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Lo statuto ambiguo della grotta

Cielo e terra in teatro: la divisione dello spazio scenico

Capitolo 3 L’avventura celeste

I. Lo statuto ambiguo della grotta

L’antro in cui è confinata Εἰρήνη, ben più del palazzo di Zeus, è l’elemento fondamentale attorno al quale si focalizza l’azione nella sezione celeste della

Pace.

Appena giunto sulla soglia del palazzo, Trigeo viene informato da Hermes che Polemos, nuovo padrone del cielo, ha gettato Pace in una caverna, sigillandone poi l’ingresso, di modo che la guerra fra i mortali non possa trovare mai una fine. Dopo un intermezzo di circa cinquanta versi, in cui Hermes rientra in casa e Trigeo assiste non visto al dialogo fra Polemos e Kydoimos, il protagonista, di nuovo padrone della scena, chiama a raccolta il Coro: egli è determinato a liberare la dea dalla sua prigione prima che Polemos possa terminare il nuovo pestello con cui intende tormentare i Greci. Rivolge quindi un appello a tutti i suoi compatrioti perché accorrano ad essere artefici della loro stessa salvezza.

Nella sezione seguente, la Pace presenta notevoli somiglianze con il dramma satiresco eschileo intitolato Diktyoulkoi, di cui possiamo ricostruire a grandi linee la trama, e leggiamo circa 90 versi in stato frammentario115. La scena

che con ogni probabilità apriva l’opera116, infatti, ci mostra due pescatori che

avvistano qualcosa di misterioso presso la riva dell’isola di Serifo (fr. 46a Radt): stabilito che non si tratta di qualche sorta di mostro acquatico, essi decidono di usare le reti per portare a riva quella che scopriranno essere l’arca in cui Danae e Perseo sono stati condannati ad andare alla deriva dal

115Una recente proposta di ricostruzione è stata avanzata da Sommerstein 2010, pp. 235ss. 116 Essa era probabilmente parte del Prologo, o comunque segnava l’inizio dell’azione

re di Argo Acrisio. Come nella Pace, l’impresa è troppo ardua per due soli uomini: occorre dunque procurarsi nuove braccia (fr. 46c Radt).

La formula adoperata da Trigeo per invocare l’aiuto del Coro è simile nella forma e nella scelta del lessico a quella che leggiamo in un frammento117 del

dramma satiresco. Dyctis chiama a raccolta i satiri appellandosi a “contadini, vignaioli, pastori di capre, buoi e pecore, chiunque si trovi nella regione, uomini che lavorano sul mare, e ogni altra nazione bagnata dal mare”:

μόνοις τόδ’] ἐστί. τοὖργον ού χωρ|εῖ πρόσω. καὶ μὴν β]οὴν ἳστημι τοίσδ’ ἰύγ|μασιν·

ἰού, ἰού. Δεῦτε δή π]άντες γεωργοί, δεῦτε | κἀμπελοσκάφοι, αἰπόλος βοὐτής τ]ε ποιμήν τ ἓι τίς ἐστ |[‘ ἐ]γχώριος,

καὶ θαλλασσουργ]οί τε καὶ μα|[ρ]{ε}[ιλ]ευτῶν ἒθνος118

Trigeo si rivolge a contadini, mercanti, falegnami, artigiani, meteci, stranieri e abitanti delle isole119:

Τρυγαῖος: ἀλλ᾽ ὦ γεωργοὶ κἄμποροι καὶ τέκτονες καὶ δημιουργοὶ καὶ μέτοικοι καὶ ξένοι καὶ νησιῶται, δεῦρ᾽ ἴτ᾽ ὦ πάντες λεῴ, ὡς τάχιστ᾽ ἄμας λαβόντες καὶ μοχλοὺς καὶ σχοινία: νῦν γὰρ ἡμῖν ἁρπάσαι πάρεστιν ἀγαθοῦ δαίμονος. Χορός: δεῦρο πᾶς χώρει προθύμως εὐθὺ τῆς σωτηρίας.

Si tratta dunque in entrambi i casi di un appello che vuole essere onnicomprensivo, ed esprime la sua universalità facendo riferimento a due

117Il frammento fu pubblicato in due porzioni rispettivamente nel 1933 e nel 1934 da Medea

Norsa e Giovanni Vitelli; fu in seguito inserito nell’undicesimo volume dei Papiri della Società Italiana come PSI 1209 e corrispondono ai frammenti 46a e b Radt nella raccolta dei TGF.

118 Riporto qui il testo dei versi 16-20 come riportato nel TrGF. Perché il passo avesse senso

compiuto e fosse possibile coglierne il significato complessivo, ho integrato l’inizio dei versi 16-19 come proposto nell’edizione pubblicata del 1934 da Medea Norsa e Giovanni Vitelli.

119 Aristoph. Pax vv. 296-301. Il verso 16 del frammento è stato messo a confronto da

Goossens 1935, p. 128 anche con i versi 472, 484 e 509 della Pace, dove ricorrono espressioni simili a «τοὖργον ού χωρεῖ πρόσω».

categorie principali, esplorate nelle loro diverse declinazioni, la professione e la provenienza120. Si potrebbe pensare che questa analogia sia dovuta

semplicemente all’uso di un comune modello letterario impiegato in circostanze di questo genere, l’Hilferuf121, come è confermato, ad esempio,

dall’uso dello stesso modulo da parte di Apollo negli Ichneutae sofoclei122.

L’osservazione sarebbe certamente condivisibile, se i parallelismi fra le due opere si fermassero qui. La scena che segue l’arrivo del Coro nella Pace e nei

Diktyoulkoi, tuttavia, prevede in entrambi i casi che personaggi e coreuti

uniscano le forze per recuperare un oggetto (l’arca in un caso, la statua di

120 Si tratta di una circostanza che ricorre spesso anche in commedia latina, per cui cfr. e. g.

Plaut. Rud. vv. 615ss.

121 Cfr. Pfeiffer 1938, p. 13, Steffen 1965, pp. 38ss. e Taplin 1977a, p. 419. L’appartenenza di

questa ῥῆσις alla categoria dell’Hilferuf è stata d’altra parte messa in dubbio da Maltese 1982, pp. 66ss. che ha sottolineato il carattere ufficiale dell’appello di Apollo. Il dio articola il suo appello in modo simile a Dictys e Trigeo, ma non si rivolge ai Satiri e, in verità, a nessuno nello specifico, ma si limita ad annunciare che a chiunque ritrovasse la sua mandria e denunciasse il ladro spetterà una ricompensa. Manca dunque l’elemento dell’apostrofe diretta (contraddistinta dall’uso dell’interiezione ἰὼ ἰώ e dell’imperativo) che è presente invece sia nei Diktyoulkoi che nella Pace (l’integrazione di Siegmann [δεῦτ’εἴτε ποι ]μὴν κτλ. restaura questo elemento sotto l’influenza del dramma satiresco eschileo). In base a questa osservazione Maltese accosta il passo degli Ichneutae a contesti differenti da quelli propri dell’Hilferuf, come il bando emanato da Edipo in Soph. O. T. vv. 223-232.

122 Vv. 39-44 del fr. 314 Radt. Le integrazioni qui inserite per restituire il significato del

passo appartengono all’edizione Steffen del 1960: [δεῦτ’ εἴτε ποι ]μὴν εἴτ’ ἀγρώστη[ ς εἴτε τις ˛μαριλοκαυ¸ τῶν ἐν λόγωι παρ[ ίσταται [ἢ τῶν ὀρ ]είων νυμφογεννή[ του γένους [θηρῶ ]ν τίς ἐστι, πᾶσιν άγγελ[ λω τάδε˙ [τὰ δῶ ]ρα τοῦ Παιῶνος ὅστις ἂ[ ν ποθῆι, [εὕροι ] τὸ χρῆμα μισθὸς ἔσθ’ ὁ κε[ ίμενος.

Vale la pena notare, per inciso, che la messa in scena di questo dramma satiresco sembra richiedere un impianto scenico complesso, che condivide alcuni aspetti problematico con quello della Pace: in particolare è discussa anche per gli Ichneutae la questione della realizzazione scenica della grotta che ospita Cillene ed Hermes, descritta come un antro sotterraneo, ma il cui ingresso potrebbe trovarsi al livello dell’orchestra o addirittura più in alto, su un πάγος. Robert 1912, pp. 536-40 aveva proposto che la scenografia di quest’opera prevedesse appunto un πάγος posto al centro dell’orchestra, mentre la dea emergerebbe dal suolo grazie alle Χαρῶνιοι κλίμακες. A questa ipotesi si era dopo poco tempo affiancata quella di Bethe 1919, pp. 19ss. di una grotta con una bocca anteriore, ricostruzione adottata da Pickard-Cambridge 1946, pp. 49ss. che pone l’ingresso della caverna in una posizione sopraelevata rispetto all’orchestra, in modo tale da poter coincidere con la parte superiore dell’apertura centrale della skené. Sviluppando questa idea in relazione al κάτω del v. 228 e al termine θησαυρός del v. 282, Jobst 1970, pp. 33-37 e pp. 147ss. ha a sua volta sostenuto l’ipotesi che la bocca della caverna di fronte alla quale si radunano i Satiri nasconda una cavità collocata ben sotto il livello del suolo da cui giunge in superficie il suono della lira di Hermes.

Pace nell’altro) per mezzo di funi o reti, probabilmente in relazione ad uno stesso retaggio cultuale e folklorico123. Questa circostanza ci fornisce una

base più solida grazie alla quale postulare un rapporto fra le due opere, e forse ottenere nuove informazioni anche sulla messa in scena della Pace: se fossimo in grado di stabilire che nel comporre la sua opera Aristofane aveva in mente il dramma satiresco, potremmo valutare la possibilità che egli avesse scelto di realizzato la sua scena secondo le stesse modalità impiegate già da Eschilo. In particolare, è stato ipotizzato che l’arca di Danae e Perseo fosse portata in scena sull’ekkyklema, un’ipotesi che è stata spesso riproposta anche per la statua della dea Pace124.

I coreuti invadono dunque la scena, festanti, durante la Parodo125.

Trigeo deve adesso assolvere a due importanti compiti: riportare l’ordine fra i coreuti e convincere Hermes, riemerso dalla casa di Zeus, a schierarsi con i Greci e non denunciare l’iniziativa a Polemos. Ottenuto il benestare del dio, si dà inizio ai lavori per riportare alla luce Pace. I massi che occludono l’ingresso della grotta vengono rimossi, e la dea viene trascinata all’esterno grazie a delle funi. Oltre ad Εἰρήνη in persona, emergono dalla prigione la dea del raccolto, Opora, e la dea della festa, Theoria, che torneranno poco dopo ad Atene insieme al protagonista.

È necessario a questo punto portare avanti il ragionamento su due piani distinti, poiché abbiamo a che fare con due domande, e non è scontato che una sola risposta possa soddisfarle entrambe. Ci chiederemo dunque:

a) dove Aristofane immaginava la grotta nel momento in cui ideò la trama della Pace;

b) come questa idea era realizzata nel teatro di Dioniso, e quale zona dello spazio scenico interessasse.

123Cfr. infra IIc, pp. 70ss.

124 Di questo aspetto si discuterà più estesamente infra IIc p. 68.

125 A proposito dell’ingresso caotico del Coro e della sua danza, o danza mimata cfr. Cap.

a) Cielo o terra?

A primo impatto, sembrerebbe naturale immaginare che l’antro in questione sia collocato nei pressi della dimora di Zeus. Questa scelta appare coerente con lo sviluppo della trama e funzionale ad un’efficace messa in scena. E’ infatti naturale che Polemos, insediatosi nel palazzo di Zeus, abbia cercato una prigione che avrebbe potuto facilmente controllare, piuttosto che un antro terrestre. D’altra parte, pare poco razionale richiamare l’attenzione del pubblico su un elemento dell’ambientazione terrestre che il protagonista si è appena lasciato alle spalle.

Al verso 224, tuttavia, Hermes indica126 a Trigeo la prigione di Pace con le

parole «εἰς τουτὶ τὸ κάτω (sc. ἃντρον ὁ Πόλεμος αὐτὴν ἐνέβαλε)»: l’uso dell’avverbio ha indotto molti a credere che l’antro si dovesse trovare in una posizione più bassa rispetto al luogo dove avveniva il dialogo.

Nell’ipotesi di una messa in scena su più livelli questo riferimento è stato facilmente tradotto: «Hermes and Trygaeus are upon a height, the cave is not»127.

In base all’analisi svolta nel capitolo precedente, possiamo senza esitazione accantonare la proposta di van Herwerden128 che postula l’esistenza un terzo

livello, intermedio fra le due dimore, sul quale fosse rappresentata esclusivamente la grotta. Come abbiamo visto infatti, nessuna delle strutture che possiamo verosimilmente prendere in considerazione per la messa in scena della Pace avrebbe permesso ad attori e coreuti danzanti di riunirsi tutti insieme per prendere parte alle operazioni di salvataggio della dea. Le stesse conclusioni possono essere tratte riguardo all’analoga proposta di

126 La battuta corrisponde certamente ad un’azione scenica, come segnala l’uso del

dimostrativo con l’aggiunta del deittico, impiegato per indicare qualcosa di concretamente presente sulla scena (Jobst 1970, p. 63).

127Sharpley 1905, p. 23

Fernand Robert129, e a quella di Vallois130 secondo cui una imponente grotta

centrale, strutturata su due piani, avrebbe collegato terra e cielo permettendo a tutto il cast di spostarsi da un estremo all’altro della scena, percorrendo in salita o in discesa la cornice della struttura131.

Escluse queste soluzioni intermedie, e volendo rimanere coerenti con l’idea della scena strutturata su più livelli, non rimane che sostenere che la grotta deve necessariamente trovarsi sulla terra, e che quindi doveva essere collocata sulla scena allo stesso livello della casa di Trigeo.

È questa la scelta di Sharpley132, van Leeuwen133 e Roux134.

Essa comporta, come si è anticipato, che il ruolo di Trigeo ed Hermes nella scena del disseppellimento di Pace abbia carattere esclusivamente direttivo: la posizione sopraelevata dei due attori li metterebbe in condizione di osservare i progressi del Coro e di valutare il contributo dei vari gruppi, come infatti accade nell’intera sezione che segue la libagione (vv. 458-516). In quest’ottica è stata interpretata anche la battuta di Hermes ai vv. 564-565, in cui il dio sembra commentare la formazione dei coreuti come se li guardasse dall’alto135:

Ἑρμῆς: ὦ Πόσειδον ὡς καλὸν τὸ στῖφος αὐτῶν φαίνεται καὶ πυκνὸν καὶ γοργὸν ὥσπερ μᾶζα καὶ πανδαισία.

Si tratta, ancora una volta, di un indizio non cogente: portata a termine la loro fatica, i coreuti vengono invitati a tornare senza indugi ai campi136; non

prima, però, di aver celebrato il ritorno della tanto sospirata pace (vv. 560-

129 Cfr. n. 88. Robert 1954, p. XI immagina per la caverna una struttura articolata e

totalmente praticabile, in grado di collegare e separare allo stesso tempo le facciate della casa di Trigeo e della dimora di Zeus.

130Vallois 1947, pp. 61ss. 131Cfr. Cap. 2, p. 34 132Sharpley 1905, p. 24 133Van Leeuwen 1906,p. 3 134Roux 1965, pp. XXXVIs.

136 Cosa che, ovviamente, non può avvenire, prima della Parabasi, ed è dunque ritardata

561). Interviene a questo punto Hermes che commenta la formazione assunta dal Coro, coerentemente con il suo ruolo di supervisore: egli sottolinea la compattezza dei coreuti nel prepararsi ad inneggiare alla dea, paragonandola per contrasto al clima di divisione che aveva caratterizzato le varie fasi del lavoro intorno all’antro, quando i soli contadini ateniesi si erano dovuti infine sobbarcare il lavoro di tutti, riuscendo a fatica a portare a termine il compito. La stesso tipo di confronto implicito è sottinteso ai versi 538-540, quando lo stesso Hermes indica a Trigeo come le città adesso «chiacchierano fra loro e ridono e si divertono, riconciliate»137.

L’osservazione di Hermes serve quindi a sottolineare come la liberazione di Εἰρήνη abbia immediatamente portato un’atmosfera completamente nuova. A questo risultato concorre anche la scelta della metafora gastronomica138

«ὥσπερ μᾶζα καὶ πανδαισία» (v. 565) che rovescia, con una sorta di

aprosdòketon, quella che si annunciava come una metafora bellica, a

dimostrazione del fatto che, in tempo di pace, quando un gruppo di uomini si schiera in formazione, continua a suscitare solo immagini legate alla festa, al banchetto, alla prosperità.

L’accostamento ossimorico di termini tratti dal lessico militare ed elementi che alludono invece alla pace ritrovata prosegue nella successiva battuta di Trigeo (vv. 566-567): le nuove armi degli eserciti greci scintillano al sole, si tratta però di zappe e rastrelli139.

Nessuna prova dunque è offerta dai versi 564-565 a favore della tesi che la grotta debba essere stata concepita dall’autore come un elemento terreno.

138 Il campo semantico del cibo e del banchetto, così come quello del vino e del simposio,

sono da sempre legati al tema della pace e della prosperità. Questo legame è particolarmente accentuato nell’ambito della tradizione del genere comico, in cui la sfera istintuale è protagonista e agisce da filtro attraverso il quale i personaggi percepiscono e descrivono la loro realtà.

139 Si anticipa qui il motivo degli strumenti bellici riadattati ad usi pacifici e quotidiani.

Questo tema, che emerge del resto in molti punti dell’opera, fra cui, oltre al passo in discussione, anche i versi 545-549, verrà sviluppato nel finale della commedia, durante la scena che vede coinvolti Trigeo da una parte e dall’altra due fabbricanti ed un mercante di armi (vv. 1196ss.). Per ciascuno dei loro prodotti, ormai inutili e invendibili, il protagonista suggerisce altrettanti impieghi impropri.

Al contrario, esiste un passo che ostacola l’adozione di questa interpretazione: si tratta dei versi 469-471, in cui il protagonista sostiene di partecipare in prima persona alle operazioni, e di essere impegnato a tirare con zelo una delle funi a cui è assicurata la dea140. E’ difficile non porsi il

problema di come qualcosa del genere potesse essere possibile, nel caso in cui Trigeo non si trovasse qui riunito al Coro.

E’ stato dunque proposto che si tratti di nient’altro che una gag in cui il vignaiolo finge di lavorare a dispetto dei coreuti, semplicemente mimando l’azione a cui fa riferimento141. Non mi pare, tuttavia, che questa strada sia

percorribile: non trovo che il personaggio di Trigeo abbia motivo, dopo aver spronato tutti a mettersi all’opera per un obiettivo a cui è profondamente legato142, di farsi beffe dei suoi complici, per poi sdegnarsi per la condotta di

quelli che mostrano indolenza (vv. 473ss.). Mi sembra che questo tipo di incoerenza possa essere solo parzialmente giustificato facendo riferimento all’indolenza che spesso caratterizza il personaggio comico; nel caso di Trigeo, infatti, questa caratteristica emergerebbe esclusivamente in questo passo. Inoltre non trovo convincente che, se avessimo qui a che fare con una

gag del tipo di cui si è discusso, l’autore la abbia voluta abbandonare così

repentinamente, senza aggiungere nessun commento da parte degli altri

140 Il corifeo rivolge, in verità, la sua domanda a Trigeo e ad Hermes, come indica l’uso del

duale, ma solo il vignaiolo risponde: Χορός: ἀλλ᾽ ἄγετε ξυνανέλκετε καὶ σφώ.

Τρυγαῖος: οὔκουν ἕλκω κἀξαρτῶμαι κἀπεμπίπτω καὶ σπουδάζω;

141 Questa è la posizione di Sharpley 1905, p. 24. L’indolenza è indubbiamente uno dei

caratteri intorno ai quali ruota la costruzione del personaggio comico. E’ tuttavia del tutto fuori luogo in questa occasione. Pickard Cambridge 1946, p. 62 rifiuta, a ragione, l’idea che Trigeo finga impegno, citando a tal proposito anche il verso 361 in cui Trigeo parla alla prima persona plurale («ἀφέλξομεν») e Hermes «evidently regards him as about to do something himself».

142 Vedi, ad esempio, i versi 450-451, in cui Trigeo e il Coro sono perfettamente concordi

sulla pena da comminare a chi ostacolasse i lavori: Τρυγαῖος: κεἴ τις στρατηγεῖν βουλόμενος μὴ ξυλλάβοι, ἢ δοῦλος αὐτομολεῖν παρεσκευασμένος

Χορός: ἐπὶ τοῦ τροχοῦ γ᾽ ἕλκοιτο μαστιγούμενος.

personaggi, e dirottando invece immediatamente l’attenzione degli spettatori sul lavoro svolto dagli altri ‘soccorritori’.

In alternativa, Richter143, seguito da Vallois144, ha suggerito che i coreuti

incaricati di assicurare la statua della dea alle funi, avessero lanciato una cima a Trigeo che avrebbe potuto così collaborare, coinvolgendo o meno anche Hermes, dalla sua posizione sopraelevata145.

D’altra parte, l’uso dell’avverbio potrebbe essere giustificato altrimenti, tenendo conto del fatto che Hermes ha descritto la caverna come un ἄντρον βαθύ146. La caratterizzazione della prigione di Pace come un antro

sotterraneo, è del resto confermata da numerosi elementi, come l’abbondante uso di verbi composti con ἀνα-147, e la notazione «ὁρᾷς / ὅσους

ἄνωθεν ἐπεφόρησε τῶν λίθων»: la camera sotterranea sul fondo della quale giace la dea Pace è stata sigillata con dei massi posti sopra al suo ingresso. Una descrizione di questo tipo richiamava probabilmente alla mente degli spettatori luoghi come la πετρώδης κατῶρυξ dell’Antigone148, una vera e

propria tomba naturale.

L’oscillazione per cui tendono a sovrapporsi l’immagine di Pace rinchiusa in una caverna e quella di Pace sotterrata, si nota anche nella sintesi offerta dagli Argumenta della commedia, in uno dei quali si legge «ἐνοικισάμενος, ὁ

143Richter 1860, p. 35

144Vallois 1947, p. 63

145 Difficile dire se, dalla posizione in cui si trovava, l’attore potesse concretamente aiutare i

coreuti a trainare la statua di Pace, ma il fatto che gli venisse fornita una cima rendeva certamente credibile, nella finzione scenica, che il protagonista sostenesse in seguito di aver fatto la propria parte.

146 Questa possibilità è stata esclusa da Sharpley 1905, p. 23 secondo cui «τὸ κάτω» non può

equivalere nell’uso aristofaneo a «τὸ πρὸ ποδῶν», ma indica sempre una differenza di livello rispetto a qualcosa che si trova più in alto. Mi sembra tuttavia che questa osservazione manchi il bersaglio: se anche si immagina l’ingresso della grotta come una buca nel terreno, l’avverbio alluderebbe non alla posizione della bocca dell’antro, ma alla camera sotterranea in cui si trova Pace. Anche in questo caso, dunque, esiste un livello inferiore, che tuttavia può non corrispondere con un piano inferiore della scena.

147Ἀνελκύσαι(v. 307), ἀνορύττων (v. 372), ξυνανέλκυσον (v. 417), ἀνελθεῖν (v. 445), ξυνανέλκετε

(v. 469).

Πόλεμος εἱς ἄντρον τὴν Εἰρήνην εἴρξας λίθους ἐπιφορήσειε», mentre in un altro «κατέλαβεν (scil. Τρυγαῖος) <Ἑρ>μῆν μόνον ἄνω […] Εἰρήνην δὲ κατορωρυγμένην».

È stato inoltre osservato da Pickard-Cambridge149 che espressioni come «εἰς

τὸ φῶς ἀνελκύσαι» (v. 307), e «εἰς φῶς ἀνελθεῖν» (v. 444), usate spesso in riferimento alla resurrezione dalla morte, risulterebbero particolarmente calzanti nel caso di un antro sotterraneo. In questi termini ci si riferisce, ad esempio, nelle Rane, ad Eschilo, destinato a tornare ad Atene dall’Ade150.

Se Aristofane immaginava una caverna le cui radici si perdono nel sottosuolo, come sembra verosimile, non è necessario pensare che il verso 224 fornisca un’informazione ulteriore, relativa cioè alla collocazione dell’antro su un livello diverso rispetto a quello dei parlanti. E’ sufficiente leggere in questo punto un’allusione ai recessi più profondi di un antro il cui ingresso si trova sullo stesso livello da cui i personaggi parlano.

D’altra parte, per quanto l’idea di un ‘sottosuolo del cielo’ appaia bizzarra, la libertà del commediografo, che rappresenta il mondo divino come una copia di quello umano, di cui ogni spettatore ha esperienza, permette certamente di immaginare un antro le cui radici si perdono nel ‘suolo’ celeste151.

‘Sopra’ e ‘sotto’, secondo questa visione, farebbero riferimento quindi ad un’articolazione della struttura della caverna, peraltro solo evocata nel testo,

149Pickard-Cambridge 1946, p. 63 n. 1 150Aristoph. Ran. vv. 1528-30: Χορός: πρῶτα μὲν εὐοδίαν ἀγαθὴν ἀπιόντι ποιητῇ ἐς φάος ὀρνυμένῳ δότε δαίμονες οἱ κατὰ γαίας, τῇ δὲ πόλει μεγάλων ἀγαθῶν ἀγαθὰς ἐπινοίας. Cfr. anche e.g. Soph. Phil. vv. 622ss.

Φιλοκτήτης: οἴμοι τάλας: ἦ κεῖνος, ἡ πᾶσα βλάβη, ἔμ᾽ εἰς Ἀχαιοὺς ὤμοσεν πείσας στελεῖν; πεισθήσομαι γὰρ ὧδε κἀξ Ἅιδου θανὼν πρὸς φῶς ἀνελθεῖν, ὥσπερ οὑκείνου πατήρ.

151 Che l’Olimpo rappresentato da Aristofane sia fortemente ‘antropomorfizzato’ per

quanto riguarda la descrizione sia dell’ambiente fisico che dei suoi abitanti, è già evidente dal fatto che Zeus risiede in un palazzo, munito di porta ed usciere, come qualunque sovrano terrestre.

e del tutto indipendente dalla divisione fra cielo e terra da una parte, e fra livello superiore ed inferiore dell’apparato scenico dall’altra.

A favore di questa ipotesi Richter152, Russo153, Newiger154, Arnott155 e

Dearden156.

Questo argomento lascia comunque aperta la possibilità di un antro sotterraneo terrestre. Riprendendo e portando alle estreme conseguenze l’osservazione di Pickard-Cambridge sui versi 307 e 444, Roux ha sostenuto che si tratti di una caverna sotterranea terrestre, nonchè in diretta comunicazione con gli Inferi157: Trigeo teme infatti che possa emergerne il

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