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L A CITTÀ RICORDA IL MIRACOLO : DAL PROCESSO ALLE OPERE DEI FRATELL

Nel documento Immagini miracolose sotto processo (pagine 183-200)

BENDINELLI

1. Introduzione

La letteratura devozionale lucchese sul miracolo del 1588 ebbe origine nel periodo immediatamente successivo al miracolo alla Porta dei Borghi. La rapidità con la quale comparvero scritti sulla Madonna dei Miracoli non è un dato scontato, su altre immagini prodigiose furono redatte opere solo diversi anni dopo il verificarsi del miracolo di fondazione . 623

A Lucca, dal 1588 al 1613, vennero stesi gli atti del processo, almeno una copia dell’inquisitio, una Narratione su commissione vescovile, un «ragguaglio» del futuro magistrato Paulino di Bianco, due ricordi privati di Antonio Minutoli e Cesare Saminiati. Nei primi anni che seguirono il miracolo mariano, i prodigi furono narrati da Cesare Franciotti, Chiara Matraini , dal magistrato Michele Garzoni, dal letterato 624

Belisario Morganti e da Scipione, Massinissa e Silvia Bendinelli . 625

Il caso lucchese si distingue, dunque, dagli altri per la ricchezza delle scritture relative alla Madonna dei Miracoli. La precoce produzione e l’alto numero di opere devozionali

Si pensi al precedente caso di studio, quello di Santa Maria Forisportam a Pistoia, per cui la prima

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opera devozionale, tralasciando i Ricordi del Ceccodea, viene scritta a decenni di distanza dal miracolo della sudorazione.

Vedi Matraini, Chiara, Breve discorso sopra la vita e laude della Beatissima Vergine e madre del

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figliol di Dio, in Lucca, appresso Vincenzo Busdraghi, 1590. Riguardo a quest’opera e all’autrice stessa,

cfr. Paoli, Maria Pia, Nell’Italia delle «Vergini belle» cit., pp. 538-545; rimando inoltre agli scritti su Chiara Matraini di Giovanna Rabitti, cito soltanto: Rabitti, Giovanna, Linee per il ritratto di Chiara

Matraini, in «Studi e problemi di critica testuale», vol. 22 (1981), pp. 141-165. Negli ultimi anni

l’interesse intorno alla poetessa lucchese si è riacceso, in proposito si rimanda a Russel, Rinaldina, Chiara

Matraini nella tradizione lirica femminile, in «Forum italicum: a journal of italian studies», n.34, a. 2000,

pp. 415-427; Hanskins, Susan (a cura di), Vittoria Colonna, Chiara Matraini and Lucrezia Marinella, Who

is Mary? Three Early Modern women on the idea of the Virgin Mary, Chicago&London, The University

of Chicago press, 2008; Marcheschi, Daniela, Chiara Matraini poetessa lucchese e la letteratura delle

donne nei nuovi fermenti religiosi del ‘500, Lucca, Pacini Fazzi, 2008; Carinci, Eleonora, L’inquieta lucchese: tracce di evangelismo nelle opere religiose di Chiara Matraini, in «Bruniana e Campanelliana»,

XIII, 1, 2017, pp. 145-160.

Nell’analisi di tale materiale si è scelto di dividere la maggior parte degli scritti in gruppi: il processo,

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gli scritti di parte ecclesiastica (Ippolito Santini, Cesare Franciotti), gli scritti riconducibili a magistrati della Repubblica (Paulino di Bianco, Michele Garzoni) e infine gli scritti di personaggi legati all’Offizio sopra le Scuole (Scipione Bendinelli, Belisario Morganti). Rimangono dunque esclusi dalla nostra analisi i due ricordi privati, secondari nel ricco panorama della letteratura sulla Madonna lucchese, e l’opera di Chiara Matraini, che ha già goduto di un’abbondante attenzione dagli studiosi, per cui ritengo che per un’inquadramento e una comprensione dell’opera sia sufficiente rimandare alla ricca bibliografia disponibile.

e ricordi privati è riconducibile sia alla volontà dei ceti dirigenti cittadini e della curia episcopale di rendere pubblica la notizia all’esterno dello Stato, sia al ricompattarsi della società lucchese che era avvenuto dopo il miracolo.

Il governo e il vescovo della Repubblica erano chiaramente interessati a diffondere la fama del miracolo in patria e all’estero, specialmente per quanto riguardava la legittimazione conferita dal processo episcopale, per dare risalto alla devozione cittadina e alla volontà di accrescerla delle istituzioni secolari e religiose. È significativo che sia lo scritto di Paulino di Bianco, sia la Narratione commissionata dal vescovo al canonico Ippolito Santini non si limitino a riportare il miracolo o a ripercorrere il processo, ma descrivano con accuratezza le iniziative dei magistrati e del vescovo per agevolare i pellegrini e alimentare il culto della Vergine alla Porta dei Borghi. In questo modo si evidenziavano l’impegno del governo repubblicano e del vescovo all’interno della città, ma soprattutto fuori Lucca. Vedremo come la Narratione affermi esplicitamente di essere stata redatta affinché la notizia del miracolo e delle iniziative ad esso successive arrivassero a Roma, per il tramite del cardinal Castrucci.

Credo che gli autori degli scritti sulla Madonna dei Miracoli rappresentino le varie componenti cittadine e si possano dividere in scrittori ecclesiastici e laici, così come il processo fu espressione - come si è dimostrato nel capitolo precedente - di un’azione combinata fra governo secolare e governo episcopale. Ascrivibili all’iniziativa ecclesiastica sono le opere scritte da Santini e Franciotti: se il canonico rappresenta il pensiero vescovile, Franciotti è la voce delle istanze post tridentine legate all’attività di Giovanni Leonardi a Lucca. La produzione letteraria di ambito secolare comprende opere scritte da cittadini che ricoprirono incarichi nelle magistrature lucchesi, ma questi scritti si differenziano fra loro per ispirazione: Paulino di Bianco scrive un resoconto accurato dei fatti, fino dopo la celebrazione del processo e i primi pellegrinaggi alla Madonna; Michele Garzoni realizza invece un’opera in versi di intento puramente devozionale. Le scelte letterarie dei magistrati mostrano dunque come differenti sensibilità potevano essere rintracciate anche all’interno del ceto dirigente lucchese. Le ultime opere devozionali di cui ci occuperemo sono quelle prodotte da letterati: i testi degli uomini di lettere si legano all’Offizio sopra le Scuole: fra questi le opere di Belisario Morganti. Rettore della scuola di umane lettere a Lucca dal 1571, Morganti

occupava la stessa carica che era stata di Antonio Bendinelli e che più tardi sarebbe stata ricoperta dal figlio di quest’ultimo, Scipione. La famiglia Bendinelli, il cui padre era stato vicino agli ambienti dell’Accademia modenese e all’attività di insegnamento di Aonio Paleario a Lucca, dimostrò attraverso i suoi scritti una riconversione dai valori eterodossi a quelli ortodossi. La parabola della famiglia Bendinelli, dalle frequentazioni eretiche alla stesura di un’opera devozionale a più mani, sembra costituire un parallelo, in piccolo, della storia religiosa della Repubblica durante il Cinquecento.

2. Il processo

Lo svolgimento del processo del 1588 sottolinea come si mirasse a legittimare 626

l’operato della Vergine e la devozione ad essa tributata, cercando di rendere il processo il più aderente possibile ai decreti tridentini, in modo da non incorre in alcuna ingerenza da parte delle congregazioni romane. L’inquisitio è infatti formalmente accurata e rispetta la forma dei processi borromaici redatti nei primi anni Ottanta a Milano, vale a dire processi alle immagini sacre con un alto livello di perizia giuridica . 627

L’accuratezza dell’indagine condotta dalla curia è evidente già dalla lunghezza dell’incartamento, che si compone di una cinquantina di carte. I testimoni furono interrogati singolarmente davanti a una commissione composta, in modo variabile, dal vescovo Alessandro Guidiccioni, dal suo vicario, il protonotario apostolico Camillo de Scribanis, due canonici lateranensi, un collegio di cinque teologi e un cappuccino. La presenza del collegio dei teologi viene particolarmente sottolineata, all’interno dell’inquisitio, dal decreto con cui Guidiccioni riconosce la Vergine alla porta dei

BSLu, ms. 422, Processus super miraculis apud sacram imaginem gloriosissimae Virginis Mariae, cc.

626

1r-50v. Si tratta di una copia esatta del processo, redatta nello stesso anno dal cappellano della Cattedrale Geronimo Nuti; l’originale del processo dovrebbe trovarsi nell’archivio diocesano di Lucca, ma non è stato possibile reperirlo né per me né per gli archivisti, cfr. Corsi, Domenico, Il prodigio di Porta dei

Borghi nella luce della storia, in La Madonna dei miracoli VII cinquantenario del prodigio di porta dei Borghi 1588-1938, Anno XXIV, Gennaio-Aprile 1938, p. 13 e n. 2. Nessuno tra gli storici che più di

recente si sono interessati al processo ne indica con precisione la collocazione archivistica, utilizzando di solito come fonte sull’inquisitio la Narratione di Ippolito Santini.

Rimando in proposito al volume di Sangalli, Maurizio, Miracoli a Milano. I processi informativi per

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eventi miracolosi nel milanese in età spagnola, Milano, NED, 1993 e in particolare all’edizione del

processo alla Madonna di Rho, vedi Marcora, Carlo – Giani, Luigi, La Madonna Addolorata di Rho:

Borghi come miracolosa , e viene messa in relazione con il decreto tridentino De 628 invocatione, veneratione et reliquiis sanctorum et sacris imaginibus, centro di tutto il

processo. Il decreto di Guidiccioni riprende il testo del decreto tridentino quasi alla lettera: secondo il decreto conciliare «[il vescovo] consultati i teologi ed altre pie persone, prenderà quelle iniziative che giudicherà conformi alla verità e alla pietà» ; 629

Guidiccioni afferma che «Ideo sacrae Tridentina synodus sess 25 cap de invocatione et veneratione etiam constitutioni inherentes non nullis prius in unum coram nobis in Theologia Magistris, ac alijs pijs viris pluries congregatis et cum eisdem habita de super matura deliberatione de eorum unanimi assensu et voto dicimus et declaramus sup[er dic]tam imaginem et dicto loco […] ut à Christi fidelibus debitus honor ac veneratio impartiri possit, et ita dicimus et declaramus non solum modo predicto sed omni meliori modo» . Questa inquisitio rappresenta, rispetto a quella della Madonna dell’Umiltà di 630

Pistoia, lo sviluppo verso un ‘modello’ di processo vescovile alle immagini sacre basato sul dettato conciliare, un modello a cui sono, appunto, riconducibili anche i processi post tridentini borromaici. L’‘evoluzione’ della fonte è dimostrata anche dalla struttura dell’inquisitio che appare più complessa del processo pistoiese per quattro elementi 631

principali: la lunghezza complessiva dell’incartamento; la varietà di genere dei miracolati e dei testimoni; l’assenza di un formulario fisso di domande per gli interrogatori; il controllo delle deposizioni attraverso altri testimoni. Inoltre ci sono altri due fattori che distinguono profondamente i due processi toscani: l’inquisitio riguardo la Madonna dei Miracoli venne tenuta contemporaneamente all’attività taumaturgica della Vergine, nello stesso anno del miracolo di fondazione, mentre la Madonna dell’Umiltà dovette aspettare circa un cinquantennio prima di avere il proprio processo. Tutti coloro che lasciarono una deposizione per il processo della Vergine pistoiese erano stati testimoni del primo miracolo dell’icona, vale a dire la sudorazione, ma nessuno di loro era stato oggetto di un risanamento da parte dell’immagine sacra.

Cfr. BSLu, ms. 422, Processus super miraculis apud sacram imaginem gloriosissimae Virginis

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Mariae, cc. 18r-19v.

COD, Sessione XXV (3-4 dicembre 1563), p. 776.

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BSLu, ms. 422, Processus super miraculis apud sacram imaginem gloriosissimae Virginis Mariae, c.

630

18v.

In merito, cfr. Infra, cap. II e III.

Il processo canonico della Madonna lucchese è piuttosto lungo e articolato: una prima sezione si apre con la testimonianza di coloro che erano presenti il giorno in cui Iacopo da San Romano subì la frattura del braccio, continua con la testimonianza dei medici e si conclude con la deposizione del soldato bestemmiatore . La seconda sezione riporta 632

le testimonianze su quattro miracoli taumaturgici e viene interrotta dal già citato 633

decreto vescovile. Nelle restanti carte troviamo le deposizioni riguardo altri miracoli di risanamento o di scampato pericolo , e in conclusione le carte di un processo 634

secondario aperto dal vescovo di Volterra per verificare che la Madonna dei Miracoli avesse davvero risanato una delle suore della sua diocesi . 635

Nell’inquisitio miracolati e testimoni presentano una varietà notevole in relazione sia all’età sia all’estrazione sociale. Anche gli interventi prodigiosi operati dall’immagine sono abbastanza differenti fra loro, non spicca una particolare ‘specializzazione’ della Madonna dei Miracoli, diversamente da quanto accade per altre icone prodigiose . 636

La Vergine alla Porta dei Borghi punisce i bestemmiatori e gli increduli , risana da 637

diverse malattie, libera dagli spiriti , protegge in caso di incidenti . 638 639

La complessità del documento, come si accennava sopra, dipende anche dallo stile dell’inquisitio che viene condotta. Le domande poste ai testimoni, sebbene raramente siano riportate, s’intuiscono dalle deposizioni e non rispondono a un formulario predefinito, presente invece nel processo della Madonna dell’Umiltà pistoiese . Questa 640

circostanza va messa in relazione da un lato con l’utilizzo di testimoni che possano

Cfr. BSLu, ms. 422, Processus super miraculis apud sacram imaginem gloriosissimae Virginis

632 Mariae, cc. 2r-7v. Cfr. Ivi, cc. 8r-18r 633 Cfr. Ivi, cc. 19r-47v. 634 Cfr. Ivi, cc. 48r-50v. 635

Si veda ad esempio il caso della pistoiese Madonna delle Porrine, specializzata nel curare febbri e

636

pestilenze, vedi Tolomei, Francesco, Memorie dell’antica miracolosa imagine di Maria Santissima detta

delle porrine che si venera nella chiesa cattedrale di Pistoia, Pistoia, pe’ i Manfredini, MDCCCXVII.

Cfr. BSLu, ms. 422, Processus super miraculis apud sacram imaginem gloriosissimae Virginis

637 Mariae, c. 26r. Cfr. Ivi, cc. 45r-46v. 638 Cfr. Ivi, c. 48r e sgg. 639

La questione dell’evoluzione dei processi e delle varie procedure utilizzate sarà affrontata

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confermare o meno la versione di un miracolo resa dal primo deponente, dall’altro lato con le tecniche di indagine che emergono dal testo del processo. Il testo riporta miracoli, riguardanti soprattutto gli stranieri che si recavano a visitare la Vergine lucchese, per verificare i quali Alessandro Guidiccioni aveva incaricato una persona di sua fiducia di condurre le opportune indagini. Si potrebbe citare tra questi il caso di Gemma di Matteo Mattucci da Barga, risanato dalla Vergine perché gravemente «stroppiato». Per 641

verificare l’avvenuto miracolo il vescovo di Lucca ordinò al reverendo Camillo Manco, plebano di Barga, di controllare se nel villaggio fossero a conoscenza della guarigione di Gemma e se un testimone potesse confermarla . Nel caso delle indagini condotte su 642

Domenico di Pierino da Fiattone, vicarìa di Galicano, negli atti del processo viene inclusa la lettera contenente le informazioni raccolte da Leonardo Puccetti, il prete incaricato dal vescovo di accertare la grazia . Accade talvolta che siano gli stessi 643

testimoni ‘secondari’ a sottoporre a delle prove i miracolati, per accertarsi del prodigio, e che poi le riportino alla commissione. Pietro Simmuccori si assicura che la figlia Barbara, di circa 15 anni, sia guarita dalla cecità che la affliggeva da sei anni circa «avendoli mostrato molte cose da lontano, le quali per prima non poteva scorgere et hora le vede et scorge bene» . Il caso più eclatante connesso a questa volontà 644

investigativa è sicuramente il piccolo processo condotto dal vescovo di Volterra per verificare le circostanze del miracoloso risanamento di suor Angela . Suor Angela de 645

Chiarinis, dell’ordine di Santa Chiara di Volterra, durante l’Avvento del 1585 era caduta ed aveva battuto la testa su una pietra, restando priva di sensi per un paio d’ore. Riavutasi, continuava ad accusare un dolore costante alla parte destra del capo e, due anni dopo, venne afflitta da una forte febbre. I medici decisero di cavarle il sangue e da quel momento suor Angela iniziò a perdere la vista e per quindici mesi restò completamente non vedente. Le storie delle guarigioni operate dalla Madonna dei

Ho deciso di normalizzare i nomi che compaiono nel processo, citandoli in italiano e non mantenendo

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le grafie latine.

Cfr. Ivi, cc. 43r-43v, il testimone sentito fu il prete Gaspare Tallini.

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Cfr. Ivi, cc. 44v-45r.

643

Ivi, c. 8r.

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Il caso di suor Angela, comprese le testimonianze secondarie e il processo volterrano, è contenuto in

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BSLu, ms. 422, Processus super miraculis apud sacram imaginem gloriosissimae Virginis Mariae, cc. 48r-50v.

Miracoli spinsero la malata a chiedere al vescovo il permesso di recarsi a Lucca, accompagnata da suor Anna di Giubileo. Ottenuto il benestare del presule, le due partirono accompagnate da un lavorante e da una serva del monastero, Cecilia, e da Michele, fratello di suor Anna. Angela venne condotta fino alla Vergine dove, dopo un certo tempo in orazione, riacquistò la vista. Dopo aver rilasciato la sua deposizione, suor Angela dimostrò alla commissione la sua capacità di vedere. Nonostante tale prova, si interrogarono anche Michele di Giubileo, Giovanni di Baldassarre, il colono del monastero e Cecilia. Tuttavia, anche queste testimonianze non vennero ritenute sufficienti, per cui Guidiccioni scrisse al vescovo di Volterra, all’epoca Guido Serguidi , chiedendogli informazioni su suor Angela. Nell’inquisitio lucchese viene 646

riportata la lettera del presule volterrano che, a sua volta, aveva aperto un piccolo processo in cui erano stati sentiti il confessore della suora risanata e altre tre sue compagne. Dalla missiva sappiamo che le deposizioni vennero inviate da Serguidi a Guidiccioni tramite due preti. La presenza di tali testimonianze nelle carte del processo lucchese ci pone di fronte una circostanza insolita, quella di un processo nel processo . 647

La volontà di verificare al meglio i miracoli evidenzia come la commissione dell’inquisitio intendesse legittimare la Vergine, ma anche come provasse a sottrarsi a qualunque tipo di incredulità o accusa di negligenza. Un processo così dettagliato non 648

avrebbe dato modo a un’eventuale forza esterna alla Repubblica di sollevare dubbi in merito alla Madonna dei Miracoli lucchese e alla devozione che aveva generato. Per quanto riguarda un residuo fronte interno di increduli, poi, era la Madonna stessa ad occuparsene. Niccolò di Stefano Ricci aveva assistito al risanamento di Gaspare di Giulio, il quale aveva recuperato la vista grazie alla Vergine: Niccolò era rimasto

Figlio di ser Lorenzo di Guido, la sua famiglia faceva parte della nobiltà volterrana. Fu canonico

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fiorentino e poi preposto. Divenne vicario generale della diocesi di Firenze e da questa carica passò ad ottenere quella di Auditore della Nunziatura Toscana. La sua carriera continuò come Vice Nunzio Apostolico, Giudice generale in Toscana e del Collegio della fabbrica di San Pietro a Roma. Nel 1568, dopo la morte del vescovo di Volterra Alessandro Strozzi, quando Guido Serguidi ricopriva la carica di vicario della diocesi di Firenze, il suo nome venne proposto per il vescovado; alla sua nomina si contrapponeva, però, quella del volterrano Iacopo Guidi, prelato di lungo corso e uomo di fiducia dell’ormai malato Cosimo I. Su entrambi si affermò Ludovico Antinori e Guido divenne vescovo di Volterra solamente nel 1574. Cfr. Moreni, Domenico, Continuazione delle memorie istoriche

dell’ambrosiana imperial basilica di S. Lorenzo di Firenze, Firenze, presso Francesco Daddi,

MDCCCXVII, p. 317; cfr. Calonaci, Stefano, voce Iacopo Guidi, in DBI. Cfr. Ivi, cc. 50r-50v.

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Come si è visto nel capitolo precedente nella Lucca del XVI secolo lo scetticismo di alcuni cittadini

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incredulo anche dopo aver sottoposto il risanato ad una prova. Il mattino successivo, Niccolò si era svegliato con gli occhi talmente gonfi da non poter vedere e le donne di casa, sentita la storia della sera precedente, gli avevano consigliato di andare a chiedere perdono alla sacra immagine, che infatti gli restituì la vista. Mentre Niccolò usciva dalla Chiesa, guarito, un conoscente, Iacopo Galantini, disse ad alcuni che si trovavano nelle vicinanze: «Vedete fratelli, bisogna che impariate a credere» . La frase enfatizza il 649

messaggio diffuso dalla Vergine tramite la punizione e il perdono di Niccolò, e assume ancora più significato in una città come Lucca, che era stata pervasa dall’aniconicità calvinista. Si potrebbe affermare che, al pari del miracolo di Iacopo da San Romano, la cecità e il risanamento di Niccolò possono essere letti come una metafora della conversione dei lucchesi, significato che la frase di Iacopo Galantini pare rafforzare. Il caso di Iacopo da San Romano, in particolare, sottolinea l’importanza della verifica dei miracoli al fine di legittimare l’attività mariana. Poiché la storia del bestemmiatore costituiva la leggenda di fondazione del santuario, i commissari gli dedicarono una maggiore attenzione, votando la prima sezione del processo all’esame minuzioso delle testimonianze riguardo alla frattura. In particolare, ci sono alcuni elementi notevoli nella parte di inquisitio dedicata a Iacopo: dalle risposte che molti testimoni offrono, si intuisce come sia stato chiesto loro dai commissari se il soldato avesse subito in precedenza una frattura allo stesso braccio e se avesse sofferto di sifilide. La sifilide terziaria può sfociare talvolta in sifilide gommosa, caratterizzata da granulomi che possono colpire le ossa, rendendole più fragili , complicanza nota già nel XVI secolo, 650

Nel documento Immagini miracolose sotto processo (pagine 183-200)

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