Abbiamo visto nella prima parte del capitolo come la concezione della città pubblica non sia stata cosi importante nello sviluppo urbano di Gela. Dal dopo guerra, i più importanti interventi pubblici sono stati quelli voluti dall'Onorevole Aldisio, il Villaggio, il Comune, la Chiesa di San Biagio, il Villaggio Aldisio. Quasi un dono di un benefattore, piuttosto che la naturale
costruzione di beni e servizi che un sistema democratico ( e fiscale) produce per i propri cittadini. Per lungo tempo poi gli spazi pubblici non sono più rientrati all'interno della
costruzione della città: solo una gran produzione di abitazioni, di case, per lo più sotto iniziativa privata, informale e spesso non mediata dall'istituzione pubblica. Unica grande operazione che prevedeva spazi pubblici, ma per pochi, è stato il villaggio Residenziale Anic Macchitella per i dipendenti ENI. A ovest della città, lontano dai fumi e dagli odori delle fabbriche. Separato simbolicamente, il villaggio è stato realizzato con dotazioni urbane e servizi di welfare
autonomi ( scuole, una clinica privata, perfino un servizio di sicurezza privato che controllava gli accessi al villaggio). Complessivamente la qualità ambientale e funzionale è in stridente
contrasto con le condizioni di insalubrità e il degrado urbano del centro storico. Ma soprattutto la sua distanza sancisce la differenza tra la Gela privilegiata e quella che non ha accesso allo Stabilimento: la qualità urbana, il verde, i servizi non sono un bene comune ma un privilegio
116 per pochi prescelti.
Anche l'acqua, già bene prezioso in una città siciliana che detiene il più alto indice di insolazione d'Italia, non è un bene collettivo. Cosi come in maniera macroscopica il Petrolchimico ha preso in gestione l'acquedotto cittadino per le attività produttive, così nell'ambiente urbano Macchitella gode dell'acqua potabile. Come la bellezza dello spazio urbano, anche l'acqua non è un bene comune.
L'Eni si erge a distributore e gestore delle risorse e dei beni, potendo contare sul silenzio- assenso dell'istituzione pubblica, marcando le differenze tra chi ha il lavoro all'Eni e chi no, e tra chi è tra gli operai specializzati e i quadri dirigenti e chi semplice operaio non specializzato utilizzato saltuariamente per la manovalanza.
Quello che rimane della città è votato a una caotica crescita di case autocostruite che si infiltrano nel centro storico federiciano fino a estendersi verso la Piana, in assenza di opere di urbanizzazioni, in una morsa individualistica dove non rimane nessuno a pensare allo spazio pubblico. Gli spazi di welfare, gli spazi pubblici sono completamente assenti in questi quartieri. Come abbiamo visto nel capitolo terzo, la funzione del welfare e degli spazi pubblici, nelle democrazie occidentali, è stata forse proprio questo: costruzione di beni comuni e
apprendimento della loro gestione. Fino a quando non si inciampa nella loro tragedia. Proprio a ragione di questa mancanza di beni collettivi, nel sud Italia, ma a maggior ragione a Gela, uno dei possibili nodi che può mettere in gioco il piano urbano e la sfera “economico- culturale” potrebbe essere rappresentato dalla casaxliii. Nell'ambito delle città meridionali si assiste, infatti, a una iperattribuzione di significati (e soluzioni sia sociali sia economiche) alla proprietà della casa. Intorno ad essa si affollano una serie di pratiche che tendono a rinforzare le pratiche del welfare privato e a immobilizzare le dinamiche sociali, a riprodurre schemi economici non innovativi o comunque a chiudere le reti sociali all'interno di reti familiari che propongono soluzioni economiche di sopravvivenza all'interno del lavoro sommerso. Sul piano della sfera economica, infatti, essa va a inserirsi all'interno delle dinamiche di welfare privato come assicurazione (per la scarsità del welfare pubblico) e investimento. Inoltre la casa entra all'interno delle logiche della produzione informale, del lavoro nero e il suo stretto legame con il settore edilizio e in maniera più ampia nella formazione delle reti sociali (Carboni 1990, Ginatempo 1976). Infine, nella sfera simbolica, la casa rappresenta la cura del rifugio rispetto a un pubblico debole e insicuro (Magatti 2007, Becucci 2004).
Tutti questi significati si possono rintracciare facilmente nell'ambito gelese in esame. Se difatti in un primo momento l'autocostruzione della casa è stata dettata dall'urgenza di trovare un
117 alloggio in una città in cui l'afflusso di nuovi abitanti non era stato previsto da un ente centrale
completamente latitante, in un secondo momento è diventata non più una pratica di urgenza, ma la normalità. Il livello di qualità delle case aumenta, soprattutto per quel che riguarda le rifiniture interne. E se le reti informali parentali e amicali, che nella prima fase dell'abusivismo, erano fondamentali per l'autocostruzione in un secondo momento si sostituiscono con un mercato informale semi strutturato all'interno del quale alle reti corte famigliari si sostituiscono quelle medio/lunghe. Difatti con la nascita del mercato informale edile e delle imprese che lo servono, la costruzione abusiva da un lato si affida ancora a reti corte per trovare i contatti, dall'altro entra appunto in contatto con imprese che si assumono l'onere dei lavori più importanti (Marino)Ma nonostante questo fermento costruttivo che caratterizza Gela fino all'inizio degli anni ottanta, il settore edile non riuscirà a strutturarsi, le poche imprese del luogo che hanno servito il mercato abusivo non sopravvivranno alla crisi degli anni Ottanta. Nella seconda fase dell'abusivismo, e soprattutto nella costruzione delle seconde case nella frazione balneare di Manfria, risulta interessante vedere come il significato della casa non è più solo bene primario ma investimento e assicurazione oltre che bene secondario e dimostrazione di uno status sociale. La produzione degli edifici ha una qualità più alta e una grandezza
maggiore, oltre a un maggior livello di “identificazione come bene-casa prodotto'. (Urbani 2010.)
Tra l'altro bisogna notare come l'investimento nella casa sia soltanto in un certo senso simbolico, più che altro un'assicurazione in caso di tempi bui, poiché, come nota il piano regolatore, non si ha la creazione di un vero mercato immobiliare, ne' tanto meno si registrano molte case affittate. Ancora una volta l'imprenditoria latita. La casa viene vista si come
assicurazione per i figli, come investimento che in realtà non darà frutto, se negli anni ottanta le case vuote arrivavano ( Urbani 2010), e molti secondi piani previsti per i figli non verranno nemmeno costruitixliv.
Una caratteristica dell'abusivismo di Gela (come in altri luoghi) è il’non finito' degli esterni, che corrisponde a una cura estrema, al contrario, degli interni e non soltanto a testimonianza delle molte leggende sui rubinetti d'oro e le fontane all'interno delle casexlv ma anche dalla
relazione del piano regolatore. La casa sembra essere considerata non solo rifugio rispetto a un pubblico debole e insicuro (Magatti 2007, Becucci 2004), ma anche dal brutto rispetta al bello dell'interno familiare. La cura dell'interno rispetto all'incuria di un pubblico che è 'di nuddo xlvi' e non di tutti.
118 illegale di un edificio. Visto il contesto, qualcuno parla piuttosto di spontaneismo, soprattutto
per quel che riguarda la prima parte del fenomeno abusivo, quando la costruzione illegale avveniva per necessità. In questo periodo più che andare contro a una norma, l'abusivo diveniva tale proprio per l'assenza di un potere, di un'autorità ben definita che rendesse attuabile la norma stessa. La costruzione illegale quindi deve essere imputata all'omissione, all'incapacità da parte dell'istituzione di decidere la regolazione (Matza 1969). Il termine abusivismo rimanda infatti a un sistema normato che viene eluso, mentre lo spontaneismo si riferisce a un sistema di valori non normato, all'istituzione di pratiche quotidiane che non sembrano andare contro a una realtà regolata da norme. A questo proposito, vi è chi formula il concetto di “abusivismo da amministrazione”, volendo significare con tale definizione il fatto che, col crescere dell’inefficienza pubblica e la mancata regolazione del processo di
inurbamento, i cittadini abbiano deciso di auto-organizzarsi allo scopo di risolvere autonomamente il problema della casa. E se in un primo momento la norma è stata
completamente assente, in seguito si è dimostrata malleabile, o facilmente aggirabile, grazie alle pratiche clientelari di gestione della cosa pubblica da parte dell'istituzione e nella
sostanziale assenza di volontà di sanzionare gli illeciti edilizi, strumentalizzandoli per ottenere consensi e voti. Spesso le pratiche clientelari erano talmente la 'norma' che le persone che si apprestavano a seguire l'iter burocratico spesso venivano scoraggiati da rallentamenti e rifiuti, tanto da approdare, esasperati, alla pratica illegale che la maggior parte degli abitanti praticava senza incorrere in problemi di sorta.
In assenza di piani regolatori, la cui approvazione veniva sistematicamente posticipata, geometri, architetti e notai, in accordo con imprenditori edili e futuri acquirenti, lottizzavano abusivamente appezzamenti di terreno, rendendoli di fatto edificabili. Le amministrazioni locali che si sono succedute nel tempo in parte hanno subito il fenomeno dell’abusivismo edilizio che, date le proporzioni, era diventato pratica corrente per una quota rilevante della popolazione locale e, in parte, lo hanno anche assecondato, utilizzandolo come modalità tesa ad abbassare la potenziale conflittualità sociale legata a un processo di inurbamento convulso e accelerato. L’abusivismo edilizio “spontaneo” aveva il duplice effetto di “risolvere” due problemi di difficile soluzione: da un lato, garantiva un’abitazione a chi ne aveva urgente necessità e, dall’altro, consentiva nuove opportunità di lavoro nel settore edilizio, in un territorio gela registrò la quasi totale assenza di iniziative pubbliche per rispondere al crescente fabbisogno di abitazioni (Urbani 2010). Interessante è l'analisi che fa Becucci sul suo libro: l'autore mette in evidenza come sembra che si fosse affiancato al potere formale centrale, un altro potere sotterraneo, 'carsico' (Becucci 2004) . Ancora una volta al potere locale ufficiale se ne affianca un altro ben più potente e più credibile.
119 L'abusivismo è stato evidentemente incoraggiato dal comportamento del pubblico che ha
favorito questo comportamento. “i mediatori ( abusivi) erano gli stessi tecnici del comune, architetti, geometri. Che cosa c'era di illegale” (Intervista in Saitta 2009 p.33) I politici oltre ad avere relazioni con gli speculatori, in qualche modo costrinsero una vasta fetta della
popolazione a diventare illegale. Nel 1983 il sindaco Giuseppe Ventura sindaco emanò un un'ordinanza con lo scopo di bloccare il fenomeno dell'abusivismo. Il risultato fu' l'occupazione spontanea del municipio da parte di 5.000 persone fino a bloccare la direttiva. (Ciccarello Nebiolo 2007) Questo episodio mette ben in evidenza come l'intervento statale venga a perdere ogni legittimità, viene concepito come “ un genitore assente (e concussoxlvii) che a un certo punto si mette a dettare regole”(Saitta 2009).