Appena conclusa la guerra contro i luterani, all’apogeo del suo potere Carlo V si trova già sull’orlo di un baratro. Non era affatto scontato che il prossimo imperatore sarebbe stato suo figlio Filippo, così spagnolo, piuttosto che suo nipote Massimiliano, così tedesco. Non era affatto scontato che il principe Filippo avrebbe potuto fare il cammino inverso del padre, risalendo dalla Spagna ai Paesi Bassi e oltre. Nelle more, i due fratelli rivali optarono per un’alleanza matrimoniale fra i figli rispettivi: le nozze fra Massimiliano di Boemia e Maria di Spagna si celebrarono a Valladolid, dove lo sposo ri-mase come reggente, mentre il cugino Filippo raggiungeva il padre a Bru-xelles. Fu una pessima idea. Il figlio dell’imperatore non solo era estraneo agli usi di quella corte raffinata, ma non sapeva nemmeno il francese. Eppu-re il padEppu-re si ostinava a immaginarlo nelle vesti di suo successoEppu-re e per que-sto aveva pensato di portarlo con sé, “para ver aquellas terras e ser conhecido
de seus vassallos”23. Intanto Ferdinando e Massimiliano si stavano adope-rando per mandare a monte quel progetto e, come si sa, ci riuscirono. Ma le Memorie finiscono con il trionfo del 1548. Carlo V lascia soddisfatto la Germania e si dirige a Bruxelles “por entender nos negocios assi seus como daquelles estados”24.
Questo il suggello del racconto scritto forse due anni dopo. Ne parla in una lettera in latino Guillaume Van Male, il cameriere segreto e scrivano di Carlo V, che gli fu accanto dal 1550 fino alla morte. Parte del testo venne dettato a Van Male fra il 14 e il 18 giugno di quello stesso anno, mentre ac-compagnava l’imperatore in una crociera sul Reno, da Colonia a Magonza. Il resto pare sia stato completato ad Augusta. Per lo scrivano queste pagine trattano di “peregrinationes” e “expeditiones”, alla cui stesura egli dice di aver contribuito anche ravvivando talvolta la memoria del protagonista. A suo giudizio il risultato è pregevole: “Libellus est mire tersus et elegans, u-tpote magna ingenii et eloquentiae vi conscriptus”. Aggiunge poi di avere avuto il permesso di tradurlo in latino per farlo leggere al primo consigliere di Carlo V, Nicolas Perrenot de Granvelle, e a suo figlio Antoine, cosa che si ripromette di fare seguendo i modelli di Tito Livio, Cesare, Tacito e Sveto-nio25.
Questa lettera di Van Male, del 18 luglio 1550, è l’unico documento che certifica l’esistenza di una narrazione autobiografica di Carlo V, anche se non è sicuro che sia la stessa di cui ci siamo occupati finora. Infatti, men-tre la notizia stava suscitando grandi aspettative fra gli umanisti coevi, il ma-noscritto scomparve. La versione latina non è forse mai nata, mentre l’originale non si sa che fine abbia fatto. Pare, tuttavia, che Carlo V avesse in mente di comporre una sua storia anche quando aveva ufficialmente rinun-ciato al mondo e gli restava poco da vivere. A Yuste gli fece visita Francisco de Borja, il futuro santo, al quale l’imperatore un giorno domandò se non fosse un peccato di vanità scrivere delle proprie imprese, cosa che egli aveva già fatto per amore di verità. Carlo, che ormai si firmava ufficialmente con il solo nome di battesimo, giustifica l’esistenza di una storia della propria vita con il fatto che “los historiadores de nuestros tiempos, que él había leído, la oscurecían o por no saberla o por sus aficiones y pasiones particulares”. Questo aneddoto è il racconto di un racconto di un racconto, tratto dalla Vida di San Francisco de Borja che scrisse il padre Pedro Ribadeneyra, alla fine
23 Ivi, p. 334.
24 Ibidem.
del ‘50026. È dunque questo biografo che dà voce a Francisco de Borja che, a sua volta, raccolse la voce di Carlo e la diffuse.
Non c’è motivo di dubitare della parola di un santo e neanche di quella di un imperatore. Gli storici vi fanno affidamento. Altra questione è però stabilire se il manoscritto portoghese di settant’anni dopo sia effettivamente il testo di cui si parla. L’anonimo copista e traduttore gli dà un titolo piuttosto pomposo:
HISTORIA DO INVICTISSIMO EMPERADOR CARLOS QUIN-TO REY DE HESPANHA COMPOSTA POR SUA MAG. CESAREA, COMO SE VEE DO PAPEL, QUE VAI EM A SEGUINTE FOLHA.
TRADUZIDA DA LINGOA FRANCESA, E DO PROPRIO ORI-GINAL
EN MADRID, AÑO 1620
I problemi cominciano fin dal nome. Quelle che per convenzione ab-biamo fin qui chiamato Memorie, nel manoscritto vengono dette Historia. Che si trattasse di un genere letterario in via di assestamento è confermato dal fatto che Ludovico Dolce pubblica nel 1561 una Vita di Carlo quinto imperatore, cui aggiunge la traduzione in volgare della storia che Anatholio Desbarres aveva intitolato Caroli 5. Caesaris Romanorum imperatoris im-mortalitas27. Vi è poi l’ulteriore definizione di “Summario das viagens e jornadas” con cui il copista e traduttore del manoscritto portoghese intesta il suo lavoro28. Questo fu il documento scoperto per caso da un erudito belga, il barone Kervyn de Lettenhove, nella Biblioteca Nazionale di Parigi. Era il 1860 e scoppiò subito la febbre delle interpretazioni. Gli entusiasmi supera-rono le cautele e molti specialisti di Carlo V optasupera-rono e optano per l’autenticità del manoscritto con dovizia di argomentazioni. Anche in tempi vicini a noi, studiosi illustri non nutrono dubbi circa l’autenticità di questo te-sto. Tale è il caso, per esempio, dello spagnolo Manuel Fernández Álvarez, cui va il merito di aver pubblicato un imponente corpus di documenti e alcu-ne monografie; oppure, dell’italiano Federico Chabod, che alcu-nella sua opera su Carlo V cita le Memorie fra le fonti documentali29.
26 M. Fernández Álvarez (a cura di), Corpus documental de Carlos V. IV (1554-1558). Apén-dice Las Memorias del Emperador, Ediciones Universidad de Salamanca, Salamanca 1979, p. 464.
27 L. Dolce, VITA / DI CARLO QVINTO / IMP. / DESCRITTA DA. M. LODOVICO DOLCE. IN VINEGIA /APPRESSO GABRIEL GIOLITTO / DE FERRARII / MDLXVII. / CON PRIVILEGII, 1567.
28 A. Morel Fatio, op. cit., p. 186.
La voce fuori dal coro è quella molto acre di un altro spagnolo, Vicente de Cadenas y Vicent, che demolisce le convinzioni dei suoi colleghi, non re-sistendo a sua volta alla tentazione di azzardare qualche congettura fantasio-sa, senza però pretendere di farla passare per verità. La storia della ricezione delle Memorie che egli traccia a partire dall’epoca positivista fino a tempi recenti è un esempio di illusione collettiva30. Il suo scetticismo di fondo è condivisibile almeno per quanto riguarda le obiezioni più solide: non sap-piamo come quel manoscritto portoghese sia arrivato alla Biblioteca Nazio-nale di Parigi; non abbiamo prove inconfutabili della provenienza del testo, se si esaminano i suoi supporti materiali; il traduttore anonimo non dà alcuna notizia dell’ubicazione dell’originale, malgrado tanta gente lo cercasse con ansia da quando l’imperatore era morto.
Intorno agli effetti personali di Carlo V, che Guillaume Van Male portò via da Yuste con l’incarico di consegnarli a Filippo II, è nata una leggenda. Dall’inventario risulta che c’era una borsa di velluto nero, contenente “pape-les”, e una borsa di raso viola, contenente oggetti vari e “un librillo de tablas de oro. Y es de memoria, nielado; las cubiertas y las hojas de papel”31. C’erano inoltre delle effemeridi, ma l’attenzione dei commentatori si è con-centrata sulla borsa di velluto nero e su quelle carte non meglio specificate, che potevano essere qualunque cosa. D’altra parte solo quella borsa fu im-mediatamente sottratta a Van Male da Luis de Quijada. Perché? Van Male muore a Bruxelles nel 1561 e, da Toledo, Filippo II ordina di bruciare qua-lunque storia egli avesse eventualmente composto sulla figura dell’imperatore. Per lettera, il cardinale Antoine Perrenot de Granvelle rassi-cura il re. Afferma di non aver trovato nulla del genere, ma aggiunge anche dicerie intriganti. Il giorno prima di morire Van Male aveva bruciato molte carte. Inoltre, da tempo egli si lamentava con i propri amici di essere stato depredato da Luis de Quijada delle “Memorias que havía hecho con Su Ma-gestad, diziendo que eran sus travajos”. Ne ricordava però una buona parte e intendeva scriverle in ricordo del suo signore32.
A dare credito a tanti discorsi riportati, quella borsa di velluto nero a-vrebbe contenuto l’originale perduto del manoscritto o, magari, anche una sua riscrittura più levigata. Ma non esistono prove, solo indizi.
30 V. de Cadenas y Vicent, op. cit., pp. 17-34.
31 Ivi, pp. 11-12.