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Le clausole di predisposizione successoria alla luce della riforma del diritto societario – 6 La natura del diritto di recesso attribuito agli ered

Le clausole di gradimento

5. Le clausole di predisposizione successoria alla luce della riforma del diritto societario – 6 La natura del diritto di recesso attribuito agli ered

dall’art. 2469, 2° comma. – 7. L’inibizione statutaria del recesso.

1. L’art. 2469 c.c. e la circolazione a causa di morte.

Già nella normativa ante riforma il legislatore aveva riconosciuto espressamente, per la s.r.l., la libera trasferibilità delle quote mortis causa e la possibilità di limitare tale circolazione, addirittura fino ad ammettere l’intrasferibilità.

Dottrina e giurisprudenza dominanti ritenevano ammissibili clausole che vietassero in modo assoluto il trasferimento delle partecipazioni sociali per causa di morte, accentuando così il carattere personalistico della s.r.l.

Parte della dottrina argomentava la possibilità che lo statuto di s.r.l. contemplasse, senza limiti e incondizionatamente, clausole di intrasferibilità assoluta138 muovendo dalla distinzione letterale tra la norma dettata per le s.p.a., all’art. 2355 c.c., che parlava di “particolari condizioni” al trasferimento delle azioni, e l’art. 2479 c.c. in tema di

s.r.l., che prevedeva la più ampia deroga possibile alla regola generale della libera trasferibilità, facendo salva ogni “contraria disposizione dell’atto costitutivo”.

Da ciò, secondo l’orientamento in questione, derivava che nella s.p.a. lo statuto potesse prevedere soltanto limitazioni alla circolazione delle quote, mentre nelle s.r.l. l’autonomia statutaria fosse, sotto questo profilo, pressoché illimitata.

Tuttavia, la tesi fu sottoposta a critiche, soprattutto da parte di autori che ritenevano non sufficiente, ai fini della valutazione di legittimità di una clausola di blocco della circolazione mortis causa, far riferimento esclusivamente alla lettera dell’art. 2479 c.c.

Si riteneva, cioè, che fosse necessario considerare anche i principi generali del diritto civile, tra cui in particolare l’art. 1379 c.c., norma che disciplina i divieti convenzionali di alienazione.

Questi ultimi devono presentare due distinti requisiti ai fini della loro validità:

a) devono rispondere all’ interesse di almeno una delle parti; e b) devono essere contenuti entro determinati limiti di tempo.

Secondo la tesi in esame, una clausola di intrasferibilità assoluta della partecipazione a causa di morte non avrebbe rispettato i requisiti di cui sopra: in particolare - si diceva - l’interesse a non mutare la compagine sociale non trovava giustificazione nella qualificazione della società come società a responsabilità limitata.

In verità, si può osservare come l’interesse sotteso alla clausola di intrasferibilità sia quello dei soci a mantenere inalterata la compagine sociale: interesse ampiamente meritevole di tutela in una società che, similmente alle società di persone, dà particolare rilievo alla persona del socio.

Un ulteriore orientamento al riguardo sosteneva che, per verificare l’ammissibilità della clausola di intrasferibilità assoluta nel caso di

morte di uno dei soci, si dovesse guardare alle conseguenze che la società avrebbe dovuto sopportare, specie sotto il profilo patrimoniale139.

La tesi, sulla scia della dottrina e giurisprudenza dominanti, le quali ritenevano e ritengono tuttora che in presenza di una clausola di blocco il rapporto tra socio defunto e società si scioglie e nasce per i successori il diritto ad ottenere la liquidazione della quota, affermava che, per effetto della clausola, la società dovesse effettuare la liquidazione per una cifra corrispondente al valore patrimoniale della partecipazione, calcolato sulla base dell’ultimo bilancio.

Per far ciò – si diceva – la società utilizza il proprio patrimonio; e lo fa procedendo necessariamente ad una riduzione del capitale (non potendo, del resto, tenere in portafoglio quote proprie nella speranza di ricollocarle utilmente sul mercato)140.

E proprio in questo stava il problema: la riduzione del capitale, determinata dalla presenza di una clausola di intrasferibilità assoluta mortis causa, è legittima in considerazione del principio di tipicità delle cause di riduzione nelle società di capitali?

Sul punto sono state avanzate diverse soluzioni: alcuni autori141 hanno ricondotto la fattispecie in esame alla riduzione per perdite, argomentando dal fatto che l’obbligo della società di liquidare la quota all’erede comporterebbe per la stessa un debito nei confronti di

139 S. BORRELLI, “Sulla clausola di intrasferibilità mortis causa della quota di società a responsabilità limitata”, in Notariato, 2004, I, 59 ss.

140 S. BORRELLI, (supra, n. 139); L. PICONE, “Trasferibilità della quota del socio defunto ai soci superstiti”, in Società, 1997, 414.

141 V. SALAFIA, “Liquidazione della quota agli eredi del socio di S.r.l”.,in Società, 1987, 904. La soluzione prospettata da tale autore deve essere respinta in quanto non si può parlare di una vera e propria perdita della società: da una parte perché si tratta di una riduzione dovuta ad una perdita “volontaria” dei soci, mentre per “perdite” in senso tecnico si fa riferimento a quelle avvenute a causa dell’esercizio dell’attività sociale; dall’altra parte la riduzione del capitale per perdite avviene, obbligatoriamente, ai sensi dell’art. 2446 c.c., nel caso in cui venga eroso il capitale sociale oltre un terzo, mentre nel caso di riduzione dovuta ad un clausola di blocco la riduzione sarebbe sempre obbligatoria.

quest’ultimo; altri142 hanno equiparato la fattispecie in commento alle ipotesi di riduzione del capitale a seguito del recesso di uno dei soci. Le soluzioni al problema risultavano essere tante ed inconciliabili143, anche se forse l’orientamento preferibile era quello della dottrina e giurisprudenza prevalenti, le quali ammettevano l’intrasferibilità assoluta mortis causa, anche nel vigore dell’articolo 2479 c.c., in quanto il legislatore non aveva posto limitazioni o condizioni alle previsioni dell’atto costitutivo circa le deroghe alla libera trasferibilità144.

Per quanto riguarda le s.p.a., il legislatore non aveva dato alcuno specifico rilievo alla circolazione a causa di morte.

142 P. PICOZZA, “Limiti alla circolazione delle quote di S.r.l.”, in Società, 1988, 126. Anche questa tesi è sottoposta a varie critiche, in particolare al fatto che il recesso consiste in una scelta volontaria del socio, mentre, nel caso di intrasferibilità della quota, il socio la cui partecipazione viene liquidata agli eredi non opera una scelta, poiché lo scioglimento del rapporto avviene in conseguenza della sua morte.

143 Sulla questione si è espresso anche il Tribunale di Verona, 27 giugno 1989, in

Società, 1989, 1157, cercando di conciliare il disposto dell’art. 2479 c.c. con i principi generali previsti dal nostro codice in tema di riduzione del capitale. Il Tribunale afferma la legittimità della clausola di intrasferibilità mortis causa, inserita nell’atto costitutivo, riconoscendo il diritto degli eredi di ottenere la liquidazione della quota, ma sottolinea che tale liquidazione non può avvenire tramite una riduzione del capitale sociale, a causa della tassatività di tali operazioni nelle società di capitali. Continua poi, affermando che, non potendo la quota del de cuius consolidarsi in capo alla società (a causa del divieto di acquisto di proprie partecipazioni sancito dall’art. 2483 c.c., oggi art. 2474 c.c.), “non rimane che ritenere che la cessazione della qualità di socio determini il consolidamento della quota in capo agli altri soci in misura proporzionale al valore delle quote già detenute”, pur rimanendo l’onere della liquidazione agli eredi a carico della società. Il Tribunale, quindi, sembra ritenere che l’unica via percorribile nel caso di intrasferibilità mortis causa sia quella di prevedere l’automatico accrescimento della partecipazione del socio defunto in capo ai superstiti. Alla soluzione del Tribunale sono state avanzate delle critiche (sul punto S. BORRELLI, supra, n. 139, 59 ss) secondo cui, è vero che la soluzione prospettata non comporta una riduzione del capitale sociale e quindi una violazione delle fattispecie tipiche previste dal nostro ordinamento, ma è pur vero che, prospettando a carico della società la liquidazione della quota agli eredi, questa comporterà comunque una diminuzione del patrimonio della società, la quale si rifletterà inevitabilmente sul capitale sociale reale. Secondo l’autore la situazione che si determina è molto simile alla fattispecie di riduzione del capitale per perdite. 144 S. BORRELLI, (supra, n. 139), 59 ss, ritiene che l’intrasferibilità mortis causa della partecipazione sociale è ammissibile solo quando non comporti l’obbligo, a carico della società, di ridurre il capitale sociale. In altre parole, essa è ritenuta legittima quando la società può far fronte alla liquidazione della quota all’erede del defunto tramite l’utilizzo delle riserve disponibili, senza dover intaccare il capitale sociale.

L’art. 2355 c.c., nella versione ante-riforma, si limitava a prevedere, al terzo comma, che “l’atto costitutivo potesse sottoporre a particolari condizioni l’alienazione delle azioni nominative”, ma non faceva alcun riferimento alla circolazione mortis causa.

In mancanza di una disposizione esplicita in materia, la dottrina, sulla base della lettera dell’articolo, che utilizzava il termine “alienazione”, aveva escluso la possibilità di includere in tale disciplina anche le vicende mortis causa145.

Un mutamento si è avuto con l’intervento della legge 281/1985, la quale, riferendosi alle clausole di mero gradimento, utilizzò il termine “trasferimento” in luogo del termine “alienazione”, comportando la possibilità di riferire la disciplina anche al fenomeno successorio. Infine, l’attuale disciplina sui limiti al trasferimento delle partecipazioni sociali (art. 2355-bis, per le s.p.a. e art. 2469 per le s.r.l.) fa esplicito riferimento alla circolazione a causa di morte.

Riepilogando: sotto lo specifico profilo della circolazione mortis causa della quota nella società a responsabilità limitata, vale, così come per la circolazione inter vivos, il principio della libera trasferibilità; tuttavia, l’atto costitutivo può prevedere clausole limitative o impeditive del trasferimento, spingendosi fino alla previsione di una clausola di intrasferibilità assoluta.

L’intervento riformatore del 2003 elimina così le incertezze sulla ammissibilità o meno di tale tipologia di clausole, sorte nel vigore della disciplina precedente. In particolare, il 2° comma dell’art. 2469

145 Sul punto P. REVIGLIONO, nota a sentenza in tema di “Limitazioni convenzionali alla circolazione delle azioni e trasferimenti mortis causa”, in Giur. It. 1993, I, 11 nell’analizzare la legittimità della clausola di opzione alla luce dei principi generali dettati in materia di società di capitali, afferma che la soluzione circa la ammissibilità o meno di una tale clausola non può fermarsi al tenore letterale dell’art. 2355 c.c., il quale parla di “alienazione” delle partecipazioni sociali. L’interpretazione dell’art. 2355 c.c. in chiave letterale è recessiva in dottrina e giurisprudenza, “essendosi osservato che il termine “alienazione” nella ratio legis comprende anche la successione dello status socii per atti mortis causa”.

c.c., da un lato menziona due tipologie di clausole riferendosi indistintamente alle vicende inter vivos e mortis causa (clausole di intrasferibilità e clausole che subordinano il trasferimento al gradimento di determinati soggetti senza predisporre condizioni o limiti, delle quali già si è trattato), e, dall’altro lato, proietta la sua attenzione esclusivamente sul fenomeno della circolazione mortis causa: dedica, infatti, un’autonoma considerazione a quelle clausole che, prevedendo condizioni o limiti al trasferimento, impediscono “nel caso concreto” la circolazione a causa di morte.

Il presente capitolo concerne appunto l’analisi di queste ultime clausole.

La formulazione in proposito utilizzata dall’art. 2469, 2° comma, c.c. (“qualora l’atto costitutivo…. ponga condizioni o limiti che nel caso concreto impediscono il trasferimento a causa di morte”) risulta piuttosto vaga e sembra poter ricomprendere tutte le tipologie di clausole limitative della circolazione mortis causa, tali da condurre ad un effetto in concreto impeditivo146.

Alcuni autori147 ritengono che l’art. 2469, 2° comma, c.c., in parte qua, contenga una disposizione applicabile all’intrasferibilità parziale mortis causa.

In realtà, la norma non fa riferimento ad una particolare tipologia di convenzione, come accade, invece, per l’intrasferibilità (assoluta ed astratta) o per il mero gradimento, ma a tutte quelle restrizioni che “nel caso concreto”, in ragione di particolari limiti o condizioni, impediscono il trasferimento in via successoria.

146 Preoccupato per una eccessiva dilatazione del campo di applicazione della fattispecie in commento e, quindi, del conseguente diritto di recesso riconosciuto agli eredi, P. GHIONNI, (supra, n. 42), 59. L’autore, in particolare, si preoccupa della posizione dei creditori sociali, a fronte di un ampliamento del diritto di exit in conseguenza di una riconduzione alla fattispecie di una pluralità di clausole limitative della circolazione.

Si tratta di clausole che “in astratto” non inibiscono la circolazione in modo assoluto, come accade, invece, nel caso in cui l’atto costitutivo preveda una clausola di blocco, ma che “in concreto” – analizzando, cioè, la limitazione in considerazione del momento in cui si realizza la morte del socio o della posizione dello stesso – impediscono il trasferimento della partecipazione agli eredi.

La situazione che la norma prende in considerazione è l’effettiva impossibilità di ingresso dell’erede nella compagine sociale in luogo del dante causa. E l’esigenza che si vuol tutelare è quella degli eredi a non veder pregiudicato il proprio diritto ad ottenere la liquidazione della quota148.

Il legislatore, riconoscendo all’erede il diritto di recesso in presenza di una clausola di tal sorta, mostra il suo sfavore verso tutte quelle convenzioni che, in un modo o nell’altro, possono condizionare la libertà testamentaria. Infatti, ripristina il rimedio del recesso anche in presenza di una clausola astrattamente riconducibile al novero delle limitazioni previste dal primo comma (che non accorda in proposito alcun diritto di recesso) e che, però, nel caso concreto, impedisce il trasferimento.

In sostanza il legislatore ha cercato di offrire una stessa forma di tutela in presenza delle diverse ipotesi di limitazione alla circolazione mortis causa, equiparando al divieto assoluto ed astratto le clausole che “di fatto” possono determinare, pur prevedendo semplici limiti o condizioni al trasferimento, un simile effetto.

Sul punto, parte della dottrina149 sostiene che gli eredi del socio defunto potranno esercitare il diritto di recesso, a norma dell’art. 2469, 2° comma, c.c. solo nel caso in cui la clausola impedisca, “in concreto”, la realizzazione del diritto alla liquidazione in tempi e condizioni eque. Pertanto, il diritto di recesso dovrà ritenersi escluso ogniqualvolta la limitazione contenga l’indicazione sia delle modalità di rimborso del valore della quota che del termine (non superiore a sei mesi).

Altra parte della dottrina150 sostiene, invece, che solo in seguito al subentro nella compagine sociale gli eredi avranno diritto all’esercizio del recesso, per aver rinvenuto una clausola impeditiva della circolazione, la quale legittima il recesso a favore dei soci, e perciò anche a favore dei successori del socio defunto.

Questa seconda soluzione non pare condivisibile, poiché i successori, in presenza di una clausola di blocco o limitativa del trasferimento mortis causa, difficilmente possono far ingresso nella società.

Un problema attinente alla circolazione mortis causa delle partecipazioni riguarda le tipologie di clausole presenti nella prassi ed, in particolare, la loro legittimità rispetto al divieto di patti successori ex art. 458 c.c.: aspetto, quest’ultimo, sul quale si concentrerà l’analisi dei paragrafi successivi.

149 Così, P. REVIGLIONO, (supra, n. 19), 1822, il quale afferma che “una situazione tale da dar vita al diritto di recesso si presenta nel caso in cui l’atto costitutivo preveda condizioni preclusive o limitative al trasferimento mortis causa e, nel contempo, non introduca alcuna precisazione in ordine alle modalità di rimborso del valore della partecipazione o al prezzo che i soci superstiti devono corrispondere in caso di acquisto, né alcun congruo termine entro cui debba avvenire la liquidazione, ovvero, ancora, stabilisca un criterio di rimborso difforme da quello previsto dal 3° comma dell’art. 2473 c.c.”.

150 M. MALTONI, (supra, n. 77), 1841; D. GALLETTI, Commento all’art. 2469, in Codice

commentato delle s.r.l., (a cura di) P. BENAZZO- S. PATRIARCA, (Torino, 2006), 1849, il quale rileva che il vero limite della norma in esame (art. 2469 c.c.) consiste nella mancata tutela dei soci superstiti e della società a conseguire la stabilità della compagine societaria, liquidando di propria iniziativa gli eredi.

2. Clausole di predisposizione successoria.

La prassi statutaria conosce diverse tipologie di clausole che incidono sulla circolazione delle partecipazioni sociali a causa di morte.

Oltre alle fattispecie espressamente nominate nel secondo comma dell’art. 2469 c.c., quali l’intrasferibilità assoluta e il mero gradimento, esistono altre tipologie che possono essere ricondotte alla norma richiamata151.

Si tratta di vincoli che non si limitano ad impedire, in senso negativo, la circolazione delle partecipazioni ma che prevedono quali saranno la sorte della partecipazione del socio defunto e le conseguenze del mancato trasferimento agli eredi.

Le clausole di predisposizione successoria più utilizzate nella prassi si concretizzano, essenzialmente, in due tipologie: clausole di consolidazione e clausole di opzione (o di riscatto).

Con il termine “clausole di consolidazione” si fa riferimento alle clausole che determinano automaticamente, alla morte di uno dei soci, l’accrescersi della quota di quest’ultimo in favore dei soci superstiti. In realtà, si distinguono due diverse species: le clausole di consolidazione pura e le clausole di consolidazione impura.

Le prime determinano un accrescimento della quota in capo agli altri soci senza far nascere alcuna obbligazione di tipo pecuniario a carico di questi ultimi e a favore degli eredi del dante causa; le seconde, invece, impongono ai beneficiari della quota del defunto l’obbligo di pagare agli eredi una somma di denaro.

È opinione pressoché pacifica ritenere nulle le clausole di consolidazione pura152, in quanto non prevedono alcun diritto di liquidazione in capo agli eredi.

Parte della dottrina fa discendere la nullità dalla violazione del divieto di patti successori ex art. 458 c.c.153, mentre altra parte la riconduce alla violazione del divieto di patto leonino.

Le clausole di consolidazione impura, invece, sembra che non comportino problemi di compatibilità con il divieto di patti successori. Per quanto riguarda le clausole di opzione, esse prevedono l’obbligo per gli eredi di trasferire le quote agli altri soci, i quali hanno il diritto potestativo di acquistarle ad un prezzo il cui criterio di determinazione è già fissato nella stessa clausola.

Questa tipologia di clausole viene indifferentemente indicata con il nome di clausola di opzione o di clausola di riscatto, sebbene si preferisca utilizzare la prima delle due locuzioni alternative, in quanto il contenuto della stessa coincide perfettamente con l’opzione prevista dall’art. 1331 c.c.154.

Da un punto di vista generale, clausole di consolidazione e clausole di opzione, pur accomunate dalla funzione causale che ne sta alla base155, divergono per quanto riguarda gli effetti prodotti: la clausola di

152 Sulla natura ed ammissibilità della clausola di consolidazione, C. E. PUPO, “Sulla validità della clausola di consolidazione in capo ai soci superstiti della quota del socio defunto di s.r.l.”,in Giur. Comm., 1997, 6, 730; M. PALAZZO, “La circolazione delle partecipazioni e la governance nelle società familiari in prospettiva successoria”, in Riv. Not., 2007, 6, 1375; M. D’AURIA, “Clausole di consolidazione societaria e patti successori”, in Riv. Not., 2003, 3, 657.

153 Il punto sarà affrontato in modo specifico nei paragrafi successivi.

154Così, M. IEVA, “Le clausole limitative della circolazione delle partecipazioni societarie: profili generali e clausole di predisposizione successoria”, in Riv. Not., 2003, 6, 1361.

155M . IEVA, (supra, n. 154), 1370. Sul punto v. P. REVIGLIONO, (supra, n. 145), 11, il quale precisa che la morte del socio, nei casi in cui sia prevista una clausola limitativa della circolazione a causa di morte, “viene ad incidere sull’oggetto e sul soggetto dell’attribuzione; in particolare l’oggetto della disposizione deve determinarsi, quanto ad entità, esistenza e modo di essere, al momento della morte del disponente, deve cioè costituire un quod super est e, allo stesso modo, la persona del beneficiario deve essere considerata in quanto esistente in quel momento”.

consolidazione ha un effetto reale (differito), mentre in presenza di una clausola di opzione l’effetto è meramente obbligatorio, poiché sugli eredi che acquistano la partecipazione sorge, una volta che l’opzione sia esercitata da parte dei soci superstiti, un obbligo di cessione della quota.

Infine, per quanto concerne le clausole di prelazione, la dottrina si divide sulla possibilità di ricondurre una tale fattispecie anche alla circolazione mortis causa. Alcuni autori156 ritengono che la clausola di prelazione debba riferirsi solo al fenomeno traslativo inter vivos e non sia applicabile alla circolazione a causa di morte. Altri autori, invece, ne ammettono la configurabilità anche nelle vicende successorie.

È opportuno ora analizzare il rapporto tra clausole di predisposizione successoria e il divieto di cui all’art. 458 c.c.

3. Clausola di opzione e divieto di patti successori.

Le clausole di opzione sulle quote di una società determinano, in caso di morte di un socio, il diritto potestativo dei soci superstiti di

156 P. REVIGLIONO, (supra, n. 145), 11, l’autore, nell’analizzare una clausola contenuta nello statuto di s.r.l., la quale prevede che i soci costituiscono, uno a favore dell’altro, un diritto di opzione per l’acquisto delle rispettive partecipazioni, il cui esercizio è subordinato alla premorienza di uno di essi, evidenzia come la funzione di una tale clausola, consistente nell’impedire l’ingresso nella società a