• Non ci sono risultati.

Filosofia e letteratura: quale rapporto?

Parte Seconda

PROPOSTE PER IL TERZO MILLENNIO Le Lezioni americane di Italo Calvino:

1. Filosofia e letteratura: quale rapporto?

È nella natura stessa della filosofia il relazionarsi a ciò che filoso-fico non è immediatamente, ma è primariamente religioso, politico, scientifico, storico o tecnico, e di volta in volta il rapporto della filosofia con questi diversi ambiti si è rinnovato, e in certi casi si è

specificato in modo epocale; così (schematizzando fortemente) la filosofia arcaica e classica si è misurata con il mito e con la società, la filosofia medievale con la fede e la chiesa, la filosofia moderna con la scienza e la storia, e la filosofia contemporanea con la tecnica e le tecnologie. Non solo: oggi le “filosofie al genitivo” (filosofia della scienza, della politica, dell’arte, dell’educazione, della religione, ecc.) hanno finito coll’essere privilegiate rispetto alla “filosofia al nominativo”, cioè la metafisica nelle sue diverse declinazioni. Anche dal punto di vista didattico, c’è un abbinamento significativo, dal momento che l’insegnamento della filosofia è collegato nei licei a quello della storia. Inoltre, a livello accademico, il binomio “lettere e filosofia” denomina certe Facoltà.

Tuttavia è rimasta piuttosto in ombra la relazione tra filosofia e letteratura che pure ha caratterizzato la filosofia al suo sorgere, nel senso che le opere dei filosofi erano dei poemi (Parmenide) o che opere di autori di teatro facevano riferimento alla filosofia (Aristo-fane) o che, soprattutto, opere filosofiche erano di grande letteratura (Platone). Ha quindi ragione Ermanno Bencivenga a ricordare (in un suo recente volume su alcuni protagonisti della filosofia italiana) che fin dalle origini della filosofia è riscontrabile il suo legame con la letteratura: “nel testo che ha inaugurato questa disciplina (almeno in Occidente), i dialoghi platonici, entrambe le strategie sono ‘in gioco’:

a ragionamenti logici di grande astrattezza e cogenza si alternano vivide descrizioni di ‘mondi possibili’. Infatti, “il testo di Platone usa indifferentemente logica e mito, per identici fini argomentativi”.

Invece, nella tradizione nata con Platone, la filosofia è stata regolar-mente privata del suo tessuto narrativo”.

Eppure (evidenzia Bencivenga) “ogni filosofo che si rispetti usa insieme immaginazione e ragionamento”, privilegiando l’una o l’altra.

Invece, la filosofia ha mostrato un’ansiosa sollecitudine a distinguersi dalla letteratura”, ma “se questa sollecitudine avesse successo e le due discipline si separassero nettamente, ne seguirebbe lo spegnersi

di entrambe. Ciò non vuol dire, però, che nel reciproco mescolarsi che è necessario alla loro comune sopravvivenza non siano possibili dosi maggiori o minori dell’una e dell’altra”.

Al riguardo lo stesso studioso per esemplificare chiama in causa

“la tipicità della filosofia italiana”, rintracciata nel fatto che “in essa l’elemento letterario è più importante che in altre”, cioè “qui più che altrove è importante lo stile: che il pensiero di tanti filosofi italiani si sostanzia attraverso lo stile e si nutre di esso”. Da qui il titolo dato al suo volume Il pensiero come stile, (da cui sono tratte le precedenti citazioni: pp. 3-5, e quelle seguenti: pp. 186-188) che ha tra l’altro il merito di riproporre la questione del rapporto tra filosofia e letteratura, disegnando una serie di ritratti di pensatori italiani, che sono scrittori, e conosciuti soprattutto come tali.

Ebbene, la galleria di questi filosofi - scrittori si conclude con un capitolo dedicato a Italo Calvino, e proprio la riflessione su Cal-vino porta Bencivenga a trarre delle conclusioni generali, secondo cui “filosofia e letteratura vogliono entrambe staccarci dai nostri contesti abituali: loro scopo comune è la nostra liberazione, e l’a-gilità mentale che le si accompagna, e la più ampia conoscenza e migliore adattività che sono prerogativa di una mente più agile e libera. Entro questo generale compito liberatorio, svolgono ruoli distinti e complementari”.

Così la calviniana concezione del rapporto tra filosofia e lette-ratura come una “lotta” va precisata, dicendo che alla lotta “non è necessario soccombere, si può continuarla indefinitamente, e l’esigenza di verità può così avere un peso cruciale nell’avventura liberatoria”. Infatti, quando “la componente inventiva dell’ope-razione (che) possiamo attribuire alla letteratura e l’esigenza di verità che struttura l’invenzione alla filosofia”, “fanno la loro parte riusciamo davvero a liberarci (pp. 186-187). Questo, invece, non accade quando affiora “l’ansietà professionale”, cioè il bisogno di definirsi come filosofo o come letterato per sancire la propria

identità”. Allora inevitabilmente, le conseguenze di questa ansietà sono: “un filosofo ridotto alla chiacchiera e un letterato ridotto al silenzio” (p. 188).

Pertanto si può concludere su questo punto, dicendo che non bisogna temere “il contagio fra pensiero e stile” (p. 188); anzi, l’in-treccio può essere estremamente fecondo, tanto più che nel nostro tempo il rapporto letteratura - filosofia assume nuova rilevanza per almeno due ordini di fattori.

In primo luogo, per l’attenzione che i filosofi vanno prestando in misura crescente alla letteratura: sono docenti di filosofia teoretica, di estetica e addirittura di filosofia della letteratura (insegnamento, quest’ultimo, presente solo in poche università). E la riflessione si è tra l’altro appuntata su scrittori emblematici della condizione moderna e postmoderna: Novalis, Dostoevskij, Rilke, Proust, Kafka, Joyce, Musil, Jonesco, Kundera, ecc. Per la letteratura italiana, i nomi d’obbligo sono quelli di Giacomo Leopardi e di Luigi Pirandello, su cui oggi la critica è concorde nell’evidenziare la loro connotazione oltre che letteraria, anche filosofica pur diversamente interpretata.

In secondo luogo, è da segnalare la produzione poetica e narrativa di alcuni filosofi: ci limitiamo a ricordare quelli che hanno scritto dei romanzi, e qui interessa prima ancora che il valore letterario delle loro opere, il fatto stesso che questi pensatori abbiano fatto un’esperienza letteraria: così Stefano Zecchi ha al suo attivo ben sette romanzi (Estasi, Sensualità, L’incantesimo, Fedeltà, Amata per caso, Il figlio giusto, Quando ci batteva forte il cuore), Umberto Eco sei romanzi (Il nome della rosa, Il pendolo di Foucault, L’isola del giorno prima, Baudolino, La misteriosa fiamma della regina Loana, Il cimitero di Praga), Sergio Givone tre romanzi (Favola delle cose ultime, Nel nome di un dio barbaro, Non c’è più tempo), Franco Rella due romanzi (L’ultimo uomo, La tomba di Baudelaire) e Aldo Giorgio Gargani un romanzo (Una donna a Milano).