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Sotto ricatto : sicurezza occupazionale come bene collettivo

La sicurezza occupazionale è fondamentale nella costruzione di una società consapevole dei propri diritti e doveri. Si sa che nel Mezzogiorno ciò che accomuna l'aspetto socio-culturale è l'eterna ricerca di una sicurezza lavorativa, dai tempi delle prime migrazioni, dopo l'unità d'Italia. Da allora le ondate migratorie e la sofferenza economica di chi rimaneva alla ricerca di un 'lavoro' stabile hanno caratterizzato la formazione culturale delle famiglie meridionali. Il grande mito dell'industrializzazione portato da Mattei, è stato accolto con enorme

entusiasmo dalla popolazione, perché anche se probabilmente Gela non era forse cosi povera come ci è stato trasmesso, allo stesso tempo la sicurezza di un lavoro in fabbrica, come al Nord, sembrava davvero poter rivoluzionare la vite gelese e affrancare dal faticoso lavoro della terra. E per certi versi è stato cosi. Il miglioramento del livello dei consumi, l'entrata nella possibilità di acquistare i prodotti nel nuovo consumismo è stato eclatante. I cinquantenni, tra i nostri interlocutori, ci raccontano che non hanno ricordi di una Gela rurale, che si ricordano una città motorizzata, dove i giovani avevano le moto e dove si respirava un'aria di benessere. Non ricordano i carretti tirati dai muli per le strade della città. Eppure quando i nostri

interlocutorixlviii( e la letteratura) ci parlano di cambiamento economico e non culturale, dobbiamo andare a ricercarne le ragioni proprio nel mondo del lavoro, e in quella rivoluzione, che con l'arrivo dell'Eni, in realtà non c’è stata.

In effetti per i gelesi l'arrivo del petrolchimico non ha rappresentato un repentino

cambiamento sociale ed economico. Lo è stato piuttosto il mito, che ha resistito nel tempo. La verità è che la maggior parte dei lavoratori gelesi che vennero impiegati dall'Eni furono assunti per la costruzione dell'impianto. In questa fase i braccianti agricoli si trasformarono in

120 testimonia la letteratura, cambiare la loro condizione economica: i salari rimasero pressoché

invariati rispetto a quelli percepiti dai braccianti. Quello che era cambiato era la speranza di riscatto dal lavoro della terra.

Nel momento in cui aprirà il petrolchimico fu selezionata manodopera specializzata

proveniente da tutta la Sicilia e in parte dal Nord Italia. Solo 3000 furono tra i gelesi assunti, su un totale di 7000 unità(Urbani 2010). Tuttavia da quando entrò in funzione lo stabilimento, cominciarono i licenziamenti. E' questo un momento molto delicato per gli operai gelesi. Appena accarezzato il sogno di un'occupazione stabile, si ripiomba nell'incertezza.

Ma non solo. In realtà come suggeriscono Hytten e Marchioni la presenza dello stabilimento non apportò nessuna sostanziale novità all'interno del tessuto sociale tradizionale ( a parte la venuta di una classe lavoratrice specializzata staccata dalla città e dell'aumento della

migrazione su Gela di manodopera non specializzata in cerca di lavoro). Non ha operato nessuna rottura degli schemi operanti. Si colloca su pratiche già esistenti . Anche se ha alimentato un peggiore relazione con le istituzioni, attraverso il clientelismo, e come si racconta, un coinvolgimento delle forze mafiose sul territorio, prima relativamente tranquillo. In questo periodo si mettono le basi per una politica dell'occupazione fondata su criteri clientelistici.

L'Eni non ha aiutato lo sviluppo economico della città, l'indotto non è stato all'altezza delle aspettative anche se recentemente si possono contare un buon numero di imprese che lavorano a livello internazionalexlix. A livello di relazioni, sembra poi non aver introdotto un sistema di assunzioni trasparente e giusto, si è infatti inserito in maniera disinvolta all'interno dei sistemi clientelistici che esistevano nella cultura della città, rinnovandone l'efficacia nell'immaginario collettivo. Una norma, in particolare, ha creato una particolare rapporto di dipendenza, e una forma di ingiustizia che il sindacato avrebbe dovuto salvaguardare: la possibilità da parte dei dipendenti di rinunciare alla buonuscita in cambio dell'assunzione del figlio.

Se è vero che molti operai specializzati sono nati qui a Gela e vengono esportati in tutto il Mediterraneol, all'inizio l'Eni importò molti dei suoi operai dall'Italia del Nord, costruendogli infatti Macchitella. Dopo la realizzazione dell'impianto, fu proprio la famosa corsa al 'posto dello stabilimento' che secondo alcuniliha segnato la frattura nella collettività Gelese: da un lato chi riusciva ad avere 'un posto allo stabilimento' ( che poteva poi trasmettere al proprio figlio, permettendo la continuità di uno status sociale alla famiglia) e chi quel posto non l'avrebbe mai raggiunto perché, si dice, non aveva le raccomandazioni.Questo tipo di logiche

121 non permettono di stabilire legami di solidarietà tra i lavoratori, né lo svilupparsi di una

“coscienza operaia”, di un concreto scambio e organizzazione per il riconoscimento dei propri diritti, anche e soprattutto quelli alla salute. Al contrario di altri poli industriali, le lotte operaie non ci sono state o comunque non sono state organizzate e incisive come altrove.

Ancora un volta rimando a studi più approfonditi sull'argomento, ma voglio aggiungere che nella mi esperienza, per le conversazioni che ho avuto, raramente ho trovato qualcuno che ha parlato esplicitamente in maniera negativa dell'Eni. Certo gli si rimproverava finalmente la questione ambientale e sanitaria, tuttavia sembrava che spostassero la responsabilità della situazione piuttosto alle istituzioni locali che non avevano preteso niente e che , anzi, si erano fatti corrompere, senza rendersi conto che le problematiche a cui si fa riferimento sono multi scalari. L'Eni sembrava avere tutto il diritto di esserci ( e a continuare a inquinare in maniera spropositata), anche se ormai gli addetti che vi lavorano arrivano soltanto a 2000 unità. Ciò può non sembrare cosi strano, dato che molte delle persone che ricoprono un qualche ruolo all'interno della collettività, dal dirigente al comune al presidente del comitato di quartiere, al giornalista con cui abbiamo discusso hanno lavorato o lavorano tuttora all'Eni. Sembrerebbe che l' Eni abbia creato una parte della intellighenzia gelese e che in qualche modo continua a sostenerla. Un dialogo giusto con l’ENI in questo modo sembrerebbe davvero difficile da raggiungere. Dall'esterno appare chiaro come lo Stabilimento sembra aver avuto un peso maggiore nell'immaginario collettivo rispetto alla reale situazione, non soltanto a oggi ( dato che le cifre dei lavoratori sono molto inferiori), ma durate tutto il suo permanere a Gela, a partire dai primi licenziamenti dopo la costruzione dell'impianto. Tuttavia è evidente quanto nei discorsi dei nostri interlocutori, l'idea di una centralità dello stabilimento negli affari della città. Da un lato quindi lo stabilimento ha dato la possibilità di un allargamento di orizzonti culturali, permettendo una facilità di vita a fronte del resto di precariato o sotto precariato che caratterizza l'economia formale e informale gelese, a una cerchia di persone che attualmente si adopera per la città, e che spesso ricoprono cariche importanti nelle istituzioni pubbliche. Dall'alto lato però la 'riconoscenza' o i legami di lavoro con il Petrolchimico non permettono una completa autonomia di pensiero, e di contrattazione.

L'altro settore particolarmente vivace dell'economia gelese risulta essere quello edile. Tuttavia nonostante l'enorme produzione edilizia della città nei diversi decenni della seconda metà del secolo scorso, non si sia prodotta la costituzione di imprese sul territorio. Difatti le dimensioni e l'occasionalità degli interventi di iniziativa pubblica e allo stesso tempo l'esuberante offerta di forza lavoro, sembra aver facilitato sin dagli anni cinquanta l'ingresso di imprese estranee al contesto gelese, ostacolando in questo modo il costituirsi di un' imprenditoria locale. Saranno

122 infatti esterne le imprese edili che si occuperanno della costruzione del Villaggio residenziale

dell'ANIC e per la costruzione dello stabilimento. Gli unici attori importanti radicati sul

territorio che parteciperanno a pieno titolo a questa occasione per lo sviluppo di Gela saranno ' pochi mediatori improvvisati' (Relazione PRG 2010) che si relazioneranno con il mercato del lavoro locale, e più precisamente con quell'ampio bacino di braccianti-edili precari provenienti dal settore agricolo e non portatori di diritti alcuni. D'altro canto l'autocostruzione come abbiamo visto almeno negli anni cinquanta impera, prevede una serie di relazioni che si riducono alle reti corte, che come abbiamo visto nel capitolo due non aiutano la produzione di capitale sociale. Negli anni sessanta, le uniche e poche imprese di Gela che sopravvivono sono quelle in qualche modo 'agganciate attraverso appalti di varie forme al nuovo corso economico' (Urbani 2010), il più delle volte attraverso pratiche di tipo clientelare. Tuttavia , nei decenni seguenti sembra che una sorta di imprenditoria 'illegale' sembra consolidarsi .

Un'occasione per l'imprenditoria edile gelese si presenta verso la fine degli anni sessanta. Come abbiamo visto il livello economico e i consumi dei gelesi aumentano, anche se in

maniera diseguale, ed emerge la domanda abitativa e di qualità urbana prima del tutto assente. Per le fasce più deboli, la casa rimane un'urgenza e in assenza di una qualsivoglia offerta

pubblica, l'incentivazione delle pratiche informali di autocostruzione rimane l'unica soluzione raggiungendo presto le dimensioni di un fenomeno di massa. Ancora una volta la casa agisce come perno. In questo contesto si fondano in presupposti per una strutturazione di un settore informale delle costruzioni, permettendo a una pluralità di piccoli operatori di prendere parte alla costruzione delle case dei cittadini che dispongono di un minimo di disponibilità economica per poter procedere almeno alla costruzione delle fondamenta e alle gettate del calcestruzzo armato. Si tratta quindi di piccole squadre di operai, magari organizzate da un direttore dei lavori. Questo tipo di organizzazione produce un mutamento nella qualità dei manufatti e soprattutto anche nelle pratiche di autocostruzione che si incrociano con squadre edili semi- formalizzate, ma in ogni caso ancora ampiamente nel mercato nero. Le squadre sono organizzate con un numero massimo di cinque operai e da un capomastro che gestisci i rapporti con l'utenza. Queste squadre operano a prezzi contenuti e in maniera flessibile rispetto alle esigenze dell'autocostruzione e sono coinvolti soprattutto per quel che riguarda i lavori di fondazione e di innalzamento delle strutture e degli edifici.

Questi aspetti sembrano confermare ulteriormente l'esistenza di una forte integrazione tra le pratiche di auto-costruzione e il tessuto socio-economico locale: alla semplice mobilitazione familiare ed

all'attivazione di forme di solidarietà e collaborazione tra gruppi parentali o amicali, che hanno giocato un ruolo centrale nei processi di edificazione povera degli anni '60, si aggiunge ora una più fitta rete organizzativa a carattere informale che coinvolge promotori, “imprese” e forza lavoro, le locali fabbriche di materiali da costruzione e la stessa proprietà fondiaria, rete che amplia notevolmente le opportunità e le convenienze per l'azione dei diversi soggetti. (Urbani 2010)

123 In qualche modo, al di là delle definizioni possibili, sembra che questo tipo di mercato del

lavoro sia l'unica espressione veramente autoctona della società gelese, esperienza originale e produzione sociale scaturita naturalmente dal tipo di relazioni proprie della società gelese. In questo settore è evidente come l'autorganizzazione e la caratteristica informale sia fortemente presente in quello che si può considerare veramente l'unico settore economico nato

spontaneamente a Gela .

Per quanto riguarda poi specificamente la domanda, ciò che sembra emergere non è tanto una maggiore differenziazione sociale, quanto una capacità di spesa dei nuclei coinvolti

relativamente più elevata. Inoltre, per le premesse che abbiamo esplicitato non si è verificato nemmeno un mercato abitativo illegale con il coinvolgimento di operatori esterni. E questo conferma la frammentazione della parte più formalizzata di questo settore.

Per le classi medio-alte, la richiesta di uno standard più elevato di abitazioni produce un nuovo mercato che si discosta da quello appena analizzato e avrebbe potuto rappresentare

un'ulteriore occasione per il settore edile di evolversi e strutturarsi. Tuttavia le imprese e gli operatori che daranno vita al quartiere di Caposoprano, quartiere di palazzine pensato appunto in risposta alla classi più abbienti, sono rintracciabili tra quelle che avevano stretti rapporti con l'amministrazione comunale ( quando non appartenevano a quest'ultima). In questo modo le imprese potevano godere di una particolare facilità di accesso ai canali di finanziamento bancario e per quel che riguarda il versante burocratico. In questi anni nascono cosi una decina di modeste imprese che aggirano le difficoltà legate alla scarsità di capitale iniziale, oltre che con l'accesso privilegiato a mutui o cartelle fondiarie, anche attraverso il ricorso a forme di sub- appalto e cottimo per le diverse fasi di produzione, reso possibile dalla disponibilità di

numerose squadre di lavoratori edili che operano in città, e in special modo nella zona abusiva. Ma soprattutto attraverso accordi con i proprietari fondiari, che si traducono il più delle volte nella permuta delle aree con una quota dello stock abitativo realizzato.

La debolezza della struttura economica di Gela deriva ancora una volta dalla possibilità di intraprendere percorsi alternativi rispetto alla strada normata, percorsi informali, verbali, senza riconoscimento di diritti e doveri rispetto a quelli formali. Questo non favorisce certo la

formazione di un solido mercato che resta legato “ alla polverizzazione” delle imprese (Marino....).

Un ultima forma di mercato del settore edilizio è rappresentato dalle operazioni edili da parte delle cooperative che si costituiscono nella seconda parte degli anni '70, in risposta della

124 domanda abitativa della classe media che voleva percorrere la strada normata per la

costruzione della propria abitazione, abbandonando i metodi informali. Le imprese che prenderanno parte alla costruzione delle aree 167, non saranno le stessa che parteciparono all'edificazione di Caposoprano, reputando poco conveniente la loro partecipazione di utili adeguati. L'ente locale, se fino a quel punto non ha avuto alcun ruolo nella vicenda dello sviluppo urbano, ha l'occasione per poter giocare finalmente un ruolo attivo. Tuttavia la realtà è ben diversa: più che di cooperative vere e proprie si tratterà di 'imprese che hanno assunto formalmente lo statuto giuridico di cooperative pur trattandosi di singoli operatori coperti da un certo numero di prestanome al fine di poter usufruire dei vantaggi che l'industria a

partecipazione statale è tenuta ad accordare alle cooperative nell'aggiudicazione degli appalti' (Hytten Marchioni 1970 p.43)

La scelta di queste cooperative fu ancora una volta di affidarsi a imprese esterne, e in primo luogo a cooperative di produzione e lavoro che garantivano maggiore esperienza e affidabilità. Tuttavia sia le imprese di Caposprano sia quelle sia lavoravano per le cooperative utilizzavano la stessa forza lavoro, le stesse piccole squadre che si erano costituite intorno alle pratiche illegali. Se negli ultimi vent'anni ci sono state formazioni di imprese proprio nel contesto gelese, si può dire che i tre mercati siano continuati a sopravvivere pur se con una tendenza verso la

regolarizzazione del mercato illegale.