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L’efficacia delle clausole limitative della circolazione e la loro violazione.

Merita un cenno il problema dell’efficacia da attribuire alle clausole limitative della circolazione previste nell’atto costitutivo, cui si ricollega certamente il problema della loro violazione.

Nel nostro ordinamento non sussiste, a differenza di altri sistemi61, un’esplicita indicazione circa le sorti dell’atto concluso in violazione delle regole statutarie relative alla cessione delle quote. In particolare, nulla dice l’art. 2469 c.c. nei casi di mancata osservanza di una clausola di blocco o altra convenzione limitativa.

Il silenzio del legislatore è all’origine delle svariate soluzioni prospettate al riguardo.

Nel complesso, pare possibile distinguere tre diversi orientamenti. Parte della dottrina62 equipara la clausola limitativa, pur inserita nell’atto costitutivo, ai patti parasociali stipulati tra i soci: si tratterebbe

61 In Francia e in Belgio viene disciplinato il tema della violazione delle clausole statutarie. Nell’ordinamento francese è esplicitamente disposta, con riferimento alla società per azioni semplificata, la nullità della cessione effettuata in violazione dell’inalienabilità azionaria. Analogamente, con riferimento alle anonime, è stata introdotta la previsione della nullità della cessione effettuata in violazione di una clausola statutaria. L’ordinamento belga, a sua volta, prevede la nullità del trasferimento effettuato in violazione della clausola di gradimento prevista nello statuto di una s.r.l.

62 S. GATTI, L’iscrizione nel libro dei soci, Milano, 1969; G. OPPO, Contratti parasociali, Milano, 1942, ora in Diritto delle società, Scritti giuridici, II, Padova, 1992, 42. In giurisprudenza, Trib. Bassano del Grappa, 15 settembre 1993, in Società 1994, 489, ha sostenuto che l’inserimento nello statuto della clausola di prelazione, in tema di trasferimento delle partecipazioni sociali, non esclude la natura parasociale del patto ed ha la sola finalità di renderlo opponibile ai terzi, per impedire che costoro ne possano allegare l’ignoranza. Il tribunale ha giustificato tale ricostruzione, innanzitutto, sostenendo che non è esatto il ragionamento portato avanti dalla tesi opposta (che riconosce natura sociale al patto di prelazione), nel punto in cui nega la natura parasociale della clausola in questione in conseguenza dell’asserita modificabilità a maggioranza. La fragilità del ragionamento sta “nell’inversione logica tra la natura da riconoscere al patto e le conseguenze che da questo ne discendono, anche in tema di modificabilità”. Inoltre, prosegue il tribunale, l’opposto orientamento sorvola sulla evidente disparità di trattamento che verrebbe a crearsi a causa del potere attribuito alla società, in conseguenza della clausola di prelazione, a seconda che le partecipazioni trasferite appartengano, o meno, al capitale di maggioranza: solo nel secondo caso, infatti, la società reagirebbe alla violazione del

– si è detto – di previsioni convenzionali dirette a tutelare un interesse esclusivo dei soci stessi, che non coincide con l’interesse della società. Ne deriverebbe l’efficacia meramente obbligatoria della clausola in questione.

Un secondo orientamento, prevalente in dottrina e giurisprudenza63, riconosce alle clausole limitative della circolazione efficacia reale: proprio l’inserimento della clausola nell’atto costitutivo, e non in un patto parasociale, permetterebbe di elevare il patto a regola organizzativa della società.

Già si è detto che la riforma introduce, nel testo dell’art. 2469 c.c., l’avverbio “liberamente”, assente nella previgente dizione dell’art.

patto. Secondo l’orientamento del tribunale il punto più debole della tesi opposta sta nel fatto di riconoscere alla società la sola possibilità di far accertare l’inefficacia del trasferimento, mentre il socio deve anche manifestare contestualmente la sua disponibilità all’acquisto delle azioni. Concludendo, la sentenza del tribunale riconosce al diritto di prelazione la natura di diritto individuale del socio, così negando alla società la legittimazione, in caso di violazione della clausola, a rifiutare l’iscrizione nel registro dei soci come di agire giudizialmente per la declaratoria di inefficacia del trasferimento. Corollario della tesi proposta, è la modificabilità all’unanimità della clausola di prelazione.

63 Sul punto, Cass. n. 697/1997, ove “il trasferimento della quota, occorso in violazione del patto limitativo della circolazione, è ritenuto immediatamente valido ed efficace tra le parti, ma improduttivo di effetti nei confronti della società”. Anche Cass., 21 ottobre 1973, n. 2763, in Giur. Comm. 1975, II, 23; Trib. Milano, 25 febbraio 1988, in Giur. Comm. 1989, II, 94; Trib. Napoli, 4 giugno 1993, in Giur. Comm. 1994, II, 705, riconosce l’efficacia reale della clausola statutaria, in particolare della clausola di prelazione; Trib. Milano, 28 giugno 2011, in Giur. It. 2012, 7. Interessante è anche la riflessione fatta dalla Cass., 15 maggio 2012, n. 12797, la quale riconosce il carattere pattizio della prelazione e le conseguenze da questo derivanti, tra cui che il contratto ha effetto solo tra le parti, con il corollario che le posizioni soggettive scaturenti dall’accordo negoziale non possono riflettersi sui terzi. In tal modo la prelazione ha carattere pattizio e non reale. Tuttavia, nel prosieguo della motivazione della sentenza, la Corte riconosce che spesso il patto di prelazione è inserito all’interno dell’atto costitutivo e che ciò comporta, inevitabilmente, alcune conseguenze. Essa sostiene che “se l’inserimento non basta, probabilmente, a privare il patto della sua valenza parasociale, che in certo qual senso appare insita nella sua stessa natura, è tuttavia innegabile che esso valga, già solo per aver trasformato il patto in una clausola statutaria, a conferirgli anche una coloritura ulteriore, questa sì di carattere sociale”. Tramite tale inserimento sembra volersi attribuire alla pattuizione anche un valore sociale. La Corte, allora, continua sostenendo che, in quest’ottica, può essere condivisa la tesi secondo cui la clausola statutaria di prelazione avrebbe efficacia reale ed i suoi effetti sarebbero opponibili anche al terzo acquirente.

2479 c.c., evidenziando come il trasferimento della partecipazione sociale prescinda dal consenso della società64.

Ciò pare indubitabile. Ma, se da un lato l’art. 2469 c.c., accanto alla previsione della libera trasferibilità della partecipazione e della sua opponibilità nei confronti della società in ragione della mera vicenda traslativa (quale regola generale), consente al contempo una diversa previsione dell’atto costitutivo, ciò sta a significare che questa diversa disposizione non può avere altro effetto se non quello di rendere insufficiente il negozio di trasferimento puro e semplice ai fini dell’efficacia nei confronti della società.

In tale ordine di idee, la diversa disposizione dell’atto costitutivo (che contenesse, ad esempio, una clausola di gradimento) impedirebbe all’acquirente della partecipazione di esercitare i diritti sociali senza il previo consenso della società65.

Affinché il limite convenzionale alla trasferibilità abbia efficacia reale è necessario che esso sia inserito all’interno dell’atto costitutivo. Il limite previsto, invece, in un patto parasociale esplica i propri effetti solo tra i contraenti, avendo la previsione extra-statutaria un’efficacia meramente obbligatoria.

Infine, il terzo orientamento si colloca in una posizione intermedia rispetto agli altri due66.

64 G. ZANARONE, (supra, n. 23), 570, afferma che “il significato dell’avverbio liberamente, sconosciuto alla previgente stesura della norma, sta tutto, probabilmente, nel sottolineare come il trasferimento della partecipazione, intesa quale somma dei rapporti giuridici nascenti dall’atto costitutivo tra il socio e la società, prescinda dal consenso di quest’ultima, ne prescinda cioè al sub ingresso dell’avente causa nei suddetti rapporti”.

65 In questo senso G. ZANARONE, (supra, n. 23), 571.

66 Per tale orientamento, C. ANGELICI, “La circolazione della partecipazione azionaria”, in Trattato delle società per azioni (diretto da), G. E. COLOMBO- G. B. PORTALE , (Torino, 1991), 190. L’autore, pur riconoscendo che la clausola di prelazione ha, essenzialmente, la finalità di tutelare gli interessi di singoli soci nell’impedire modificazioni nel gruppo sociale, sia attraverso l’ingresso di terzi, sia mediante un mutamento delle rispettive partecipazioni, afferma che essa assume uno specifico valore organizzativo una volta che viene inserita nell’atto costitutivo, con la conseguenza che gli interessi con essa perseguiti sarebbero tanto riferibili ai singoli

La clausola statutaria limitativa della circolazione avrà natura di patto parasociale, ossia di un accordo ad efficacia inter partes, se l’interesse tutelato è l’interesse individuale dei soci; avrà invece natura di patto sociale con conseguente efficacia reale, se l’interesse sotteso alla clausola consiste in un interesse della società67.

Il riconoscimento di un’efficacia obbligatoria o reale alle clausole limitative della circolazione incide sulle conseguenze e sui rimedi adottabili in caso di violazione delle stesse. L’efficacia meramente obbligatoria comporta soltanto il diritto degli altri soci al risarcimento dei danni derivanti dal trasferimento della partecipazione avvenuto in violazione della clausola. L’efficacia reale, invece, comporta l’opponibilità del vincolo al terzo cui la partecipazione sia stata trasferita, anche se poi non si registra un’unanimità di vedute in ordine al concreto atteggiarsi di questa opponibilità.

soci, quanto alla società. Guardando alla titolarità degli interessi tutelati, la clausola di prelazione, secondo tale orientamento, acquisterebbe la qualificazione di patto parasociale o sociale. Sul punto la giurisprudenza di legittimità, Cass. 26 novembre 1998, n. 12012, in Riv. Dir. comm., 1999, II, ha precisato che la clausola di prelazione, pur nascendo con un indubbio carattere parasociale, una volta inserita nello statuto assume carattere prettamente sociale. Inoltre, sempre in giurisprudenza, Trib. Catania, 20 novembre 2002, in Società 2003, 597, in tema di clausole di prelazione, ha sostenuto che alla violazione di una clausola di tal sorta conseguono effetti diversi a seconda dell’interesse tutelato: se ad agire è la società, in nome dell’efficacia reale della clausola, la sanzione applicabile sarà quella dell’inefficacia relativa del trasferimento, inopponibile all’ente ma valido tra le parti; se, invece, ad agire sono i soci, guardando al contenuto meramente obbligatorio della clausola, questi devono ritenersi interessati solo alle conseguenze di natura risarcitoria, ferma restando la validità inter partes della cessione.

67 Ritengo che questo orientamento non sia meritevole di accoglimento, in quanto non è possibile distinguere in modo netto l’interesse del socio dall’interesse della società. In particolare, affinché l’interesse del socio sia inserito nell’atto costitutivo, è necessario che sia un interesse meritevole di tutela e non esclusivamente un interesse individuale del singolo. In altri termini, se un interesse è tutelato tramite una previsione dell’atto costitutivo, quindi è in esso inserito, si tratterà sicuramente di un interesse che fa capo anche alla società.

Un qualche successo ha riscosso l’orientamento secondo cui la violazione della clausola statutaria comporta la nullità dell’atto di trasferimento68.

68 Sulla questione dell’efficacia del trasferimento avvenuto in violazione della clausola statutaria può essere interessante la trattazione fatta da P. REVIGLIONO, “Questioni controverse in tema di clausole di prelazione tra argomentazioni tradizionali e nuovi spunti interpretativi”, in Giur. It., 1992, 4 (nota a sentenza), il quale prende in considerazione tre diverse sentenze su tale tema: Trib. Milano, 23 settembre 1991, Trib. Verona, 22 marzo 1991, Trib. Catania, 28 febbraio 1991. Le decisioni del Tribunale di Catania e di Milano, tra loro difformi, riproducono i due più significativi orientamenti emersi in dottrina e giurisprudenza: il primo afferma la nullità della cessione di quote effettuata senza rispettare il vincolo prelatizio, mentre il secondo ne afferma l’inefficacia assoluta. L’argomentazione addotta dal Tribunale di Catania si ricollega ad un’ opinione sostenuta in dottrina (F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, III, Padova, 1990, 113), secondo cui il diritto di prelazione societario ha natura legale e quindi efficacia reale, in quanto trova la propria fonte negli artt. 2355 e 2479 c.c. (ante riforma). Da parte sua, il Tribunale di Milano, invece, rigetta la tesi della nullità, accogliendo quella dell’inefficacia assoluta del trasferimento in violazione della clausola prelazionaria, proprio adducendo che la sanzione della nullità può derivare esclusivamente dalla violazione di una norma imperativa, cosa che non è la clausola statutaria.

Secondo l’indirizzo dominante la clausola di prelazione ha efficacia reale, in quanto le conseguenze della violazione di essa incidono sia nei rapporti con la società che con i soci pretermessi.

Secondo la giurisprudenza la violazione della clausola di prelazione determinerebbe la nullità del trasferimento. Così si è espressa la Corte di Cassazione, 21 ottobre 1973, n. 2763, la quale, oltre a riconoscere la nullità dell’atto di trasferimento avvenuto in violazione della clausola di prelazione, ha anche riconosciuto il diritto al risarcimento del danno nei confronti del terzo, motivando dal fatto che ad essere violato non è soltanto l’interesse della società, ma anche il diritto dei singoli soci di essere preferiti. Nella stessa direzione anche, Trib. Cagliari, 7 gennaio 2001, in Riv. Giur. Sarda 2002, 125, il quale afferma che “è nulla la vendita della quota di partecipazione ad una s.r.l. effettuata in violazione della clausola di prelazione contenuta nello statuto sociale”; Trib. Napoli, 12 maggio 1993, in Dir. E Giur. 1994, 439; Trib. Catania, 28 febbraio 1991, in Giur. It 1992, I, 2, 240, secondo cui “il diritto di prelazione previsto dallo statuto di una società a responsabilità limitata a favore dei soci (…) ha natura legale e, pertanto, è nulla la vendita della quota effettuata in violazione di tale diritto”; Trib. Napoli, 20 febbraio 1989, in Dir. E Giur. 1991, 683, propende per la nullità del trasferimento avvenuto in violazione della clausola statutaria e la possibilità per i soci di chiedere la condanna del terzo al risarcimento del danno, posta l’opponibilità allo stesso dello statuto sottoposto alla pubblicità di legge; Trib. Rimini, 12 aprile 1984, in Foro it. 1985, 2096, propendendo per la nullità del trasferimento avvenuto in violazione della clausola di prelazione prevista dallo statuto, riconosce inoltre l’obbligo di risarcimento del danno a carico del socio e del terzo acquirente; Trib. Milano, 27 febbraio 1989, in Giur. Comm. 1990, II, 564.

All’opposto, Cass. 26 giugno 2008, n. 17328; Trib. Roma, 8 luglio 2005, in Riv. Not. 2006, 2, 541, ha affermato che la domanda del socio pretermesso, nel caso di violazione della clausola di prelazione prevista dallo statuto, può condurre alla dichiarazione di inefficacia assoluta del contratto di vendita all’acquirente e non a quella di nullità, poiché quest’ultima non è sanzione disponibile dalle parti ma

Ciò è stato sostenuto soprattutto in riferimento alla clausola statutaria di prelazione: ad essere violato – si è detto – non è soltanto l’interesse della società, ma anche l’interesse degli altri soci ad essere preferiti. Sembra, però, non potersi accogliere la tesi da ultimo riferita.

In primo luogo, non trova fondamento nelle regole generali sull’invalidità del contratto.

La sanzione della nullità del trasferimento avvenuto in violazione della clausola non si giustifica con il ricorso all’art. 1418 c.c., in quanto non rientrerebbe né nel primo comma, attinente alla violazione di norme imperative (poiché il trasferimento non contrasta con una norma imperativa ma con una regola privata), né nel secondo comma, concernente la mancanza dell’accordo tra le parti, in quanto la tesi secondo cui per il perfezionamento della cessione della quota non

consegue per legge alla violazione di norme imperative ai sensi dell’art. 1418 c.c., con la conseguenza che sono consentite successive integrazioni della fattispecie che rendano pienamente efficace il contratto di vendita della partecipazione sociale in favore del terzo.

Per quanto riguarda la discussione sul riconoscimento o meno del diritto di riscatto in favore dei soci, nel caso di violazione di una clausola di prelazione, sempre Trib. Napoli, 20 febbraio 1989, in Dir. E Giur. 1991, 683, sostiene che non si possa applicare in via analogica al trasferimento di azioni, compiuto in violazione della clausola statutaria, il diritto di riscatto, in quanto si tratta di un istituto eccezionale ammesso solo nelle ipotesi espressamente previste dalla legge; Trib. Roma, 19 marzo 1998, in Società, 1998, 1185, ha affermato che la clausola di prelazione inserita nello statuto legittima il socio pretermesso a far valere l’inefficacia del trasferimento in violazione della clausola stessa, ma non lo legittima ad esercitare il diritto di riscatto delle azioni. La conclusione del Tribunale deriva dal fatto che il diritto di riscatto consiste in una notevole limitazione dell’autonomia contrattuale e un’eccezione al principio di libera circolazione dei beni. Nello stesso senso, Trib. Napoli, 4 giugno 1993, in Giur. Comm. 1994, II, 705.

Tuttavia, rispetto all’orientamento sopra riportato, parte della dottrina ritiene che “se si considera che la fonte della prelazione è negoziale- il che induce ad escludere che la sanzione possa essere la nullità, dato che questa non si addice alla violazione di un obbligo rimesso al potere dispositivo delle parti e che essa non incide su elementi dell’atto, ma sul potere di disporre- appare più corretto affermare che l’alienazione in dispregio di essa è affetta da inefficacia assoluta, che può essere fatta valere sia dalla società, con il rifiuto di annotazione del terzo acquirente nel libro dei soci, sia da ciascuno degli altri soci”(così F. DI SABATO, Il diritto delle società, Milano, 2004). Favorevole alla nullità del trasferimento avvenuto in violazione della clausola statutaria anche, M. BINNI (supra, n. 55), il quale riconosce alla prelazione natura legale.

liberamente trasferibile è necessario il consenso della società non ha alcun fondamento normativo.

In secondo luogo, la soluzione risulterebbe eccessiva rispetto agli interessi sottesi alla clausola statutaria: infatti, implicherebbe la possibilità anche per soggetti non portatori dell’interesse tutelato di chiedere giudizialmente la declaratoria di nullità69.

Del resto, il legislatore commina espressamente la sanzione della nullità rispetto a negozi effettuati in contrasto con divieti legali (mai con clausole statutarie o, comunque, con pattuizioni private), come ad esempio il caso dell’intrasferibilità assoluta dei crediti di cui all’art.1260 c.c.

La mancanza di una specifica previsione normativa sul tema e l’inadeguatezza della categoria della nullità hanno orientato la dottrina verso la ricerca di altre soluzioni.

In particolare ha riscosso successo la tesi che reputa inefficace il trasferimento compiuto in violazione dei vincoli statutari relativi alla circolazione delle partecipazioni sociali.

Sembra tuttavia doversi rifiutare la previsione dell’inefficacia assoluta del trasferimento, vale a dire di un’inefficacia tanto nei confronti della società quanto nei confronti dei soci.

È noto che l’improduttività di effetti giuridici può derivare da una causa intrinseca o da una causa estrinseca.

Nel primo caso l’inefficacia consiste nel riflesso dell’invalidità del negozio, dovuto ad un motivo di nullità o di annullabilità. L’impostazione che fa capo alla nullità, per le ragioni già riferite, non può trovare accoglimento nel caso di violazione di una clausola statutaria relativa alla circolazione. E allo stesso modo deve concludersi per l’annullabilità, poiché essa scaturisce da un vizio del

consenso o dall’incapacità di uno dei contraenti. Niente di tutto ciò ricorre nell’ipotesi qui presa in esame.

Occorre allora verificare se è ammissibile la tesi sull’inefficacia derivante da una causa estrinseca. Classico esempio è il richiamo alla condizione legale o volontaria.

Tuttavia, le convenzioni relative alla circolazione delle quote non possono identificarsi come condiciones iuris, in quanto si tratta di regole pattizie.

Neanche il riferimento alla cessione del contratto può risolvere la questione e dare fondamento alla soluzione dell’inefficacia assoluta del trasferimento. Sul punto è stato evidenziato come la peculiarità del contratto sociale ed, in particolare, la valenza organizzativa dello stesso, impediscano di riportare il fenomeno nell’ambito della cessione del contratto, o meglio nell’ambito dell’alienazione dei negozi corrispettivi (o sinallagmatici), su cui essa è imperniata.

Al di là di tale rilievo, un’ulteriore differenza tra le due tipologie di cessione deriva dalla regola generale che ne sta alla base. La regola della libera trasferibilità delle partecipazioni sociali sembra rifiutare la riconduzione all’art. 1406 c.c. (relativo alla cessione del contratto), in cui la posizione contrattuale è, all’opposto, incedibile senza il consenso dell’altro contraente. Per di più, quando le parti del contratto sociale propendono per l’inalienabilità delle partecipazioni, non si ristabilisce il regime previsto dal diritto comune, ma il legislatore impone dei correttivi ad hoc, quali il diritto di recesso (e, ad esempio, nelle s.p.a., il limite di durata quinquennale dell’intrasferibilità).

Infine, accogliendo la ricostruzione dell’inefficacia assoluta del trasferimento avvenuto in violazione della clausola statutaria, si attribuirebbe ai creditori del socio che ha alienato la quota in violazione della clausola limitativa un beneficio ingiustificato, e

dunque una posizione di vantaggio rispetto ai creditori di altro soggetto che ben potrebbe aver agito in frode degli stessi.

Può affermarsi, allora, che la posizione preferibile è quella che riconosce l’inefficacia relativa dei trasferimenti effettuati in violazione della clausola statutaria70.

70 Sul punto, rispetto alla clausola di prelazione, Trib. Catania, 5 maggio 2003, in

Gius. 2003, 1778, ha sostenuto che “la clausola inserita nello statuto di una società di