鄉 (Villaggio ideale) di Cai Qiutong 蔡秋桐 (1900-?) scritto nel 1935 in un cinese fortemente dialettale15. Già molto giovane l’autore ricoprì

12 Lu Xun (pseudonimo di Zhou Shuren, 1881-1936) è considerato il padre della letteratura cinese moderna. Per alcune osservazioni sulla satira si veda il saggio di Lu Xun intitolato

Dal-la satira allo humour del 1933, incluso in Lu Hsün, La falsa libertà, Einaudi, Torino 1968, pp.

245-46.

13 Mao Dun (pseudonimo di Shen Yanbing, 1896-1981) critico e autore di romanzi e novelle di impronta realista.

14 Cfr. M. Anderson, The Limits of Realism – Chinese Fiction in the Revolutionary Period, University of California Press, Berkeley 1990, pp. 67-68.

15 Per la mia lettura mi sono basata sull’edizione del racconto contenuta in Yang Yunping – Zhang Wojun – Cai Qiutong楊雲萍,張我軍,蔡秋桐, Yang Yunping, Zhang Wojun,

vari incarichi amministrativi che gli permisero di avere frequenti contatti con i dirigenti giapponesi e con la polizia: la sua ricca esperienza traspare da

Nel documento S EMANTICHE DELL ’I MPERO (pagine 145-200)

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