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Cinque valori letterari, e non solo letterari

Parte Seconda

PROPOSTE PER IL TERZO MILLENNIO Le Lezioni americane di Italo Calvino:

3. Cinque valori letterari, e non solo letterari

Tenendo presente tutto questo, possiamo ora chiarire ciascuno dei cinque valori scelti da Calvino, e lo facciamo puntualizzando le opposizioni entro le quali si collocano, e i sinonimi e i contrari, che

servono a meglio definirli, portando inoltre le ragioni che ne giu-stificano la scelta e avvertendo infine dei pericoli che li insidiano.

La prima proposta, quella della “leggerezza” (pp. 7-35), fa rife-rimento alla opposizione leggerezza - peso: ciascuno di questi due aspetti può configurarsi in termini positivi o in termini negativi;

scrive Calvino: “sosterrò le ragioni della leggerezza. Questo non vuol dire che consideri le ragioni del peso meno valide, ma solo che sulla leggerezza penso d’avere più cose da dire” (p. 7). Ebbene, il peso può indicare il valore della consistenza o il disvalore della pesantezza; mentre la leggerezza può indicare il valore della pen-sosità e il disvalore della frivolezza. Ne consegue che la leggerezza additata da Calvino non è fuga dalla realtà, non è fuga nel sogno o nell’irrazionale (p. 12), ma è un “guardare il mondo con un’altra ottica, un’altra logica, altri metodi di conoscenza e di verifica” (p.

12), la leggerezza “si associa con la precisione e la determinazione non con la vaghezza e l’abbandono” (p. 20), è cioè “una leggerezza della pensosità” (p. 15) e in questo senso si oppone alla pesantezza (“la leggerezza come reazione al peso di vivere”: p. 33; come “gra-vità senza peso”: p. 25) e si oppone alla frivolezza (“la leggerezza pensosa può far apparire la frivolezza come pesante e opaca”: p. 15).

Dunque, la leggerezza è contraria alla pesantezza e non va con-fusa con la frivolezza che sono due pericoli dell’odierna civiltà dello spettacolo, caratterizzata da una insostenibile superficialità, mentre c’è bisogno di andare oltre, e, a tal fine, l’operazione da fare è quella dell’alleggerimento, che è reazione al peso del vivere, e quindi processo di liberazione. Che, proprio per questo, la leggerezza sia essenziale è lo stesso Calvino a sottolinearlo. Infatti, volendo cercare una definizione complessiva per il suo lavoro, ha proposto questa: “la mia preparazione è stata il più delle volte una sottra-zione di peso: ho cercato di togliere peso ora alle figure umane; ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e del linguaggio (p. 7), tanto da additare

come simbolo l’agile salto improvviso del poeta - filosofo (Guido Cavalcanti) che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte, come un cimitero d’automobili arrugginite” (p. 16).

La seconda proposta, quella della “rapidità” (pp. 39-62), fa rife-rimento alla opposizione rapidità - ponderazione: ciascuno di questi due aspetti può configurarsi in termini positivi o in termini nega-tivi; infatti la ponderazione può indicare il valore dell’indugio e il disvalore della inerzia, dello stallo o anche della rigidità, mentre la rapidità può indicare il valore del ritmo, per dire agilità, mobilità, disinvoltura, concentrazione (scrive Calvino: “il mio lavoro di scrit-tore è stato teso fin dagli inizi a inseguire il fulmineo percorso dei circuiti mentali che catturano e collegano punti lontani dello spazio e del tempo”: p. 55), e il disvalore della congestione, della confusione, della frettolosa velocità, conseguente a quel mito della velocità, che è proprio dell’odierna civiltà dei motori.

Di fronte a tale pericolo, proprio dei “tempi sempre più conge-stionati che ci attendono, il bisogno di letteratura dovrà puntare sulla massima concentrazione della poesia e del pensiero” (p. 58);

“in un’epoca in cui altri media velocissimi e di estesissimo raggio trionfano, e rischiano d’appiattire ogni comunicazione in una cro-sta uniforme e omogenea, la funzione della letteratura è la comuni-cazione tra ciò che è diverso in quanto diverso, non ottundendone bensì esaltandone la differenza, secondo la vocazione propria del linguaggio scritto” (p. 52).

La terza proposta, quella della “esattezza” (pp. 63-88), fa rife-rimento alla opposizione esattezza - indeterminatezza: ciascuno di questi due aspetti può configurarsi in termini positivi o in termini negativi; infatti la indeterminatezza può indicare il valore della vaghezza e il disvalore della svagatezza, dell’approssimazione, mentre

la esattezza può indicare il valore della icasticità per dire definitezza e precisione, e il disvalore della mera misurabilità. Ciò significa che la esattezza additata da Calvino (“il mio culto dell’esattezza”:

p. 68) comporta in letteratura soprattutto tre cose: “1) un disegno dell’opera ben definito e ben calcolato; 2) l’evocazione d’immagini visuali nitide, incisive, memorabili (icastiche); 3) un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione” (p. 65). Precisa poi Calvino che la sua ricerca dell’esattezza si è biforcata in due direzioni: “da una parte la riduzione degli avvenimenti contingenti a schemi astratti con cui si possano compiere delle azioni; e dall’altra parte lo sforzo delle parole per render conto con la maggior precisione possibile dell’aspetto sensibile delle cose. (...) Sono due diverse pulsioni verso l’esattezza che non arriveranno mai alla soddisfazione assoluta”, e

“tra queste due strade (dichiarava Calvino) io oscillo continuamente e quando sento d’aver esplorato al massimo le possibilità dell’una mi butto sull’altra e viceversa” (pp. 82-83).

Ebbene, di fronte all’odierna società dell’informazione, il peri-colo denunciato da Calvino riguarda proprio il linguaggio, la sua decadenza; da qui l’imperativo di riguadagnare il “giusto uso del linguaggio”: tale è, per Calvino, “quello che permette di avvicinarsi alle cose (presenti o assenti) con discrezione e attenzione e cautela, col rispetto di ciò che le cose (presenti o assenti) comunicano senza parole” (p. 85).

La quarta proposta, quella della “visibilità” (pp. 91-110), fa rife-rimento alla opposizione visibilità - velatezza: ciascuno di questi due aspetti può configurarsi in termini positivi o in termini negativi;

infatti la velatezza può indicare il valore della realtà e il disvalore della opacità, mentre la visibilità può indicare il valore della imma-ginazione (più precisamente - scrive Calvino - “il mio procedimento vuole unificare la generazione spontanea delle immagini e l’inten-zionalità del pensiero discorsivo”: p. 101) e il disvalore della

fan-tasticheria confusa e labile (p. 103). Dell’immaginazione, che può essere definita come strumento di conoscenza o come identificazione con l’anima del mondo (e l’opzione di Calvino va in parte all’una e in parte all’altra), lo stesso Calvino dà anche un’altra definizione, in cui si riconosce pienamente: è quella di “immaginazione come repertorio del potenziale, dell’ipotetico, di ciò che non è né è stato né forse sarà mai ma che avrebbe potuto essere” (p. 102).

L’inclusione della visibilità nell’elenco di valori da salvare (nella odierna civiltà delle immagini belle e pronte) è operata da Calvino

“per avvertire del pericolo che stiamo correndo di perdere una facoltà umana fondamentale: il potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi”, cioè “di pensare per immagini” (p. 103). Al riguardo Calvino ipotizza “una possibile pedagogia dell’immaginazione che abitui a controllare la propria visione interiore senza soffocarla e senza d’altra parte lasciarla cadere in un confuso, labile fantasticare, ma permettendo che le immagini si cristallizzino in una forma ben definita, memorabile, autosufficiente, ‘icastica’” (p. 103). In ogni caso, è da ricordare che “tutte le ‘realtà’ e le ‘fantasie’ possono prendere forma solo attraverso la scrittura, nella quale esteriorità e interiorità, mondo e io, esperienza e fantasia, appaiono composte della stessa materia verbale” (p. 110).

La quinta proposta, quella della “molteplicità” (pp. 113-135), fa riferimento alla opposizione molteplicità - unità: ciascuno di questi due aspetti può configurarsi in termini positivi o in termini negativi;

infatti l’unità può indicare il valore della semplificazione e il disva-lore del riduzionismo, mentre la molteplicità può indicare il vadisva-lore della connessione, intesa come unità multipla di modi, di metodi e di stili, e il disvalore della frammentazione, cioè del particolarismo.

“Da quando la scienza diffida dalle spiegazioni generali e dalle solu-zioni che non siano settoriali e specialistiche, la grande sfida della letteratura è il saper tessere insieme i diversi saperi e i diversi codici in una visione plurima, sfaccettata del mondo” (p. 123). A questo

risponde “il romanzo contemporaneo come enciclopedia, come metodo di conoscenza, e soprattutto come rete di connessioni tra i fatti, tra le persone, tra le cose del mondo” (p. 116). Infatti, “quella che prende forma nei grandi romanzi del XX secolo è l’idea d’una enciclopedia aperta: aggettivo che certamente contraddice il sostan-tivo enciclopedia, nato etimologicamente dalla pretesa di esaurire la conoscenza del mondo rinchiudendola in un circolo. Oggi non è più pensabile una totalità che non sia potenziale, congetturale, plurima”, e, non a caso, “i libri moderni che più amiamo nascono dal conflu-ire e scontrarsi d’una molteplicità di metodi interpretativi, modi di pensare, stili d’espressione (127).

Dunque, nella odierna società della conoscenza, al pericolo con-seguente del settorialismo specialistico, Calvino oppone la sua “apo-logia del romanzo come grande rete” (p. 134), e porta alcuni esempi di molteplicità: “c’è il testo unitario che si svolge come il discorso di una singola voce e che si rivela interpretabile su vari livelli” (Jarry);

“c’è il testo plurimo, che sostituisce alla unicità di un io pensante una molteplicità di soggetti (Platone, Rabelais, Dostojevski); “c’è l’opera che nell’ansia di contenere tutto il possibile riesce a darsi una forma e a disegnarsi dei contorni e resta incompiuta per vocazione costitu-zionale (Musil, Gadda); “c’è l’opera che corrisponde in letteratura a quello che in filosofia è il pensiero non sistematico, che procede per aforismi, per lampeggiamenti puntiformi e discontinui (Valery).

Questi, dunque, sono i cinque valori che Calvino vuole salvare e additare al nuovo millennio: si tratta certamente di valori lette-rari, che affondano nella tradizione occidentale e che reclamano di essere rinverditi alla luce delle nuove istanze culturali e sociali, ma sono anche valori di portata esistenziale: sia in senso intellettuale che comportamentale, sia in senso veritativo che valoriale, e che, in ogni caso, legano la letteratura al pensiero e rinviano al legame tra letteratura e filosofia. Alcune espressioni di Calvino sopra rife-rite lo evidenziano chiaramente: parlare di “una leggerezza della

pensosità” (p. 15); di “una letteratura (che) dovrà puntare sulla massima concentrazione della poesia e del pensiero” (p. 58); di “un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione” (p. 65); di “un giusto uso del linguaggio” che “permette di avvicinarsi alle cose (presenti o assenti) con discrezione e attenzione e cautela, col rispetto di ciò che le cose (presenti o assenti) comunicano senza parole” (p. 85);

di un procedimento che “vuole unificare la generazione spontanea delle immagini e l’intenzionalità del pensiero discorsivo” (p. 101);

di un “pensare per immagini” (p. 103), ebbene parlare in questo modo significa non solo dettare le regole di una poetica, ma anche suggerire dei percorsi di etica: il che mi sembra anche filosofica-mente pregnante.

Ha dunque ragione Alberto Asor Rosa a scrivere in uno dei suoi studi su lo stile Calvino che a Italo Calvino si deve “il più colossale sforzo - in Italia senza alcun dubbio, ma anche nel resto del mondo altri esempi possibili si contano sulle dita di una mano - per adattare la letteratura alla nuova realtà, senza abdicare in nulla alle tradizioni e ai costumi della classicità”. E con lo stesso studioso (nell’intervi-sta su La lezione di Calvino) è da ribadire che le Lezioni americane sono “una di quelle opere in cui, almeno per quanto mi riguarda, ci si confronta, assorbendo stimoli, suggerimenti, sensazioni, e così viva.

Io considero quest’opera come una delle riflessioni più importanti a livello mondiale sul destino della letteratura, nel passaggio davvero epocale tra la tradizione e il futuro”.