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3. Insonnia psicofisiologica

3.1 Classificazione e criteri diagnostici

L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce l’insonnia come un disturbo nell’iniziazione e/o del mantenimento del sonno, oppure come un sonno non ristoratore presente per almeno tre notti alla settimana e associato ad una sensazione di fatica, stanchezza o inefficienza diurna (World Health Organization, 1992).

Da questa definizione si evince che ai fini della diagnosi di insonnia non basta basarsi esclusivamente sul tempo necessario per addormentarsi o sul numero delle ore che si dorme per notte, ma occorre prendere in considerazione anche la sensazione e l’esperienza soggettiva riferita al sonno.

L’insonnia è un disturbo che va ad interferire con la vita diurna, essa compromette il funzionamento fisico, mentale e sociale dell’individuo; i soggetti che ne soffrono vanno infatti incontro a numerosi sintomi diurni tra i quali stanchezza, sonnolenza, difficoltà di concentrazione, perdita di energia e irritabilità fin dalle prime ore del mattino.

L’insonnia viene classificata in diversi modi:

 In base alla presenza o assenza di associazione con patologie mediche o

psichiatriche in:

Insonnia primaria o psicofisiologica: quando non è derivabile da altre

patologie psichiatriche o organiche;

Insonnia secondaria: quando diversamente da quella primaria è derivabile

da patologie psichiatriche o organiche.

 In base alla manifestazione clinica in:

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Insonnia centrale: sono presenti brevi e frequenti risvegli notturni od un

unico risveglio prolungato;

Insonnia terminale: è presente un risveglio mattutino precoce.

 In base alla durata in:

Insonnia acuta: quando si presenta per un numero di notti limitate (2-3

notti); generalmente insorge in situazioni di stress, di jet leg, innanzi ad improvvisi cambi climatici o in particolari trattamenti farmacologici;

Insonnia transitoria: se tende a scomparire entro tre settimane dalla

manifestazione.

Insonnia cronica: il disturbo persiste per una durata superiore ad un mese,

più nello specifico per un periodo di sei o più mesi.

A tale proposito sembra utile ricordare che una delle caratteristiche che distingue principalmente l’insonnia acuta da quella cronica oltre alla durata è anche il modo attraverso cui viene descritta dall’individuo. I soggetti che soffrono di insonnia

cronica non riescono più ad associarla ad un fattore scatenante e ne parlano come se fosse “dotata di vita propria” (Perlis et al., 2012).

Per quanto riguarda invece le manifestazioni cliniche, anche se sono frequenti le forme miste, l’insonnia iniziale risulta spesso associata alla presenza di alti livelli d’ansia che ostacolano l’inizio del sonno, l’insonnia centrale a condizioni ambientali sgradevoli che tendono a frammentare il sonno o a disturbi somatici ed infine l’insonnia terminale ad un disturbo dell’umore sottostante.

Le attuali conoscenze sull’insonnia hanno modificato solo marginalmente i criteri

della sua classificazione, indipendentemente della apparenti differenze terminologiche. Ancora oggi, infatti, i principali sistemi tassonomici, la Classificazione Internazionale dei Disturbi del Sonno (ICSD), dell’American Sleep

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Sleep Disorders: Diagnostica & Coding Manual. American Academy of Sleep Medicine; Revised edition, 1997.) e quella dell’American Psychiatric Association (APA), il cui manuale tassonomico (Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali - DSM) è giunto nel 2000 alla quarta edizione rivista (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders DSM-IV-TR; Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, American Psychiatric Association; 4th edition, 2000) fanno, ancora oggi, ricorso ai criteri descrittivi di un tempo.

Il DSM- IV-TR inserisce le insonnie primarie di cui ne stabilisce i criteri di durata minima (insonnia primaria e dissonnia non altrimenti specificata) tra i disturbi mentali di asse I, e prevede, differeziandola da questa, anche l’insonnia secondaria che risulta correlata ad un altro disturbo mentale o internistico, rispetto ai quali sembra configurare una condizione di comorbidità.

Il DSM- 5, pubblicato nello scorso maggio in lingua italiana invece, per conferire una maggiore attenzione all’insonnia indipendentemente dalla correlazione che poteva o non poteva presentare con condizioni internistiche e/o psichiatriche, ha eliminato la distinzione tra insonnia primaria ed insonnia secondaria e ha riconosciuto i rapporti bidirezionali tra il disturbo del sonno e le patologie internistiche e/o mentali presenti. Il DSM-5 ha perciò rinominato l’insonnia primaria del DSM-IV TR con il termine di “Disturbo da Insonnia” mentre l’insonnia secondaria è stata integrata, laddove necessario, in “Altri Disturbi del Ciclo Sonno- Veglia”.

Per quanto invece riguarda l’ICSD, vengono distinte le insonnie primarie in: insonnia psicofisiologica, idiopatica e insonnia caratterizzata da alterata percezione del sonno.

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Tutte e tre queste diverse tipologie di insonnia primaria non sono nè riconducibili ad altre condizioni cliniche da cui possano essere derivate, né dalle forme associate ad altre condizioni di natura internistica o psichiatrica.

Indipendentemente dal sistema tassonomico che viene utilizzato al fine della diagnosi sembra che alla base dell’insonnia ci siano un insieme polimorfo di fattori

ambientali, psicosociali, biologici e genetici che interagendo tra di loro si influenzano reciprocamente.

Entrando nello specifico di questa trattazione, andiamo ora a parlare più in dettaglio dell’Insonnia Psicofisiologica (PI). L’insonnia psicofisiologica risulta

essere il più comune sottotipo di insonnia, presente nel 1-2% della popolazione generale, e nel 12-15% di tutti i pazienti osservati nei centri del sonno. In accordo con la nosologia clinica (American Sleep Disorders Association 1997; American Psychiatric Association 1994) ed i criteri diagnostici della ricerca (Espie et al., 2006), i pilastri centrali nella PI sono l'iperarousal e l’appresa associazione sonno- veglia, attraverso la quale i pazienti mostrano un’eccessiva preoccupazione ed un alto livello d’ansia nel momento di andare a dormire. Nell’insonnia psicofisiologica, la primitiva iperattività delle strutture cerebrali che sottendono la veglia diviene

iperarousal abnorme successivamente a particolari eventi di vita, condizioni

ambientali e interazioni sociali. Come precedentemente affermato l’Accademia Americana di Medicina del Sonno (ICSD-R), definisce l’insonnia primaria come "Insonnia Psicofisiologica". La definizione dell’ICSD-R appare direttamente correlata ai fondamenti eziologici della malattia; inquanto, attraverso questa classificazione è possibile valutare sia i fattori scatenanti che avviano il disturbo che il fattori di mantenimento che lo cronicizzano. Come è ben noto, l’avvio del disturbo è da ricercarsi nella presenza di varie tipologie di stressor emotivi (psicologici, sociali o medici), il fatto che il disturbo invece permanga nonostante la

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risoluzione degli eventi scatenanti è dato dall’instaurarsi di un’iperattivazione psicofisiologica notturna e da un condizionamento negativo sia verso il sonno che verso la camera dal letto che viene associata, attraverso condizionamento classico, alla veglia. L’insonnia psicofisiologica viene quindi descritta come un disturbo derivato da una “tensione somatizzata” e dall’instaurarsi di un “comportamento appreso che va ad ostacolare il sonno”. Tutta l’attenzione del

paziente verrebbe perciò rivolta sulla sua incapacità di dormire, e questo va a costituire proprio il tratto specifico caratteristico di questo tipo di insonnia, legata appunto ad associazioni apprese che impediscono il sonno.

Il termine “tensione somatizzata” si riferisce ad uno stato di tensione e di iperarousal che il paziente manifesta nel momento di andare a dormire; può essere sia vissuta soggettivamente dal paziente, che rilevata mediante misurazioni obiettive. Associata a questa iperattivazione si riscontra anche un’attivazione del sistema nervoso periferico, con un aumento della tensione muscolare, della frequenza cardiaca, della sudorazione, etc. Quando si parla, invece, di “comportamenti appresi che impediscono il sonno”, si fa riferimento all’aumento della vigilanza dell’individuo che viene innescata dall’ambiente della camera da letto attraverso condizionamento classico, e che precede il momento di coricarsi. A tale proposito, le idee, i pensieri ossessivi e le ruminazioni che si presentano al momento di andare a dormire vengono interpretati come un indice di ipervigilanza (Perlis, 2012). A questi fattori di ipervigilanza sono riconducibili, inoltre, sia la reattività emotiva che la ruminazione ansiosa caratteristiche dei pazienti affetti da disturbi d’ansia, anche se in questo caso rimangono sottosoglia e al di fuori dell’ambito tassonomico.

Diversi modelli sono stati utilizzati per valutare come gli aspetti metacognitivi attivati nell’insonnia psicofisiologica, ed implicati sia nella tensione somatizzata

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che nei comportamenti appresi che impediscono il sonno, siano centrali e caratteristici di tale disturbo. Tra essi troviamo Il modello della funzione esecutiva di autoregolazione” (S-REF, proposto da Wells), un modello utile a spiegare il motivo per il quale i pensieri intrusivi o le ruminazioni che si presentano nel periodo precedente l’addormentamento interferiscono con esso (Wells, 2000; Wells and Matthews, 1994, 1996). Secondo Wells, la S-REF viene attivata quando il soggetto sente di essere sveglio mentre desidererebbe dormire. Le informazioni inerenti al proprio corpo, al proprio pensiero e quelle provenienti dal mondo esterno, vengono automaticamente vissute come intrusive. I soggetti insonni che si percepiscono svegli nel momento dell’addormentamento presentano pensieri intrusivi di varia natura riferiti a: il rumore, i pensieri inerenti il sonno, le pianificazioni per riuscire ad addormentarsi e la sensazione di essere sveglio. Tali pensieri intrusivi costituiscono una forma di attivazione psciofisiologica che indurrebbe il soggetto ad attivarsi nel momento dell’addormentamento (Wells, 2000). Il S-REF permettere perciò di fornire una spiegazione teorica all'emergenza dei pensieri intrusivi persistente nell'insonnia primaria. Sono state identificate due diverse tipologie di credenze metacognitive che potrebbero agire mediante la S- REF in risposta a stimoli intrusivi, esse sono:

1. credenze inerenti il significato delle intrusioni (ad esempio: pensare a letto mi impedirà di dormire);

2. piani che guidano e danno forma a queste cognizioni (ad esempio: prima di dormire dovrei controllare e spengere i miei pensieri).

Appare utile ricordare come queste diverse tipologie di credenze e di piani specifici che spesso si associano tra di loro (come ad esempio le strategie di controllo del pensiero, lo sforzarsi di dormire, le tendenze a dislocare la propria attenzione) rivestano un'importanza cruciale nel mantenimento dell’insonnia

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primaria (Broomfield et al., 2005). A tale proposito risulta importante sottolineare che non sempre l’attività cognitiva che precede l’addormentamento viene esperita come intrusiva (Wicklow and Espie, 2000), questo accade solo quando si trova in disaccordo con le credenze metacognitive dell’individuo. Diverse evidenze supportano l’ipotesi che le credenze metacognitive e i piani d’azione ad esse associati siano caratteristici dell’insonnia primaria. È stato dimostrato che i pazienti affetti da insonnia primaria si impegnano ad attuare diverse strategie di controllo del pensiero durante la notte (Ellis and Cropley, 2002; Harvey, 2001; Ree et al., 2005), tali strategie di controllo tenderebbero però ad aumentare la probabilità di nuove intrusioni (Wegner, 1994) e a rafforzare il disturbo del sonno. Oltre a questo, sappiamo anche che, i pazienti insonni si sforzano maggiormente di dormire per soddisfare il loro desiderio e la loro necessità di sonno andando a controllare in modo ansioso l’avvio del sonno (Broomfield and Espie, 2005), e che si concentrano in modo selettivo sugli stimoli interni ed esterni che sono pertinenti con questa loro ansia. Questo dato ha trovato conferma sia attraverso ricerche condotte mediante la somministrazione di questionari (Semler and Harvey, 2004a), sia attraverso lavori sperimentali (Espie et al., 2006; Marcetti et al., 2006). Il controllo del pensiero, lo sforzo volto all’addormentamento e l’attenzione selettiva agli stimoli interni o esterni sono stati tutti stati con la latenza del sonno (Ansfield et al., 1996; Harvey, 2003a; Semler and Harvey, 2004b). Recentemente, in uno studio pilota condotto da Palagini e collaboratori (Palagini et al., 2014) su un gruppo di pazienti affetti da PI ed un gruppo di controllo di pazienti ipertesi con Sindrome dell’Apnee Notturne (OSAS), è stato dimostrato che gli aspetti metacognitivi costituiscono un tratto specifico e caratteristico solo dell’insonnia psicofisiologica e non del sonno disturbato in generale.

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