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Citato ivi, p 376 17 Ivi, pp 418-419.

18. Ivi, p. 361. 19. Ivi, pp. 361-362.

Trionfi e sconfitte

139 la differenza sostanziale che c’è tra la passione (che è lo scopo fondamentale di ogni scrittura di prosa tea trale) che è attiva, e l’emozione (che è lo scopo della musica) passiva. Scopo della tragedia, scriveva Aristotele nella sua Poetica, è liberare l’uo-

mo dalle passioni (politiche, religiose, d’amore ecc.); scopo

della commedia è liberare la società da qualcosa di brutto o di deforme attraverso l’ironia, il ridicolo. Aristotele vuole cioè liberarsi da ciò che nella società è vecchio e superato. Carmelo ha frequentato la poesia come puro canto, libera da ogni metafora, da ogni peso superfluo.

Dopo il periodo cinematografico, con i suoi grandi con- certi, Carmelo ha lasciato dietro di sé una grande scia di emozioni, grandi spettacoli applauditissimi. Egli ha ripor- tato in auge lo spettacolo del Settecento, il recitar cantando, un ibrido tra parola voce e musica. Interpretava, immede- simandosi fino ad annullarsi, voci e anime altrui, trasfor- mandosi in autori altri, con un apparato fisico-strumentale unico, curato ed educato per anni con metodo e accani- mento professionale. Con l’ausilio della grande musica è arrivato a ottenere ovazioni, boati da stadio. Concerti poe- tici osannati, divinizzati. Nella contraddizione che vede un io creatore nella necessità di esprimersi attraverso altri io, Carmelo ha inscritto in un unico evento scenico tutte le parti coinvolte in una creazione assolutistica e nello stesso tempo partecipata.

In base a queste premesse Carmelo Bene, a forza di to- gliere parti e valori altri, distillati in un unico grido di soffe- renza individuale, ha finito con lo smettere di fare tea tro. Ha inventato uno spettacolo che somma emozioni diverse con silenzi, sofferenze indicibili, godimento e liberazione non nella catarsi, ma nel proporne l’inganno. Un plagio comple- to, assoluto, l’addormentamento della mente in un placido orgasmo. Carmelo a proposito dell’egemonia dittatoriale del regista diceva: «Questo politico nus reggitore e ordinatore del tutto, coordinatore social-filologico e artistoideo – alluden- do a Giorgio Strehler e a tutti gli altri registi di allora – è il

deus ex machina del simulacro definitivamente squalificato a

confezione tea trale».

Ma poi, lungi dal creare un’opera di composizione scenica intesa come assemblaggio di apporti artistici e tecnici diversi, finisce anche lui per imporre se stesso come regista-autore, ossia l’autorialità di una intera compagnia. Tutto e solo io.

Carmelo Bene fra teatro e spettacolo Salvatore Vendittelli

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Un autore che manda all’aria ogni principio di collabo- razione tra attori e poeti. Le opere d’arte si fanno da soli! Egli ha sempre saputo che i significati desunti dai testi sono parziali, manipolabili per ragioni di poetica attoriale. Carme- lo infatti sfrutta ogni più piccola piega del significante per confermare le sue doti di fine dicitore. Non dimentichiamo però che questo avviene in un contesto sempre più caratte- rizzato da una formidabile spinta verso il sublime musicale e da una ben percepibile preoccupazione meta-linguistica. Ciò che aveva da dire, a metà della sua carriera, Carmelo l’ha detto fuori del tea tro, attraverso i media, ma anche con scritti letterari, elettronici, pubblicitari. L’uomo tea trale non è più un autore, un attore o un regista, ma si è trasformato in operatore, in un manager dello spettacolo. Si sostituisce e interagisce con gli uomini di potere.

Carmelo finisce i suoi giorni col terrore di essere omo- logato: «Il mio scoramento è perché non ho chierici, non ho compagni di strada, né di raffronto»20. E si ritorna così

all’inizio del nostro discorso: egli si lamenta di non avere di- scepoli, seguaci, né teorie. Ha ragione, non ce ne sono, né ce ne potevano essere: Diceva: «Ogni teoria da me ben scandita, dalla formulazione della macchina attoriale in poi, riguarda la mia vita». Ora però, visto che teoria e vita si identificano, finita la sua vita, è finita anche la sua teoria. La macchina attoriale non c’è più, se n’è andata con lui e non è più ripe- tibile. Rimangono i suoi film, i suoi scritti e soprattutto i canti registrati, la sua discografia concertistica, le registrazioni te- levisive e radiofoniche, i versi e le voci.

Ma del tea tro della prima ora non c’è più traccia. Dei primi meravigliosi dieci anni si è perso il ricordo.

Si è detto che il suo cuore fosse di pietra, ma si scaldava ed eccitava come un bambino ogni qual volta parlava di Pla- tini o Maradona. Non poteva essere più coerente di così, lo spettacolo innanzitutto. Panem e circenses. Non bisogna pensare,

capire, solo subire. Nello scoramento finale Carmelo si tradisce: La coscienza fa schifo. È coscienza una vecchia scarpa (troppo grottescamente larga e stretta) da cestinare allegra- mente e alla svelta. La coscienza impegnata, demagogica, dialettica. La coscienza paraocchiata, settaria, ideologica, im-

Trionfi e sconfitte

141 puttanata ora e sempre nel ricreativo circolo servo-padrone

social-mondano del porcile umanoide21.

In questa sfuriata c’è l’analisi freudiana su se stesso: egli non ha mai avuto una coscienza. Conclude infatti con una facile confessione: «Sono il misfatto più scabroso del Novecento»22.

21. Ivi, p. 411. 22. Ivi, p. 419.

Carmelo Bene fra teatro e spettacolo Salvatore Vendittelli

142 In che modo un uomo di tea tro dei nostri giorni può rifarsi

al tea tro di Carmelo Bene? In nessun modo, se non andando a rivedere il primo Carmelo Bene. Un altro artista con le sue doti e suoi mezzi non sarà più possibile trovarlo. Il suo tea tro dopo la metà degli anni Settanta è stato un’utopia, un grande spettacolo d’evasione dalla realtà.

Nel libro L’avanguardia tea trale in Italia Franco Quadri in- dividua nel 1972 il sepolcro generazionale dell’avanguardia1.

Dopo questa data, che io ho anticipato al 1971, Carmelo ini- zierà il passaggio graduale dalla prosa allo spettacolo e, dal momento del suo incontro col Maestro Siciliani, il viaggio nella lirica.

In una lettera del 1991 Carmelo chiede al Direttore Ge- nerale del Ministero del Turismo e Spettacolo cosa si debba intendere per «prosa». È la scrittura «lineare» o quella «ver- ticale» del verso, musicalità ecc.? «Prosa» è il parlare (non la parola scritta), è cioè quel ruolo orale che la prosa immette nello spettacolo «parlato». Per Carmelo prosa è l’orale scrit- to, purché non “significhi”, non sia compreso, non abbia