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Cistite Pseudomembranosa

La cistite pseudomembranosa è una patologia molto rara e poco conosciuta in medicina veterinaria. Allo stato dell'arte si riscontrano pochi studi sui gatti (Le Boedec et al., 2011; Villa et al., 2018) con questa patologia mentre nessuno studio è stato effettuato sui cani. Per quanto detto questa patologia verrà trattata primariamente da libri e studi di medicina umana (seppure anche in medicina umana questa patologia sia di raro riscontro).

In medicina umana i primi riferimenti alla cistite pseudomembranosa risalgono al 1905, anno in cui Heymann pubblicò il trattato "Die cystitis trigoni der Frau" in cui definì questa forma come cistite trigonale, ma fu solo nel 1949 che Charles Pierrei Mathe del dipartimento di Urologia del St. Mary's Hospital and Southern Pacific General Hospital di San Francisco, California, classificò la cistite pseudomembranosa come una rara forma di cistite cronica (Mathe, 1949). Successivamente, vari termini sono stati coniati per identificare questa particolare forma di cistite, quali trigonite pseudomembranosa, trigonite granulare, uretrotrigonite, metaplasia squamosa o vaginale del trigono.

Più recentemente, la cistite pseudomembranosa è stata definita come una forma istopatologica specifica di cistite cronica (anche detta cistite interstiziale), da distinguere da altre forme tipo la cistite ulcerosa, la cistite suppurativa e la cistite calcifica (Damjanov e McCue, 2012). In questa particolare forma di cistite, infatti, le pseudomembrane (strati irregolari di materiale necrotico, grigio o giallastro costituite da detriti cellulari, fibrina, cellule infiammatorie e sangue) ricoprono la mucosa della vescica urinaria e la loro rimozione espone la mucosa ulcerata emorragica sottostante (Damjanov e McCue, 2012).

Nell'uomo, l’eziologia della cistite pseudomembranosa è variabile. Tipicamente, questa insorge come una complicanza dell'infiammazione che segue il trattamento con farmaci citotossici, tipo la ciclofosfamide. Anche l'eccessiva distensione della vescica è stata proposta come possibile causa di cistite pseudomembranosa nell'uomo, probabilmente attraverso l'ischemia della mucosa (Barrett, 1962; Zabihi et al., 2007; Grossklaus e Franke, 2000). Tuttavia, la causa principale sembra essere

34 legata a cause infettive (Streptococcus pyogenes, Str viridans, Staphylococcus pyogenes, Bacillus coli, B typhosus, B proteus) (Barrett, 1962; Love e Notley, 1978).

Nella cistite pseudomembranosa umana la lesione risulta endoscopicamente confinata al trigono, sebbene questa possa estendersi fino ad interessare gli orifizi ureterali e l’uretra craniale, mentre il resto della vescica risulta indenne. Macroscopicamente la lesione appare come una placca grigio-biancastra, rilevata, a margini serpiginosi, circondati da mucosa iperemica (Larosa et al., 2008). I preparati bioptici mostrano un epitelio squamoso non cheratinizzato, del tutto simile all’epitelio vaginale, più spesso del normale epitelio transizionale. Le cellule si presentano vacuolate, con abbondante glicogeno; la lamina propria mostra una marcata ectasia venosa, associata ad edema ed in alcuni casi a marcata fibrosi; scarsi gli elementi cellulari, assenti le pseudomembrane infiammatorie. L'edema produce una lesione rilevata e la dilatazione vascolare dà l'impressione di un processo infiammatorio (Henry e Fox, 1971; Jost et al., 1989).

Sempre in medicina umana, in passato, è stato ipotizzato che la cistite pseudomembranosa potesse rappresentare una risposta adattativa a stimoli irritativi cronici della vescica; sembra ormai consolidato, invece, il rapporto con l’influenza estrogenica, in particolare a causa della sua comparsa in donne nel periodo fertile ed in rapporto con le fasi del ciclo mestruale, in parallelo con le modificazioni dell’epitelio vaginale (Tyler, 1962). A conferma di tale ipotesi sono le osservazioni sperimentali di Streitz che, nel 1963, mise in evidenza che gli estrogeni causano un ispessimento ed una trasformazione in senso squamoso dell’epitelio derivato dal seno urogenitale e che la somministrazione di estrogeni aumenta il volume e l’estensione delle placche pseudo membranose (Streitz, 1963). Tutto ciò spiegherebbe l’evidenza di queste lesioni in donne in età fertile, l’assenza in giovani prima del menarca, l’incidenza decrescente dopo la menopausa e la sporadicità dei casi nel maschio.

La prevalenza dell’interessamento trigonale ha suggerito, inoltre, la differenza di derivazione embriogenetica del trigono rispetto al resto della vescica. Il terzo distale della vagina e l’uretra hanno origine dal seno urogenitale (dotto mesonefrico) mentre il resto della vescica è di origine endodermica. Pertanto lo stesso epitelio squamoso della vagina ricopre generalmente l’uretra e a volte il trigono. Lo sviluppo del trigono dal sistema mulleriano spiegherebbe la presenza di recettori estrogenici e la capacità di risposta agli estrogeni dell’epitelio (Pacchioni et al., 1992). Studi su cadavere hanno documentato la presenza di aree di epitelio squamoso trigonale nel 72% delle vesciche esaminate, suggerendo che la lesione possa essere asintomatica (Henry e Fox, 1971).

35 Perciò nelle giovani donne può verificarsi una iperespressione di epitelio squamoso similvaginale. Tale condizione è riferita erroneamente come trigonite, ma non risulta associata ad una reazione infiammatoria (non sono presenti né cellule infiammatorie né membrane infiammatorie). Al termine trigonite, improprio istologicamente, è stato spesso preferita la dizione di metaplasia vaginale del trigono o metaplasia squamosa non cheratinizzante. Per metaplasia si intende una alterazione reversibile in cui una cellula di tipo “adulto” (epiteliale o mesenchimale) è sostituita da un’altra cellula ben differenziata, in genere come meccanismo protettivo nei confronti di condizioni “ambientali” alterate. I fattori responsabili di questa riprogrammazione dell’espressione genica possono essere svariati: stimoli irritativi cronici di natura chimica, infettiva, meccanica, ormonale. L’esito di questo processo è la trasformazione di un tessuto ben differenziato in un altro tessuto egualmente differenziato, nell’ambito della stessa derivazione ontogenetica (transdifferenziazione) (Stephenson et al., 1989). Nel caso della cistite pseudomembranosa non sussistono i meccanismi propri dell’instaurarsi di una metaplasia, in particolare non sono identificabili stimoli irritativi in grado di transdifferenziare l’urotelio in epitelio pluristratificato non cheratinizzato. Perciò anche i termini metaplasia squamosa non cheratinizzante o metaplasia vaginale del trigono sono “etichette” improprie ed esprimono l'incapacità di riconoscere che la presenza di epitelio vaginale sulla mucosa del trigono o dell’uretra rappresenti una condizione normale; questa incapacità ha rappresentato la causa prima nella coniazione di termini cistoscopici come “trigonite” o “cervicotrigonite” o anatomo-patologici come “metaplasia squamosa” o “vaginale del trigono”, mentre invece si dovrebbe parlare di reperto normale di epitelio squamoso (Liang et al., 2005). Ai nostri giorni, in un contesto in cui la medicina umana punta più verso una medicina “patient centered” che “disease centered”, le pazienti vengono valutate nella loro complessità; per tale motivo si preferisce definire queste forme patologiche con il termine generico di dolore pelvico cronico.

In medicina veterinaria la localizzazione della patologia non si limita alla regione del trigono ma si estende in ogni parte della vescica; cosi come accade nella cistite interstiziale umana (Oberpenning et al., 2000). Allo stato dell'arte solo due studi sono stati eseguiti su questa rara patologia nei gatti e nessuno nei cani. Il primo studio è stato eseguito da Le Boedec nel 2011 e descrive quattro gatti presentati alla visita con ostruzione acuta del deflusso urinario e insufficienza renale acuta (Le Boedec et al., 2011). Da questo studio e dallo studio seguente eseguito da Vila nel 2018 si evince che i segni clinici più comuni di cistite pseudomembranosa sono ematuria acuta, disuria, stranguria e una grossa vescica dolorosa e non comprimibile (Vila et al.,

36 2018). Inoltre questa patologia può essere la causa di una ostruzione uretrale con conseguenze estremamente pericolose per la vita dell’animale (Nevins et al., 2015). Si tratta, in ogni caso, di segni clinici aspecifici che rendono difficile la diagnosi.

Secondo Vila e collaboratori, la controparte felina della cistite pseudomembranosa umana è una condizione rara descritta come una presentazione di malattia del tratto urinario inferiore felino (FLUTD) ostruttiva complicata, con essudato fibrinoso, coaguli di sangue, detriti necrotici e ispessimento delle pareti con strisce iperecogene della vescica che possono essere facilmente rilevate con l'ecografia addominale. L'istopatologia della cistite pseudomembranosa descritta in precedenza nell'uomo e nel gatto ha mostrato una componente necrotica accompagnata o complicata da infezione batterica delle vie urinarie (Le Boedec et al., 2011; Damjanov e McCue, 2012). In considerazione di ciò, un ciclo di antibiotici a lungo termine può avere un'influenza positiva sull'esito della patologia (Nevins et al., 2105; Dorsch et al., 2014; Love e Notley, 1987) e l'approccio chirurgico dovrebbe essere consigliato solo in casi gravi di cistite pseudomembranosa e refrattari al trattamento medico. Entrambi gli approcci terapeutici sono stati applicati nei due studi letteratura citati, con risultati positivi al trattamento. La presenza di infezione batterica è comunque ancora controversa in quanto lo studio di Le Boedec ha messo in evidenza urinocolture sterili, anche se i gatti oggetto dello studio avevano ricevuto una precedente terapia antibiotica da parte dei veterinari referenti.

Come sopra riportato, l'eziologia della cistite pseudomembranosa non è ancora ben conosciuta (Damjanov e McCue, 2012; Love e Notley, 1987), anche se infezioni batteriche gravi, infiammazioni causate da farmaci (soprattutto ciclofosfamide) e ischemia o sovradistensione della vescica sono stati ipotizzati quali principali fattori di rischio sulla base degli studi effettuati in medicina umana e veterinaria (Le Boedec et al., 2011; Damjanov e McCue, 2012; Grossklaus e Franke, 2000). La necrosi massiccia e la successiva formazione di pseudomembrane, che riempiono il lume vescicale di tessuto necrotico e sangue, potrebbero essere indotte dall'infiammazione focale e l'ulcerazione estesa della parete vescicale causata dagli agenti precedentemente descritti (Damjanov e McCue, 2012). Oltre a quanto detto in precedenza, è stato suggerito che anche la colonizzazione batterica massiva possa causare lo sviluppo di una grave infiammazione e ulcerazione della parete della vescica, con successiva necrosi, desquamazione delle cellule della mucosa e abbondante emorragia della parete vescicale (Grossklaus e Franke, 2000). A tale proposito, gli uropatogeni batterici più comuni nei gatti sono E. coli, Staphylococcus spp. e Enterococcus spp., (Eggertsdóttir et al., 2007;

37 Dorsch et al., 2016; Lister et al., 2009; Dorsch et al., 2015) che rappresentano anche alcuni dei batteri riscontrati da Vila nel suo studio. Come detto in precedenza questo dato è ancora incerto e va indagato con cura in quando lo studio di Le Boedec a riscontrato urinocolture sterili.

L'aspetto ecografico tipico di questa patologia è rappresentato dall'ispessimento delle pareti della vescica e da molteplici setti e strisce luminali, simili a membrane (Sutherland-Smith e Penninck, 2015; Le Boedec et al., 2011); questo argomento verrà poi approfondito in un capitolo specifico sullo studio ecografico. Lo studio radiografico in bianco non da buoni risultati in quanto ci può mostrare solo una sovra-distensione della vescica. Interessante è, invece, la cistoscopia a doppio contrasto che, nello studio di Le Boedec, ha confermato in un gatto l'ispessimento della parete vescicale e gli insoliti setti iperecogeni che dividevano il lume della vescica in compartimenti precedentemente evidenziati con lo studio ecografico (Fig. 1).

Fig. 1. Cistografia a doppio contrasto. Notare l'abbondante materiale intravescicale in continuità con la superficie mucosa della parete vescicale che appare più spessa del normale (da Le Boedec et al., 2011).

Nel suddetto studio è stata eseguita una cistotomia esplorativa in tre gatti ed esame post mortem in un gatto. Questi esami mostravano che l'aspetto della vescica, sia operatoria sia

38 necroscopica, era simile in tutti i gatti e consisteva in una parete ispessita e grandi pezzi di tessuto fibrino-emorragico che aderivano alla superficie della mucosa (Fig. 2).

Fig. 2. Aspetto necroscopico della vescica. La vescica è stata tagliata lungo il suo asse lungo e il contenuto intravescicale pseudo-membranoso è evidente. Si noti la spessa parete vescicale (da Le Boedec et al., 2011).

Il materiale resecato e le biopsie della parete vescicale sono stati, inoltre, esaminati al microscopio. Il contenuto della vescica consisteva in un essudato fibrinoso con sangue multiplo (Fig. 3a) e occasionale mineralizzazione focale. La mucosa della vescica presentava ulcerazione, necrosi ed emorragia gravi e diffuse (Fig. 3b).

39 Fig 3. Esame istopatologico di materiale intravescicale e biopsie della parete vescicale (da Le Boedec et al., 2011).

(a) Materiale rimosso chirurgicamente dalla superficie della mucosa della parete vescicale: coagulo fibrino-emorragico con alcuni leucociti degenerati. Colorazione con ematossilina ed eosina (100x) (b) Biopsia della parete vescicale a tutto spessore: la mucosa della vescica è diffusamente ulcerata e la lamina propria è marcatamente ingrandita a causa di edema acuto ed emorragia. La muscolatura interna è focalmente emorragica e degenerata. Colorazione con ematossilina ed eosina (10x).

Allo stato dell'arte gli approcci terapeutici eseguiti sono di tipo chirurgico, messo in atto per la terapia di tre dei quattro gatti presenti nello studio di Le Boedec, e di tipo medico, terapia eseguita su tre gatti nello studio presentato da Vila nel 2018. Nel primo studio l'incapacità della gestione convenzionale di ripristinare in modo affidabile il deflusso di urina ha spinto la decisione di eseguire una cistotomia a scopi diagnostici e terapeutici. Nonostante l'apparente gravità, tutti i gatti trattati si sono ripresi senza incidenti e non hanno presentato recidive. La cistotomia può quindi aver contribuito al risultato positivo. La rimozione chirurgica del materiale intravescicale, in particolare, è stata ritenuta fondamentale per ripristinare il deflusso di urina. Anche i farmaci antiinfiammatori non steroidei e gli antibiotici avrebbero potuto avere un'influenza positiva sull'esito della cistite. Inoltre, tutti i gatti trattati hanno ricevuto antibiotici, indipendentemente dai risultati delle ultime urinocolture, che avrebbero potuto curare qualsiasi infezione preesistente e spiegare l'assenza osservata di recidiva a breve termine. Prima della terapia chirurgica è stata intrapresa immediatamente la correzione dei disturbi di idratazione e degli elettroliti e gli animali sono stati sottoposti a cistocentesi, che, tuttavia, non è riuscita costantemente a decomprimere la vescica o, in due gatti, a consentire la raccolta di urina.

40 Nel secondo studio a causa dell'assenza di un evidente peggioramento, di una condizione pericolosa per la vita e della presenza di batteri all’urinocultura, è stato tentato un approccio terapeutico più conservativo, evitando procedure invasive e potenzialmente complicanti come la cistotomia o la laparotomia esplorativa (Vila et al., 2018). L'analisi delle urine di campioni ottenuti mediante cistocentesi durante la gestione iniziale rivelava, infatti, un sedimento urinario attivo con batteri intracellulari in tutti i casi. Inoltre, sebbene nessuno dei gatti avesse ricevuto un precedente trattamento antimicrobico, lo Staphylococcus spp. e Enterococcus spp. erano resistenti a un numero significativamente elevato di agenti antimicrobici, il che è in accordo con precedenti studi veterinari (Dorsch et al., 2016; Lister et al., 2009; Dorsch et al., 2015).

Nonostante la loro presentazione clinica iniziale acuta e grave, i tre gatti sono stati trattati con appropriati antimicrobici (marbofloxacina e amoxicillina-acido clavulanico) di prima linea, in base ai risultati dei test di sensibilità, e le pseudomembrane sono scomparse durante il ricovero in tutti i casi. La recidiva clinica o la progressione della cistite pseudomembranosa non è stata osservata nei due gatti sopravvissuti durante un follow-up a lungo termine. Tuttavia, uno dei gatti ha avuto recidive di ostruzione uretrale, probabilmente legate all'uso di un antibiotico empirico in attesa dei risultati di cultura e sensibilità o perché il gatto in questo caso aveva una presentazione clinica di cistite pseudomembranosa diversa e più complicata. L’esecuzione di un'uretrostomia e il passaggio a un antibiotico sensibile hanno migliorato sensibilmente il quadro clinico. Per tale motivo, gli autori dello studio hanno concluso che non si può escludere a priori la terapia chirurgica in casi gravi di cistite pseudomembranosa e in casi refrattari alla terapia medica. La gestione medica dell'ostruzione uretrale include, infine, una terapia di supporto individualizzata basata sulla correzione degli squilibri elettrolitici e di idratazione, l'analgesia (buprenorfina) e la risoluzione dell'ostruzione urinaria mediante il posizionamento di un catetere a permanenza (Balakrishnan e Drobatz, 2013; Hall et al., 2015).

Sulla base di questi risultati, si potrebbe suggerire che l’identificazione di batteri nell'analisi delle urine potrebbe destare un sospetto di cistite pseudomembranosa, specialmente quando questo segno è presente in gatti di età inferiore a 10 anni con segni clinici di FLUTD ostruttiva (Dorsch et al., 2014; Sævik et al., 2011; Hostutler et al., 2005; Litster et al., 2011; Kruger et al., 2008; Dorsch et al., 2016). In accordo, Vila e collaboratori raccomandano, a conclusione del loro studio, di effettuare sempre precocemente esami diagnostici approfonditi e di eseguire l'urinocoltura e test di

41 sensibilità agli antibiotici quando si scopre che il sedimento urinario è attivo o l'ecografia addominale suggerisce la presenza di cistite pseudomembranosa.

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