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3. Insonnia psicofisiologica

3.2 Interazioni tra stress e insonnia psicofisiologica

L’interazione tra stress e sonno disturbato è diventata di importanza fondamentale per la medicina del sonno quando Michael Perlis nel 1997 (Perlis et al., 1997) ha

riformulato la teoria “neurocognitiva” dell’insonnia partendo dalla prospettiva di Spielmann (modello comportamentale), il quale presentava come punto centrale

della sua prospettiva, la convinzione che la cronicizzazione dell’insonnia psicofisiologica fosse dovuta all’interazione di diversi fattori che nel “modello delle 3P” furono definiti:

1. Fattori predisponenti;

2. Fattori precipitanti;

3. Fattori perpetuanti.

Il modello neurocognitivo di Perlis, vedrebbe perciò l’insonnia acuta associata a fattori predisponenti e precipitanti (come ad esempio stressor psi-cosociali) mentre

quella cronica associata a fattori perpetuanti (come ad esempio l’incremento del tempo passato a letto). I pazienti riescono spesso a definire accuratamente la

causa scatenante del loro disturbo del sonno:

Paziente: i miei problemi di sonno sono iniziati circa tre mesi fa

quando sostenni un colloquio di lavoro. Io sono sempre stata una persona molto apprensiva, però lo stress di quel colloquio di lavoro mi ha veramente molto provato. Quello che però non riesco a capire è il motivo per cui l’insonnia tende a persistere nonostante lo stress per quel colloquio di lavoro sia terminato da tempo. E' come se l'insonnia avesse una vita propria.

Andiamo ora ad analizzare singolarmente i fattori che fanno parte del modello:

1. Fattori Predisponenti: essi sono estesi all’interno dell’ambito dello spettro biopsicosociale, possono essere distinti in fattori psicologici, sociali e

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biologici. Tra i fattori psicologici viene identificata la paura o la tendenza ad essere eccessivamente riflessivi. Tra i fattori biologici si identifica l'iper- reattività e l'iperarousal. Tra i fattori sociali, infine, sono identificati le pressioni sociali, o gli orari lavorativi che potrebbero risultare discordanti con la propensione personale del soggetto al sonno.

2. Fattori Precipitanti: sono costituiti da tutti quegli eventi di vita che potrebbero costituire eventi precipitanti per lo sviluppo di un quadro di insonnia occasionale o acuta transitoria, tra di essi possono essere identificati la presenza di eventi di vita molto stressanti, l’insorgenza di una patologia medica o delle brusche modificazioni dello stile di vita o lavorativo.

3. Fattori Perpetuanti: rappresentano tutti quei comportamenti che il paziente mette in atto per compensare i disagi causati dall’insonnia, costituiscono delle vere e proprie forme di automedicazione che paradossalmente fungono solo come fonte di mantenimento e di acutizzazione del disturbo. Al fine di migliorare la propria condizione i pazienti tenderanno perciò a fare uso di alcool, ad effettuare sonnellini durante l’arco della giornata o a trascorrere una maggiore quantità di tempo nel letto al fine di dormire più ore. Se nel breve periodo tali automedicazioni sembrano avere un effetto positivo, ben presto il paziente si scontrerà con i loro effetti negativi nel lungo periodo; l’alcool ad esempio, induce il soggetto ad addormentarsi in tempi meno lenti da un lato, ma dall’altro tende a superficializzare il sonno favorendo l’insorgenza di numerosi risvegli notturni, di risvegli mattutini precoci e di un sonno frammentato. I sonnellini diurni, dal canto loro, potrebbero incrementare il quantitativo di sonno ottenuto nell’arco dell’intera giornata, al costo però di causare l’insorgenza di un sonno superficiale

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durante la notte. L'estensione delle ore di sonno invece seppur in grado di favorire il sonno, favorirebbe anche un’ insonnia scatenata da condizionamenti ambientali, oltre che un sonno frammentato. Tali

comportamenti esercitano un condizionamento negativo sull’evoluzione del disturbo, poiché conducano ad un quadro di insonnia cronica che aggrava i

già elevati livelli di stress diurni e autopotenzia ulteriormente il circolo

vizioso.

Questo modello mostra perciò lo sviluppo dell’insonnia attraverso tre tappe: acuta, iniziale e cronica, tutte e tre caratterizzate da una proporzione diversa dei tre fattori (Figura 5).

Figura 5. Modello dell’insonnia (Spielman, 1991)

Secondo la prospettiva comportamentale, quindi, le esperienze diurne come ad esempio: gli stress psicosociali, delle inadeguate strategie di problem solving, le

preoccupazioni e le ruminazioni, influenzerebbero in modo decisivo il sonno,

andandone in parte a minare direttamente la profondità, la continuità e la proprietà

ristoratrice. Con il trascorrere del tempo, e la cronicizzazione del disturbo i pazienti

con insonnia tenderebbero a lamentare vari tipi di preoccupazioni inerenti il sonno,

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sonno, a manifestare sonnolenza diurna più o meno intensa ed una serie di

disturbi disfunzionali sia somatici che psichici. Si tratterebbe quindi di un unico

ciclo in cui, la qualità della veglia sarebbe influenzata dalla qualità del sonno, così

come la qualità del sonno sarebbe influenzata da una veglia ricca di stress

mentali, sociali e fisici. Espie, partendo dal presupposto che il ciclo sonno/veglia

sia automatico, ipotizza che il processo di addormentamento potrebbe diventare particolarmente vulnerabile se per qualsiasi ragione fosse spento dal suo naturale automatismo. Esso è particolarmente incline a vedere come i pazienti che soffrono di insonnia psicofisiologica sarebbero potenzialmente capaci di dormire se i fattori disturbanti il sonno rimanessero inattivi (Espie, 2002). Quello che Espie vuole affermare, nello specifico, è che l’automatismo del ciclo sonno-veglia possa venire inibito da selettive attenzioni al dormire, da esplicite intenzioni a dormire e dall’introduzione di uno sforzo nel processo dell’addormentamento. Tale processo ha preso il nome di meccanismo di “attenzione-intenzione-sforzo” (Figura 6 e 7). Perché è importante quindi un modello cognitivo dell’insonnia? Numerosi pazienti insonni sono soliti riportare al clinico che sono i loro eventi mentali ad impedirgli di dormire (Lichstein and Rosenthal, 1980; Espie et al., 1989; Harvey, 2003). Tali eventi sarebbero costituiti da pensieri intrusivi, da preoccupazioni incontrollabili e da un’eccessiva attività mentale che interferirebbe con la tendenza automatica del soggetto ad addormentarsi, inquanto il momento dell’addormentamento viene controllato ed inibito da tutti questi fattori. Le caratteristiche essenziali dell’insonnia psicofisiologica, in accordo con la seconda versione della classificazione internazionale dei disturbi del sonno (2005) sono un’iperattivazione cognitiva e l’apprendimento di associazioni che prevengono il sonno. Gli aspetti cognitivi dell’insonnia psicofisiologica includono pensieri disfunzionali, alti livelli d’ansia nei

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confronti del sonno, attivazione corticale, dispercezione del sonno, automatismi e processi attenzionali.

Figura 6. Evoluzione dell’insonnia psicofisiologica attraverso il modello attention-intention-effort (Tratto da Espie et al., 2006).

Figura 7. Sviluppo dell’insonnia psicofisiologica attraverso il modello attention-intention-effort nel suo impatto con il processo di automatismo del sonno (Tratto da Espie et al., 2006).

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La storia dell’insonnia è stata presentata da Spielman come la tappa finale del modello delle 3P (fattori predisponenti, precipitanti, perpetuanti) (Spielman and Glovinsky, 1991).

Il fondamento della teoria neurocognitiva di Perlis risiede nel concetto di

iperarousal come fattore perpetuante dell’insonnia. L’iperarousal sembra rappresentare il risultato di un condizionamento classico e promuove livelli

abnormi di elaborazione sensoriale, di elaborazione delle informazioni e della

formazione di memorie a lungo termine, aumentando la vulnerabilità del soggetto

affetto da insonnia alle sollecitazioni derivanti dall’ambiente (difficoltà di addormentamento e frequenti risvegli), all’incapacità di distinguere tra sonno e veglia (alterata percezione del sonno) e alla tendenza a consolidare le memorie

negative.

Alcuni studi hanno ipotizzato che alla base dell’evoluzione dell’insonnia sia reperito un enorme iperarousal corticale presente durante il sonno, che viene

espresso sul versante esperienziale attraverso un aumento dell’attività cognitiva, e su quello strumentale attraverso un aumento dell’attività EEG rapide (beta e gamma). Non c’è da sorprendersi quindi, che il modello di Perlis preveda che l’insonnia cronica aumenti la vulnerabilità dell’individuo allo sviluppo della psicopatologia affettiva, in particolare della depressione e dei disturbi d’ansia (Riemann et al., 2010).

In base alle varie evidenze riscontrabili in letteratura e di fronte all’ipotesi della “diatesi stress”, che sostiene che lo stress produce un danno laddove esista una vulnerabilità specifica del singolo organismo, l’insonnia può essere considerata come un elemento o l’espressione del carico allostatico (Mc Ewen, 2006) e può essere considerata come un fattore di rischio indipendente di depressione solo

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allo stress (Pigeon and Perlis, 2007; Hasler et al., 2004). Diversi studi

epidemiologici hanno indicato che il 57% delle insonnie croniche, nel giro di due

anni, inducono l’insorgenza di un disturbo dell’umore o di un disturbo d’ansia che presentano un’incidenza più che doppia se confrontata con quella della popolazione generale che risulta essere il 24% (Ford and Kamerow, 1989). Drake

e collaboratori hanno investigato la possibilità che caratteristiche specifiche (tra cui

la reattività al sonno) potrebbero costituire dei fattori predisponenti per lo sviluppo

dell’insonnia (Drake and Roth, 2006). La reattività al sonno è un termine usato per delineare il grado di distruzione del sonno conseguente alla risposta individuale

innanzi a varie sfide. Essi hanno proposto inoltre che, i soggetti non affetti da

insonnia che però reagiscono in modo esagerato agli stimoli tipici dell’insonnia sono predisposti, nel tempo, a sviluppare il disturbo; a tale proposito Drake e

collaboratori hanno sviluppato e validato uno strumento, the Ford Insomnia

Response To Sress (FIRST). Al fine di identificare a priori i soggetti che presentavano questa reattività esagerata in risposta alle sfide della vita che

andavano poi ad inficiare il sonno (Drake et al., 2004). Numerosi studi hanno

mostrato la presenza di iperarousal cognitivo e fisiologico nei pazienti insonni

(Bonnet and Arand, 2010; Reimann et al., 2010), che è stato misurato attraverso

l’attività del sistema nervoso autonomo (elevato battito cardiaco, aumento dell’attivazione simpatica e diminuzione dell’attività parasimpatica) (Bonnet and Arand, 1998; Vgontzas et al., 1998), e dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (cortisolo aumentato, aumento di norepinefrina e ormone adrenocorticotropo) (Vgontzas et

al., 1998; Johns et al., 1971; Vgontzas et al., 2001). È importante notare che

questi effetti si presentano sia durante la veglia che durante il sonno (Johns et al.,

1971), e sono presenti anche in soggetti sani che presentano un’abnorme reattività del sonno (Bonnet and Arand, 2003). Recentemente, Fernandez

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Mendoza e collaboratori hanno dimostrato che un elevato arousal cognitivo e

somatico nonché l’eccitabilità è correlata con elevati punteggi ottenuti al FIRST, e rispetto ai normali dormitori, i soggetti che ottengono questi punteggi elevati al test

mostrano livelli di arousal simili a quelli ottenuti dai soggetti insonni (Fernandez-

Menzona et al., 2010). L’iperarousal costituisce l’anello di giunzione tra i soggetti sani con enorme reattività del sonno ed i soggetti affetti da insonnia primaria, a

tale proposito, sempre Drake e collaboratori ipotizzano che elevati livelli di

reattività del sonno costituiscono un fattore predisponente per lo sviluppo

dell’insonnia primaria. Oltre alla ricerca volta ad identificare gli specifici fattori predisponenti per lo sviluppo dell’insonnia, alcuni studi si sono concentrati sulla ricerca di una componente genetica dell’insonnia (Barclay et al., 2010; Heath et al., 1990; Watson et al., 2006). Studi su numerose famiglie hanno confermato

l’evidenza di una possibile base genetica dell’insonnia (Bastien et al., 2000; Beaulieu-Bonneau et al., 2007; Dauvilliers et al., 2005; Drake et al., 2008). Studi

sui gemelli hanno inoltre evidenziato che l’insonnia ed i suoi sintomi sono sostanzialmente ereditabili (Barvlay et al., 2010; Heath et al., 1990; Watson et al.,

2006; Mc Carren et al., 1994; Partinen et al., 1983). Lo specifico genotipo

implicato in una parte della varianza fenotipica, come ad esempio il trasportatore

della serotonina (5-HT), deve essere identificato e suggerisce che la base

genetica del disturbo può essere scoperta (Deuschle et al., 2010).

Conseguentemente alla base genetica identificata nell’insonnia, è stata anche ipotizzata una base genetica per la reattività del sonno. Dato che la reattività del

sonno individuale può costituire un fattore predisponente allo sviluppo

dell’insonnia primaria, è stato anche ipotizzato che esista una sovrapposizione tra le influenze genetiche e la reattività del sonno (Drake et al., 2011).

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