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La Cina. La Cina ha cominciato a guardare con interesse al Medio Oriente quando il suo

3. Le politiche mediterranee 32

3.4 Gli attori globali nell’area

3.4.4. La Cina. La Cina ha cominciato a guardare con interesse al Medio Oriente quando il suo

alla Sesta Flotta USA e ai paesi europei che a quelli arabi. Ed è da quella direzione che vedono essenzialmente le minacce. La sparizione della presenza sovietica e quindi russa dal Mediterraneo è stata seguita, agli occhi dei russi, da un’occupazione ingiustificata dello stesso, se non dalla volontà di dominio, da parte delle flotte dei paesi NATO. Un’altra tendenza russa, pienamente61

comprensibile, è quella di considerare congiuntamente il Mediterraneo e il Mar Nero. Questo non stupisce, poiché anche la Difesa Italiana considera il Mar Nero parte del Mediterraneo Allargato e quindi dell’area d’interesse strategico nazionale. Per la Russia il Mar Nero è ancora più vitale, così com’è mal tollerabile la presenza americana e NATO in quell’area. Nel Mediterraneo la Russia guarda con preoccupazione alle dispute tra Grecia e Turchia e in particolare a Cipro, anche per la solidarietà tra cristiano-ortodossi che ha un suo peso in quest’epoca. Quando la Russia guarda alle politiche europee verso i paesi del sud del Mediterraneo, percepisce un intento discriminatorio nei suoi confronti, una volontà di isolarla dall’attività regionale, coerente con quella che vede come una volontà occidentale di accerchiare la Russia militarmente ed escluderla da mercati che rientrano nelle sue aree d’interesse (Kovalsky 2003). Nonostante l’esclusione dal Processo di Barcellona, nel quale sarebbe comunque difficile immaginare la Russia a promuovere la trasparenza e la democrazia in altri paesi, la Russia ha un mercato importante con i paesi arabi mediterranei, nei settori strategici degli armamenti e dell’energia, e risulta che abbia in programma di ripristinare una base navale in Siria, Tartus, che usava ai tempi dell’Unione Sovietica62. L’unica sfida proveniente dai paesi arabi che tocca la Russia, anche se indirettamente, e la preoccupa, è quella del cosiddetto “fondamentalismo islamico”. Le idee radicali provenienti da quell’area influiscono sicuramente sulle popolazioni islamiche in territorio russo, per non parlare del circuito internazionale di mujahidin che danno man forte ai ribelli locali. In questo settore la Russia è stata aperta alla cooperazione con l’occidente, in un contesto di lotta al terrorismo. Come accade anche in ambito europeo, la Russia predilige l’OSCE, di cui fa parte, anche ai fini della cooperazione con i paesi Mediterranei, e quindi vedrebbe volentieri un potenziamento del programma di cooperazione di quest’organizzazione dedicato alla regione, trattato in un paragrafo precedente. Rilevante è la presenza della Russia nel “quartetto” che media i negoziati sul processo di pace israelo-palestinese.

3.4.4. La Cina. La Cina ha cominciato a guardare con interesse al Medio Oriente quando il suo

rapido sviluppo industriale l’ha resa non più autosufficiente dal punto di vista energetico e sempre più alla ricerca di materie prime per le sue attività produttive. L’autosufficienza energetica è

 

61 UPI.com, settembre 2008

terminata tra il 1992 e il 1993 e oggi importa metà del suo fabbisogno da vari fornitori, e il 50% di questa metà proviene Medio Oriente. Le previsioni per il 2030 dicono che la quota d’importazione energetica raggiungerà il 75% del fabbisogno. L’interesse per il petrolio medio-orientale mette la Cina a rischio di confronto con gli Stati Uniti, che da decenni domina l’area, in particolare il Golfo, dal punto di vista militare. Lo scambio commerciale annuale tra Cina e Medio Oriente è, però, di quasi 80 miliardi di USD, con una quota consistente spettante all’Arabia Saudita. Un tale importo, sebbene impressionante, rappresenta poco più dell’1% del commercio globale della Cina e una quota minima dello scambio Cina-USA. La Cina, inoltre, a differenza di quello che faceva in passato l’Unione Sovietica, non ha interesse a soppiantare militarmente gli USA e non mette i partners nella condizione di dover scegliere tra i due. Trae quindi beneficio dal ruolo americano di garante della libera circolazione dei flussi energetici e fa i suoi interessi economici, senza dover sostenere il prezzo della presenza militare e della sfida agli USA. Gli scambi commerciali non riguardano solo l’energia, ma ci sono importanti investimenti reciproci per opere costruite in Cina e in Medio Oriente e la Cina esporta dovunque i suoi prodotti a basso costo della tipologia più diversa. I paesi del GCC (Gulf Cooperation Council), i più ricchi di petrolio, sono quelli con gli scambi maggiori, ma anche l’Africa settentrionale è coinvolta in pieno. Basta considerare che la Libia ha importato prodotti cinesi per 1.3 miliardi di USD nel 2005, mentre in Egitto si sta avviando a soppiantare presto gli USA come primo fornitore di prodotti. Mentre la Cina è destinazione d’importanti investimenti dei paesi del Golfo, nel Mashreq e Maghreb il flusso è inverso: è la Cina a investire, com’è accaduto per la Giordania, dove è stata aperta una fabbrica d’auto con finanziamento e tecnologia cinesi. Numerose sono le atre iniziative che riguardano l’Egitto: il nuovo centro congressi del Cairo, industrie tessili, uno stabilimento per la produzione di alluminio, mentre gli attuali investimenti in settori industriali, energetici e comunicazioni in Algeria ammontano a 18 miliardi di dollari e sono stati stipulati oltre 300 accordi per progetti da realizzare in quel paese (Alterman 2009). In aggiunta alle attività puramente commerciali, la Cina è attiva da tempo nella vendita di armamenti ai paesi dell’area, nel trasferimento di tecnologie a doppio uso e ultimamente ha anche stabilito una presenza di peacekeepers nell’operazione ONU in Libano (UNIFIL). La vendita di armi raggiunse il suo apice durante la guerra Iran-Iraq, ma ora è modesta, perché molti paesi si riforniscono negli USA o in Europa. La situazione è ovviamente diversa per l’Iran, che continua a essere un cliente privilegiato della Cina per gli armamenti, compresi i missili terra-mare, che costituiscono un serio sostegno al deterrente iraniano in materia di guerra navale asimmetrica e alla sua capacità di disturbare se non bloccare il traffico marittimo nello stretto di Hormuz. Uno di questi missili è stato impiegato dagli Hezbollah per colpire una nave israeliana (Hanit) durante il conflitto del 2006. La presenza in Libano nella forza UNIFIL di un contingente cinese, che conta ora tra i 300 e i 400 militari, ha lo scopo di aumentare l’influenza nella regione.

Un ulteriore contributo a questa influenza è la presenza di una nave cinese nelle acque al largo della Somalia per contrastare la pirateria. I contatti tra autorità militari, sebbene inferiori rispetto ad altre aree del mondo, non sono mancati. Negli ultimi anni vi sono state visite in Egitto, Siria, Giordania, Libano e Israele, più vari paesi del Golfo. I paesi arabi sono indubbiamente attratti dalla Cina, perché è una potenza emergente che può costituire un’alternativa agli USA, considerata una potenza imperiale che persegue i propri interessi e quelli di Israele a loro danno. La Cina è vista in un certo senso con un favore simile a quello di cui godevano gli Stati Uniti un secolo fa (Alterman 2009), quando rappresentavano un’alternativa all’impero britannico e all’imperialismo europeo in genere. La Cina ha poi il vantaggio di non essere interessata agli affari politici interni dei paesi arabi: non pensa a promuovere la democrazia e i diritti umani, né cerca di promuovere riforme interne, come fanno gli USA, tra l’atro a volte anche in modo violento, o gli europei. La Cina, anzi, costituisce un modello alternativo di antica civiltà che ha saputo realizzare un impressionante progresso economico, certamente ricercato dai paesi arabi, senza però attuare riforme politiche, secondo una formula di grande attrattiva per i paesi arabi, che guardano con preoccupazione alle richieste provenienti dall’occidente di riforme che comprometterebbero i sistemi di potere su cui si appoggiano i regimi. Fioriscono le iniziative culturali: i corsi di lingua cinese sviluppati soprattutto in Egitto (2500 studenti all’anno), un’Università egiziano-cinese al Cairo in fase di costituzione, una versione in arabo del periodico mensile China Today. La Cina, in definitiva, sta applicando con successo principalmente il “soft power” nella regione e questo le fa guadagnare un’immagine rassicurante, favorisce la crescita rapida delle relazioni e le apre la strada per un eventuale futura presenza hard.

Capitolo 4