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Cielo e terra in teatro: l’alternativa al décor simultané

Nel documento La Messa in Scena della Pace di Aristofane (pagine 93-107)

È adesso il momento di prendere in considerazione una terza ipotesi di messa in scena.

Le due principali linee di ricostruzione della Pace di cui abbiamo tentato di analizzare vantaggi e svantaggi si basano sulla individuazione di due o tre distinte aree del teatro, grazie ad una divisione dello spazio scenico in livelli o zone giustapposte. La funzione delle diverse aree è individuata da un elemento scenografico fondamentale: la casa di Trigeo, la dimora di Zeus, la caverna.

Entrambe le soluzioni esaminate finora condividono dunque il principio di base del décor simultané266, secondo cui tutti gli elementi scenografici

necessari alla messa in scena dell’opera sono visibili contemporaneamente per tutta la sua durata.

L’alternativa ad un approccio di questo tipo, si basa sull’adozione di un’ottica radicalmente diversa nei confronti del doppio cambio di ambientazione richiesto dalla commedia: essa consiste nell’associare ciascuna delle due abitazioni ad un “quadro”. In quest’ottica quadro terreno e quadro celeste non coesistono, ma si avvicendano, occupando di volta in volta l’intero spazio del teatro.

Cosa potrebbe indurci a propendere per questo tipo di soluzione?

La scelta di rappresentare contemporaneamente due diversi edifici sulla scena non costituisce certamente un tabù nel teatro antico. Ci è giunta una sola tragedia che attesti l’adozione di questa soluzione, l’Andromaca euripidea, in cui le facciate della casa di Neottolemo e del tempio di Theti erano raffigurate contemporaneamente sulla scena e inoltre in modo contiguo, affinché avessero pari rilievo, dal momento che ciascuna delle due ambientazioni svolgeva un ruolo centrale in almeno una parte della

rappresentazione267. In altri casi la messa in scena poteva prevedere più di

un elemento scenico importante, seppur non due edifici268.

In commedia si tratta invece di una circostanza estremamente frequente che diventerà la norma per il teatro menandreo e il teatro latino che da esso prese le mosse.

Come è evidente, la coesistenza di due strutture sulla scena non crea alcun problema quando fra di essi intercorre un corrispondente rapporto di continuità spaziale all’interno della finzione teatrale, cioè quando i due edifici sono immaginati, e di conseguenza usati dagli attori, come luoghi vicini fra loro. È questo il caso della commedia menandrea e della commedia latina; nell’Andromaca il tempio e la casa di Neottolemo sono comunque entrambi collocati a Ftia; nel corpus aristofaneo, infine, tutte le opere, ad eccezione della Pace, degli Uccelli e delle Rane269, sono interamente

ambientate ad Atene, rendendo plausibile che diversi luoghi della città siano rappresentati contemporaneamente sulla scena.

La particolare problematicità della Pace, invece, sta nel fatto che vengano rappresentati come contigui sulla scena due luoghi distanti e del tutto separati fra loro. A questa difficoltà, che riguarda in ogni caso anche gli

Uccelli e le Rane, si aggiunge la considerazione che se, come si è detto, la

prima ambientazione delle altre due commedie ‘ultraterrene’ (il nido di Tereo e la casa di Eracle) viene definitivamente abbandonata piuttosto presto a favore della seconda, la Pace richiede che l’azione si svolga ad Atene sia nella prima parte che nella sezione successiva alla Parabasi.

267Di Benedetto-Medda 1997, p. 127.

268Si tratta nella maggior parte dei casi di altari o tombe.

269 Una possibile giustificazione delle diverse ambientazioni delle opere del corpus

aristofaneo è discussa da Russo 1956, p. 245 in relazione all’osservazione di Carlo Anti che le commedie certamente rappresentate nel teatro di Dioniso, Pace e Uccelli, e Nuvole sono caratterizzate da un ambiente astratto, reso in teatro grazie all’uso di scenografie complesse ed eccentriche ed elaborati espedienti di messa in scena, mentre Acarnesi, Cavalieri, Vespe e Rane, opere lenaiche, si svolgono nella zona dell’Agorà e dintorni, che coincideva con la posizione del Lenaion.

Il quadro che rappresenta la casa di Trigeo non può dunque essere smantellato durante la scena del volo, ma deve rimanere allestito per l’intera durata della rappresentazione. Nell’ottica del décor simultané, dunque, i due allestimenti restano alternativamente inutilizzati.

Non si tratta nemmeno in questo caso di un tabù. Gli esempi di messe in scena munite di più di un elemento centrale mostrano come l’azione si distribuisse intorno ai vari arredi scenici in modo che, nei momenti in cui essa si concentrava su uno di essi in particolare, gli altri venissero semplicemente ignorati dagli spettatori, pur restando presenti sulla scena. Le tombe di Dario nei Persiani e di Agamennone nelle Coefore, ad esempio, restavano visibili per l’intera durata della rappresentazione, ma la loro rilevanza è limitata ad alcuni determinati momenti dell’azione: il pubblico era dunque guidato dagli interpreti a concentrare opportunamente la sua attenzione su queste strutture, per poi distoglierla quando esse avevano esaurito la loro funzione270.

L’ipotesi dei quadri, tuttavia, ci consentirebbe di ottenere una scena più pulita, nonché meno ‘affollata’ di arredi: sarebbero infatti visibili al pubblico di volta in volta solo gli elementi necessari per la sezionedell’opera che viene ora rappresentata. Poiché due delle tre strutture sceniche fondamentali sono abitazioni, inoltre, buona parte dei sostenitori di questa scelta prevede, secondo un chiaro principio di economia, che la messa in scena della Pace si avvalesse un solo edificio che fungeva da casa di Trigeo nel primo quadro, e da dimora di Zeus nel secondo. È sufficiente dunque immaginare che la

mechané consentisse all’attore di sollevarsi e poi ridiscendere davanti alla

porta che identificava l’unica abitazione rappresentata sulla scena. Il riconoscimento delle diverse funzioni dell’edificio da parte del pubblico è reso possibile, in questa ipotesi, esclusivamente grazie al testo o attraverso un vero e proprio cambio di scena, limitato comunque a poche, veloci

modifiche della skené271. Con il processo inverso si restaurerebbero, una volta

conclusa l’avventura celeste, le caratteristiche del quadro ateniese. Queste eventuali modifiche avverrebbero negli unici due momenti della commedia che non si inseriscono né nel primo quadro, né nel secondo: la scena del volo, letteralmente ‘sospesa’ fra i due mondi, e la Parabasi, in cui si ha tradizionalmente una pausa nello sviluppo della vicenda che permette al Coro di svolgere la sua funzione metateatrale, rivolgendosi direttamente al pubblico per trattare questioni di attualità.

Su questa linea di ricostruzione si attestarono già Droysen272, Niejahr273

negli ultimi decenni del 1800, mentre si sono schierati più recentemente in suo favore Dale274, Dearden275, Carriére276 e, da ultimo, Olson277.

L’unico arredo necessario, oltre alla casa, è la caverna, che avrebbe potuto occupare una seconda apertura della skené oppure una struttura apposita realizzata nell’orchestra. Essa sarebbe inoltre inclusa senza alcun dubbio nel quadro celeste, eliminando definitivamente la possibilità che si tratti di un antro terrestre: nessun elemento terreno potrebbe infatti comparire in scena mentre è ancora visibile la dimora di Zeus.

La Dale278, rimanendo fino in fondo coerente con il principio della fluid

scene279, attribuisce alla stessa struttura utilizzata per rappresentare le due

abitazioni anche il ruolo di prigione di Pace. Questa ricostruzione porta però ad una forzatura notevole, dovuta al fatto che, dal momento in cui l’azione si

271 Ad esempio la rimozione della struttura che accoglieva inizialmente lo scarabeo che

sarebbe stata visibile, secondo alcuni, accanto alla casa del vignaiolo. 272Droysen 1868, pp.48ss 273Niejahr 1877, pp. 20ss. 274Dale 1957, pp. 210s. 275Dearden 1976, pp. 158ss. 276Carriére 1979, pp. 55ss. 277Olson 1998, pp. xlvii-xlviii

278 Vd. n. 272. La posizione della Dale è stata approvata ed adottata in toto anche da

Dearden (vd. n. 273).

sposta in cielo, sia Hermes che Polemos e Kydoimos attraversano più volte la porta della dimora di Zeus; seppure nessun personaggio la varchi dopo l’inizio delle operazioni intorno alla caverna, pare ostico che essa si trasformi d’un tratto nella bocca di un antro sigillato. In particolare, ai versi 224-225 Hermes indicherebbe a Trigeo l’ingresso della caverna bloccato dal cumulo di massi (che sono, ovviamente, solo immaginati secondo la proposta della Dale, salvo comparire successivamente quando il Coro è chiamato a spostarli), per scomparire senza difficoltà al suo interno poco dopo. Pur nell’ottica di una polisemia degli arredi scenici, in cui la convenzione consente di attribuire alla stessa struttura diversi ruoli nel corso della rappresentazione, mi sembra che si debba valutare con prudenza quando questo tipo di gestione può realmente portare un vantaggio alla performance e quando rischia di generare invece confusione o di compromettere l’efficacia dell’azione. Nel caso della dimora di Trigeo che ‘cambia proprietario’, le due funzioni dell’arredo sono nettamente distinte: le due abitazioni non sono infatti mai impiegate contemporaneamente all’interno della stessa scena, il pubblico ha a disposizione una considerevole porzione di spettacolo per collegare di volta in volta la struttura alla funzione che sta ricoprendo in quel momento, e le transizioni dall’una all’altra non avvengono in modo repentino, ma sono mediate da passaggi in cui il cambio di ambientazione è ben segnalato, la scena del volo prima e la Parabasi poi. Molto diverso mi sembra il caso della grotta-dimora di Zeus, in cui le due funzioni della porta della skenè si sovrappongono e si avvicendano improvvisamente.

La ricostruzione per quadri esclude, naturalmente, che Atene e l’Olimpo possano essere rappresentati su livelli diversi. Non manca tuttavia una ipotesi, avanzata da Van Leeuwen280, che si propone di evitare il décor

simultané, “molestissimo”281 per la rappresentazione soprattutto dopo il

definitivo ritorno di Trigeo ad Atene, senza rinunciare alla struttura a livelli

280Van Leeuwen 1906, pp. 2s. 281Vedi nota precedente.

sovrapposti: per ottenere questo effetto, lo studioso prevede due completi cambi di scena, eseguiti ovviamente sotto gli occhi del pubblico. Trovo che questa soluzione, aggiungendo alle difficoltà connaturate alla scelta del doppio livello, anche la necessità di smantellare e poi rimontare o almeno di nascondere gli arredi ‘ateniesi’ intacchi eccessivamente la fluidità della rappresentazione.

Conclusioni

Conclusa l’analisi delle varie proposte di ricostruzione della messa in scena della Pace, abbiamo dunque individuato due possibilità nella gestione complessiva dello spazio scenico, che può riunire in sé al contempo Atene, l’Olimpo e la caverna, grazie ad una adeguata divisione del teatro in aree, oppure mostrare in successione prima la sola Atene, poi il solo Olimpo (articolato al suo interno in dimora degli déi e antro), per ristabilire infine la situazione di partenza.

Optando per un’organizzazione della scena in aree, si può scegliere inoltre di delimitarle dividendo il teatro in metà destra e metà sinistra (ed eventualmente individuare una zona centrale il cui rapporto con quelle laterali può essere soggetto a diverse interpretazioni), o in livello inferiore e livello superiore.

Ciascuna di queste opzioni risulta comprensibile per gli spettatori grazie alle indicazioni fornite dal testo e ad un ricorso più o meno accentuato alla convenzione. Possiamo adesso procedere ad un bilancio complessivo.

1) Gli unici reali vantaggi offerti dall’organizzazione su più livelli si traducono nella possibilità di una resa più spettacolare prima della scena del volo, e poi del colloquio fittizio fra Hermes e Pace. I fautori di questa soluzione sono tuttavia costretti:

- ad accettare la testimonianza dello scoliasta, non supportata dal testo, di una gigantesca statua di Εἰρήνη, la cui gestione in scena sarebbe stata certamente piuttosto complessa;

- a collocare la caverna sul livello inferiore della scena e dunque sulla terra, leggendo nel κάτω del verso 224 un riferimento alla collocazione della prigione di Pace che rischia di sovrapporsi, obliterandolo, al dato relativo alla natura di camera sotterranea dell’antro, confermato da vari ulteriori indizi.

La tesi dell’antro terrestre sembra inoltre condurre a sua volta ad almeno un’ulteriore forzatura, che si manifesta al momento della comparsa di Opora e Theoria, emerse sulla terra insieme a Pace, e invitate però poco dopo a discendere dall’Olimpo verso Atene insieme al protagonista.

2) La seconda opzione disponibile prevede una diversa divisione dello spazio teatrale che dà vita ad uno spazio fortemente ibrido, in cui terra e cielo sono sempre rappresentati contemporaneamente, pur prevalendo di volta in volta l’uno sull’altro, mentre il rapporto fra le due ambientazioni principali e la caverna è anch’esso oscillante. In questa Pace “Olimpo e terra risultano fusi da una caverna, che è cielo, suolo e sottosuolo, contemporaneamente: rappresenta un unico, ellittico, non più che sintomatico spazio scenico”282.

L’adozione del livello unico semplifica notevolmente la realizzazione della complessa scena del salvataggio di Pace, garantendo libero accesso alla caverna sia al Coro che agli attori. Essa impone, d’altro canto, che resti senza spiegazione la comparsa di un gruppo di uomini greci nei pressi del luogo in cui si trovano Trigeo ed Hermes, che è senza dubbio collocato in cielo. Per risolvere questa difficoltà bisogna ricorrere ad una spiegazione sul modello di quella fornita da Scullion283, per cui la collocazione della caverna rispetto

agli altri elementi della scenografia rimane volutamente sfumata, e perde ogni consistenza al momento dell’ingresso del Coro, quando la realtà dello spazio teatrale ha il sopravvento ed i luoghi della storia, terra e cielo, risultano vicini e sostanzialmente fusi, semplicemente perché sono così rappresentati.

3) Infine, la soluzione della rappresentazione per quadri permette di ottenere un risultato molto vicino a quello realizzato con il livello unico dal punto di vista tecnico284. Esso è anzi preferibile, poiché rinuncia alla

282Marzullo 1989, p. 197

283Cfr. Introduzione, pp. 19ss.

284 Relativo cioè agli spostamenti degli attori e del Coro e alla gestione della statua di Pace

simmetria, introducendo in compenso una gestione più economica della scenografia, con l’indubbio vantaggio di una scena più libera.

Migliore è anche la resa complessiva delle due ambientazioni principali, poiché, come nel caso dell’organizzazione su due livelli, questa soluzione permette di riprodurre in modo chiaro il rapporto fra terra e cielo. Dopo la scena del volo, l’intero spazio si trasforma, assumendo i tratti del “sopra”: si mantiene così perfettamente evidente la relazione fra la nuova ambientazione e quella che ci si è appena lasciati alle spalle, senza il paradosso che derivava dalla necessità di rappresentare come giustapposti due luoghi che sono in realtà immaginati sovrapposti.

Rimane da considerare ora la questione della comparsa dei coreuti sull’Olimpo e della scena del disseppellimento di Pace. In questa ipotesi infatti, il Coro si troverebbe non si troverebbe in una posizione indefinita sulla scena: la Parodo avverrebbe senz’altro in cielo, dove i coreuti si troverebbero fino alla Parabasi, al pari di Hermes e Trigeo.

Alla luce di quanto abbiamo detto poco fa a proposito della ricostruzione 2), questo può, a prima vista, apparire problematico. Bisogna invece tener conto del fatto che la necessità di rappresentare il movimento di ascesa dei coreuti dalla terra all’Olimpo non sussiste più proprio grazie al fatto che la terra e la Grecia sono adesso del tutto assenti dalla scena. A differenza di ciò che accadeva per Trigeo, infatti, non è visibile un punto di partenza da cui l’autore avrebbe dovuto mostrarci il viaggio del Coro verso le sedi degli dei. Si tratta dunque a tutti gli effetti di una comune azione extra-scenica; i coreuti vengono dunque coerentemente mostrati al pubblico a partire dal momento in cui fanno il loro ingresso nell’ambiente rappresentato sulla scena. Si realizzerebbe così appieno l’affermazione di Russo: «ormai la scena è in cielo, e si accede al cielo per mezzo del comune corridoio»285.

285 Russo 1962, p. 219. L’ipotesi ricostruttiva sostenuta da Russo è invece la 2) che tuttavia,

lasciando le due ambientazioni contemporaneamente presenti e visibili sulla scena, rende ambiguo l’ingresso del Coro, suscitando l’inevitabile domanda su dove si trovino i coreuti rispetto ad Hermes e Trigeo e come abbiano eventualmente potuto raggiungerli sull’Olimpo.

Ribaltando infine la prospettiva e assumendo il punto di vista non degli interpreti, che ricostruiscono la messa in scena in base agli indizi forniti dal testo, ma dell’autore dell’opera, che scriveva immaginando già la

performance completa, l’adozione dell’ipotesi 3) spiega egregiamente perché

Aristofane non si sia posto il problema di confrontarsi con l’evidente difficoltà di far ascendere il Coro al cielo, difficoltà che sarebbe stato difficile ignorare se la messa in scena prevista avesse coinciso con l’opzione 2).

La soluzione preferibile è dunque, a mio parere, l’ultima proposta. La scena sarebbe stata in questo caso munita di una casa, realizzata con ogni probabilità grazie ad un’opportuna decorazione della skenè, e da una caverna. Quest’ultima poteva essere ottenuta sfruttando una delle due aperture disponibili della skenè, oppure grazie ad un’apposita struttura collocata nell’orchestra. Personalmente, trovo più allettante la seconda ipotesi, pensando ad un’organizzazione scenica vicina al modello tragico, in cui la skené rappresentasse esclusivamente la facciata dell’edificio di fronte al quale si svolgeva la vicenda, mentre nell’orchestra poteva trovare posto un secondo fondamentale elemento della scenografia, come la tomba di Agamennone nelle Coefore. In ogni caso, dalla bocca della caverna sarebbe emersa una statua di Εἰρήνη, probabilmente appoggiata su un carrello mobile a cui i coreuti potessero assicurare le funi. Insieme all’ ἂγαλμα, ben realizzato grazie ad un busto alto circa quanto una persona, che suscitasse l’impressione di un imponente gigante che emerge dal suolo, venivano portate alla luce le due figuranti che impersonavano Opora e Theoria.

Subito prima della Parabasi, infine, Trigeo e le due dee si incamminavano verso l’eisodos, lasciando l’intera scena al Coro.

Varie discussioni sono state portate avanti sulla possibilità che la statua di Pace venisse rimossa a questo punto dai coreuti286. Nell’ottica della messa in

scena per quadri la statua, che fa la sua comparsa durante il ‘momento celeste’ dell’opera, dovrebbe poi scomparire quando viene ripristinato il

286Questo dibattito si collega alla scena dell’ἴδρυσις: non è chiaro infatti se questa cerimonia

quadro ateniese. Tuttavia, trattandosi di un arredo scenico sui generis –la statua è infatti la dea Pace!- credo che esso possa sottrarsi senza eccessive difficoltà al gioco dell’alternanza dei quadri. Trovo infatti che sia più efficace immaginare che Εἰρήνη rimanesse solennemente presente in scena fino alla fine dello spettacolo, come a vegliare nuovamente sulla Grecia. Questo realizzerebbe inoltre in modo comicamente letterale il progetto di Trigeo ed dei suoi complici di ‘riprendersi’ la pace287.

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