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I limiti statutari alla circolazione delle quote di S.r.l.

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INDICE - SOMMARIO

CAPITOLO I

La circolazione della partecipazione di s.r.l.: profili storici e

disciplina generale.

5

1. I progetti Vivante, D'Amelio e Asquini.

5

2. L’impianto del codice civile del ’42.

10

3. La riforma del 2003 e la disciplina attuale.

16

4. Il principio di libera trasferibilità delle partecipazioni.

22

5. La nozione di trasferimento ai fini dell’applicazione dell’art.

2469 c.c.

25

6. Le clausole previste dall’articolo 2469, 2° comma, c.c.: profili

generali.

28

7. Le altre clausole che vincolano la libera trasferibilità. Il primo

comma dell’art. 2469 c.c.

30

8. Introduzione e modifica delle clausole limitative della

circolazione.

36

9. L’efficacia delle clausole limitative della circolazione e la loro

violazione.

41

(2)

CAPITOLO II

La clausola di intrasferibilità tra modello legale e modelli

convenzionali.

58

1. L’intrasferibilità tra vecchia e nuova disciplina.

58

2. L’intrasferibilità: tipologie della realtà.

60

3. L’intrasferibilità legale: le cd. teorie estensive.

63

4. Intrasferibilità inter vivos della partecipazione.

65

5. Intrasferibilità mortis causa della partecipazione.

68

6. Indivisibilità della quota e costituzione di diritti frazionari. 70

7. Modelli convenzionali: l’intrasferibilità ad applicazione

differenziata.

71

7.1 (Segue) Incedibilità ad personam e diritti particolari.

74

7.2 (Segue) Partecipazioni “speciali” e convivenza tra quote

trasferibili e non.

77

8. Modelli convenzionali: l’intrasferibilità relativa.

80

8.1 (Segue) Intrasferibilità relativa e recesso statutario.

82

CAPITOLO III

Le clausole di gradimento

86

1. La clausola di gradimento: evoluzione della disciplina nella

(3)

2. La disciplina attuale delle clausole di gradimento tra s.p.a. e

s.r.l.

94

3. Il mero gradimento: la fattispecie rilevante ai sensi dell’art.

2469, 2° comma.

98

4. Peculiarità del gradimento nella s.r.l.

101

5. Conclusioni.

102

CAPITOLO IV

La circolazione

mortis causa delle partecipazioni di s.r.l. 104

1. L’art. 2469 c.c. e la circolazione a causa di morte.

104

2. Clausole di predisposizione successoria.

112

3. Clausola di opzione e divieto di patti successori.

114

4. Clausola di consolidazione e divieto di patti successori. 120

4.1. (Segue) La teoria della “specialità” degli art. 2284 e 2479

(oggi 2469) c.c.

123

5. Le clausole di predisposizione successoria alla luce della

riforma del diritto societario.

124

6. La natura del diritto di recesso attribuito agli eredi dall’art.

2469, 2° comma.

127

7. L’inibizione statutaria del recesso.

131

(4)

BIBLIOGRAFIA

139

INDICE DELLA GIURISPRUDENZA

146

(5)

CAPITOLO I

La circolazione della partecipazione di s.r.l.: profili storici

e disciplina generale.

SOMMARIO: 1. I progetti Vivante, D’Amelio e Asquini. – 2. L’impianto del codice civile del ’42. – 3. La riforma del 2003 e la disciplina attuale. – 4. Il principio di libera trasferibilità delle partecipazioni. – 5. La nozione di trasferimento ai fini dell’applicazione dell’art. 2469 c.c. – 6. Le clausole previste dall’art. 2469, 2° comma c.c.: profili generali. – 7. Le altre clausole che vincolano la libera trasferibilità. Il primo comma dell’art. 2469 c.c. – 8. Introduzione e modifica delle clausole limitative della circolazione. – 9. L’efficacia delle clausole limitative della circolazione e la loro violazione. –

10. Il diritto di recesso.

1. I progetti Vivante, D'Amelio e Asquini.

Il trasferimento della partecipazione di s.r.l. costituisce un osservatorio privilegiato per la riflessione sui tratti caratteristici del modello societario di riferimento, a sua volta controverso in dottrina, anche in prospettiva de iure condendo, dalla vigenza del codice di commercio fino ai giorni nostri.

Sarà utile, prima di entrare nel merito dell’analisi dell’istituto, ripercorrere brevemente l’evoluzione storica del tipo “società a responsabilità limitata”.

In occasione dei lavori preparatori al codice del 1882 fu avanzata la proposta di introdurre, accanto alla società anonima, un nuovo tipo societario caratterizzato dalla spiccata prevalenza dell’elemento

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personalistico pur nel quadro di una sostanziale continuità con il modello capitalistico.

La proposta fu attuata solo in minima parte, procedendosi all’introduzione di un nuovo tipo societario, la “anonima per quote”, che consisteva semplicemente in una variante della società anonima, data la mole di rinvii alla disciplina del tipo azionario, e che finì per essere considerata come l’antecedente della attuale società a responsabilità limitata.

Eppure, già nei primi anni del secolo scorso si discuteva sull’opportunità di prevedere un tipo autonomo di società di capitali, adatto soprattutto per le imprese a base familiare o, comunque, per quelle fortemente connotate dall’intuitus personae. In questa direzione si spinse il progetto Vivante del 19221, primo progetto di riforma del codice di commercio, che prevedeva uno nuovo tipo societario, la società a garanzia limitata2, la cui caratteristica principale era la rilevanza

1 P. REVIGLIONO, Trasferimento della quota di società a responsabilità limitata, Milano, 1998, 75; anche L. MOSSA, Trattato del nuovo diritto commerciale, Padova, 1953, III, 87, l’autore porta avanti delle riflessioni critiche sui progetti di riforma degli anni venti e quaranta del secolo scorso, sostenendo come fossero “scarsamente producenti le discussioni sulla natura di società collettiva od individualistica, capitalistica o personale della s.r.l.”. L’autore ritiene che nonostante la scelta legislativa di riconoscere un carattere capitalistico o personalistico alla s.r.l., quest’ultima per l’ampia libertà statutaria sempre riconosciutale, “può trasformarsi nella pratica in un modello opposto”. Notava l’autore che si tratta di un fenomeno ricorrente anche per le s.p.a., ma che nelle s.r.l. assume carattere più intensamente significativo “in virtù del carattere bifido o anfibio di quest’ultima”. I rilievi dell’autore, contrario alla scelta di disciplinare il tipo societario della s.r.l. che si verificherà con il codice civile del 1942, erano finalizzati ad evidenziare come fosse elevato il rischio di “concedere troppo a buon mercato” l’accesso al beneficio della responsabilità limitata, a causa dell’ampia autonomia statutaria e dell’elasticità organizzativa che contraddistingueva la s.r.l.

2 Nel codice di commercio del 1882 era prevista la anonima per quote, ma vi erano molte incertezze sulla natura di tale tipo societario. Alla luce delle esperienze tedesca e austriaca, che per prime avevano introdotto il modello della GmbH, anche in Italia si diffuse l’esigenza di introdurre un nuovo tipo di società a responsabilità limitata. Alcuni autori sostenevano, invece, la possibilità di conservare l’istituto dell’anonima per quote semplicemente riformando la disciplina al fine di renderne più agevole la diffusione: a tal proposito Antonio Scialoja, al Congresso delle società anonime di Torino, 1911, affermava che fosse necessario diminuire le spese e le formalità di pubblicazione e, al contempo, riconoscere maggiore autonomia contrattuale, per

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della persona del socio: e ciò incideva in maniera significativa sulla disciplina delle quote e in particolare della loro circolazione.

Del resto, il codice di commercio del 1882 non prevedeva una disposizione specifica sulle modalità di circolazione delle quote sociali, ma si limitava a stabilire all'art.140 che "le dichiarazioni di cessione delle quote" dovessero essere contenute nel libro dei soci. Questa lacuna ha determinato il sorgere di diverse interpretazioni sul problema della trasferibilità: alcuni interpreti sostenevano l'intrasmissibilità della partecipazione sociale3, quale regola generale, facendo comunque salva la possibilità di prevedere nell'atto costitutivo la libera circolazione; altri – ed era questo l'orientamento maggioritario4 – prevedevano la trasmissibilità della quota sociale, facendo leva proprio sull'art. 140 cod. comm. e sulla mancanza di una disposizione che stabilisse esplicitamente il divieto di trasferimento. A tale proposito il progetto Vivante adottava una soluzione di compromesso tra chi sosteneva (sulla scorta del modello tedesco) la necessità della libera trasferibilità al fine di facilitare l'afflusso di capitale e chi propendeva per il divieto di trasferimento in mancanza del consenso della società, dando rilevanza all'elemento personalistico che avrebbe dovuto caratterizzare la società a garanzia limitata5: il progetto, infatti, accoglieva la regola della prelazione in favore dei soci6 quale strumento a tutela della “chiusura” della compagine sociale7.

agevolare lo sviluppo di tale tipo societario (“Sull’ammissibilità di nuove forme di s.r.l.”, in Atti del primo congresso nazionale delle società anonime, Torino, 1911, 218). 3 U. MANARA, Delle società e delle associazioni commerciali, Torino, 1902, 11.

4 G. ERRERA, “E’ ammissibile per il nostro codice una società anonima a quote non trasmissibili?”, in Riv. Il Dir. Comm.,1896, 835 ss.

5 A. ASQUINI , Relazione al Prog. Pre. Del cod. comm., Milano, 1922, 317.

6 La commissione Vivante aveva subordinato la circolazione delle quote delle società a garanzia limitata all’attribuzione di un diritto di preferenza a favore degli altri soci (art. 146 del Progetto preliminare per il nuovo codice di commercio). Si trattava, tuttavia, di un tipo di prelazione particolare: innanzitutto, esprimeva esclusivamente l’interesse ad escludere estranei dalla società, poiché era svincolata dal riferimento al

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In particolare prevedeva la libera trasferibilità delle quote per atto tra vivi, salvo il diritto di prelazione dei soci; e, nel caso di morte di un socio agli altri spettava il diritto di escluderne gli eredi, con obbligo di rimborso della quota.

Allo stesso modo il progetto D'Amelio del 1925 ha ribadito il riconoscimento del diritto di preferenza dei soci al momento del trasferimento della quota.

I due progetti erano accomunati anche dalla previsione in tema di pubblicità del trasferimento: in entrambi, infatti, si richiedevano l’atto pubblico e l’iscrizione del trasferimento nel libro dei soci ai fini dell’efficacia verso la società, nonché l’iscrizione nel registro di commercio.

Negli anni successivi, i movimenti di riforma, che avevano reclamato l’introduzione in tutto il territorio italiano del nuovo modello societario a garanzia limitata, subirono una battuta d’arresto. Cominciò a prevalere l’idea che, in luogo dell’introduzione del nuovo tipo intermedio tra la società anonima e la società di persone, sarebbe stato preferibile adattare la disciplina della società anonima anche a modelli societari basati sulla rilevanza della persona del socio.

Così, nel 1934 lo stesso Vivante preferì adottare una “forma di società anonima a scartamento ridotto”, che, pur giovandosi della responsabilità limitata, assumesse una “forma modesta ed adeguata a un’attività ristretta di pochi soci, estranea alle speculazioni di borsa” 8.

numero di quote possedute dai soci; inoltre, era prevista la parità di condizioni tra prelazionario e terzo acquirente, manifestando così l’influenza della normativa civilistica.

7 R. ALESSI, “Alcune riflessioni intorno alla clausola di prelazione”, in Riv. Dir.

Comm., 1987, 51 ss.

8 Sul punto, M. STELLA RICHTER, Commento all’art. 2469, in S.r.l. commentario (a cura di), A. DOLMETTA- G. PRESTI, 2011, 263.

(9)

Una svolta rispetto alle disposizioni previste dai progetti precedenti si è verificata nel 1940, nella grande stagione di riforme dei codici di diritto privato.

Nel progetto Asquini, la disciplina della s.r.l. era plasmata su quella delle società azionarie, attraverso specifici rinvii e la previsione di una norma di chiusura, l’art. 341, secondo cui “ per quanto non disposto nel presente titolo, si applicano alla società a responsabilità limitata le disposizioni dettate per le società per azioni, in quanto compatibili”. Sotto lo specifico profilo oggetto di indagine, il progetto Asquini eliminava la prelazione in favore dei soci, sostituendola con la previsione di un regime di libera trasferibilità della quota per atto tra vivi.

Per quanto riguarda il regime pubblicitario, invece, il progetto Asquini, pur mantenendo la necessità dell'iscrizione nel libro dei soci, si differenziava dai precedenti progetti per la disciplina dei profili formali: l’atto pubblico, infatti, era richiesto ai soli fini dell'iscrizione nel registro di commercio.

Il contenuto del Progetto Asquini fu trasfuso nel Progetto preliminare del Libro dell’impresa e del lavoro senza rilevanti modifiche. Viceversa, in occasione dell’approvazione del Libro Quinto del codice civile, furono apportati al progetto significativi cambiamenti, comportanti l’abolizione di alcuni tratti differenziali tra la società a responsabilità limitata e la società per azioni.

Si trattò di un ritorno allo schema tradizionale delle società di capitali e di un abbandono del progetto di costituire un modello societario intermedio tra il tipo azionario e quello personalistico.

(10)

2. L’impianto del codice civile del ’42.

Il codice civile del 1942 ha sancito il regime della libera trasferibilità della quota, quale principio generale applicabile alle società a responsabilità limitata.

L’art. 2479 c.c., sulla scia dei progetti degli anni venti, era diviso in due parti.

Nella prima parte prevedeva la trasferibilità della quota per atto tra vivi e per successione a causa di morte, “salvo contraria disposizione dell'atto costitutivo”, riconoscendo pertanto la possibilità di clausole di blocco della circolazione delle quote, anche in assenza di alcuna garanzia di exit per il socio9 (sul punto si rinvia alla trattazione dei capitoli successivi).

Nella seconda parte disciplinava, invece, gli aspetti attinenti alla pubblicità del trasferimento e l'efficacia dello stesso nei confronti della società, subordinando quest’ultima all'iscrizione nel libro dei soci e disponendo che l'iscrizione del trasferimento potesse aver luogo su richiesta dell'alienante o dell'acquirente verso l'esibizione del titolo. Nessuna disposizione espressa regolava la forma del titolo da cui doveva risultare il trasferimento. Se ne deduceva che la forma del

9 Tant’è che alcuni autori ritenevano che l’assoluta intrasferibilità fosse valida solo se associata al riconoscimento del diritto di recesso (anticipando così quanto disposto poi dalla riforma del 2003). Sull’altro versante, si replicava però che l’esercizio di tale diritto avrebbe causato una diminuzione del patrimonio della società, non lecita nelle s.r.l. – al di fuori delle ipotesi espressamente previste dal legislatore – a causa della responsabilità limitata dei soci. Per la prima posizione vedi G.C.M. RIVOLTA, “La società a responsabilità limitata”, in Trattato di diritto civile e commerciale, (diretto da) A. Cicu e F. Messineo, (Milano, 1982), 211 ss., che fa riferimento ad un diritto di recesso da introdurre in via statutaria. Altri Autori riconducevano tra le ipotesi di esercizio del diritto di exit in caso di cambiamento del tipo societario anche le clausole di blocco (in tali termini, D. SANTOSUOSSO, Il principio di libera trasferibilità delle azioni. Eccesso di potere nelle modifiche della circolazione, Milano, 1993, 183 ss.). Per la replica vedi invece L. BUTTARO, “Sull’ampiezza e sulle conseguenze delle limitazioni alla circolazione delle quote di società a responsabilità limitata”, in Riv. soc.,1992, 489.

(11)

trasferimento fosse libera e, in particolare, che fosse quella “prescritta per il negozio causale che lo realizza”10.

Nel complesso, era evidente che il codice del '42 non avesse dato rilevanza alla trasparenza dei trasferimenti11: profilo, questo, successivamente inciso a partire da una riforma dei primi anni '90 fino ad una recente modifica intervenuta nel 2008.

In particolare, la legge 310/1993 (legge Mancino, recante “norme per la trasparenza nella cessione di partecipazioni e nella composizione della base sociale delle società di capitali”)12, al fine di garantire la trasparenza nella circolazione delle quote e la conoscenza della composizione della compagine sociale, ha novellato l'art. 2479 c.c., prevedendo, al suo art. 1, la sostituzione del terzo comma dell’art. 2479 con la seguente disposizione: «l’iscrizione del trasferimento nel libro dei soci ha luogo nei trenta giorni dal deposito di cui al quarto comma, su richiesta dell’alienante o dell’acquirente, verso esibizione del titolo

10 G. RIVOLTA, (supra, n. 9), 211.

11 P. REVIGLIONO, (supra, n. 1), 80 ss. L’Autore ritiene che non si possa dare una spiegazione all’inversione di tendenza del codice del ’42, rispetto ai progetti Vivante e D’Amelio, circa la mancanza di strumenti per rendere noti ai terzi i mutamenti della compagine sociale. Alcuni Autori (vedi, ex multis, G. ZANARONE, “Società a responsabilità limitata”, in Trattato di dir. comm e di dir. pubbl. dell’economia, VIII, (Padova, 1985), 58) hanno spiegato che la lacuna del codice del ’42 è dovuta alla mancanza di un interesse a conoscere la compagine sociale e i relativi mutamenti. Ciò trova fondamento nel fatto che nella disciplina codicistica la posizione del titolare della quota è assimilata a quella dell’azionista, sia per quanto attiene al profilo patrimoniale che per il profilo dell’apporto decisorio: infatti, da un lato il socio non ha alcun potere in materia di gestione dell’impresa; dall’altro i suoi doveri sono limitati alla sua parte di conferimento, senza possibilità di estendere la sua responsabilità nei confronti della società o dei creditori sociali. Questa previsione codicistica si differenzia da quanto previsto nei progetti Vivante e D’Amelio, in cui al socio erano riconosciuti ampi poteri di gestione; ed anche dal progetto Asquini in cui il quotista poteva essere chiamato a rispondere, in caso di insolvenza della società, delle obbligazioni sociali per una somma multipla alla propria partecipazione. L’autore sostiene che queste ragioni, in particolare il venir meno della responsabilità multipla del socio, non possano costituire la ratio dell’eliminazione delle formalità pubblicitarie: da un lato perché il legislatore non è consapevole del legame tra responsabilità illimitata del socio ed esigenza di rendere conoscibile ai terzi l’identità di tale socio; dall’altro perché non si può affermare la assoluta mancanza di interesse alla conoscenza della compagine sociale.

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da cui risultino il trasferimento e l’avvenuto deposito». In tal modo si imponeva che il deposito presso l’ufficio del registro dell’atto di trasferimento sottoscritto in forma autentica precedesse la sua annotazione nel libro dei soci.

Inoltre la legge inseriva un quarto comma all’art. 2479 c.c., stabilendo che il trasferimento dovesse risultare da scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio, il quale avrebbe dovuto depositare l'atto entro trenta giorni per l'iscrizione nel registro delle imprese.

Allo stesso modo fu disciplinato il trasferimento di quote mortis causa, tramite l’inserimento dell’art. 2479-bis c.c., il quale prevedeva che il deposito per l'iscrizione nel registro dovesse essere richiesto dagli eredi o dal legatario, dietro presentazione della documentazione necessaria ai fini dell'annotazione nel libro dei soci dei corrispondenti trasferimenti.

Nel complesso, dunque, mentre l’efficacia del trasferimento nei confronti delle parti conseguiva al semplice scambio dei consensi ad opera delle parti, nei confronti della società si produceva dal momento dell’annotazione del trasferimento nel libro dei soci, come ultimo atto formale necessario per la legittimazione all'esercizio dei diritti sociali, previo deposito dell’atto presso il registro.

Nel 2008 è intervenuto sul punto il d.l. 18513, convertito in legge 2/2009, il quale ha abolito l'obbligo di tenuta del libro dei soci, al fine di ridurre i costi amministrativi delle imprese: ciò ha inciso sulla disciplina prevista all'art. 2470 c.c. riguardo alla pubblicità del trasferimento.

13 L’art. 16 del decreto, rubricato “Riduzione dei costi amministrativi a carico delle imprese”, prevede al comma 12- quater la modificazione del testo dell’art. 2470 c.c. Sulle critiche relative alla modifica apportata dalla legge del 2009, vedi par. 9 del presente capitolo.

(13)

Un ulteriore intervento in materia di trasferimento delle quote sociali è rappresentato dal d.l. 112 del 2008, convertito in legge 133 del medesimo anno: l'art. 36 comma 1-bis prevede che “l'atto di trasferimento di cui all'art. 2470 c.c. possa essere sottoscritto anche con firma digitale (“nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione dei documenti informatici”) e, in tal caso, debba essere depositato entro trenta giorni presso il registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale, a cura di un intermediario abilitato ai sensi della legge 340 del 2000”, ossia di un dottore commercialista o di un esperto contabile (ragioniere e perito commerciale) iscritto in apposito albo, munito della firma digitale e allo scopo incaricato dai legali rappresentanti della società.

Rispetto a questa novità è sorto un problema di coordinamento tra quanto previsto dalla legge di riforma e l'art. 2470 c.c. relativo all'efficacia interna ed esterna del trasferimento14.

14 A. C. DI PINTO, “Il trasferimento delle quote di s.r.l. con firma digitale”, in Riv.

Not. 2009, 5, 1258, (nota a sentenza Trib. Vicenza, 21 aprile 2009), rileva come la novella legislativa del 2009, apportando rilevanti modifiche al sistema pubblicitario circa il trasferimento delle quote, abbia creato, oltre ai problemi interpretativi sulla legittimazione o meno dell’intermediario ad effettuare l’iscrizione dell’atto di trasferimento (di cui si dirà nel prosieguo del paragrafo), anche una spaccatura tra chi ritiene sufficiente, per il trasferimento, la firma digitale semplice e chi reputa necessaria l’autentica della firma digitale. A sostegno della prima tesi si colloca una circolare del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti (circolare n. 5/IR del 18 settembre 2008) secondo cui il d.l. 185 del 2008 introduce una procedura alternativa (di deposito) che non va a sostituire quella prevista dall’art. 2470 c.c., ma che vi si affianca. Secondo questo orientamento il commercialista compie un’attività similare a quella del notaio, sia nella fase di deposito che nella fase di predisposizione e autenticazione delle firme dell’atto di trasferimento. Così, nel caso di utilizzo di questa nuova procedura di deposito, non è più necessaria la autentica notarile della firma (riguardando questa il procedimento tradizionale), ma è sufficiente la firma digitale semplice. A sostegno di tale interpretazione, la dottrina ha rilevato come il dato letterale richieda espressamente la sola firma digitale e che ciò è coerente con l’intento di semplificazione delle procedure di trasferimento perseguito dal d.l. 185. Un opposto orientamento, invece, sostiene la necessità dell’intervento notarile, anche nel caso in cui si faccia ricorso al nuovo procedimento di deposito tramite intermediario abilitato. Tale impostazione ritiene che la previsione dell’art. 36 comma 1 bis avrebbe creato una soluzione alternativa non per quanto riguarda la fase di autentica delle firme (per la quale rimarrebbe sempre necessario l’intervento del notaio), quanto piuttosto per la fase di deposito dell’atto di trasferimento presso

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Deposito ed iscrizione sono due strumenti di pubblicità distinti cui è attribuita efficacia diversa: il primo ha esclusivamente valore di pubblicità-notizia, mentre la seconda ha anche, di regola, efficacia dichiarativa.

La riforma, sopprimendo la tenuta del libro dei soci per le s.r.l., ha lasciato all'art. 2470 c.c. soltanto la previsione del deposito dell'atto di trasferimento presso il registro da parte del notaio.

Tuttavia, non sembra potersi dubitare del fatto che si tratti di un deposito per l'iscrizione15, in quanto il successivo comma 3 dell'art. 2470 c.c. prevede che "se la quota è alienata con successivi contratti a più persone, quella tra esse che per prima ha effettuato in buona fede l'iscrizione nel registro delle imprese è preferita alle altre".

il registro delle imprese. Simile conclusione deriverebbe da due diversi argomenti, l’uno letterale e l’altro sistematico. Con riguardo al primo la dottrina in questione ha evidenziato coma la norma si limiti a parlare di firma digitale, senza nulla aggiungere: ciò non può essere letto come una dimenticanza o indifferenza da parte del legislatore, in quanto gli effetti derivanti da una firma digitale semplice o autenticata sono ben diversi (nel primo caso la firma ha la stessa valenza di una scrittura privata non autenticata; nel secondo caso ha efficacia di prova legale). Sul punto viene in considerazione il principio di autenticità degli atti soggetti ad iscrizione vigente nel nostro ordinamento: esso limita i poteri di controllo del conservatore del registro delle imprese al solo profilo formale, posto che l’accertamento dei profili di legalità (identità delle parti, legittimazione, indagine della volontà e capacità di agire) viene effettuato in via preliminare dal notaio. Se, dunque, il legislatore avesse voluto derogare a tale principio, non avrebbe dovuto limitarsi a parlare di firma digitale, ma avrebbe dovuto far riferimento espressamente alla firma digitale non autentica e, di conseguenza, porre il controllo di legalità dell’atto di trasferimento a carico di soggetti diversi dal notaio. Con riguardo al secondo profilo, l’orientamento in questione ha evidenziato come il legislatore abbia mostrato la volontà di voler rafforzare i controlli di legalità sugli atti soggetti a pubblicità commerciale. Si osserva quindi che un’interpretazione che consentisse di sottrarre all’autentica notarile ed ai conseguenti controlli l’atto di trasferimento si porrebbe in contrasto con gli intenti del legislatore.

Sul punto, v. anche E. BOCCHINI, “Trasferimenti di quote di s.r.l.:«deposito» o «iscrizione» nel registro delle imprese? Il problema delle sanzioni”, in Società, 2009, 541.

15 Condivide l’interpretazione secondo cui il deposito debba essere inteso come deposito per l’iscrizione, V. DE STASIO, Trasferimento della partecipazione nella s.r.l. e conflitto tra acquirenti, Milano, 2008, 144, il quale afferma che la parola “deposito” designa ellitticamente, nel contesto del secondo comma dell’art. 2470, il “deposito per l’iscrizione nel registro delle imprese, anziché il deposito di atti presso l’ufficio del registro delle imprese”. Allo stesso modo, anche E. BOCCHINI, (supra, n. 14), 541.

(15)

Pertanto, l’atto di trasferimento di quote di s.r.l. rimane, pur in seguito alla novella legislativa, uno di quegli atti dei quali la legge richiede l’iscrizione e non il mero deposito: di conseguenza, anche nei confronti della società il trasferimento esplica la sua efficacia dal momento dell’iscrizione nel registro e l’art. 2470 non costituisce una deroga all’art. 2193 c.c.

Tutto ciò non è previsto con riguardo al deposito effettuato dall'intermediario abilitato a norma della legge 340/2000.

Secondo alcuni autori16 l'adempimento a carico dell'intermediario consiste in una soluzione alternativa rispetto a quella tradizionale prevista dall'art. 2470 c.c. e non ne altera la portata: inoltre, l'intermediario sarebbe legittimato esclusivamente ad effettuare il deposito dell’atto di trasferimento e non avrebbe un vero e proprio obbligo di deposito. Ciò si ricaverebbe, in primo luogo, dal dato letterale, poiché la norma (art. 36 comma 1 bis della d.l. 112/2008) parla esclusivamente di deposito e, in secondo luogo, dall’assenza assoluta di sanzioni per l'inadempimento.

Così, secondo tale impostazione, attualmente, due sarebbero le strade possibili: o il deposito da parte del notaio presso il registro delle imprese, con conseguente iscrizione e opponibilità ai terzi; o deposito facoltativo da parte dell'intermediario con mera efficacia di pubblicità-notizia.

16 E. BOCCHINI, (supra, n. 14), 541 ss, il quale sostiene che “i lineamenti del sistema si ricompongono in un profilo armonico e razionale, ove si ritenga che l’atto di trasferimento con sottoscrizione autenticata da notaio deve essere depositato per l’iscrizione entro trenta giorni dal notaio rogante stesso e all’iscrizione è connessa l’opponibilità ai terzi e, quindi, l’efficacia giuridica dichiarativa (e forse anche costitutiva nell’ipotesi della risoluzione dei conflitti tra più acquirenti di cui all’art. 2470 c.c.), mentre l’atto sottoscritto solo con firma digitale può essere poi solo depositato dall’intermediario, senza gli effetti giuridici previsti dall’art. 2470 c.c. e, per quanto di ragione, non essendo il deposito dell’intermediario sanzionato in alcun modo”. La conclusione cui giunge l’autore prende le mosse, essenzialmente, dalla mancanza, nell’art. 36 comma 1 bis della l. 133/2008, di una sanzione a carico dell’intermediario per il caso di omesso deposito.

(16)

Secondo altri autori17, invece, l’intermediario abilitato al deposito dell’atto di trasferimento della partecipazione sarebbe sottoposto agli stessi oneri e disciplina previsti per il notaio. Per entrambi, quindi, sussisterebbe l’obbligo di richiedere, oltre che il deposito, anche l’iscrizione nel registro delle imprese.

Se si accoglie tale interpretazione, non vi è allora alcun ostacolo ad affermare l’applicabilità della norma sanzionatoria generale di cui all’art. 2194 c.c. anche all’intermediario.

A parte questi ultimi (sia pur significativi) ritocchi, il più importante intervento di riforma del diritto societario, che ha toccato l’intera disciplina delle società di capitali e, in particolare, ha stravolto la società a responsabilità limitata, è il d. lgs. 6/2003, di attuazione della legge delega 366/2001.

3. La riforma del 2003 e la disciplina attuale.

La legge delega per la riforma del 2003, all’art. 3, lett. f), invitava il legislatore delegato ad “ampliare l’autonomia statutaria con riferimento alla disciplina del contenuto e del trasferimento della

17 V. DE STASIO, (supra, n. 15), 145; V. SALAFIA, “ Deposito ed iscrizione nel Registro delle imprese delle cessioni di quote della s.r.l.”, in Società, 2009, 6, 744. Tale orientamento giunge alla conclusione per cui l’intermediario è legittimato, oltre che al deposito, anche all’iscrizione dell’atto di trasferimento, rifiutando un’interpretazione prettamente letterale dell’art. 36, comma 1 bis (su cui si sofferma, invece, l’orientamento contrario riportato sopra). È stato osservato come soffermarsi sull’interpretazione letterale comporterebbe “l’assurda conclusione per cui l’art. 36 comma 1 bis non si sarebbe limitato ad introdurre una modalità alternativa di deposito dell’atto di trasferimento, bensì avrebbe dato vita ad una fattispecie del tutto autonoma sotto il profilo dell’efficacia poiché, effettuando il trasferimento mediante documento informatico sottoscritto digitalmente, non si potrebbe ottenere l’iscrizione del trasferimento né il titolo di preferenza ai fini del terzo comma dell’art. 2470 c.c.”. Tale orientamento, quindi, propende per la necessità di un coordinamento tra la disciplina prevista dall’art. 36 comma 1 bis e l’art. 2470 c.c., in modo da ricavarne la legittimità legale dell’intermediario all’iscrizione dell’atto di trasferimento.

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partecipazione sociale, nonché del recesso, salvaguardando in ogni caso il principio di tutela dell’integrità del capitale sociale e gli interessi dei creditori; prevedere, comunque, la nullità delle clausole di intrasferibilità non collegate alla possibilità di esercizio del recesso”. L’obiettivo era quello di rafforzare l’autonomia statutaria del tipo concedendole ampio spazio di manovra nella definizione degli assetti organizzativi e nell’eventuale “importazione” di regole di stampo personalistico a prima vista difficilmente compatibili con le caratteristiche di una società di capitali.

Sotto il profilo in esame, il nuovo articolo 2469 c.c.18, al suo primo comma riprende quasi perfettamente quanto stabilito dal precedente art. 2479 c.c., sancendo il principio della libera trasferibilità delle partecipazioni sociali e facendo salva la facoltà, nell’atto costitutivo, di prevedere un diverso regime. Vi è tuttavia un aspetto di novità: la sostituzione del termine quota19, utilizzato nella versione precedente del codice civile, con il termine partecipazione, sostituzione che evidenzia il carattere personalistico della nuova s.r.l., abbandonando il riferimento alla quota, intesa essenzialmente come frazione del

18 Il quale va a sostituire l’originaria formulazione dell’art. 2479 c.c.: “le quote sono liberamente trasferibili per atto tra vivi e per successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo”.

19 P. REVIGLIONO, Commento all’art. 2469, in G. COTTINO- G. BONFANTE- O. CAGNASSO- P. MONTALENTI (diretto da), Il nuovo diritto societario, (Bologna, 2004), II, 1814, il quale sostiene che l’utilizzo del termine “partecipazione” e il tendenziale abbandono del termine “quota” riflette il carattere personalistico che connota le s.r.l. e la tendenza a configurare la partecipazione del socio non solo come mera frazione del capitale sociale, ma come partecipazione del socio al contratto sociale.

Sullo stesso tema v. M. NOTARI, “Diritti «particolari» dei soci e categorie «speciali» di partecipazioni”, in AGE, 2003, 326, il quale rileva l’uso promiscuo dei termini “quota” e “partecipazione” , ipotizzando che mentre il secondo si pone nell’ottica del socio, il primo si pone nell’ottica della società e meglio sintetizza il fatto che la partecipazione rappresenta una qualsiasi frazione del capitale, ossia quella di pertinenza del socio che non può essere che una.

Al termine “quota” venivano tradizionalmente attribuiti diversi significati: aritmetico (quota come misura del conferimento nei confronti degli altri soci); economico (come valore della partecipazione nei confronti degli altri soci e della società); giuridico (come insieme dei diritti e obblighi derivanti dalla partecipazione).

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capitale, per accentuare il rapporto tra partecipazione e persona del socio, in linea con quanto stabilito dalla stessa legge delega20.

Ulteriore novità del 1° comma consiste nell’inserimento dell’avverbio “liberamente”, riferito alla trasferibilità della partecipazione21.

L’inciso, se da un lato non comporta alcuna modificazione della disciplina del trasferimento rispetto a quanto era previsto nella vigenza del precedente art. 2479 c.c., sul piano sistematico ha invece la funzione di enfatizzare il principio della naturale destinazione della quota di s.r.l. alla circolazione e di rimarcare il carattere eccezionale delle limitazioni statutarie consentite dal primo e, soprattutto, dal secondo comma dell’art. 2469 c.c.22, legittimandone un’interpretazione restrittiva: tali clausole, cioè, pare debbano essere valutate attribuendo prevalenza all’interesse del socio al disinvestimento della propria partecipazione.

Una parte della dottrina giustifica l’inserimento dell’avverbio “liberamente” alla luce dei dubbi, esistenti nel vigore della disciplina precedente, sulla riconducibilità o meno delle quote “assolutamente intrasferibili” alla disciplina dell’espropriazione: con la nuova lettera dell’art. 2469 c.c., dovrebbero pertanto considerarsi non liberamente trasferibili, ai fini dell’espropriazione, tutte le partecipazioni la cui trasferibilità è soggetta a qualunque tipo di limitazione.

Infine, da un punto di vista più generale, l’introduzione dell’avverbio “liberamente” impedisce di configurare il trasferimento inter vivos

20 L’art.3 co.1 lett. a) stabilisce “prevedere un autonomo ed organico complesso di norme, anche suppletive, modellato sul principio della rilevanza centrale del socio e dei rapporti contrattuali tra i soci”.

21 Su tale argomento, M. PINNARÒ, Commento all’art.2469, in G. NICCOLINI - A. STAGNO D’ALCONTRES (a cura di), Società di capitali. Commentario, (Napoli, 2004), III, 1504, secondo cui il legislatore delegato ha voluto confermare, tramite l’aggiunta dell’avverbio, che la regola generale è quella della libera trasferibilità della posizione sociale e che ciò esclude, ad avviso dell’autore, “che l’intuitus personae superi, nel modello legale, la soglia dell’art. 2468, co. 3, ossia che la persona del socio, sempre nel modello legale, abbia rilievo oltre l’ipotesi in cui ad un certo socio risultino attribuiti particolari diritti”.

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della partecipazione come una cessione del contratto, in quanto una simile previsione comporterebbe una sorta di presunzione del consenso della società, intesa come contraente ceduto, presunzione che è, però, evidentemente incompatibile con l’idea di un trasferimento libero per legge da ogni vincolo23.

Maggiori novità riguardano il secondo comma dell’art. 2469 c.c., il quale ha introdotto il riconoscimento del diritto di recesso in favore del socio (e degli eredi del socio defunto) nei casi di sostanziale intrasferibilità della partecipazione sociale24.

In particolare, il legislatore delegato ha disciplinato lo strumento del recesso al fine di contemperare l’interesse del socio al disinvestimento della propria partecipazione (nonché il diritto degli eredi – impossibilitati a far ingresso in società a causa della clausola di blocco – di ottenere la liquidazione della partecipazione del de cuius) e l’interesse degli altri soci e della società ad evitare comportamenti pregiudizievoli25.

Prima di entrare nel merito della trattazione, è opportuno formulare alcuni rilievi. Anzitutto, non si può tacere come il legislatore delegato abbia dato attuazione ai principi direttivi della legge delega in modo anomalo.

23 Questa è la tesi sostenuta da G. ZANARONE, “Della società a responsabilità limitata”, in Il codice civile. Commentario, (Milano, 2010), 552.

24 Nelle s.r.l., mancando sia l’emissione di azioni che la sollecitazione all’investimento, è sicuramente più ardua, rispetto a quanto accade nelle s.p.a., in cui le azioni sono per natura soggette all’investimento, una mobilizzazione dell’investimento, potendo di fatto non sussistere un mercato delle quote. Per questo il socio deve poter contare sulla facoltà di recedere dalla società, soprattutto quando lo statuto preveda clausole limitative o impeditive della trasferibilità.

25 P. REVIGLIONO, (supra, n. 19), 1819, afferma che la regolamentazione contenuta nell’art. 2469 c.c. e nell’art. 2473 c.c. rappresenta un tentativo di bilanciare tre diversi interessi: quello del socio, quello degli altri soci e quello dei terzi e dei creditori sociali. Per quanto riguarda il primo, il legislatore attribuisce inderogabilmente il diritto di recesso; d’altro canto, nello stabilire che possono essere stabiliti limiti temporali per l’esercizio del diritto di exit, viene a soddisfare, almeno parzialmente, l’interesse degli altri soci a che venga rispettata la buona fede contrattuale; infine le modalità che caratterizzano il rimborso della partecipazione del socio recedente mirano a scongiurare il rischio che la liquidazione avvenga a danno dei creditori.

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Infatti, se da un lato la legge delega, all’art. 3, 2° comma, lett. f), stabiliva la “nullità delle clausole di intrasferibilità non collegate alla possibilità di esercizio del recesso”, dall’altro lato il legislatore delegato ha attribuito al socio (e agli eredi del de cuius) il diritto di recesso nel caso in cui l’atto costitutivo preveda una clausola di esclusione della trasferibilità, conservando, però, efficacia e validità della clausola stessa26.

In secondo luogo, mette conto osservare che la nuova disciplina, così come il precedente art. 2479 c.c., non pone alcun vincolo alla validità delle clausole limitative della circolazione della quota. Il riferimento alle clausole previsto nel 2° comma dell’art. 2469 c.c. (clausole di intrasferibilità, clausole che sottopongono il trasferimento al gradimento di particolari soggetti, senza prevedere condizioni o limiti e clausole che, pur prevedendo condizioni o limiti, impediscono nel caso concreto la circolazione mortis causa) non è esaustivo e fa riferimento alle sole clausole comportanti il diritto di recesso.

Peraltro, la possibilità statutaria di incidere sul regime di libera trasferibilità può spingersi addirittura fino a contemplare clausole di intrasferibilità assoluta della partecipazione.

Questa previsione differenzia le s.r.l. dalle s.p.a.: nelle prime, alla luce della maggiore rilevanza della persona del socio, è concesso di stabilire l’intrasferibilità (anche assoluta) delle partecipazioni, senza dettare

26 In tale senso PINNARÒ, (supra, n. 21), 1507; anche, G. ZANARONE, (supra, n. 23), 578, il quale evidenzia l’anomala attuazione delle direttive imposte dalla legge delega da parte del legislatore delegato, con riferimento al diritto di recesso; in più afferma che non può considerarsi tale intervento come un eccesso di delega: “poiché, infatti, il principio contenuto nell’art. 3 della delega, se letto a contrario, porta al risultato di consacrare la validità della clausola di intrasferibilità alla sola condizione che sia garantito il diritto di recesso, quest’ultimo, appare comunque l’unico strumento di difesa del socio in presenza di un blocco statutario alla circolazione delle partecipazioni, mentre in nessuna considerazione è tenuto l’interesse del terzo avente causa ad entrare in società. Per questo sarebbe stato possibile riconoscere automaticamente il diritto di recesso senza imporne per legge l’introduzione ad opera dell’atto costitutivo. E ciò è, appunto, quanto avvenuto con la nuova formulazione dell’art. 2469 c.c.”.

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ulteriori condizioni; nelle seconde, invece, l’art. 2355-bis c.c. prevede una limitazione temporale all’eventuale divieto statutario assoluto di circolazione delle azioni: la clausola, infatti, può vietare il trasferimento per un periodo non superiore a cinque anni27.

Nel complesso, la disciplina del trasferimento della partecipazione di s.r.l. è frutto di un compromesso tra diverse istanze di tutela. Il temperamento introdotto dal legislatore all’eventuale regime di intrasferibilità, cioè il diritto di recesso, e la possibilità di limitarne l’esercizio per un periodo non superiore a due anni dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione della partecipazione, mirano a soddisfare due diversi interessi28: da una parte, quello del socio a non rimanere prissonnier de son titre; dall’altra, quello degli altri soci al rispetto della buona fede contrattuale. Vi è poi l’interesse dei creditori sociali, che è preso in considerazione dal legislatore all’art. 2473 c.c. in punto di disciplina della liquidazione della quota.

27 Sul punto è possibile avanzare un’obiezione, così come è avvenuto in dottrina, sulla base delle discipline di s.r.l. e s.p.a. in materia di intrasferibilità delle partecipazioni. Il legislatore intendeva garantire maggior tutela della non modificabilità della compagine sociale nelle s.r.l., nelle quali rileva il carattere personalistico della figura del socio, rispetto alle s.p.a. Però, dalla normativa prevista in materia, si potrebbe dedurre un risultato diverso. Nelle s.r.l. l’art. 2469 c.c. ammette la possibilità di prevedere clausole di intrasferibilità, senza porre limiti temporali ai fini della validità delle stesse. Nelle s.p.a., invece, l’intrasferibilità delle azioni è ammissibile solo se prevista per un periodo non superiore a cinque anni. Se la normativa si fermasse a ciò non vi sarebbe alcun problema. Tuttavia, l’art. 2469, 2° co., ultima parte, prevede che l’atto costitutivo può limitare l’esercizio del recesso per un periodo non superiore a due anni. Di qui, nelle s.r.l. l’immodificabilità assoluta della compagine sociale è garantita solo per due anni, a fronte, invece, dei cinque anni previsti nelle s.p.a.

28 In tal senso P. REVIGLIONO, (supra, n. 19), 1819, secondo cui “ la norma intende fissare un equilibrio tra la stabilità della compagine sociale- perseguita mediante l’introduzione nell’atto costitutivo di un vincolo alla circolazione della partecipazione- e l’interesse del socio al libero trasferimento”.

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4. Il principio di libera trasferibilità delle partecipazioni.

Già si è detto che l’art. 2469 c.c. ribadisce la regola generale della libera trasferibilità delle partecipazioni sociali29, tipica delle società di capitali. Ciò, secondo alcuni autori30, è dovuto alla volontà del legislatore delegato di confermare l’appartenenza della s.r.l. alle società di capitali, eliminando così ogni dubbio sulla natura della stessa.

Allo stesso tempo, però, l’articolo fa salva la possibilità dell’atto costitutivo di prevedere un diverso regime di trasferibilità. Questa previsione si pone in linea con quanto previsto dalla legge delega e consente all’autonomia privata di avvicinare la s.r.l. al modello delle società di persone, in cui, data la rilevanza preminente dell’intuitus personae, si prevede un regime residuale di intrasferibilità delle partecipazioni31.

29 Anche il modello germanico prevede il principio della libera trasferibilità delle partecipazioni sociali. Tuttavia, anche nell’esperienza tedesca, così come accade nel nostro ordinamento, la regola di default viene disattesa dalla prassi. Al contrario, nell’ordinamento francese e belga, il regime ordinario di circolazione delle partecipazioni sociali non è improntato alla libera trasferibilità.

30 In particolare PINNARÒ, (supra, n. 21), 1505.

31 Nelle società di persone il modello legale prevede che il trasferimento sia inter vivos che mortis causa delle partecipazioni del socio illimitatamente responsabile (nel caso di trasferimento inter vivos anche per la quota del socio limitatamente responsabile) possa avvenire solo con il consenso di tutti, o di alcuni soci (art. 2284 c.c.). Nelle s.p.a., invece, il regime di libera trasferibilità delle azioni è inderogabile per quanto riguarda le azioni al portatore, mentre negli altri casi è possibile prevedere una deroga, pur nel rispetto dei limiti imposti dalla disciplina (in particolare, l’art. 2355 bis c.c. prevede sia la necessaria temporaneità, per un periodo non superiore a cinque anni, del divieto di trasferimento delle azioni, sia la statuizione di accorgimenti, quali l’obbligo di acquisto a carico della società o degli altri soci, o il diritto di recesso a favore del socio, nel caso in cui l’atto costitutivo subordini il trasferimento al mero gradimento di soci o degli organi sociali).

Sul punto PINNARÒ, (supra, n. 21), 1504, il quale sostiene che “né le discutibili aperture concesse all’autonomia dei privati in materia di entità conferibili e di libera determinazione del contenuto della partecipazione sono idonee, di per sé, a classificare la s.r.l. in termini ibridi, seppur originali, di società di persone a responsabilità limitata”.

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In verità, la regola generale della trasferibilità presenta alcune criticità in rapporto alla partecipazione del socio cui siano concessi “particolari diritti” e alla partecipazione del socio d’ opera.

Due ordini di problemi si pongono per quanto riguarda la partecipazione di cui è titolare il socio cui lo statuto attribuisca diritti particolari a norma dell’art. 2468, 3° comma c.c.

In primo luogo è opportuno chiedersi se tali partecipazioni siano trasferibili e a quali condizioni.

Le opinioni sviluppatesi in dottrina non sono concordi: da una parte, alcuni autori, in via di primo approccio al testo della riforma, hanno ravvisato nell’attribuzione di diritti particolari l’esistenza di un limite legale implicito alla circolazione delle quote fornite di particolari diritti32.

Altri autori sostengono invece la libera cedibilità delle partecipazioni, ma escludono il trasferimento dei diritti particolari, i quali dovrebbero estinguersi in via automatica33.

32 Così M. STELLA RICHTER jr, “Disposizioni generali della s.r.l.- conferimenti- quote”, in Diritto delle società di capitali, (Milano, 2008), 279 secondo cui “la stessa conformazione di partecipazioni sociali caratterizzate da particolari diritti possa anche implicitamente presupporre una limitazione se non anche una esclusione della trasferibilità delle stesse”. Ma, a ben vedere, in un sistema come quello delle s.r.l., caratterizzato dal principio generale della libera trasferibilità delle partecipazioni sociali, è difficile ammettere un limite legale alla circolazione tratto implicitamente dal carattere personale dei diritti particolari.

33 Di questa opinione A. DACCÒ, “I diritti particolari del socio nelle s.r.l.”, in Il nuovo

diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, 3, (Torino, 2007), 398, secondo la quale il fatto di considerare l’attribuzione di diritti particolari strettamente legata a caratteristiche personali del singolo socio potrebbe indurre a ritenere che tali diritti non debbano circolare insieme alla partecipazione, ma debbano automaticamente estinguersi.

Dello stesso avviso M. PINNARÒ, Commento all’art.2468, , in G. NICCOLINI-A. STAGNO D’ALCONTRES (a cura di), Società di capitali. Commentario, (Napoli, 2004), III, 1492.

Questa impostazione troverebbe conferma anche nella Relazione ministeriale al d. lgs. 6/2003, la quale afferma che è “coerente con le caratteristiche personali del tipo societario della società a responsabilità limitata consentire, con il quarto comma dell’art. 2468, che l’atto costitutivo preveda l’attribuzione a singoli soci, quindi in considerazione della loro posizione personale, di particolari diritti…”.

Sul punto, A. MONDANI, “Il trasferimento della quota munita di diritti particolari”, in Banca, borsa, tit. cred., 2010, 4, 469.

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Una terza soluzione al problema34 distingue tra diritti patrimoniali e diritti concernenti l’amministrazione della società: nel primo caso, trattandosi di diritti il cui esercizio non pone alcun problema di intuitus personae, nulla osta a che il diritto si trasmetta all’acquirente con il trasferimento della quota (sempreché lo statuto lo preveda, sembra doversi aggiungere); nel secondo caso, data l’infungibilità della prestazione gestoria, per il trasferimento del diritto occorrerebbe il consenso degli altri soci.

Discusso è inoltre il regime di circolazione delle partecipazioni dei soci d’opera.

L’orientamento prevalente sostiene che la regola generale della libera trasferibilità delle partecipazioni debba trovare applicazione anche per le partecipazioni de quibus35: il tenore letterale dell’art. 2469 non suggerisce all’interprete l’esistenza di alcuna limitazione al trasferimento delle stesse.

34 M. MAUGERI, “Quali diritti particolari per il socio di società a responsabilità limitata”, in Riv. soc., 2004, 1494, il quale sostiene che il tema del trasferimento delle partecipazioni sociali debba essere affrontato distinguendo due categorie di diritti particolari: quelli patrimoniali e quelli amministrativi. L’autore afferma che nel primo caso alla sostituzione del beneficiario della partecipazione, a seguito di cessione della quota, “non si oppone alcuna istanza di adempimento personale”, per cui i soci potrebbero optare per la libera trasferibilità della partecipazione. Nel secondo caso, per contro, nel silenzio dell’atto costitutivo, l’esistenza del diritto particolare fa presumere che i soci abbiano inteso attribuirlo al socio, in virtù delle sue particolari capacità o qualità: sicché sembra preferibile, in tal caso, supporre che la posizione gestoria si estingua al momento della cessione della partecipazione, inter vivos o a causa di morte. Nel senso della distinzione tra diritti patrimoniali e diritti amministrativi anche P. REVIGLIONO, Commento all’art.2468, in G. COTTINO- G. BONFANTE- O. CAGNASSO- P. MONTALENTI (diretto da), Il nuovo diritto societario, (Bologna, 2004), II,1798, il quale sostiene, però, che i diritti particolari non possono essere oggetto di alienazione, né per atto tra vivi né mortis causa, se non con il consenso di tutti i soci, stante il disposto dell’art. 2468, co.4 c.c., in quanto sarebbe necessaria una loro modificazione dal punto di vista soggettivo.

35 PINNARÒ, (supra, n. 21), 1505, il quale rileva che “una limitazione che si volesse riferire alla trasferibilità della partecipazione derivante da apporti d’opera o di servizi, tradirebbe lo spirito della riforma e la finalità innovativa sui conferimenti. Un divieto di circolazione renderebbe in tal caso il relativo titolare prigioniero del conferimento”.

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Non mancano, però, posizioni che sottolineano gli inconvenienti derivanti dalla piena applicazione del regime suppletivo previsto dalla norma, che, peraltro, dovrebbe coordinarsi con l’art. 2472 c.c., che prevede, decorsi tre anni dal trasferimento della partecipazione, l’estinzione della garanzia cui è tenuto il socio alienante per l’esecuzione del conferimento: conferimento che, data l’infungibilità della prestazione d’opera, è verosimilmente ineseguibile dal nuovo socio. È evidente, allora, l’opportunità di una regolamentazione ad hoc della fattispecie nell’atto costitutivo.

5. La nozione di trasferimento ai fini dell’applicazione dell’art. 2469 c.c.

Per affrontare il problema dei limiti statutari alla trasferibilità delle partecipazioni sociali, è necessario un ulteriore passaggio preliminare: l’analisi del significato del termine trasferimento36.

Nella vigenza dell’art. 2479 c.c. si erano diffuse ricostruzioni – per così dire – “liberali”, volte ad ampliare l’ambito di applicazione dell’articolo facendovi rientrare pressoché ogni vicenda che avesse ad oggetto le quote di s.r.l. Ciò era dovuto principalmente alla mancanza di disposizioni normative che disciplinassero il pegno, l’usufrutto e il sequestro delle partecipazioni sociali.

36 Sul significato del termine “trasferimento” interessante è la ricostruzione fatta da E. MARMOCCHI, “La circolazione delle partecipazioni sociali tra statuto e contratto”, nella Relazione al “Convegno di studi sulla riforma del diritto societario”, in Riv. not., 2004, 1,63, il quale sostiene che “non esiste un uso univoco del termine, nel codice e nelle leggi speciali, e che lo stesso viene normalmente usato come sinonimo di alienazione. Diciamo allora che il trasferimento comporta la perdita del diritto da parte di un soggetto e il suo acquisto da un altro soggetto. Acquisto derivativo dunque, che contempla sia la specie derivativo- traslativa che quella derivativo- costitutiva. Vi rientrano così la donazione, la costituzione di usufrutto, la datio in solutum. Ne rimangono escluse la divisione,…, e forse anche il pegno che similmente all’ipoteca si fa rientrare nella diversa e più estesa nozione di “disposizione”, non potendosi ritenere alienazione indiretta la possibilità di espropriazione che vi è sottesa”.

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Del resto, l’opinione che riconduceva alla nozione di trasferimento gli atti costitutivi di pegno e di usufrutto si giustificava sia in ragione dell’incidenza di tali negozi sulla spettanza e sull’esercizio dei diritti sociali, sia in ragione del mutamento della sfera soggettiva del socio, non più pieno proprietario.

A seguito della riforma del 2003, dato il perdurante silenzio dell’attuale art. 2471-bis c.c., resta vivo il dibattito circa la riconducibilità delle vicende in esame alla nozione di trasferimento rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 2469, 2° comma, c.c.: parte della dottrina37 ritiene che un eventuale divieto di costituzione di diritti reali minori sulla quota dia luogo al riconoscimento del diritto di recesso, in quanto comprime la possibilità di disporre liberamente della partecipazione; altra parte della dottrina sostiene, invece, che il diritto di recesso scatti solo nelle ipotesi espressamente richiamate dall’art. 2469 c.c., temendo un allargamento della fattispecie tale da far venir meno la necessaria garanzia di stabilità della compagine sociale. Altro problema riguarda la vicenda dell’espropriazione e del sequestro della partecipazione sociale.

Sembra doversi affermare che l’art. 2469, 1° comma, c.c. sia insensibile alle vicende traslative della partecipazione diverse da quelle che si fondano sulla libera volontà del titolare o sulla legge. La norma non

37 M. MALTONI, Commento all’art. 2469, in A. MAFFEI ALBERTI (a cura di), Il nuovo

diritto delle società, commentario, (Padova, 2005), III, 1843, afferma che “l’assoluta certezza di poter disinvestire esclude il diritto di recesso, ma ogni possibile margine di incertezza autorizza il recesso”.

Contra, G. ZANARONE, (supra, n. 23), 555 ss, afferma che la soluzione accolta nel primo comma dell’art. 2469 c.c. deve applicarsi ad ipotesi le quali, pur non rientrando nel significato letterale del termine “trasferimento”, sono idonee a dar applicazione alla volontà del legislatore di garantire al socio di compiere “liberamente” qualunque atto di disposizione avente ad oggetto la partecipazione. Quindi nel caso di una clausola che limiti o vieti la costituzione di pegno o usufrutto sulla partecipazione, secondo l’autore, trova applicazione il primo comma dell’art. 2469 c.c. Al contrario, una clausola che vietasse il trasferimento inter vivos e/o mortis causa della partecipazione “in proprietà”, pur consentendo la costituzione di usufrutto o pegno, darebbe adito all’esercizio del recesso.

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ricomprenderebbe, cioè, le vicende che si producono su iniziativa altrui: e tali sono, appunto, l’espropriazione forzata o il sequestro. Le ragioni alla base della non riconducibilità di tali vicende all’art. 2469 c.c. sarebbero essenzialmente due: in primo luogo, esse trovano nel codice una disciplina specifica agli articoli 2471 e 2471-bis; in secondo luogo, non si conciliano con la ratio della norma in commento, la quale mira a bilanciare due diversi interessi a livello endosocietario (quello del titolare della partecipazione al disinvestimento e quello degli altri soci all’immutabilità della compagine sociale), mentre, nel caso dell’espropriazione o del sequestro, il conflitto che si crea tra socio e terzo (creditore) è di carattere extrasocietario e non viene in rilievo uno specifico interesse del socio al disinvestimento38.

Controversa è la disciplina applicabile in ipotesi di clausole statutarie che pongono limiti minimi di partecipazione al capitale sociale: l’orientamento prevalente39 sembra non far rientrare tale fattispecie tra quelle rilevanti ai sensi dell’art. 2469, 2° comma, c.c.; altri autori40 ravvisano invece nel limite minimo di partecipazione un divieto di alienazione parziale della quota, idoneo a determinare il diritto di recesso.

Sembra pacifica, infine, la soluzione proposta dalla dottrina in presenza di clausole statutarie di indivisibilità della partecipazione: queste ultime, come si dirà meglio più avanti, non giustificherebbero un diritto di recesso, in quanto impediscono il disinvestimento parziale della quota, ma non la circolazione della stessa in maniera assoluta41 (è infatti lecita la circolazione dell’intera partecipazione).

38 Così G. ZANARONE, (supra, n. 23), 556.

39 Così, RAINELLI, “Il trasferimento della partecipazione”, in Le nuove s.r.l., diretto da M. SARALE, (Bologna, 2008), 297 ss.

40 PINNARÒ, (supra, n. 21), 1507.

41 In senso contrario M. PINNARÒ, (supra, n. 21), 1507 sostiene che “una previsione la quale consenta la libera trasferibilità solo dell’intera partecipazione, va apprezzata

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6. Le clausole previste dall’articolo 2469, 2° comma, c.c.: profili generali.

Il secondo comma dell’art. 2469 c.c., così come riformulato a seguito della riforma del 2003, prevede tre tipologie di clausole, in presenza della quali soltanto scatta il diritto di recesso in favore del socio o degli eredi.

Si tratta di:

a) clausole di intrasferibilità;

b) clausole che subordinano “il trasferimento al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi senza prevederne condizioni o limiti”; ed, infine,

c) clausole che “nel caso concreto impediscono il trasferimento a causa di morte”.

Per quanto riguarda le clausole di intrasferibilità assoluta non vi è alcun dubbio sulla conseguente applicazione del rimedio del recesso; alcuni dubbi interpretativi sorgono, invece, per quanto riguarda le ipotesi di intrasferibilità relativa: all’esame di queste sarà dedicato il secondo capitolo del presente lavoro42.

Notevole rilevanza ha poi la seconda tipologia di clausole prevista dalla norma: ossia previsioni statutarie che subordinano il trasferimento (rectius, la sua efficacia nei confronti della società, come si dirà) al gradimento di particolari soggetti, senza prevedere condizioni o limiti. In proposito, il legislatore della riforma recepisce –al pari di una previsione generale sulla indivisibilità della quota- come divieto di trasferimento e pertanto quale fattispecie che abilita all’esercizio del recesso”.

42 La maggior parte della dottrina ritiene applicabile il secondo comma dell’art. 2469 c.c. alle sole ipotesi di intrasferibilità assoluta. In questo senso P. GHIONNI, Società a responsabilità limitata a struttura chiusa e intrasferibilità delle quote, (Torino, 2010), 49 ss, che distingue tra intrasferibilità assoluta, relativa (soggettivamente e oggettivamente relativa) e temporanea, applicando solo alla prima il rimedio del recesso; anche, G. ZANARONE, (supra, n. 23), 579 ss, che, allo stesso modo, ritiene applicabile l’art. 2469, co.2 c.c. alle ipotesi di intrasferibilità assoluta e non all’intrasferibilità temporanea né a quella parziale, né all’intrasferibilità soggettivamente relativa, né condizionata.

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per la s.r.l. la soluzione adottata in passato per la s.p.a., che esprimeva un sostanziale disfavore nei confronti delle clausole di gradimento mero, anche se nella s.r.l. tale sfavore non trova sanzione nella nullità o inefficacia della clausola (in proposito v. meglio infra, cap. III)43.

Vi sono, invece, clausole che subordinano il placet al possesso di requisiti oggettivi, o di particolari qualifiche, o che giustificano il diniego in presenza di particolari situazioni soggettive dell’acquirente, integrando ipotesi di gradimento vincolato e non discrezionale, rispetto alle quali, di conseguenza, non si avverte l’esigenza di accordare ai soci il diritto di recesso.

Controversa è la posizione delle clausole che prevedono (soltanto) l’obbligo di motivazione del diniego; ulteriori dubbi sorgono in presenza di clausole di gradimento che abbinano al diniego un correttivo idoneo a garantire il disinvestimento della partecipazione (su tutti questi aspetti, v. infra, cap. III).

Un aspetto particolare, che differenzia la s.r.l. dalla s.p.a. in punto di disciplina del mero gradimento, consiste poi nella possibilità di attribuire il potere di concedere o negare il gradimento anche ad un terzo estraneo alla compagine sociale. All’analisi delle clausole di gradimento sarà dedicato il terzo capitolo.

Infine, l’ultima categoria di clausole prese in considerazione dal 2° comma dell’art. 2469 c.c. fa riferimento al trasferimento mortis causa. Si tratta di clausole che, pur prevedendo semplici “limiti e condizioni” alla circolazione, impediscono nel caso concreto il trasferimento della partecipazione a causa di morte44.

43 La legge 281/1985, all’art. 22, sanciva l’inefficacia delle “clausole degli atti costitutivi di società per azioni, le quali subordinano gli effetti del trasferimento delle azioni al mero gradimento di organi sociali”.

44 G. ZANARONE, (supra, n. 23), 588, secondo cui un trasferimento, pur risultando possibile in astratto, può risultare impedito “nel caso concreto” anche relativamente alla circolazione inter vivos della partecipazione (ad es. nel caso di socio unico di una s.r.l. il cui atto costitutivo preveda l’acquisto delle partecipazioni solo da parte dei

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