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La clausola di intrasferibilità tra modello legale e modelli convenzionali.

SOMMARIO: 1. L’intrasferibilità tra vecchia e nuova disciplina. – 2. L’intrasferibilità: tipologie della realtà. – 3. L’intrasferibilità legale: le cd. teorie estensive. – 4. Intrasferibilità inter vivos della partecipazione. – 5. Intrasferibilità mortis causa della partecipazione. – 6. Indivisibilità della quota e costituzione di diritti frazionari. – 7. Modelli convenzionali: l’intrasferibilità ad applicazione differenziata. – 7.1 (segue) Incedibilità ad personam e diritti particolari. – 7.2 (segue) Partecipazioni “speciali” e convivenza tra quote trasferibili e non. – 8. Modelli convenzionali: l’intrasferibilità relativa. – 8.1

(segue) Intrasferibilità relativa e recesso statutario.

1. L’intrasferibilità tra vecchia e nuova disciplina.

Tra le clausole limitative della circolazione di partecipazioni sociali, l’art. 2469, 2° comma, c.c. richiama espressamente la clausola di intrasferibilità.

Nel vigore della precedente disciplina, l’art. 2479 c.c. veniva interpretato da unanime dottrina nel senso che nella s.r.l. fosse possibile non solo limitare, ma anche escludere la trasferibilità della quota sia inter vivos che mortis causa83.

83 In senso contrario, L. BUTTARO, (supra, n. 9), 503, sostiene che si devono ritenere lecite le clausole limitative della circolazione della quota ma non anche quelle che prevedono un divieto assoluto di trasferimento, in quanto alla previsione di una clausola di blocco consegue il riconoscimento al socio del diritto di recesso, il quale comporta di procedere alla liquidazione della partecipazione del socio recedente, con conseguente diminuzione del capitale sociale. Nelle società di capitali, in cui l’unica

La validità delle clausole di intrasferibilità veniva giustificata sulla base della diversa formulazione dell’art. 2479 c.c. rispetto all’art. 2355 c.c. (nel testo ante-riforma) in tema di s.p.a.: il primo, infatti, adottava una dizione letterale (“salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo”) sicuramente più ampia di quella prevista dall’art. 2355 c.c., che consentiva all’atto costitutivo di società azionaria di “sottoporre a particolari condizioni l’alienazione delle azioni nominative”. Il potere pressoché illimitato rimesso all’autonomia statutaria delle s.r.l. legittimava, così, qualsiasi deroga al principio della libera circolabilità della quota, compresa appunto la clausola di blocco.

La distinzione tra le due discipline evidenziava la diversa rilevanza dell’intuitus personae nell’ambito della s.r.l.84, vero e proprio carattere distintivo rispetto al tipo “società per azioni”, il cui aspetto caratterizzante era ed è, invece, la naturale ed impersonale circolazione della partecipazione sociale.

Con la nuova formulazione dell’art. 2469 c.c. il legislatore ha riconosciuto espressamente la facoltà per le s.r.l. di inserire nell’atto costitutivo clausole limitative del trasferimento delle partecipazioni sociali, addirittura fino alla previsione di clausole di intrasferibilità assoluta.

La nuova dizione, rispetto al precedente articolo 2479 c.c., ha inoltre introdotto un rimedio legale alla previsione di clausole di blocco, tale garanzia per i creditori sociali e per i terzi è il patrimonio sociale, è necessario bilanciare l’interesse di tali soggetti con quello del socio che intende disinvestire la propria partecipazione e con quello della società a mantenere inalterata la compagine sociale. L’unico mezzo di tutela dei tre diversi interessi sembra essere, secondo l’autore, la previsione della trasferibilità delle quote (e di conseguenza la nullità delle clausole di intrasferibilità assoluta della partecipazione).

84 L. BUTTARO, (supra, n. 83), 503, evidenzia che l’interpretazione prevalente legge l’art. 2479 c.c. come manifestazione del favor societatis, in quanto riconoscendo la validità di clausole statutarie di intrasferibilità assoluta mira a rafforzare l’omogeneità della compagine sociale, attraverso il riconoscimento all’ intuitus personae di una rilevanza che solitamente non ha nelle società di capitali.

da bilanciare i diversi interessi facenti capo al socio alienante, agli altri soci e alla società e, infine, ai creditori sociali.

Quindi, attualmente, è lecita la previsione di una clausola impeditiva (in via assoluta) della circolazione, ma ad essa fa fronte il diritto di recesso ex lege riconosciuto ai soci che intendano disinvestire la propria partecipazione.

È necessario, però, individuare qual è il significato di intrasferibilità rilevante ai fini dell’applicazione del secondo comma dell’art. 2469 c.c., e confrontarsi di conseguenza con le diverse tipologie di clausole di intrasferibilità conosciute nella prassi.

2. L’intrasferibilità: tipologie della realtà.

La prassi societaria mostra l’esistenza di varie tipologie di limiti circolatori, tutti ascrivibili alla nozione astratta di intrasferibilità, tra i quali è necessario, tuttavia, operare una distinzione al fine di determinare con sufficiente esattezza il novero di fattispecie riconducibili al modello legale di intrasferibilità rilevante ai sensi dell’art. 2469, 2° comma, c.c.

Innanzitutto è necessario notare che la intrasferibilità delle quote può essere:

a) totale o parziale85; b) assoluta o relativa.

Possiamo distinguere poi pattuizioni di inalienabilità soggettivamente e oggettivamente relative. Più in particolare, con riguardo al trasferimento inter vivos della partecipazione, sarà possibile inibire la

85 P. GHIONNI, (supra, n. 42), 16 ss, riporta nella nt. 38 di p. 16 l’esempio della prassi societaria delle s.r.l. di Napoli, nel 2008, le quali hanno adottato clausole di intrasferibilità parziale delle partecipazioni, pari al 9,6 % del complesso delle previsioni di clausole limitative.

circolazione limitatamente a determinati negozi (intrasferibilità oggettivamente relativa: ad esempio, un divieto statutario di cessione di quote a titolo oneroso, oppure un divieto di cessione della quota tramite donazione, o tramite permuta) o limitatamente a determinati soggetti (intrasferibilità soggettivamente relativa).

In questo secondo caso, peraltro, si possono creare due diverse situazioni: guardando la vicenda dal lato degli acquirenti, si può immaginare che la circolazione sia inibita nei confronti di determinati soggetti, mentre sia ammessa a favore di altri (ad esempio, il coniuge o i discendenti); guardandola dal lato del socio alienante, si può immaginare che lo statuto ponga il divieto in capo ad alcuni membri soltanto della compagine sociale e non ad altri.

Si tratta di ipotesi molto diffuse nella prassi societaria e che spesso sono combinate con clausole di prelazione, le quali riconoscono ai soci attuali un diritto di essere preferiti a terzi, a parità di condizioni, nell’acquisto delle partecipazioni sociali. Pattuizioni di tal genere incontrano un largo favore nelle s.r.l. a base familiare, data la tendenza (che le caratterizza) a conservare l’impresa nelle mani di una predeterminata compagine.

Un discorso analogo si può fare anche per quanto riguarda l’intrasferibilità mortis causa delle partecipazioni di s.r.l.

L’atto costitutivo può prevedere che sia inibita la trasferibilità tramite un determinato tipo di successione, ad es. testamentaria (nel qual caso si parla di divieto mortis causa oggettivamente relativo, in quanto si limita la circolazione relativamente ad un particolare negozio); oppure può selezionare preventivamente i soggetti (eredi) ammessi all’ingresso in società, distinguendoli da quelli cui, invece, spetta il diritto alla liquidazione della quota (divieto mortis causa soggettivamente relativo).

Un’ulteriore tipologia di intrasferibilità conosciuta dalla prassi consiste nell’intrasferibilità temporanea.

Si tratta di clausole che modulano il divieto di circolazione della partecipazione sotto il profilo dell’estensione temporale: l’interesse dei soci a vietare la cessione delle partecipazioni, infatti, ben potrebbe limitarsi ad un particolare momento della vita della società (ad es. alla fase iniziale) o sussistere solo in relazione a determinati eventi86.

Peraltro, nel caso in cui l’atto costitutivo della s.r.l. vieti la circolazione, senza prevedere ulteriori precisazioni relativamente alla durata, sorge il dubbio se la clausola limitativa sia o meno lecita87.

In favore della liceità sembra porsi il dato normativo: l’art. 2469, 2° comma, c.c. non prevede, come elemento essenziale, l’indicazione del termine di durata del vincolo. Ne consegue che, essendo la clausola valida, questa va valutata alla luce delle altre disposizioni previste nell’atto costitutivo. Se la società è contratta a tempo determinato, l’efficacia del vincolo sarà limitata nel tempo, poiché corrisponde alla durata della società88; se, invece, la società è contratta a tempo indeterminato, allora la clausola dovrà considerarsi costitutiva di un vincolo perpetuo.

Infine, non sembrano esserci ostacoli alla previsione di un vincolo sottoposto a termine iniziale o a condizione sospensiva.

86 Nelle s.p.a. la temporaneità del divieto ha carattere inderogabile: per espressa previsione dell’art. 2355-bis c.c., non può eccedere i cinque anni dalla costituzione della società o dall’introduzione della clausola.

87 A livello comparatistico troviamo ordinamenti che disciplinano, in modo diretto, l’aspetto della durata del vincolo alla circolazione: in tali casi, la temporaneità della proibizione è elemento necessario per la validità della clausola. L’ordinamento francese, così come quello belga, prevedono che il divieto alla circolazione delle partecipazioni sociali sia limitato nel tempo e giustificato da un interesse serio e legittimo.

88 A tal proposito alcuni autori hanno parlato di un vincolo permanente, in quanto viene meno solo con la fine dell’impresa.

3. L’intrasferibilità legale: le cd. teorie estensive.

Il legislatore non offre indici significativi in ordine all’interpretazione del concetto di intrasferibilità rilevante ai sensi dell’articolo 2469, 2° comma, c.c.

Parte della dottrina propone ricostruzioni estensive della fattispecie in esame, sostenendo che assumano rilievo, ai fini del riconoscimento del diritto di recesso, anche:

a) la c.d. intrasferibilità indiretta, o, secondo una prospettiva ancora diversa,

b) la c.d. intrasferibilità concreta.

La tesi dell’intrasferibilità indiretta attribuisce rilievo a tutte quelle tipologie di clausole che, seppur in maniera mediata, indiretta (appunto), ostacolano la circolazione della partecipazione: il vincolo, cioè, non incide direttamente sull’interesse al disinvestimento mediante trasferimento.

Così, alcuni autori riconducono all’intrasferibilità ex art. 2469, 2° comma, c.c. le clausole che sanciscono l’indivisibilità della quota89; altri vi riconducono le ipotesi di divieto di trasferimento a titolo oneroso90 o

89 In tal senso M. PINNARò, (supra, n. 21), 1507, sostiene che “una previsione la quale consenta la libera trasferibilità solo dell’intera partecipazione, va apprezzata -al pari di una previsione generale sulla indivisibilità della quota- come divieto di trasferimento e pertanto quale fattispecie che abilita all’esercizio del recesso”. Nello stesso senso P. REVIGLIONO, (supra, n.19), 1816 secondo cui “laddove l’indivisibilità si traduca in una intrasferibilità assoluta della partecipazione dovrà necessariamente applicarsi il 2° co. dell’art. 2469”. Nel senso contrario, invece, G. ZANARONE, (supra, n. 23), 582, secondo il quale “ non legittimano di conseguenza il recesso, in quanto suscettibili di lasciare uno spiraglio al trasferimento, né un’intrasferibilità temporanea, né un’intrasferibilità parziale (come quella che escludesse la divisione della partecipazione)”.

90Così, G. ZANARONE, (supra, n. 23), 586, il quale sostiene che “almeno astrattamente, nessuno potrebbe ritenersi legittimato a recedere dalla società in presenza di una clausola che vieti il trasferimento della partecipazione solamente per atto a titolo gratuito (…). Tuttavia, l’interpretazione del requisito del recesso andrebbe condotta non già in astratto ma avendo riguardo a funzione e struttura di quest’ultimo. Si pensi ad una clausola che, nell’ambito dei trasferimenti inter vivos, vieti solamente quelli a titolo oneroso: essendo il recesso uno strumento idoneo a

i casi in cui sia inibita la circolazione all’infuori della compagine sociale91; altri ancora vi comprendono l’ipotesi in cui sia previsto il divieto di costituzione di usufrutto sulle partecipazioni sociali92.

Secondo la teoria dell’intrasferibilità concreta, invece, rientra nella fattispecie legalmente rilevante ogni previsione statutaria in forza della quale la partecipazione risulti praticamente incedibile.

Tali sarebbero le clausole di prelazione impropria93 oppure ancora le clausole che subordinano il trasferimento della partecipazione ad un “benestare ancorato sì a presupposti oggettivi, ma capricciosi e slegati dall’interesse della società”94.

consentire il realizzo del valore della quota tramite la sua liquidazione, esso perderebbe ogni funzione di rimedio alternativo rispetto al disinvestimento per trasferimento qualora non potesse essere attivato di fronte all’interdizione statutaria di quest’ultimo (…). Sembra qui preferibile ritenere che il presupposto dell’intrasferibilità voluto dall’art. 2469, comma 2°, si realizzi, sia pure ai soli fini del recesso di cui al medesimo articolo, in presenza di un divieto incidente, purché in modo incondizionato e illimitato, anche su una sola delle possibili cause di trasferimento appartenenti a una delle grandi categorie di cui sopra” (trasferimenti inter vivos o mortis causa).

91P. REVIGLIONO, (supra, n. 19), 1820, il quale sostiene che alla clausola di intrasferibilità (assoluta) va equiparata la clausola che consente il trasferimento solo a quei soggetti che rivestono la qualità di soci e non ai terzi.

92 In tal senso, M. MALTONI, (supra, n. 77), 1843, afferma che, per poter verificare se scatti o meno il diritto di recesso nei casi di intrasferibilità relativa al solo usufrutto, si debba guardare alla ratio del rimedio. Quest’ultimo mira a bilanciare l’interesse del socio a disinvestire e l’interesse della società a valutare e inibire l’ingresso di soggetti non graditi. In quest’ottica, secondo l’autore, “ogni qualvolta il gruppo (dei soci) si riserva la facoltà di verificare l’opportunità dell’ingresso, e quindi dell’exit, sorge il diritto di recesso; qualora il gruppo regolamenti l’exit, che diviene risultato certo, il diritto di recesso non ha più ragione di operare. La certezza oggettiva ed aprioristica di disinvestire esclude il recesso; ogni margine di incertezza autorizza il recesso. Se condiviso, il criterio proposto conduce a ritenere che il diritto di recesso spetti nel caso in cui l’intrasferibilità riguardi il solo usufrutto, perché si tratta di modalità di investimento anche se temporanea”.

93 La prelazione impropria consiste nella clausola che attribuisce il potere di determinare il prezzo di vendita della partecipazione ad un arbitratore o ad un collegio di arbitratori, sottraendo il medesimo potere alle parti contrattuali (socio e acquirente), con l’intenzione di stabilire un prezzo di vendita equo e non fraudolento. Sulle clausole di prelazione impropria sono stati avanzati dubbi circa la possibilità di riconoscere anche in tali casi il diritto di recesso in favore del socio. Sul punto rimando al par. 7 del capitolo precedente.

94 L’espressione è ripresa da D. SANTOSUOSSO, La riforma del diritto societario, Milano, 2003, 205, corsivo aggiunto, il quale sostiene che in tali casi scatta il diritto di

Nel complesso, pare preferibile un’interpretazione restrittiva della nozione di intrasferibilità rilevante ai fini dell’art. 2469, 2° comma, c.c. Le teorie estensive riconducono all’intrasferibilità legalmente rilevante fattispecie eterogenee, senza individuare un parametro sicuro e conoscibile ex ante, minando così la fondamentale esigenza di certezza del traffico giuridico.

Anche in Germania, ove pure è previsto un regime legale di libera trasferibilità analogo a quello adottato nell’ordinamento italiano, prevale una concezione restrittiva della intrasferibilità delle partecipazioni, tale da limitare il diritto di recesso ad essa collegato. Secondo la dottrina dominante, il diritto di exit sorge solo nel caso in cui sia prevista l’intrasferibilità assoluta; inoltre, un ulteriore condizionamento all’esercizio del recesso consiste nella necessaria presenza di giusti motivi.

4. Intrasferibilità inter vivos della partecipazione.

L’art. 2469, 2° comma, c.c. parla di intrasferibilità relativamente a due grandi categorie di trasferimenti: il trasferimento inter vivos e il trasferimento a causa di morte95.

Tuttavia è opportuno analizzare i due fenomeni in maniera separata96, poiché si fa riferimento a vicende traslative diverse e, soprattutto, recesso perché siamo in presenza di una intrasferibilità effettiva della partecipazione sociale.

95 In realtà spesso la dottrina esclude che l’intrasferibilità di cui parla l’articolo sia da riferirsi anche alle vicende mortis causa, concentrando, per quest’ultime, l’attenzione sulla parte della norma che riguarda i limiti statutari che “in concreto” impediscono il trasferimento a causa di morte.

96 Per una trattazione separata dei due fenomeni depone il dato comparatistico. Molti ordinamenti stranieri, tra cui quello portoghese e spagnolo, disciplinano le due categorie in modo separato. In Portogallo la vicenda successoria è valutata come vicenda a sé stante rispetto alla cessione inter vivos: al passaggio della partecipazione a causa di morte è dedicata una specifica regolamentazione, in virtù della quale è

perché gli interessi sottesi al rimedio del recesso, previsto in occasione di clausole di intrasferibilità, sono differenti.

Per quanto riguarda l’intrasferibilità inter vivos delle partecipazioni sociali, è necessario individuare quale tipologia di intrasferibilità dà luogo all’applicazione del secondo comma dell’articolo 2469 c.c., e, per far ciò, è opportuno partire dal diritto di recesso attribuito ai soci, in particolare dalla sua giustificazione.

L’interesse sotteso al diritto di recesso consiste nello scongiurare il pericolo che il socio possa rimanere prigioniero della società, a causa di una previsione di intrasferibilità della partecipazione sociale. Una clausola di tal sorta, infatti, impedirebbe al socio di alienare la propria quota. Sotto questo profilo, sembra doversi affermare che solo l’intrasferibilità assoluta dia luogo al diritto in questione ed escludere, per converso, che esso sorga non solo nel caso di intrasferibilità indiretta, concreta e – come si vedrà tra breve – relativa, ma anche in ipotesi di intrasferibilità temporanea97.

Del resto, nella s.r.l., il recesso può essere liberamente disciplinato dall’autonomia statutaria per ciò che concerne la determinazione delle ipotesi che lo legittimano: in considerazione di ciò, sembra ragionevole concesso assoggettare la trasmissione della quota in via successoria a determinate condizioni, tra cui l’intrasferibilità.

Allo stesso modo nell’ordinamento spagnolo l’intrasferibilità (e il contestuale diritto di recesso) viene riferita alla sola circolazione per atto tra vivi, mentre per le vicende successorie è prevista la trasmissibilità agli eredi o legatari. Resta comunque ferma la possibilità di introdurre nello statuto una clausola che preveda l’acquisto della partecipazione del socio defunto in capo ai soci superstiti.

97 In questo ordine di idee, G. ZANARONE, ( supra, n. 23), 580. In giurisprudenza, Trib. Roma, 5 luglio 2011, n. 14501, il quale si è trovato a decidere della legittimità del recesso esercitato dal socio di una s.r.l. in seguito alla introduzione di una clausola contemplante l’intrasferibilità della partecipazione sociale, introduzione non condivisa dallo stesso socio. Dichiarando l’illegittimità del recesso esercitato in tale occasione, in quanto non si trattava di una clausola costitutiva del diritto di recesso ex art. 2469, 2° comma c.c., il Tribunale ha chiarito quali sono le clausole che danno luogo al diritto in questione: tra queste ha espressamente richiamato la clausola di intrasferibilità “assoluta”, precisando che solo nel caso in cui sia esclusa la circolazione sia inter vivos che mortis causa e, nel primo caso sia a titolo oneroso che gratuito o a titolo di liberalità, sorge per il socio il diritto di exit.

ritenere che il legislatore si sia limitato a regolare l’intrasferibilità astratta e assoluta, riconoscendo in tal caso un diritto di recesso al socio, e abbia lasciato all’autonomia statutaria98 la facoltà di adottare una regolamentazione convenzionale del recesso in relazione a clausole di intrasferibilità diverse da quella assoluta99.

L’intrasferibilità temporanea resterebbe pertanto al di fuori dell’ambito applicativo dell’art. 2469, 2° comma, c.c.

In verità, parte della dottrina ritiene che il diritto di recesso non spetti al socio in presenza di clausole che vietino il trasferimento della quota per un periodo massimo di cinque anni, pena un’ingiustificata asimmetria con quanto previsto per le s.p.a. all’art. 2355-bis c.c.

Questa ricostruzione non trova, tuttavia, fondamento nel dato normativo: per il tipo societario della s.r.l., a differenza di quanto accade per la s.p.a., non è previsto alcun riferimento all’aspetto temporale del vincolo.

Concludendo, non sembra che le diverse previsioni attinenti alla durata del vincolo circolatorio possano incidere sulla attribuzione o meno del diritto di recesso in capo al socio, essendo a tal fine necessario che lo statuto preveda una clausola di intrasferibilità assoluta della circolazione inter vivos.

Ulteriori spunti a sostegno dell’intrasferibilità assoluta (ed astratta) come fattispecie legalmente rilevante emergono dalla funzione attribuita alla clausola di blocco.

Sembra potersi affermare che l’intrasferibilità abbia una funzione ulteriore e specifica rispetto alle altre tipologie di clausole limitative. Con queste, infatti, condivide certamente la funzione di monitorare l’ingresso di nuovi soci nella compagine sociale. Ma la clausola di blocco non si limita a questo: una simile funzione ben può essere

98 In linea con quanto previsto dalla legge delega 366/2001. 99 In questo senso, P. GHIONNI, (supra, n. 42), 106 ss.

svolta anche da clausole meno costose per la società, come ad esempio la prelazione o il gradimento non mero.

L’intrasferibilità, oltre a controllare l’ingresso di nuovi soggetti, mira all’immutabilità della compagine sociale e alla cristallizzazione delle posizioni di potere ricoperte all’interno della società100.

È chiaro che, per poter esplicare tale funzione, l’intrasferibilità deve essere assoluta.

Ad ulteriore dimostrazione può essere utile condurre un ragionamento a contrario: se l’interesse della proibizione fosse solo quello di impedire l’accesso di nuovi soggetti, il vincolo limitativo dovrebbe operare solo nei confronti dei terzi e non anche nei confronti dei soci. È, però, pacifico che l’intrasferibilità possa riguardare sia i terzi che i soci, mirando, appunto, a garantire il mantenimento, oltre che della compagine sociale, anche dei reciproci rapporti di forza esistenti tra i soci all’interno della società.

In conclusione, l’intrasferibilità inter vivos rilevante ai sensi dell’art. 2469 c.c., secondo comma, consiste in un’intrasferibilità assoluta ed astratta, tale da impedire, in ogni caso, al socio il potere di alienare la