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Recensione di Giovanni Raboni citata ivi, p 376 11 Ivi, p 383.

Carmelo Bene fra teatro e spettacolo Salvatore Vendittelli

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Eduardo lo accusava di sfruttamento, di privarlo di una par- te dei proventi incassati dai concerti fatti insieme, mentre Carmelo affermava che le loro prestazioni in concerto erano pressoché gratuite e che quasi tutti gli incassi erano destinati a trasporti, servizi, amplificazione e parco lampade. E poi, aggiunge Carmelo:

“Padre Eduardo” non avrebbe potuto accettare nem- meno un simbolico compenso per le sue prestazioni […] qualunque compenso anche minimo sarebbe stato incom- patibile con la sua carica di senatore a vita – padre Eduardo fu nominato senatore a vita da Sandro Pertini dietro mia determinatissima segnalazione12.

E certo, che altro pretendeva? Gli doveva pur qualcosa in cambio del favore.

Qui Carmelo rivela la sua vera natura imprenditoriale e il grande attaccamento al danaro. Fin dall’inizio (parlo natu- ralmente degli anni di fame che vanno dal ’61 al ’71), con la scusa che c’erano pochi incassi, che le spese erano esorbitan- ti, che andavano pagati la SIAE, i borderò, le tasse, i costumi, le scene (mai retribuite, almeno a me), ogni volta dichiarava fallimento. Nei primi dieci anni di attività non ha mai pagato nessuno, non ha mai parlato di soldi. Ma anche in seguito non ha perso il vizio di piangere miseria.

Le paghe dei poveri guitti del Laboratorio, irrisorie (mille lire a spettacolo) erano sofferti salassi. Faceva pagare agli ingressi cifre proibitive sia al Laboratorio che nei tea tri. Cin- quemila lire, mentre al Quirino l’ingresso al tea tro era di duemila. Lungi da me fargli i conti addosso, ma ogni sera, tolte le sei o le sette mila lire per gli attori, rimanevano pur sempre le cinque mila lire di ogni biglietto venduto, molti- plicato, minimo, per quaranta persone paganti. Lui stesso de- scrive l’atmosfera del Laboratorio molto bene nel suo libro:

C’era una tavola apparecchiata, di quelle da osteria. [Ni- stri] faceva da mangiare in scena, in tempo reale, senza dar confidenza (la spesa la faceva il mattino al mercato di San Cosimato) e senza rinunciare al frac e alle ghette, le camicie, mezze maniche sommate. Ci mettevamo così tutti a tavola. Antipasto, primo e secondo. C’era chi mangiava, chi dialo- gava, chi leggeva un giornale, un altro ruttava. […] Quelli

Trionfi e sconfitte

137 in platea aspettavano di capire dove andasse a parare. Quale

fosse il messaggio13.

E dunque, siccome erano a tea tro, si aspettavano giustamen- te quello che il tea tro deve dare, un discorso, un tema, una riflessione, un problema da risolvere.

Da tenere presente che per essere ammessi e curiosare a questo happening, si doveva passare una selezione severissi- ma e pagare un prezzo salato.

Anche nel cinema Carmelo ha tirato sui compensi dei suoi collaboratori. Lo scrive lui stesso di Nostra Signora dei Turchi: «Generici e comparse: coloni indigeni acquisiti con un bic- chiere di vino rosso (giornaliero) pro capite»14. E ancora,

riferito a Salomè: «Giravano tutti gratis gli attori. Si acconten- tavano di un rimborso spese. Non c’erano soldi»15. Sempre

in Nostra Signora dei Turchi l’operatore Masini e tutta la sua famiglia lavoravano gratis. Mario Masini, dopo aver lasciato la vita nei film di Carmelo, cambiò mestiere e preferì anda- re in Germania ad insegnare ai bambini disabili. In Salomè i generici prendevano un piccolo compenso. In Capricci lo stesso. Non parliamo del Don Giovanni. Per fargli comprare un estintore ho dovuto sputare sangue.

Quando, nel ’67, gli attori cinematografici erano in scio- pero in nome dell’unione “voce-volto” (non tolleravano di venire doppiati) una delegazione di artisti guidata da Gian Maria Volonté si presentò all’uscita del tea trino Divino Amo- re e Carmelo Bene disse: «È tutta la vita che sciopero, ora tocca a voi». Tra le tante censure, gli arrivò un telegramma di Peppino De Filippo: «Complimenti, sei il solo uomo che il tea tro può vantare». Non a caso, fra i due De Filippo Carmelo preferiva Peppino perché più guitto, più vicino alla farsa e al non senso e niente affatto impegnato, ma soprattutto perché con lui non aveva avuto nessun rapporto d’interessi e perché dal punto di vista sociale era un qualunquista, un individua- lista più a destra di Eduardo.

A conferma della sua posizione ideologica, va ricordato che il quotidiano «Il Secolo d’Italia» lo propose Senatore a vita e che Monsignor Claudio Sorgi, massmediologo de

13. Ivi, p. 127. 14. Ivi, p. 271. 15. Ivi, p. 307.

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«L’Avvenire», il quotidiano cattolico, scrisse: «Ci vorrebbe Sant’Agostino per spiegare la tortuosa vicenda del pensiero di Carmelo Bene sulla fede»16. Persino negli ultimi giorni di

vita Carmelo elemosina un misconoscimento:

Non voglio riconoscimenti né monumenti. Non voglio nulla […]. Non sono loro a misconoscermi, sono io che li destino alla misconoscenza […]. Non lo dico, attenzione, come nostalgia di qualcosa che mi manchi o che mi venga meno da parte loro. Per carità, non alimentiamo l’equivoco che io esiga che il mondo si sdebiti con me. In quanto mi misconoscono, si misconoscono. […] io sono l’infinito della loro disattenzione17.

Bella frase! Non ti preoccupare Carmelo, sei e rimarrai un fenomeno irripetibile. L’opera d’un gigante rimane per sem- pre. Ti sei chiesto con ansia cosa ne penseranno i giovani tra due, trecento anni della stucchevole, degenerata musica contemporanea, per tacere impietosamente della «comizian- te e pesantissima stupidità della famigerata “musica leggera”, tanto peggio se cantautorata»18. A questo proposito scrivi:

Altro che musica! È rumoristica da trasloco condominia- le. […] Che ne penseranno tra due, trecento anni ascoltan- do Mozart, Mercadante, Pergolesi, Cimarosa, Vivaldi, Pai- siello, Rossini […]? E Bellini? […] Questa sì che è musica lievissima, aerea, depensata. Quella di Rossini, in particolare, “inaudita” (che abissale differenza tra i librettisti rossiniani e i drammaturghi dei testi tea trali! I primi così genialmente disponibili a limitarsi per fornire alla musica articolazioni metriche ideali, sempre sfidando il senso, e i secondi con la loro spocchiosa arroganza autarchica, nella belluina, milita- resca pretesa della consegna: “Dovete recitarlo così com’è questo testo!”)19.

Carmelo non s’è mai peritato di cercare dentro la favola il suo contenuto. Il suo problema era esclusivamente come porgere, recitare il testo: non l’ha mai sfiorato il dubbio che dietro le parole ci siano dei valori, dei significati, tant’è che scambia gli scopi delle due scritture. Annulla completamente

16. Citato ivi, p. 376.